1. Il ricorso è inammissibile.
2. Preliminarmente, il Collegio evidenzia come, nel caso sottoposto alla sua attenzione, non trovi applicazione la disposizione di cui all'articolo 573, comma 1 -bis, cod. proc. pen., come introdotta dal D.Lgs. 150/2022.
Come chiarito infatti da questa Corte nella sua massima composizione (Sez. U, n. 38481 del 25/05/2023, D., Rv. 285036-01), l'art. 573, comma 1-bis, cod. proc. pen., si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore della citata disposizione.
Nel caso in esame, la sentenza di primo grado, impugnata in grado di appello e quindi sicuramente successiva alla costituzione di parte civile, era dell'11/02/2022, ossia precedente all'entrata in vigore della disposizione de qua, che quindi non trova applicazione.
3. Scendendo al contenuto del ricorso, la doglianza è inammissibile.
3.1. Va precisato che, nel caso di specie, ci si trova certamente di fronte al compimento, da parte dell'imputato, di un "atto sessuale".
La giurisprudenza di questa Corte è infatti uniformemente orientata nel ritenere tale il "bacio" anche nel caso in cui si risolva nel semplice contatto delle labbra (Sez. 3 n. 41536, 29 ottobre 2009, non massimata; Sez. 3, n. 25112 del 13/02/2007 - dep. 02/07/2007, Greco, Rv. 236964), venendo rimarcata da entrambi i suddetti arresti la irrilevanza di distinzioni fondate sull'intensità dell'atto (tale in ipotesi da escludere la natura sessuale per i baci caratterizzati soltanto dal contatto delle labbra e riservare la nozione di atto sessuale solo quelli più penetranti) e considerando invece l'idoneità in ogni caso dell'atto a ledere la libertà e integrità sessuale del soggetto passivo.
3.2. Premessa la natura univocamente sessuale del bacio sulla bocca, questa Corte ritiene altresì che la condotta sanzionata dall'articolo 609-bis cod. pen. comprende qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, pur se "fugace" ed "estemporaneo" (i.e. "repentino"), tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato, ovvero in un coinvolgimento della sfera fisica di quest'ultimo, ponga in pericolo la libera autodeterminazione della persona offesa nella sfera sessuale (v., ex plurimis, Sez. 3, n. 43423 del 18/09/2019, P., Rv. 277179-01), non avendo rilievo determinante, ai fini del perfezionamento del reato, la finalità dell'agente e l'eventuale soddisfacimento del proprio piacere sessuale (Sez. 3, n. 33464 del 15/06/2006, dep. 05/10/2006, Beretta, Rv. 234786; Sez. 3, n. 21020 del 28/10/2014, dep. 21/05/2015, Rv. 263738).
Si è anche ritenuto che la violenza richiesta per l'integrazione del reato de quo non è soltanto quella che pone il soggetto passivo nell'impossibilità di opporre tutta la resistenza voluta, tanto da realizzare un vero e proprio costringimento fisico, ma anche quella che si manifesta nel compimento insidiosamente rapido dell'azione criminosa, così venendosi a superare la contraria volontà del soggetto passivo (in termini, ex multis, Sez. 3, n. 6340 del 01/02/2006, Giuliani, Rv. 233115; Sez. 3, n. 27273 del 15/06/2010, NI., Rv. 247932; Sez. 3, n. 44641 del 17/04/2013, M.G., non massimata).
3.3. Nel caso di specie, dal tenore della sentenza emerge chiaramente, a fronte del compimento di un atto sessuale, la sussistenza di quella violenza che configura pacificamente il delitto di violenza sessuale per "costrizione".
Dal racconto della persona offesa (ritenuta pienamente attendibile dalla sentenza impugnata, valutazione non contestata dal ricorrente), infatti, emerge che la stessa, dopo avere scambiando cordiali convenevoli dinanzi alla macchinetta del caffè, aveva ripreso il suo lavoro, indossando delle cuffiette (verosimilmente per ascoltare musica) e che, a quel punto, l'imputato l'aveva afferrata da tergo, buttata contro il muro e baciata in bocca.
