Giu le ss.uu. sul regime di utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi
Corte di Cassazione - Sezioni Unite - 03 ottobre 2024 N. 36764
Massima
La disciplina del regime di utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi, di cui all'art. 270, comma 1, cod. proc. pen. - nel testo introdotto dal D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 2020, n. 7, ed anteriore al D.L. 10 agosto 2023, n. 105, convertito con modificazioni dalla L. 9 ottobre 2023, n. 137 - opera solo ove il procedimento nel quale sono state compiute le intercettazioni sia stato iscritto successivamente al 31 agosto 2020.

Casus Decisus
Le Sezioni Unite sono chiamate a pronunciarsi sulla seguente questione "Se la disciplina del regime di utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi di cui all'art. 270, comma 1, cod. proc. pen., nel testo introdotto dal decreto legge 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 7, ed anteriore al decreto legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito con modificazioni dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137, operi soltanto nel caso in cui il procedimento nel quale siano compiute le captazioni e il procedimento diverso siano stati iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ovvero nel caso in cui solo quest'ultimo sia stato iscritto dopo tale data".

Testo della sentenza
Corte di Cassazione - Sezioni Unite - 03 ottobre 2024 N. 36764

1. Le Sezioni Unite sono chiamate a pronunciarsi sulla seguente questione

"Se la disciplina del regime di utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi di cui all'art. 270, comma 1, cod. proc. pen., nel testo introdotto dal decreto legge 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 7, ed anteriore al decreto legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito con modificazioni dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137, operi soltanto nel caso in cui il procedimento nel quale siano compiute le captazioni e il procedimento diverso siano stati iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ovvero nel caso in cui solo quest'ultimo sia stato iscritto dopo tale data".

1.1. La Sezione rimettente ha correttamente rilevato l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale avente ad oggetto l'ambito applicativo temporale dell'art. 270, comma 1, cod. proc. pen., nel testo introdotto dal D.L. n. 161 del 2019 cit.

Un contrasto interpretativo che involge e si sviluppa in relazione al contenuto, alla interpretazione e alla portata dell'art. 9 della legge n. 216 del 2017, che, rubricato "disposizione provvisoria", ha differenziato il momento di entrata in vigore delle "nuove" norme in tema di intercettazioni.

2. È utile ricostruire il quadro normativo di riferimento.

2.1. La legge 28 febbraio 2020, n. 7, ha convertito, con modificazioni, il decreto legge 30 dicembre 2019, n. 161, intitolato "Modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni".

L'art. 1 del decreto legge, così come convertito, aveva prorogato il termine a partire dal quale dovevano applicarsi le norme previste dal D.Lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, recante "Disposizioni in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi 82, 83 e 84, lettere a), b), c), d) ed e), della legge 23 giugno 2017, n. 103", stabilendo che dette norme dovevano trovare applicazione ai procedimenti penali iscritti dopo il 30 aprile 2020.

L'art. 2 del decreto legge aveva inoltre apportato numerose modiche alla disciplina delle intercettazioni di comunicazioni o di conversazioni, con riguardo, tra gli altri, all'utilizzo nella fase delle indagini del captatore informatico, al procedimento di selezione e di acquisizione probatoria dei risultati del mezzo di ricerca della prova, alla documentazione degli atti, all'utilizzabilità degli esiti delle captazioni in un diverso procedimento.

Le modifiche hanno riguardato gli artt. 114, 242, 266, 267, 268, 269, 270, 291, 293, 295, 415-bis, 422, 454, 472 cod. proc. pen., nonché gli artt. 89, 89-bis, 92 disp. att. cod. proc. pen.; gli artt. 268-bis, 268-ter, 268-quater e l'art. 493-bis cod. proc. pen. sono stati integralmente abrogati.

Infine, sono stati modificati gli artt. 6 e 9 del D.Lgs. n. 216 del 2017.

2.2. Nel contesto delle molteplici modifiche apportate, il D.L. n. 161 del 2019, convertito dalla legge n. 7 del 2020 ha, come detto, inciso, da una parte, sull'art. 270 cod. proc. pen. e, dall'altra, sulla "disposizione provvisoria" prevista dall'art. 9 della legge 216 del 2017.

2.1. Quanto al primo profilo, si è modificato l'art. 270, comma 1, cod. proc. pen., stabilendo che "i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l'accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza e dei reati di cui all'art. 266, comma 1".

Con il decreto in questione si è peraltro contestualmente modificato l'art. 270, comma 1 -bis, cod. proc. pen., stabilendo che i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di "reati diversi" da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, sempre che si tratti di risultati indispensabili per l'accertamento di uno dei delitti indicati dall'art. 266, comma 2-bis, cod. proc. pen.

La data di entrata in vigore del "nuovo" art. 270 cod. proc. pen., come riformulato dal D.L. n. 161 del 2019, convertito dalla legge n. 7 del 2020, è stata poi fissata in via definitiva dal D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con modificazioni dalla legge 25 giugno 2020 n. 70, al 31 agosto 2020.

Il nuovo testo dell'art. 270 cod. proc. pen., secondo una data interpretazione a cui ha fatto riferimento anche la Sezione remittente, sembrerebbe aver ampliato i casi di deroga al divieto di utilizzabilità delle intercettazioni in altro procedimento all'accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza, si aggiunge, nel testo riformato, l'accertamento dei reati di cui all'art. 266, comma 1, del codice di rito, inciso poi eliminato dal successivo D.L. 10 agosto 2023, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137.

Nel caso di specie, in cui si procede per un reato associativo che non consente l'arresto in flagranza ma che è tra quelli per i quali è possibile comunque fare ricorso - ai sensi dell'art. 266 cod. proc. pen. - alle intercettazioni, il nuovo art. 270, comma 1, cod. proc. pen. consentirebbe, ove lo si ritenesse applicabile, di ritenere utilizzabili le conversazioni disposte in altro procedimento, secondo l'interpretazione della nuova disposizione di cui si è detto.

