Giu l'accertamento del contributo atipico del concorso nel reato
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III - 30 settembre 2024 N. 36340
Massima
In tema di concorso nel reato, l'accertamento del contributo atipico deve essere effettuato attraverso un "giudizio controfattuale" imperniato sul procedimento di "eliminazione mentale". Tale contributo è causale quando, immaginandolo come non realizzato, il reato non si sarebbe ugualmente manifestato nelle medesime circostanze di tempo e luogo.

Testo della sentenza
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III - 30 settembre 2024 N. 36340

1. Il ricorso è fondato in relazione al terzo e al quarto motivo.

2. I primi due motivi - che possono essere esaminati congiuntamente, essendo collegati - sono inammissibili.

2.1. Va, anzitutto, ricordato come, da tempo, nella giurisprudenza di legittimità sia stato affermato il principio secondo cui, in tema di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale sia stata riassunta l'ipotesi astratta prevista dalla legge, così da determinare un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio per i diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione di tale principio non va esaurita nel mero confronto, puramente letterale, fra contestazione e oggetto della statuizione di sentenza, perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, si sia venuto a trovare nella condizione concreta di potersi difendere in ordine all'oggetto dell'imputazione così come ritenuta in sentenza (cfr. Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619; Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; conf., ex plurimis, Sez. 4, n. 16900 del 04/02/2004, Caffaz, Rv. 228042; Sez. 4, n. 41663 del 25/10/2005, Cannizzo, Rv. 232423; Sez. 3, n. 35225 del 28/06/2007, Dimartino, Rv. 237517; Sez. 3, n. 15655 del 27/02/2008, Fontanesi, Rv. 239866; Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 03/02/2016, Addio e altri, Rv. 265946; Sez. 5, n. 33878 del 03/05/2017, Vadacca, Rv. 271607).

2.2. Nel solco di tale orientamento, si è chiarito che è configurabile la violazione del principio della correlazione tra l'imputazione contestata e la pronuncia solo quando il fatto, ritenuto in sentenza, si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità, nel senso che sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione e variazione dei contenuti essenziali dell'addebito (Sez. 3, n. 9973 del 22/09/1997, Angelini, Rv. 209245; Sez. 6, n. 36003 del 14/06/2004, Di Bartolo, Rv. 229756), con la precisazione che può sussistere violazione del principio di corrispondenza tra accusa e sentenza solo quando tra il fatto descritto e quello accertato non si rinviene un nucleo comune identificato dalla condotta, e si manifesta, pertanto, un rapporto di incompatibilità ed eterogeneità, che si risolve in un vero e proprio stravolgimento dei termini dell'accusa, a fronte dèi quale l'imputato è impossibilitato a difendersi (Sez. 4, n. 27355 del 27/01/2005, Capanna, Rv. 231727; Sez. 6, n. 81 del 06/11/2008, Zecca, Rv. 242368; Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012, Domizi, Rv. 254888).

L'obbligo di correlazione tra accusa e sentenza, pertanto, non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato: la nozione strutturale di "fatto", infatti, deve essere coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata e decisione giurisdizionale risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (cfr. Sez. 5, n. 3161 del 13/12/2007, P., Rv. 238345; Sez. 2, n. 38889 del 16/09/2008, D. Rv. 241446; Sez. 2, n. 18729 del 14/04/2016, Russo, Rv. 266758).

2.3. Nel caso di specie, come ritenuto dalla Corte territoriale (p. 13 della sentenza impugnata), il fatto storico è rimasto immutato, avendo unicamente ritenuto il Tribunale sussistente, in capo alla Marrocco, non il ruolo di amministratore di fatto, come contestato nell'imputazione, ma di "concorrente esterno", ossia come soggetto chiamato a rispondere ai sensi dell'art. 110 cod. pen., non avendo posto in essere la condotta tipica, ossia l'emissione di fatture inesistenti, ma avendo comunque concorso nel reato per avere pagato gli effetti bancari rilasciati in suo favore dal B.B., l'amministratore legale della M.EP.M. Srl, a copertura di un mutuo chirografario dalla medesima contratto con la banca, e per aver corrisposto le somme di cui alle trentuno cambiali rilasciate dalla M.EP.M. Srl alla Italia Service.

Deve poi aggiungersi che, rispetto alle ritenute condotte di partecipazione, l'imputata è stata nelle condizioni di esercitare i diritti difensivi e, in ogni caso, sul punto il motivo è privo di specificità.

3. I restanti motivi, che attaccano la motivazione in ordine all'affermazione della penale responsabilità a titolo di concorso, sono fondati.

4. Per impostare la questione, occorre, sia pure brevemente, prendere le mosse dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 45276 del 30/10/2003 (P.G., Andreotti e altro, Rv. 226101) in ordine ai connotati della condotta atipica di partecipazione "morale" nel reato concorsuale.

In quell'importante decisione, dopo aver ricordato che, in tema di concorso di persone nel reato, il contributo causale del concorrente morale può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all'esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso) - hanno aggiunto che l'atipicità della condotta criminosa concorsuale non esime il giudice di merito dall'obbligo di motivare sulla prova dell'esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti.

