Giu accertamento dell'"abolitio criminis"
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 25 ottobre 2024 N. 39155
Massima
In materia di successione di leggi penali, in caso di modifica della norma incriminatrice, per accertare se ricorra o meno "abolitio criminis" è sufficiente procedere al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, senza la necessità di ricercare conferme della eventuale continuità tra le stesse facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa, atteso che tale confronto permette in maniera autonoma di verificare se l'intervento legislativo posteriore assuma carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di reato, ovvero, non incidendo sulla struttura della stessa, consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio comune alle suddette fattispecie.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 25 ottobre 2024 N. 39155

1. Il ricorso non è fondato.

Con sentenza del Giudice dell'Udienza preliminare del Tribunale di Bologna, emessa il 10/11/2021, irr. 28/11/2021, il ricorrente aveva patteggiato la pena in relazione al reato di cui all'art. 7 D.L. n. 4 del 2019.

Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Bologna ha respinto l'istanza di revoca della sentenza, ex art. 673 cod. proc. pen., sul rilievo che le condotte di indebita percezione del beneficio economico e di omessa comunicazione delle variazioni di reddito sono ancora previste e punite dalla legge penale, essendosi verificata una successione di leggi penali e non una abrogatio criminis.

2. Occorre prendere le mosse dalle pronunce di Questa Corte di legittimità che hanno affrontato la questione, seppur sollevata nei giudizi di merito, ove si ripercorrono le tappe della riforma volta, in un primo tempo, ad un ridimensionamento dell'istituto del reddito di cittadinanza e alla conseguente eliminazione, in un arco temporale più ampio, della disciplina di cui al D.L. n. 4 del 2019 e successive modificazioni, e all'introduzione, ad opera del D.L. n. 48/2023 conv, con la legge n. 85 del 2023, art. 8, del reddito di inclusione (Sez. 3, n. 7541 del 24/01/2024, Picciano, Rv. 285964 - 01; Sez. 3 n. 37836 del 18/04/2023 e Sez.3, n.49047 del 2023, non massimate; più recentemente n. 33341/2024; n. 33335/2024; n. 32680/2024; n. 32263/2024 non massimate).

Come è noto, l'art. 1, comma 318, L. n. 197 del 2022 ha disposto, fra l'altro, l'abrogazione degli artt. da 1 a 13 del citato D.L. n. 4 del 2019, e, quindi, anche della disposizione dell'art. 7 che conteneva la sanzione penale per chi abbia indebitamente conseguito il beneficio economico previsto dalla medesima legge, che è stata abrogata con effetti decorrenti al 1 gennaio 2024. Pertanto, sebbene la Legge di Bilancio n. 197 del 2022 sia entrata in vigore, anche per quanto attiene al ricordato comma 318, già alla data del 1 gennaio 2023, la concreta efficacia dell'effetto abrogativo, previsto dalla disposizione in esame, era decorrente dal 1 gennaio 2024, con la conseguente perdurante applicazione, trattandosi di disposizione ancora in vigore, quella del citato art. 7 e degli effetti penali da esso previsti.

Peraltro, prima dell'indicata data, il legislatore è intervenuto con il D.L. 4 maggio 2023 n. 48, recante "misure urgenti per l'inclusione e l'accesso al mondo del lavoro", conv., con modif. con L. 3 luglio 2023 n. 85. Dopo aver riproposto, all'art. 8, commi 1 e 2, previsioni incriminatrici per le false od omesse comunicazioni concernenti l'ottenimento o il mantenimento dei nuovi benefici economici previsti dagli artt. 3 e 12 della legge, previsioni sostanzialmente identiche a quelle già contenute nell'art. 7, commi 1 e 2, D.L. 4/2019 con riguardo al reddito di cittadinanza, con l'art. 13, comma 3, D.L. 48/2023, collocato tra le disposizioni transitorie e finali, ha previsto che "al beneficio di cui all'articolo 1 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all'articolo 7 del medesimo decreto-legge, vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023".