2.2. Quanto al secondo profilo in precedenza indicato, il D.L. n. 161 del 2019 ha, come detto, inoltre modificato l'art. 9 legge 216 del 2017, rubricato "disposizione provvisoria", che prevedeva, in deroga al principio intertemporale del tempus regit actum, una specifica disciplina funzionale a differenziare il momento della entrata in vigore delle singole disposizioni dettate in tema di intercettazioni dalla legge in questione.

Al comma 2 la "disposizione provvisoria" prevedeva, nella originaria formulazione "le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 4, 5 e 7 si applicano alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto", così in sostanza posticipando l'attuazione organica della intera riforma, che avrebbe dovuto acquistare efficacia, a seguito di successivi molteplici rinvii, a decorrere dal 1 maggio 2020.

La disposizione transitoria è stata modificata, in sede di conversione del D.L. n. 161 del 2019, nel senso che il parametro di riferimento per l'applicazione del novum non è più costituito "dai provvedimenti autorizzativi emessi", ma dai "procedimenti penali iscritti" dopo un dato termine, poi individuato in quello del 31 agosto 2020.

3. In tale contesto si colloca il contrasto interpretativo che ha giustificato la rimessione alle Sezioni Unite.

3.1. Come ricostruito nell'ordinanza di rimessione, un primo orientamento, espresso da Sez. 5, n. 37169 del 20/07/2022, S., Rv. 283874 - 02, ritiene che il sintagma "procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020" si riferisca ai procedimenti nel cui ambito si intendono utilizzare i risultati di intercettazioni captate aliunde.

Gli argomenti posti a fondamento di detto indirizzo sono, in parte, quelli già indicati.

L'opzione interpretativa troverebbe fondamento nel dato letterale della modifica apportata alla disposizione provvisoria di cui all'art. 9 del D.Lgs. n. 216 del 2017.

Il tema del regime temporale di circolazione esterna delle intercettazioni, si argomenta, non potrebbe che riguardare i procedimenti in cui si intendono utilizzare i risultati captativi e non già i procedimenti nel cui ambito le intercettazioni sono state autorizzate.

Una questione, quella dei limiti - anche temporali - alla circolazione extra-procedimentale del dato captativo, che attiene, secondo l'impostazione in parola, al divieto di utilizzabilità e alle deroghe previste dall'art. 270 cod. proc. pen., e, di riflesso, alla individuazione del procedimento "diverso", a cui farebbe riferimento la disposizione provvisoria.

L'assunto è che il legislatore, nel limitare gli effetti della pronuncia delle Sezioni Unite "Cavallo", avrebbe inteso introdurre nuove deroghe al principio generale della inutilizzabilità degli esiti delle captazioni autorizzate aliunde e ciò avrebbe fatto facendo riferimento alla data di iscrizione del procedimento derivato e non a quello originario.

La soluzione proposta, si argomenta, non sarebbe peraltro incompatibile con l'eccezionalità dei limiti alla circolazione probatoria delle intercettazioni, secondo quanto espresso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 63 del 1994; il generale divieto di utilizzazione, posto a presidio del diritto inviolabile dei singoli individui alla libertà e segretezza delle comunicazioni, troverebbe un non irragionevole bilanciamento nella previsione normativa di un obbligo di motivazione rafforzata della valutazione di indispensabilità e rilevanza delle captazioni nel nuovo procedimento.

A tale orientamento hanno aderito, con argomentazioni sovrapponibili, Sez. 5, n. 37911 del 20/07/2022, Saponara e Sez. 2, n. 37143 del 13/06/2023, Mati, entrambe non mass.

3.2. Un diverso indirizzo è espresso da Sez. 6, n. 9846 del 24/11/2022 -dep. 2023-, De Iesu, Rv. 284256 - 01, in cui la Corte, riprendendo la motivazione di Sez. 6, n. 47235 del 17/11/2021, Ierardi, non mass., ha affermato che, in ragione della disposizione provvisoria modificata, il nuovo art. 270, comma 1, cod. proc. pen., non trova applicazione per le intercettazioni disposte nei procedimenti penali iscritti anteriormente al 31 agosto 2020, a nulla rilevando né le modalità e le ragioni per le quali si sia successivamente giunti alla iscrizione del nuovo e diverso procedimento e neppure i rapporti di eventuale derivazione da quello di origine.

Il mutamento del parametro di riferimento per la disciplina del regime transitorio delle nuove disposizioni - dalla data del provvedimento di autorizzazione delle intercettazioni, a quella della iscrizione dei procedimenti - non giustificherebbe l'applicazione retroattiva della nuova disciplina dell'art. 270 cod. proc. pen., applicabile, invece, solo ai procedimenti - nel cui ambito le captazioni sono autorizzate - iscritti successivamente al 31 agosto 2020.

4. Le Sezioni unite ritengono di condividere, seppur per ragioni in parte diverse, le conclusioni a cui è pervenuto l'indirizzo appena descritto.

5. Sul piano del metodo è utile definire l'oggetto del contrasto interpretativo.

5.1. La questione su cui le Sezioni unite sono chiamate a pronunciarsi ha come presupposto un fatto processuale non contestato, e cioè che tra i reati oggetto del procedimento in cui furono disposte le captazioni e quelli oggetto del presente procedimento non sussiste nessun vincolo di connessione sostanziale, ex art. 12 cod. proc. pen., nel senso inteso e spiegato da Sez. U. "Cavallo".

Per quanto evocata, detta sentenza non assume, quindi, diretto rilievo ai fini della soluzione del quesito, nel senso che i principi in essa affermati sono volti alla definizione della nozione di "stesso procedimento" e, quindi, ex adverso, alla individuazione dei presupposti di operatività del regime di circolazione previsto dall'art. 270 cod. proc. pen.

Nel caso in esame, come detto, non è tuttavia in contestazione che i procedimenti siano "diversi" nel senso spiegato con la suddetta sentenza "Cavallo" se i procedimenti non fossero "diversi", non vi sarebbe ragione di fare riferimento all'art. 270 cod. proc. pen.

