Giu Il provvedimento di archiviazione emesso dal Pubblico Ministero in relazione alla responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs. n. 231 del 2001 non preclude ad un ripensamento da parte del medesimo organo
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. IV PENALE - 15 ottobre 2024 N. 37751
Massima
Il provvedimento di archiviazione emesso dal Pubblico Ministero in relazione alla responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs. n. 231 del 2001 non preclude ad un ripensamento da parte del medesimo organo, che può, motu proprio o su sollecitazione della persona offesa, revocare l'archiviazione e riaprire le indagini. Così, in caso di nuovi elementi emersi da un'ordinanza di imputazione coatta riguardante le persone fisiche, il Pubblico Ministero può riesaminare il procedimento archiviato senza violare il principio del ne bis in idem.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. IV PENALE - 15 ottobre 2024 N. 37751

1. Il ricorso è ammissibile ed è fondato, per le ragioni di cui appresso.

2. Come si è anticipato nel "ritenuto in fatto", nel caso che occupa il Pubblico Ministero con unico decreto ha sia disposto, ex art. 58 del D.Lgs. n. 231 del 2001, l'archiviazione del procedimento nei confronti dell'ente COOP LIGURIA, con trasmissione del provvedimento al Procuratore Generale territoriale, sia richiesto al G.i.p. l'archiviazione nei confronti delle persone fisiche ai sensi dell'art. 408 cod. proc. pen.

Avanzata rituale opposizione da parte della persona offesa, con ordinanza del 30-31 gennaio 2024 il G.i.p. ha ordinato l'imputazione coatta nei confronti delle persone fisiche (datore di lavoro; dirigente e delegato dal datore di lavoro; medico competente), in relazione al reato di cui all'art. 590, comma 3 cod. pen., e della società COOP LIGURIA, quale ente responsabile dell'illecito amministrativo di cui agli artt. 25-septies, commi 3, 6 e 7 del D.Lgs. n. 231 del 2001.

3. La prima questione concerne la ricorribilità del provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari ha ordinato l'imputazione nei confronti dell'ente. Questione che in linea astratta trova agevole soluzione nei principi formulati da questa Corte ed evocati anche dalla ricorrente.

Sul piano generale, viene ritenuto affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. L'abnormità dell'atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l'atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo (Sez. 2, n. 2484 del 21/10/2014, Tavoloni ed altro, Rv. 262275; Sez. 2, n. 29382 del 16/05/2014, P.G. in proc. Veccia, Rv. 259830; Sez. 2, n. 7320 del 10/12/2013, Fabozzi, Rv. 259158; Sez. Un., n. 26 del 24/11/1999, Magnani, Rv. 215094).

L'ordine impartito nei confronti di soggetto non indagato o per reato diverso da quello per il quale è stata chiesta l'archiviazione o quello relativo ad una frazione di condotta oggetto di un diverso procedimento già archiviato sono stati ritenuti abnormi (sulla base di un insegnamento impartito già da Sez. U, n. 4319 del 28/11/2013, dep. 2014, Rv. 257786 - 01) perché esorbitanti dai poteri di quel giudice. In tali occasioni è stato rimarcato che l'autonomia dell'organo della pubblica accusa nella formulazione delle imputazioni non può risultare scalfita dal G.I.P. e che ciò accade se questi ordina l'imputazione per ipotesi di reato mai prima formulate dal P.M.

Si tratta, quindi, di verificare se con il provvedimento in esame in giudice abbia tracimato dai limiti dei propri poteri.

4. La specifica questione sinora non ha trovato trattazione nella giurisprudenza di legittimità. È opportuno prendere le mosse dalla previsione dell'art. 58 del D.Lgs. n. 231 del 201 che, sotto la rubrica "Archiviazione", recita:

"Se non procede alla contestazione dell'illecito amministrativo a norma dell'articolo 59, il pubblico ministero emette decreto motivato di archiviazione degli atti, comunicandolo al procuratore generale presso la Corte d'Appello. Il procuratore generale può svolgere gli accertamenti indispensabili e, qualora ritenga ne ricorrano le condizioni, contesta all'ente le violazioni amministrative conseguenti al reato entro sei mesi dalla comunicazione".

La lettera della legge non dà adito a dubbi: si è inteso espressamente attribuire al P.M. un potere di archiviazione diretta, da taluni definita "cestinazione", con il solo controllo gerarchico del Procuratore Generale, il quale ha facoltà, ove ritenga, di svolgere le indagini ritenute indispensabili e di elevare la contestazione dell'illecito che eventualmente ipotizzi sussistente. E la Relazione al D.Lgs. n. 231 del 2001 spiega che l'adozione di un "procedimento semplificato, senza controllo del giudice", sì giustifica con la natura amministrativa della responsabilità dell'ente, che non richiede necessariamente un controllo giurisdizionale sulla inazione del Pubblico Ministero.