Impregiudicata ogni valutazione in ordine ai limiti di applicabilità del consenso putativo (e di conseguenza per l'applicabilità dell'articolo 47 cod. pen.) al delitto in parola, il Collegio evidenzia come, nel caso di specie, nessuno spazio può sussistere per l'invocazione di tale istituto: né le circostanze di luogo (luogo di lavoro), né di tempo (i convenevoli tra i due si erano esauriti), né la incontestata condotta (la p.o. veniva afferrata per le spalle e sbattuta contro il muro) potevano infatti in alcun modo indurre a tale convinzione.
Del resto, la circostanza che lo stesso imputato fosse perfettamente cosciente di avere operato in assenza di consenso e che stesse solo tentando di evitare la denuncia emerge sia dalla domanda dallo stesso rivolta alla persona offesa ("potevo?"), che dalle dichiarazioni di C.C., riportate a pag. 3-4 della sentenza, secondo cui sarebbe stato lo stesso imputato a confidare alla teste di avere sbagliato.
Il ricorso, che neppure attacca la ricostruzione operata dalla sentenza impugnata, né la attendibilità della persona offesa, omette di confrontarsi in modo realmente critico con il contenuto del provvedimento, tentando di spostare il fuoco della doglianza su un profilo, quello del consenso putativo, del tutto inconferente al caso concreto, risultando di tal guisa inammissibile per genericità.
3. Manifestamene infondata è poi la doglianza secondo cui erroneamente i giudici avrebbero ritenuto punibile per colpa il delitto di violenza sessuale, previsto in forma esclusivamente dolosa.
Va infatti rammentato che la Corte di appello di Torino si trovava a giudicare a fronte della impugnazione da parte della sola parte civile, e quindi non in relazione alla responsabilità penale, bensì a quella civile da risarcimento del danno.
Laddove la Corte territoriale ha ritenuto che l'imputato avesse realizzato "un fatto illecito, posto in essere con dolo o, in ogni caso, con colpa grave", non stava, in tutta evidenza, riferendosi alla responsabilità da illecito penale, come dedotto dal ricorrente, bensì alla liquidazione delle pretese civili, svolta dalla Corte distrettuale in via equitativa.
A tal proposito, la giurisprudenza di questa Corte ritiene che il giudice di appello (l'ipotesi scrutinata era quella della dichiarata estinzione del reato per prescrizione, ma il principio conserva la sua validità anche per il caso in esame), adito ai soli fini degli effetti civili, non deve verificare se si sia perfezionato il reato contestato, bensì accertare se la condotta dell'imputato sia stata idonea a provocare un danno ingiusto ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. secondo il criterio del "più probabile che non" o della "probabilità prevalente" (Sez. 6, n. 43982 del 05/10/2022, Altomare, n.m.; Sez. 2, n. 11808 del 14/01/2022, Castaldo, Rv. 283377).
E ciò sulla base del principio secondo cui l'art. 185 c.p. si configura come "integrazione dell'art. 2043 c.c.", rappresentando (Sez. 6, n. 33519 del 04/05/2006, Acampora, Rv. 234394-01, in motivazione) "lo spartiacque tra risarcimento e pena" e sancendo che, anche in costanza di reato, affinché dal fatto illecito scaturisca l'obbligazione risarcitoria, è necessario un danno civilisticamente inteso.
La doglianza, che riporta, ancora una volta, l'inciso contestato alla tematica dell'errore sul fatto, svincolandola dal tenore complessivo del provvedimento, è pertanto inammissibile.
4. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria dell'inammissibilità consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di fissare, equitativamente, in Euro 3.000,00.
5. L'imputato deve altresì essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che il Collegio liquida in complessive Euro 2875,00, oltre accessori di legge, come da nota spese.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in
favore della Cassa delle Ammende.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessive Euro 2875,00, oltre accessori di legge.
Conclusione
Così deciso il 24 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2024.