5.2. Sotto altro profilo, quello in esame è un contrasto che solo in modo indiretto involge la disposizione di cui all'art. 270 cod. proc. pen. perché, in realtà, attiene al tema della successione nel tempo delle norme processuali, e, soprattutto, alla esatta portata, all'ambito applicativo e alla natura giuridica della disposizione provvisoria di cui all'art. 9 del D.Lgs. n. 217 del 2019, cosi come modificata dal d. L. n. 161 del 2019, convertito con modificazioni dalla legge n. 7 del 2020.

6. Quanto alla natura giuridica della disposizione indicata, è noto come nella categoria delle norme di diritto penale transitorio siano ricomprese generalmente quelle disposizioni, quelle regole, quei principi di carattere generale che hanno la funzione di risolvere i conflitti tra norme; si tratta, come rilevato in dottrina, di '"meta norme", di "norme su norme", di prescrizioni che, sotto il profilo strutturale, sono strumentali alla individuazione della norma - fra tutte quelle coinvolte nel conflitto temporale e nella successione di leggi- concretamente applicabile alla vicenda storica'.

Quelle di diritto transitorio sono norme generali che non disciplinano specifiche ipotesi di successione di leggi e non attengono a materie tematiche, ma dettano criteri validi per tutto l'ordinamento norma di diritto transitorio in ambito processuale è il principio del tempus regit actum.

Con il sintagma "disposizione transitoria", invece, si fa riferimento comunemente a quegli enunciati legislativi che derogano alla norme o ai principi di diritto intertemporale - e quindi, in ambito processuale, al tempus regit actum - nel senso che, attraverso la loro previsione, il legislatore di volta in volta, sottrae il novum normativo alla disciplina che sarebbe applicabile in base alle comuni regole o principi di diritto intertemporale.

Le disposizioni transitorie, è stato evidenziato in dottrina, 'conferiscono, talvolta, ultrattività alle norme della "vecchia" disciplina, talaltra, retroattività alla "nuova"; anche le norme transitorie fissano regole generali, ma hanno ad oggetto specifiche e definite leggi'.

Anche quelle transitorie sono meta-norme, perché non si applicano direttamente alla fattispecie storica, non la disciplinano direttamente, ma consentono di individuare per "quella vicenda" quale delle norme che si avvicendano nel tempo debba operare.

In tale contesto si collocano le norme transitorie in senso stretto, quelle cioè che pongono regole specifiche in ordine alle situazioni createsi sotto la vecchia disciplina ma non ancora esauritesi al sopravvenire della nuova.

7. Non può dunque condividersi la tesi, pur autorevolmente prospettata in dottrina, secondo cui il legislatore, attraverso l'art. 9 legge 216 del 2017, non avrebbe introdotto una vera e propria disciplina transitoria, ma si sarebbe limitato a prevedere "una sorta di mera vacatio legis", con cui avrebbe inteso rimandare o sospendere l'entrata in vigore del decreto per centottanta giorni; si tratta di una impostazione, si è sottolineato in dottrina, secondo cui il legislatore, da una parte, si sarebbe limitato a rinviare l'entrata in vigore del "novum" e, dall'altra, avrebbe poi rimesso alle ordinarie regole di diritto transitorio sulla successione delle norme processuali il compito di risolvere le problematiche di diritto intertemporale.

Una impostazione che, sul presupposto della scindibilità del procedimento di intercettazione - articolato in plurime ed autonome fasi - condurrebbe a ritenere applicabile il novum, in ossequio al principio di diritto intertemporale del tempus regit actum, "a tutte le sotto-fasi non ancora compiute, mentre la vecchia disciplina continuerebbe a regolare le sotto-fasi già concluse".

Ove si recepisse tale impostazione, la sotto-fase della circolazione probatoria, in quanto non ancora compiuta alla data del 31 agosto 2020, sarebbe verosimilmente disciplinata dal "novum", e, quindi, troverebbe applicazione il nuovo art. 270, comma 1, cod. proc. pen.

8. Si tratta di una impostazione non condivisibile.

Come si è osservato, l'originaria formulazione dell'art. 9 D.Lgs. n. 216 del 2017 attribuiva rilievo, al fine di regolare il fenomeno successorio, alla presenza di un provvedimento autorizzativo emesso nel procedimento originario specificamente collocato in un dato momento; un provvedimento che influiva e condizionava le "operazioni di intercettazione" (così testualmente la disposizione) conseguenti alla sua emanazione.

Un provvedimento che determinava sul piano cronologico l'entrata in vigore del novum nella sua globalità, cioè l'insieme delle norme contenute negli artt. 2, 3, 4, 5 e 7 D.Lgs. n. 216 del 2017.

Una norma di diritto transitorio che, quindi, derogava al principio di diritto intertemporale del tempus regit actum e che, attraverso il riferimento al "tempo" del provvedimento autorizzatorio, sottraeva il novum all'immediata applicazione; per le "operazioni di intercettazione" riconducibili a provvedimenti autorizzativi emessi prima del termine stabilito nell'art. 9 D.Lgs. n. 216 del 2017 la riforma non operava.

La mancanza del presupposto individuato dal legislatore, costituito dall'emissione del provvedimento autorizzativo in un determinato contesto temporale, conduceva a ritenere che "le intercettazioni", in precedenza autorizzate, continuassero ad essere disciplinate interamente - nel loro articolato procedimento plurifasico - dalla normativa previgente.

9. Quanto alla portata e all'ambito applicativo della norma transitoria, un primo dato rilevante - capace di orientare l'interpretazione e, quindi, la soluzione della questione rimessa - è che, diversamente da quanto emerge da uno dei due orientamenti in esame, quella in oggetto non è una disposizione provvisoria che regola la successione temporale solo con riguardo al rapporto tra il "vecchio" e il "nuovo" art. 270 cod. proc. pen.; non è cioè una norma che disciplina, nell'ambito delle procedure di intercettazioni, solo il fenomeno della successione normativa in tema di circolazione probatoria degli esiti delle captazioni in un "diverso procedimento".

Si tratta di una norma che, invece, regola i tempi di entrata in vigore di un intero "corpo normativo" una disposizione, cioè, che regola la successione di norme in tema di presupposti di ammissibilità del mezzo di ricerca della prova, di modalità di documentazione delle attività captative, di conservazione del materiale, di procedimentalizzazione della selezione dei dati probatori raccolti, di utilizzabilità della prova, anche in un "diverso procedimento".