Tale modello semplificato esclude sia il vaglio giurisdizionale, sia l'intervento della persona offesa.

Si tratta di scelta legislativa discrezionale che, diversamente da quanto opina la persona offesa, appare certamente non arbitraria, posto che essa è stata espressamente connessa alla particolare natura della responsabilità della persona giuridica. Natura che, pur nell'evoluzione giurisprudenziale che avvicina l'illecito dell'ente alla struttura del reato colposo di evento (cfr. Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, in motivazione; Sez. 6, n. 23401 del 11/11/2021, dep. 2022, in motivazione), resta altra da quella penale (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261112 - 01).

Per altro verso, pur prescindendo dalla controversa riferibilità del principio di obbligatorietà dell'azione penale alla responsabilità di cui al decreto 231, non è evidente la contrarietà della disciplina ad esso, posto che il pubblico ministero è tenuto a motivare la propria decisione, ancorata a parametri legali e sottoposta al controllo del Procuratore generale della Repubblica.

5. La previsione dell'art. 58 definisce un sistema in sé compiuto, o comunque del tutto distinto ed autonomo da quello descritto dagli artt. 408 e ss. cod. proc. pen. Sicché non può evocarsi l'art. 34 D.Lgs. n. 231/2001 per riversare nella disciplina del procedimento di archiviazione del procedimento nei confronti dell'ente tratti di quella prevista per l'archiviazione della notizia di reato.

Non è questa la sede per una ricognizione dei diversi profili sui quali misurare la capacità di tale microsistema di rispondere alle diverse esigenze, in modo da escludere una manifesta illogicità della scelta legislativa. D'altro canto, anche a ritenere diversamente - e quindi a consentire all'idea di una attitudine integratrice delle norme codicistiche - gli arresti giurisprudenziali già menzionati militerebbero comunque per l'abnormità del provvedimento impugnato, poiché l'ordine in esame ha un oggetto estraneo alla richiesta del pubblico ministero.

La persona offesa ha enfatizzato la incongruenza della situazione che potrebbe derivare negando l'intervento del G.i.p. quando, come nel caso che occupa, il rigetto della richiesta di archiviazione del procedimento nei confronti delle persone fisiche contraddice le ragioni dell'archiviazione disposta ai sensi del citato art. 58.

In realtà l'obiezione postula l'irretrattabilità del provvedimento di archiviazione adottato dal pubblico ministero; affermazione che non trova conferma nel dettato normativo il quale non esclude che, su sollecitazione dell'interessato ovvero anche di ufficio, il Pubblico Ministero, re melius perpensa, revochi, con apposito provvedimento, il decreto di archiviazione e decida di proseguire le indagini preliminari.

E non vi è motivo di dubitare che tra le ragioni in grado di condurre il P.M. - si ribadisce, di ufficio o su istanza della p.o. - a revocare la propria archiviazione possa esservi la motivazione del provvedimento di imputazione coatta del G.i.p. (art. 409, comma 5, cod. proc. pen.) nei confronti delle persone fisiche aventi ruoli di responsabilità nell'ente ovvero quella dell'ordine giurisdizionale di svolgere nuove indagini (art. 409, comma 4, cod. proc. pen.), come anche, naturalmente, il concreto esito delle nuove indagini effettuate ovvero altri elementi ancora.

Si tratta di evenienza, del resto, già ammessa dalla giurisprudenza di legittimità, che nella parte motiva (sub n. 2 del "considerato in diritto", p. 7) della sentenza di Sez. 6, n. 23401 del 11/11/20201, dep. 2022, PG in proc. Impregilo Spa, Rv. 283437-04 ha puntualizzato che "(...) né la lettera né la ratio del complessivo sottosistema predisposto dal D.Lgs. n. 231 del 2001 inibiscono un "ripensamento" e, quindi, la possibilità di riapertura delle indagini e di un successivo esercizio dell'azione motu proprio da parte del medesimo organo".

6. Discende dall'abnormità del provvedimento impugnato, nella parte in cui contiene l'ordine di elevare l'imputazione nei confronti dell'ente, l'annullamento senza rinvio del medesimo. L'ordine in parola va eliminato.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata limitatamente all'ordine di contestare l'illecito all'ente COOP LIGURIA, ordine che elimina.

Conclusione
Così deciso in Roma il 23 maggio 2024.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2024.