Dunque, al posto della fattispecie di cui all'art. 7 cit., è subentrato invece, a decorrere dal 5.5.2023, il D.L. n. 48 del 4.5.2023, istitutivo dell'assegno di inclusione, quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli, il cui art. 8 prevede che "salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio economico di cui all'articolo 3, ovvero il beneficio economico di cui all'articolo 12, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute È punito con la reclusione da due a sei anni. 2. L'omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività' irregolari, nonché' di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini del mantenimento del beneficio indicato al comma 1 È punita con la reclusione da uno a tre anni". Disposizione questa, di contenuto del tutto sovrapponibile a quella dell'abrogato art. 7 D.Lgs. 4/219, che punisce le false o reticenti dichiarazioni tese ad ottenere l'assegno di inclusione, disposizione che si pone in continuità normativa con la precedente disposizione (Sez. 3, n. 33341 del 01/02/2024, Nesci, non mass.; Sez. 3, n. 32263 del 11/07/2024, non mass.).

Appare dunque chiaro l'intento del legislatore che, per ricucire il tessuto normativo, ha introdotto la disposizione transitoria che, sulla base del tenore letterale della stessa, ha voluto far salva l'applicazione delle sanzioni penali dallo stesso previste in relazione al reato afferente all'indebito conseguimento a seguito di omesse o false dichiarazioni del reddito di cittadinanza per i fatti commessi sino al termine finale di efficacia della relativa disciplina, stessi fatti che se commessi a partire dal 1 gennaio 2024, sono puniti ai sensi della disposizione di cui all'art. 8 cit.

Con tale previsione, infatti, il legislatore ha inteso assicurare tutela penale all'erogazione del reddito di cittadinanza, in conformità ai presupposti previsti dalla legge, sin tanto che era possibile continuare a fruire di tale beneficio, cosi coordinandosi con la sua prevista soppressione, a far tempo dal 1 gennaio 2024, e con la nuova incriminazione di cui all'art. 8 D.L. 48/2023, che, strutturata in termini del tutto identici e riferita agli analoghi benefici introdotti in sostituzione del reddito di cittadinanza, continua a prevedere il medesimo disvalore penale delle condotte di mendacio e di omessa comunicazione volte all'ottenimento o al mantenimento delle nuove provvidenze economiche (cfr. Sez. 3, n. 32128 del 26/06/2026, Albanese, non mass.; Sez. 3, n. 7541/2024 cit.).

Dunque, ad oggi, nessuno potrà essere condannato per un fatto, ex art. 7 D.L. n. 4 del 2019, che non è più previsto dalla legge come reato, ma dall'avvenuta abrogazione del citato art. 7, non consegue, come ritiene il ricorrente, la revoca della sentenza e degli effetti penali in quanto, l'abrogazione dell'art. 7 non ha significato l'abolizione della figura criminosa, specificamente di quella contenuta nell'art. 7 che ora è riproposta senza sostanziali diversità nell'art. 8 del D.L. 48/2023.

3. La questione di diritto attiene, dunque, alla verifica se la successione delle leggi sopra richiamate, abbia dato luogo ad una pura e semplice "abolitio criminis", disciplinata dall'art.2, comma secondo, cod. pen., o ad un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, inquadrabile nelle previsioni di cui al successivo terzo

comma dello stesso articolo a cui non consegue la revoca della sentenza ex art. 673 cod. proc. pen.

Già le Sezioni Unite n. 24468 del 26/02/2009, Rizzoli, Rv. 243585 - 01, avevano chiarito che in materia di successione di leggi penali, in caso di modifica della norma incriminatrice, per accertare se ricorra o meno "abolitio criminis" è sufficiente procedere al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, senza la necessità di ricercare conferme della eventuale continuità tra le stesse facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa, atteso che tale confronto permette in maniera autonoma di verificare se l'intervento legislativo posteriore assuma carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di reato, ovvero, non incidendo sulla struttura della stessa, consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio comune alle suddette fattispecie (Sez. 1, Sentenza n. 3269 del 03/10/2019, Rv. 278582 - 02).

Quanto al caso in esame nessun effetto demolitorio si è verificato a seguito dell'abrogazione disposta dalla legge di bilancio del 2023, pur differita negli effetti a seguito dell'art. 13 comma 3 della legge n. 85 del 2023, perché è seguita l'introduzione, a partire dal maggio 2023, di una fattispecie dì reato del tutto sovrapponibile a quella che era prevista dall'art. 7, norma poi abrogata a partire dal 1.1.2024 da cui la permanenza del disvalore penale del fatto.

In presenza, dunque, di un fenomeno successorio, diverso dall'abrogazione, non consegue la revoca della sentenza di condanna.

Di tali principi ha fatto corretta applicazione il Tribunale di Bologna.

Il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2024.