Una disposizione che deve quindi essere interpretata in senso unitario, cioè facendo riferimento ad un unico criterio, capace di regolamentare sul piano temporale, l'entrata in vigore della "riforma" nel suo complesso, cioè in relazione a tutti i distinti profili del "procedimento di intercettazione" su cui il legislatore è intervenuto.

Non può dunque essere condivisa l'opzione che tende ad interpretare la disposizione transitoria in modo non unitario, senza cioè considerare la sua portata complessiva, ma facendo riferimento a criteri diversi a seconda del profilo, del segmento, della sotto-fase che, di volta in volta, viene in considerazione.

Una opzione che sostanzialmente interpreta la disposizione transitoria alla stregua del principio di diritto intertemporale del tempus regit actum a cui invece il legislatore ha mostrato di voler derogare.

Dunque, anche il profilo - che involge la questione rimessa alle Sezioni Unite - della successione di norme in tema di utilizzabilità degli esiti delle captazioni in un "diverso" procedimento, deve essere esaminato e risolto facendo riferimento ad un unico "criterio", lo stesso che regola, sotto il profilo temporale, la successione di tutte le norme dettate in tema di intercettazioni dal D.Lgs. n. 216 del 2017.

Chiarito ciò, assume allora rilievo il "fatto" che la disposizione provvisoria, nella sua originaria previsione, ponesse come unico parametro di riferimento -per regolare il fenomeno successorio di tutti i profili innovati - un atto (il provvedimento autorizzatorio) del procedimento originario, cioè di quello in cui le captazioni sono disposte.

Dunque, anche il tema della circolazione probatoria degli esiti delle captazioni in un diverso procedimento (art. 270 cod. proc. pen.) veniva disciplinato, prima della modifica intervenuta in sede di conversione del d. l. n. 161 del 2019, facendo riferimento all'atto autorizzativo delle captazioni, nel senso che il novum previsto dall'art. 270, comma 1, cod. proc. pen. poteva trovare applicazione solo per le captazioni autorizzate dopo un dato termine.

Il legislatore aveva risolto il tema della successione di tutte le norme dettando una disposizione transitoria e facendo riferimento al "procedimento originario".

10. Delineato il quadro di riferimento esistente prima della modifica apportata in sede di conversione del D.L. n. 191 del 2019, è dunque possibile considerare il senso della modifica e del nuovo riferimento contenuto nella disposizione provvisoria ai "procedimenti penali iscritti".

10.1. Rispetto al testo previgente dell'art. 9 del D.Lgs. n. 216 del 2017, da più parti era stata posta una esigenza di chiarificazione, di esplicitazione.

Si era infatti evidenziato come il testo originario della disposizione provvisoria, intrepretata nel senso di cui si è detto, potesse produrre obiettive difficoltà in tutti i casi in cui, ad esempio, fossero state autorizzate intercettazioni nell'ambito dello stesso procedimento sia prima che dopo l'entrata in vigore del "novum" normativo.

Si era fatto riferimento altresì ai casi in cui la captazioni fossero state autorizzate dopo il termine previsto dalla disposizione provvisoria, ma in un procedimento iscritto prima del decorso di detto termine.

Si era sostenuto che, facendo riferimento al provvedimento autorizzatorio, si delineava una non facile convivenza delle intercettazioni disposte prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo con quelle disposte successivamente nell'ambito dello "stesso procedimento".

Una esigenza di chiarificazione, dunque, che non poneva in dubbio la scelta legislativa di risolvere la successione di norme facendo riferimento al procedimento originario, ma che segnalava questioni rispetto alle quali poteva giustificarsi un intervento migliorativo.

10.2. Di queste preoccupazioni si rinviene una traccia obiettiva nei lavori preparatori.

Già nelle osservazioni contenute nel parere redatto dalla Commissione Giustizia del Senato sullo schema del futuro D.Lgs. n. 216 del 2017, il Governo era stato invitato a valutare l'opportunità di una modifica, ma la sostituzione proposta venne respinta sulla base della constatazione che l'inevitabile spostamento in avanti della data di entrata in vigore della riforma non giustificava la invocata modifica, risultando il termine espresso nell'art. 9 "del tutto congruo per consentire... la migliore organizzazione degli uffici di procura".

In sede di presentazione al Senato del d.d.l. n. 1659 di conversione del D.L. n. 161 del 2019, era stato osservato, proprio con specifico riferimento alla disposizione transitoria prevista dall'art. 9 cit., come il "nuovo" riferimento ai "procedimenti penali iscritti" dopo una certa data, si giustificasse "soprattutto per eliminare il rischio di un doppio regime organizzativo e giuridico inerente allo stesso procedimento".

Questo il senso della modifica che ci si accingeva ad introdurre.

Di tale esigenza si rinviene peraltro un chiaro riferimento anche nel parere espresso dal Consiglio Superiore della Magistratura proprio sul disegno di legge n. 1659 AS di conversione del decreto legge n. 161 del 2019.

Quanto alla modifica del sintagma contenuto nella disposizione provvisoria introdotta nel testo della legge di conversione ("procedimenti penali iscritti"), il Consiglio Superiore aveva osservato che "la scelta di aver riguardo, ai fini dell'applicabilità delle modifiche, alla data di iscrizione del procedimento, piuttosto che alla data di emissione del decreto autorizzativo, appare molto più razionale poiché quest'ultimo criterio avrebbe determinato una commistione di disciplina applicabile alle operazioni di captazione già in corso nello stesso procedimento alla data di efficacia delle nuove disposizioni, con effetti di disordine e di incertezza".

11. Dunque, rispetto al precedente testo dell'art. 9 cit., la modifica si colloca in una prospettiva di continuità esplicativa, di chiarimento migliorativo del dato normativo preesistente, e non certo di frattura e di superamento del senso e della portata della precedente disposizione;

La formulazione precedente dell'art. 9 cit., nel fare riferimento al provvedimento autorizzatorio delle captazioni quale momento processuale dirimente per la successione delle norme processuali, non poteva che avere riguardo al procedimento a quo; nel 2020 il legislatore non ha inteso mutare l'angolo prospettico, non ha pensato, cioè, di dover cambiare il criterio dirimente e di disciplinare in modo diverso, con la norma transitoria in questione, la successione temporale della disciplina delle operazioni di intercettazioni.

