Giu L'abrogazione del reato di indebita percezione del reddito di cittadinanza e la previsione di una deroga al principio di retroattività della "lex mitior"
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 04 ottobre 2024 N. 36936
Massima
L'abrogazione del reato di indebita percezione del reddito di cittadinanza a partire dal 1 gennaio 2024, con la previsione di una deroga al principio di retroattività della "lex mitior", salvaguarda l'applicazione delle sanzioni per i fatti commessi fino al termine di efficacia della relativa disciplina. Detta deroga è giustificata dall'esigenza di continuare a sanzionare penalmente le indebite percezioni fino alla soppressione del beneficio.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 04 ottobre 2024 N. 36936

1. Il primo motivo è manifestamente infondato. La Corte di appello ha congruamente osservato, in maniera condivisibile, come alla luce dell'art. 3 comma 8 del D.L. n. 4/2019, laddove nell'ultima parte del predetto comma 8 invero prevede che "L'avvio dell'attività di lavoro dipendente è comunque comunicato dal lavoratore all'INPS per il tramite della Piattaforma digitale per il Patto per il lavoro di cui all'articolo 6, comma 2, a pena di decadenza dal beneficio, entro trenta giorni dall'inizio dell'attività, ovvero di persona presso i centri per l'impiego" risulti obbligo di comunicazione e tempestivo del nuovo lavoro dipendente, che abbia generato la rimodulazione della somma percepibile a titolo di reddito di cittadinanza in uno con la consumazione del reato ascritto. Quanto alla tesi - giuridica - per cui la comunicazione non sarebbe stata necessaria a fronte della persistenza comunque di uno stato di occupata della ricorrente, occorre innanzitutto richiamare la regola per cui il vizio di motivazione non è configurabile riguardo ad argomentazioni giuridiche delle parti. Queste ultime infatti, come ha più volte sottolineato la Suprema Corte, o sono fondate, e allora il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) dà luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge; o sono infondate, come nel caso di specie, e allora che il giudice le abbia disattese non può dar luogo ad alcun vizio di legittimità della pronuncia giudiziale, avuto anche riguardo al disposto di cui all'art. 619 comma 1 cod. proc. pen. che consente di correggere, ove necessario, la motivazione quando la decisione in diritto sia comunque corretta (cfr. in tal senso Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016 Rv. 271451 - 01 Emmanuele). Ed allora, occorre sottolineare come la fattispecie contestata, in uno con il dovere di comunicazione in parola, tiene conto di una variazione della "condizione occupazionale" sub specie, in particolare, dei redditi percepiti, cosicché disquisire sulla circostanza per cui vi sarebbe stata comunque una situazione di lavoro dipendente non acquista alcun senso rispetto alla ratio della disciplina. Che non a caso parla, a ben vedere, di una variazione della "condizione" occupazionale, ben compatibile con variazioni pur inserite in un complessivo quanto persistente e preesistente livello occupazionale. Per non dire, peraltro, del fatto per cui nella sentenza impugnata, a ben vedere, si sostiene che la ricorrente presentando domanda non rappresentò in alcun modo di essere già titolare di un rapporto di lavoro per il periodo da prendersi, per legge, in considerazione, seppure poi cessato e sostituito, alfine, con quello che ha dato luogo alla rimodulazione di quanto percepibile. Per cui in concreto la rappresentazione dei fatti data con la domanda di reddito di cittadinanza non descriverebbe un persistente e originale livello occupazionale in grado di supportare sul paino fattuale le deduzioni giuridiche della difesa.

Valida è anche la risposta, tutt'altro che mancata, sulla assenza di consapevolezza della violazione, alla luce del richiamo, da parte dei giudici, anche al modulo dalla donna , in cui si illustravano chiaramente i doveri qui contestati. Si rammenta peraltro, che in tema di false dichiarazioni finalizzate all'ottenimento del reddito di cittadinanza, l'ignoranza o l'errore circa la sussistenza del diritto a percepirne l'erogazione, in difetto dei requisiti a tal fine richiesti dall'art. 2 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, si risolve in un errore su legge penale, che non esclude la sussistenza del dolo ex art. 5 cod. pen., in quanto l'anzidetta disposizione integra il precetto penale di cui all'art. 7 del citato d.l. (In motivazione, la Corte ha aggiunto che non ricorre neanche un caso di inevitabilità dell'ignoranza della legge penale, non presentando la normativa in tema di concessione del reddito di cittadinanza connotati di cripticità tali da far ritenere l'oscurità del precetto) (Sez. 2 - n. 23265 del 07/05/2024 Rv. 286413 - 01).

2. Quanto al secondo motivo, appare congrua e sufficiente la motivazione con cui si è negata la fattispecie di cui all'art. 131 bis cod. pen., stante la considerevole somma indebitamente percepita, costituendo, il valore di quanto ingiustamente percepito, una argomentazione di per sé autonoma e adeguata. Le rappresentazioni difensive per cui la donna si sarebbe appropriata di una somma minore attengono al merito della vicenda, e come tali non possono essere sindacate in questa sede.

3. Anche il terzo motivo è inammissibile atteso che l'abrogazione, a far data dall'01/01/2024, del delitto di cui all'art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, disposta ex art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, nel far salva l'applicazione delle sanzioni penali dallo stesso previste per i fatti commessi sino al termine finale di efficacia della relativa disciplina, deroga al principio di retroattività della "lex mitior", altrimenti conseguente ex art. 2, comma secondo, cod. pen., ma tale deroga, in quanto sorretta da una plausibile giustificazione, non presenta profili di irragionevolezza, assicurando la tutela penale all'indebita erogazione del reddito di cittadinanza sin tanto che sarà possibile continuare a fruire di detto beneficio, posto che la sua prevista soppressione si coordina cronologicamente con la nuova incriminazione di cui all'art. 8 d.l. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, riferita agli analoghi benefici per il futuro introdotti in sostituzione del reddito di cittadinanza. (Sez. 3 -, n. 7541 del 24/01/2024 Rv. 285964 - 01).

4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Conclusione
Così deciso in Roma il 18 settembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2024.