Facendo riferimento alla data di iscrizione del procedimento, ci si è limitati a puntualizzare, a razionalizzare, a migliorare la precedente disposizione provvisoria - che collegava l'entrata in vigore della riforma al procedimento "a quo" e alla data del provvedimento autorizzatorio delle captazioni - facendo invece riferimento alla data di iscrizione di "quel" procedimento.

Una modifica confermativa della volontà di "guardare" al procedimento originario.

È stato osservato in modo condivisibile come anche dopo la modifica della disposizione transitoria possano porsi questioni; si è fatto riferimento all'ipotesi in cui "due o più procedimenti, con una diversa data di iscrizione, antecedente e successiva alla data di efficacia delle nuove disposizioni, siano riuniti, ovvero al caso in cui all'iscrizione di alcuni reati", avvenuta prima del 31 agosto 2020, "ne facciano seguito in epoca successiva altre, aventi ad oggetto nuovi titoli di reato".

Si tratta di evenienze, tuttavia, il cui impatto è oggettivamente limitato a seguito dell'avvenuta definizione della nozione di "diverso procedimento" come delineata da Sez. U, "Cavallo", con cui - quanto alla operatività dell'art. 270 cod. proc. pen. - da una parte, si è chiarito che si considerano unitariamente i procedimenti quando tra i reati vi sia un rapporto di connessione ai sensi dell'art. 12 cod. proc. pen., e, dall'altra, si è sottolineato in dottrina, "sono state neutralizzate letture meramente formali dell'art. 270 cod. proc. pen., fondate sulla mera materiale distinzione degli incartamenti, ovvero sulla diversità formale di fascicoli".

12. Ne consegue che non vi sono elementi per ritenere che il legislatore, con la modifica del 2020, abbia cambiato angolo prospettico e che, con il riferimento alla "iscrizione del procedimento", abbia voluto disciplinare la successione temporale facendo riferimento, in tema di circolazione probatoria degli esiti captativi, al procedimento "ad quem".

Sussistono, invece, obiettivi elementi per ritenere che quella modifica trovi la sua giustificazione, come detto, nella esigenza di "limare", di migliorare il precedente criterio, di eliminare quelle situazioni di criticità, che erano state segnalate e di cui il legislatore era conscio.

Nel 2020 il legislatore apportò una modifica della norma provvisoria che si muoveva nell'ambito dei rilievi operati, ma sempre avendo riguardo ad un unico criterio di definizione per la successione dell'intera "riforma" e al procedimento "a quo", cioè al procedimento originario e non a quello "diverso".

È la data di iscrizione del procedimento originario che segna, dunque, il limite temporale per la entrata in vigore di tutta la riforma.

13. Un'opzione interpretativa, quella indicata, che si impone in ragione del dato testuale, del senso complessivo e della portata della disposizione provvisoria e che, sul piano sistematico, è peraltro maggiormente compatibile con i principi costituzionali sottesi alla disciplina delle intercettazioni e, in particolare, ai profili di utilizzabilità probatoria degli esiti del mezzo di ricerca della prova in un diverso processo.

È utile richiamare e ribadire la ricognizione del quadro costituzionale, compiuta anche da Sez. U, "Cavallo", in tema di utilizzabilità delle intercettazioni.

Assumono rilievo, in particolare, gli artt. 2-15 Cost., secondo cui il diritto a una comunicazione libera e segreta "è inviolabile nel senso che il suo contenuto di valore non può subire restrizioni o limitazioni da alcuno dei poteri costituiti se non in ragione dell'inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante, sempreché l'intervento limitativo posto in essere sia strettamente necessario alla tutela di quell'interesse e sia rispettata la duplice garanzia che la disciplina prevista risponda ai requisiti propri della riserva assoluta di legge e la misura limitativa sia disposta con atto motivato dell'autorità giudiziaria" (Corte cost., sent. n. 366 del 1991).

Con riguardo alle intercettazioni, si è acutamente osservato in dottrina che 'è indubbiamente vero che l'indiscussa utilità euristica delle informazioni acquisite è direttamente proporzionale all'entità del vulnus che lo strumento probatorio arreca alla "riservatezza" più l'attività captativa si avvicina cioè al nucleo della sfera individuale (costituito da quella intimità che l'individuo ritiene di non condividere con alcuno), più il dato acquisito può risultare prezioso per l'accertamento'.

È altrettanto vero, tuttavia, che l'esigenza di repressione dei reati deve essere perseguita nel rispetto dei diritti fondamentali (da ultimo, sul tema, Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, Giorgi, Rv. 286580-04), delle garanzie difensive e del principio di proporzione come ancora rilevato in dottrina, "trasposto nel processo penale, esso segna il limite entro il quale la compressione di un'istanza fondamentale per fini processuali risulta legittima".

In tale contesto si colloca la fondamentale affermazione della Corte costituzionale secondo cui "le restrizioni alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni conseguenti alle intercettazioni telefoniche sono sottoposte a condizioni di validità particolarmente rigorose, commisurate alla natura indubbiamente eccezionale dei limiti apponibili a un diritto personale di carattere inviolabile, quale la libertà e la segretezza delle comunicazioni" (Corte cost., sent. n. 366 del 1991).

Questo spiega la funzione e la decisiva valenza del provvedimento che autorizza le captazioni e che, per le ragioni indicate, deve essere puntualmente motivato (Corte cost., sent. n. 366 del 1991; Corte cost., sent. n. 34 del 1973); un provvedimento che "traccia" la disciplina applicabile, segna l'oggetto e il limite della intrusione nella sfera privata, garantisce i diritti fondamentali, soprattutto dei soggetti terzi rispetto al reato per cui si procede.

Questo spiega i principi consolidatisi nel tempo, in tema di utilizzabilità degli esiti captativi in un procedimento diverso.

La regola generale è quella fissata dalla Corte Costituzionale, e cioè che "nel processo può essere utilizzato solo il materiale rilevante per l'imputazione di cui si discute" (Corte cost., sent. n. 34 del 1973); la circolazione tra procedimenti "diversi" degli esiti delle captazioni costituisce l'eccezione, una deroga alla regola generale del divieto di utilizzazione delle intercettazioni in altri procedimenti, che si giustifica in presenza di determinati presupposti diversamente, il provvedimento autorizzatorio costituirebbe un'inammissibile "autorizzazione in bianco" (Corte cost., sent. n. 366 del 1991; Corte cost., sent. n. 63 del 1994; Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, Cavallo, cit.).

14. In tale contesto di riferimento, è obiettivamente più distante, rispetto ai principi indicati, l'opzione interpretativa secondo cui la norma transitoria di cui all'art. 9 legge 216 del 2017 - come modificata nel 2020 nella parte in cui fa riferimento "ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020" - dovrebbe essere interpretata, quanto all'art. 270 cod. proc. pen., nel senso di avere riguardo al procedimento ad quem, cioè al diverso procedimento.

Si tratta di una opzione che, da una parte, incide in senso rilevante sul rapporto tra regola ed eccezione, tra principio generale e deroga e che limita la valenza costituiva che nel "procedimento di intercettazione" assume il provvedimento autorizzativo, e, dall'altra, deroga al principio generale fissato dalla Corte Costituzionale in ragione di variabili legate a contingenze non oggettive, ma che, di volta in volta, possono aver portato ad iscrivere il procedimento derivato in un momento piuttosto che in altro, prima o dopo il 31 agosto 2020.

Un'interpretazione della norma transitoria che estende o restringe la possibilità di utilizzare gli esiti delle captazioni in procedimenti diversi sulla base di valutazioni variabili, che porta con sé il rischio che lo spazio privilegiato di riservatezza degli interscambi comunicativi personali subisca l'interferenza del potere pubblico oltre ciò che è stato "a monte" - cioè, nel procedimento originario - consentito.

15. Dunque, per le molteplici ragioni indicate, non può essere condiviso l'orientamento secondo cui la norma transitoria dovrebbe essere interpretata mei senso di ritenere che, ai fini dell'applicazione del nuovo art. 270 cod. proc. pen., deve aversi riguardo alla data di iscrizione del procedimento "diverso".

È condivisibile invece, ma per ragioni anche diverse da quelle esplicitate nelle sentenze indicate, l'orientamento secondo cui, in ragione della norma transitoria, il nuovo art. 270 cod. proc. pen. trova applicazione solo nel caso in cui il procedimento originario sia iscritto dopo il 31 agosto 2020.

16. Va conseguentemente affermato il seguente principio di diritto

"La disciplina del regime di utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi, di cui all'art. 270, comma 1, cod. proc. pen. - nel testo introdotto dal D.L.

30 dicembre 2019, n. 161, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2020, n. 7 ed anteriore al decreto legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito con modificazioni dalla legge 8 ottobre 2023, n. 137 opera ove il procedimento nel quale sono state compiute le intercettazioni sia stato iscritto successivamente al 31 agosto 2020".

17. Sono fondati, dunque, i motivi di ricorso relativi alla dedotta inutilizzabilità delle conversazioni intercettate.

Le conversazioni utilizzate nel presente procedimento, iscritto - quanto al delitto associativo - il 28 marzo 2022, sono state disposte nel 2019 nell'ambito di un procedimento originario iscritto nel 2018.

In ragione del principio di diritto enunciato, si tratta di conversazioni inutilizzabili nel presente procedimento.

L'ordinanza impugnata, dunque, deve essere annullata; il Tribunale, espunte dal compendio indiziario le conversazioni inutilizzabili, formulerà un nuovo giudizio sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati posti a fondamento del titolo cautelare ed, eventualmente, sulle esigenze cautelari.

18. La richiesta di oscuramento dei dati personali deve essere rigettata.

18.1. Occorre premettere che la protezione della persona fisica in sede di trattamento dei dati di carattere personale costituisce un diritto fondamentale riconosciuto dalla Costituzione e dall'ordinamento europeo (artt. 7 e 8, paragrafo 1, della Carta di Nizza) e dall'art. 16, paragrafo 1, del T.F.U.E., nonché, nel dato convenzionale, dall'art. 8 della CEDU.

Il riferimento normativo euro-unitario è costituito dal Regolamento U.E 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento e la libera circolazione dei dati personali (ed. General Data Protection Regulation - GD.P.R.), la cui base giuridica si ritrova nell'art. 16 del T.U.E., che attribuisce alla competenza europea la materia in oggetto, affidando alla procedura legislativa ordinaria la relativa disciplina.

Il GD.P.R., abrogando la Direttiva 95/46/CE2, ha dettato una nuova disciplina, pur attribuendo agli Stati nazionali la facoltà di prevedere limitazioni ai principi in essa contenuti, a determinati casi e condizioni.

18.2. Per l'art. 4, comma 1, n. 2) del GD.P.R., costituisce "trattamento" "qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l'ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali, come la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l'adattamento o la modifica, l'estrazione, la consultazione, l'uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l'interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione".

L'art. 5 precisa che i dati personali sono trattati in modo lecito, corretto e trasparente nei confronti dell'interessato (secondo i principi di "liceità, correttezza e trasparenza"), seguendo la regola del minimo mezzo nell'acquisizione e nella conservazione.

Affinché il trattamento dei dati possa essere considerato lecito, il successivo art. 6, oltre al consenso espresso dall'interessato, indica al comma 1, lett. e), il caso in cui il trattamento sia necessario per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento. Si tratta di una disposizione che è completata dal secondo periodo del comma 3 del medesimo art. 6, ove si precisa che la finalità del trattamento è determinata in tale base giuridica o, per quanto riguarda il trattamento di cui al paragrafo 1, lett. e), quando è necessaria per l'esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento.

Ai sensi dell'art. 9 del Regolamento, è altresì vietato, salvo le deroghe contenute nella stessa disposizione, trattare dati personali che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona.

In particolare, nell'ambito delle deroghe, il trattamento è lecito quando è necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali (art. 9, comma 2, lett. f)

19. In tale contesto si colloca il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

L'entrata in vigore del GD.P.R., direttamente applicabile in tutti gli Stati membri dal 25 maggio 2018, ha reso necessario l'adeguamento del già vigente Codice in materia di protezione dei dati personali.

Il legislatore nazionale non ha inteso abrogare il predetto Codice, ma è intervenuto su di esso in modo strutturale mediante il D.Lgs. n. 101 del 2018 abrogando le disposizioni divenute incompatibili e adeguando il restante testo al contenuto del Regolamento, attraverso l'inserimento di nuove disposizioni o la modifica di quelle previgenti.

È stato già osservato come la complessiva disciplina può esaminarsi in un duplice senso il primo attiene al trattamento dei dati personali da parte degli organi di giustizia; il secondo riguarda, invece, la divulgazione all'esterno, anche per scopi di informazione giuridica, delle pronunce giudiziarie.

Quanto al primo profilo, nella disciplina previgente gli artt. 46 e 47 del Codice in materia di protezione dei dati personali costituivano i riferimenti normativi essenziali. A seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 101 del 2018, l'art. 47 è stato abrogato e il suo contenuto è confluito nell'art. 2-duodecies del D.Lgs. n. 196 del 2003.

Quest'ultima disposizione stabilisce ora che "i diritti e gli obblighi di cui agli artt. da 12 a 22 e 34 del Regolamento sono disciplinati nei limiti e con le modalità previste dalle disposizioni di legge o di regolamento che regolano tali procedimenti"; il comma 4 di tale articolo precisa, in particolare, che i trattamenti effettuati per "ragioni di giustizia" sono quelli "correlati alla trattazione giudiziaria di affari e controversie", nonché "i trattamenti effettuati in materia di trattamento giuridico ed economico del personale di magistratura, nonché i trattamenti svolti nell'ambito delle attività ispettive su uffici giudiziari. Le ragioni di giustizia non ricorrono per l'ordinaria attività amministrativo-gestionale di personale, mezzi, strutture, quando non è pregiudicata la segretezza di atti direttamente connessi alla trattazione giudiziaria di procedimenti".

20. Quanto invece alla divulgazione all'esterno, anche per scopi di informazione giuridica, delle pronunce giudiziarie, è stato già evidenziato in dottrina in modo condivisibile come nell'ordinamento italiano la tutela della riservatezza in ambito giudiziario non riguardi gli atti del processo, che devono essere sempre completi dei dati identificativi delle parti, ma la divulgazione delle decisioni una volta depositate in cancelleria.

Gli artt. 51 e 52 costituiscono la base legale per la liceità del trattamento in tema di informazione e informatica giuridica e delle limitazioni correlate anche alla salvaguardia dell'indipendenza della magistratura e dei procedimenti giudiziari (art. 23, par. 1, lett. f) del Regolamento (UE) 2016/679, di cui si è detto).

20.1. L'art. 51, rimasto immutato a seguito del GD.P.R. e riguardante specificamente la diffusione dei provvedimenti giudiziari, dispone che "... i dati identificativi delle questioni pendenti dinanzi all'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado sono resi accessibili a chi vi abbia interesse anche mediante reti di comunicazione elettronica, ivi compreso il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet"; il secondo comma della norma in esame stabilisce che "(l)e sentenze e le altre decisioni dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado depositate in cancelleria o segreteria sono rese accessibili anche attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet, osservando le cautele previste dal presente capo".

Il "presente capo" a cui la norma fa riferimento è costituito dal successivo art. 52, parzialmente innovato dal D.Lgs. n, 101 del 2018, il quale stabilisce i limiti per la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e altri provvedimenti giurisdizionali. Esso trova applicazione non solo ai casi di divulgazione per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici, bensì, in ragione della intervenuta soppressione di tale riferimento, prima contenuto nel suo disposto, a ogni fattispecie di riproduzione di pronunce giudiziarie.

20.2. La norma fissa una regola generale e alcune deroghe.

Il principio generale è quello per cui è assicurata la conoscenza integrale della sentenza a richiesta, fatte salve le eccezioni previste dalla stessa disposizione.

La regola, in ragione del comma 7 del citato art. 52, è la diffusione del contenuto integrale di sentenze e altri provvedimenti giurisdizionali ("fuori dei casi indicati nel presente articolo è ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali"). La deroga è quella sancita dal comma 1, secondo cui l'interessato può chiedere per motivi legittimi che sia apposta, a cura della medesima cancelleria o segreteria, sull'originale della sentenza o del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza (o provvedimento) in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento (fermo restando quanto previsto dalle disposizioni concernenti la redazione e il contenuto di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado).

L'ulteriore deroga alla "regola" è quella contenuta dal comma 2 della norma in esame che, oltre a stabilire che sulla richiesta di oscuramento provvede in calce con decreto, senza ulteriori formalità, l'autorità che pronuncia la sentenza o adotta il provvedimento, attribuisce alla medesima autorità giudiziaria il potere di disporre d'ufficio che sia apposta l'annotazione di cui al comma 1, a tutela dei diritti o della dignità degli interessati (fra le altre, cfr., Sez. U. n. 26387 del 19/11/2020, non massimata sul punto, in tema di atti vessatori in danno della integrità psico fisica e della sfera professionale e religiosa conseguenti alla ritenuta inidoneità a svolgere i compiti di cappellano militare; Sez. 5, n. 22601 del 03/05/2020, Lucentini, non mass., con riguardo a fatti di sfruttamento della prostituzione, tratta di persone, riduzione in schiavitù).

20.3. Quanto al potere officioso di "omissare" i dati, il comma 2 costituisce una norma in bianco posta a presidio dei diritti e della dignità degli interessati; il rinvio è alla disciplina in materia di privacy, e, in particolare, al già citato art. 9 del Regolamento (UE) 2016/679 per cui sono soggetti a oscuramento obbligatorio quei dati che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza sindacale, nonché i dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona.

Ciò consente di cogliere il senso e la portata dell'art. 2 septies del D.Lgs. n. 196 del 2003, che, non casualmente, vieta, anche in caso di trattamento lecito, la diffusione di dati sensibili costituiti da dati "genetici, biometrici e relativi alla salute".

L'art. 4 del Regolamento U.E. precisa che sono

- dati genetici quelli personali relativi alle caratteristiche genetiche ereditarie o acquisite di una persona fisica in grado di fornire informazioni univoche sulla fisiologia o sulla salute di detta persona fisica, quali risultano in particolare dall'analisi di un campione biologico della persona fisica;

- dati biometrici quelli personali ottenuti da un trattamento tecnico specifico e relativi alle caratteristiche fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona che ne consentono o confermano l'identificazione univoca, quali l'immagine facciale o i dati dattiloscopici;

- dati relativi alla salute quelli attinenti alla salute fisica o mentale di una persona, compresa la prestazione di servizi di assistenza sanitaria, che rivelano informazioni relative al suo stato di salute.

Il comma 5 dell'art. 52 cit. prevede, infine, un'ipotesi di ulteriore oscuramento ex lege volta a tutelare, oltre alle persone offese da atti di violenza sessuale (come prevede il rinvio all'art. 734 -bis cod. pen.), i soggetti minorenni, a qualsiasi titolo coinvolti in procedimenti giudiziari, e le parti di procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone.

21.Tanto premesso, nel caso di specie non ricorrono le condizioni per disporre l'oscuramento dei dati personali ex lege, non trattandosi di un procedimento in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone ovvero in cui può desumersi anche indirettamente l'identità di minori. Non sussistono neppure le condizioni per disporre l'oscuramento d'ufficio in ragione della sensibilità dei dati.

Il tema attiene, invece, alla "legittimità dei motivi" posti a fondamento della richiesta di oscuramento dei dati, alla loro consistenza e alla loro portata.

La norma non specifica quali siano i motivi si tratta di una clausola generale che deve essere interpretata e riempita di contenuti in ragione dei principi generali e della esigenza di tutela dei diritti fondamentali.

Si è già affermato nella giurisprudenza della Corte che rilevanti indicazioni si traggono, quanto ai "motivi legittimi", dalle linee guida dettate dal Garante della privacy il 2 dicembre 2010, "in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica", in cui, con specifico riferimento alla c.d. "procedura di anonimizzazione dei provvedimenti giurisdizionali", si fa riferimento alla "particolare natura dei dati contenuti nel provvedimento (ad esempio, dati sensibili)", ovvero alla "delicatezza della vicenda oggetto del giudizio".

Con riferimento alla "delicatezza" della vicenda, essa deve essere ravvisata, secondo lo stesso Garante, nelle "negative conseguenze sui vari aspetti della vita sociale e di relazione dell'interessato (ad esempio, in ambito familiare o lavorativo)" (In senso conforme si è espressa la giurisprudenza di questa Corte, cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 11959 del 15/02/2017, Perla, Rv. 269402).

Un sintagma, quello dei motivi legittimi, che impone un bilanciamento tra l'esigenza di anonimizzare, in ragione della protezione della persona fisica e dei suoi diritti fondamentali, e quella di non limitare, cancellare, impedire la conoscenza sostanziale e integrale del provvedimento e, dunque- come è stato acutamente osservato in dottrina - "la scienza".

L'esigenza di applicare la disciplina della privacy deve, inoltre, contemperarsi con le ragioni sottese alla pubblicità della sentenza, le quali attengono ad un valore costituzionale, quello, cioè, della conoscibilità e dell'apprezzamento del prodotto integrale dell'attività giudiziale.

Un giudizio di relazione tra due poli che il giudice è tenuto a compiere in concreto, di volta in volta, in ragione della specificità della prospettazione che il soggetto interessato fornisce, della valenza dell'interesse all'oscuramento dei dati, delle ragioni per cui la vicenda riveste "particolare delicatezza" e, in particolare, di quelle per cui, se l'oscuramento non fosse disposto, si produrrebbero negative conseguenze sui vari aspetti della vita sociale e di relazione dell'interessato, come ad esempio, in ambito familiare o lavorativo.

Un onere di specificazione del motivo che giustifica l'oscuramento dei dati in quanto prevalente rispetto alla regola generale della diffusione integrale del provvedimento.

22. In tale contesto la richiesta difensiva di oscuramento in esame rivela la sua genericità e la sua infondatezza.

Essa è articolata sulla base di un unico assunto, e cioè che la diffusione della decisione adottata dalla Corte nel presente procedimento produrrebbe, senza l'oscuramento dei dati, un effetto pregiudizievole agli interessati in ambito lavorativo, nella vita sociale e in ambito familiare, con particolare riguardo alla loro reputazione, tenuto conto, peraltro, dello stato del procedimento e della sommarietà della fase cautelare.

Una richiesta, tuttavia, obiettivamente generica in cui il "motivo legittimo" - e l'effetto pregiudizievole che ne conseguirebbe se l'oscuramento non fosse disposto - consiste sostanzialmente nella associazione delle generalità degli interessati alla commissione di un reato commesso nell'esercizio dell'attività professionale di avvocato.

Il pregiudizio prospettato, in particolare, discenderebbe, secondo i ricorrenti, dalla diffusione della notizia della mera esistenza di un procedimento penale ancora nella fase delle indagini preliminari e di una prospettazione d'accusa ancora fluida, in divenire, che - allo stato - non ha condotto alla emissione di un titolo cautelare personale.

Un assunto, quello dei ricorrenti, che, in realtà, porterebbe a vanificare l'esigenza di bilanciamento di cui si è in precedenza detto, atteso che la semplice esistenza di un procedimento penale dovrebbe sostanzialmente di per sé comportare "sempre" la deroga alla regola generale della diffusione del contenuto integrale di un provvedimento giudiziario.

Ne discende l'infondatezza della richiesta.

P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli, competente ai sensi dell'art. 309, comma 7, cod. proc. pen.

Conclusione
Così deciso in Roma il 18 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2024.