Il principio, affermato dalle Sezioni Unite, è suscettibile di essere applicato a qualsiasi forma di manifestazione del concorso di persone nel reato: dunque, non soltanto al concorso morale, ma anche al concorso materiale.

Ed invero è dato di comune esperienza che, nel concorso di persone nel reato, soltanto gli esecutori materiali pongono in essere una azione criminosa conforme a quella prevista dalla fattispecie incriminatrice di parte speciale, mentre gli altri correi realizzano condotte atipiche, che, ove valutate isolatamente (e, quindi, a prescindere dal contesto nel quale si collocano), potrebbero anche risultare non illecite: ciò in quanto le norme di parte speciale del codice sono costruite con riferimento alla commissione monosoggettiva del reato.

All'affermazione della penale responsabilità dei concorrenti, che non abbiano compiuto alcuna azione tipica, si perviene, ricorrendone i presupposti applicativi, mediante le norme di parte generale sul concorso di persone - prima fra tutti, l'art. 110 cod. pen. - norme che, fondendosi con quelle di parte speciale, comportano una estensione della tipicità, consentendo così di punire anche azioni atipiche, ossia che non corrispondono allo schema legale previsto dalle singole norme incriminatrici.

Il problema di stabilire quando l'attività concorsuale di partecipazione diviene penalmente rilevante è stato quindi risolto nel nostro sistema penale alla luce del generale principio della pari responsabilità dei concorrenti fissato dall'art. 110 cod. pen., in forza del quale "quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita"; il che significa che qualunque condotta che abbia apportato un qualunque contributo alla realizzazione al fatto reato integra una partecipazione penalmente rilevante.

La clausola di riserva contenuta alla fine dell'art. 110 cod. pen. ("salve le disposizioni degli articoli seguenti") e la previsione della minima partecipazione quale attenuante speciale (art. 114, comma 1, cod. pen.) stanno per l'appunto a significare che, fermo restando che chiunque abbia apportato un sia pure minimo contributo, purché causale, deve rispondere del reato, comunque allo stesso può essere applicata una pena più mite rispetto agli altri correi quando il suo apporto si sia rivelato del tutto secondario.

In altri termini, il ruolo effettivamente svolto da ciascun concorrente, che abbia fornito un apporto causale pur atipico, rileva esclusivamente ai fini della graduazione della responsabilità, e non già della sua affermazione.

Deve perciò ribadirsi che il contributo causale del concorrente può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa non solo in caso di concorso morale ma anche in caso di concorso materiale, fermo restando l'obbligo del giudice di merito di motivare sulla prova dell'esistenza di una reale partecipazione e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti (Sez. 4, n. 1236 del 16/11/2017, dep. 2018, Raduano, Rv. 271755).

5. Ciò posto, al fine di verificare se il contributo atipico sia causale rispetto alla realizzazione collettiva del reato, occorre impiegare, come per l'accertamento della causalità materiale ex art. 40 cod. pen., il "giudizio controfattuale", imperniato sul procedimento di "eliminazione mentale".

Il contributo atipico è causale quando, immaginandolo come non realizzato, il reato non si sarebbe ugualmente manifestato hic et nunc. Il che significa che nella realizzazione collettiva del reato deve esservi una traccia tangibile della condotta posta in essere dal correo, senza la quale, cioè, il reato non si sarebbe verificato nelle medesime circostanze di tempo e di luogo con cui esso si è in concreto manifestato.

6. Nel caso di specie, come si è visto dinanzi, la Corte di merito ha affermato il concorso atipico dell'imputata sulla base delle seguenti condotte: 1) l'aver pagato personalmente gli effetti bancari rilasciati in suo favore dal B.B.a copertura di un mutuo chirografario dalla medesima contratto con la banca; 2) l'aver corrisposto le somme di cui alle trentuno cambiali rilasciata alla Italia Service Srl dalla M.EP.M. Srl a far data dal 13 ottobre 2016 sin al 2016.

Ad avviso della Corte d'Appello, tali condotte hanno consentito alla M.EP.M. sSr.l. di non estinguersi e, quindi, di continuare a svolgere il ruolo di società cartiera.

Si tratta di una motivazione, per un verso, manifestamente illogica e, per altro verso, giuridicamente errata: manifestamente illogica perché è intimamente contraddittorio affermare che le condotte dell'imputata hanno consentito alla società di continuare ad operare quale società cartiera, laddove è un dato di comune esperienza che le società cartiere sono fittizie e certamente non hanno bisogno di essere effettivamente operative per emettere fatture per operazioni oggettivamente inesistenti; giuridicamente errata perché non ha fatto buon governo dei principi in tema di concorso di persone dinanzi indicati.

Invero, le condotte ascritte all'imputata, dinanzi indicate, secondo la Corte di merito, hanno consentito alla società di operare quale mera cartiera, ma non spiegano in che modo tale contributo, certamente atipico, sia stato causale rispetto non alla sopravvivenza della società, ma alla concreta realizzazione del delitto di cui all'art. 8 D.Lgs. n. 74 del 2000.

In altri termini, l'errore della Corte di merito è di aver assunto, quale evento rispetto al quale valutare la causalità del contributo dell'imputata, la prosecuzione dell'attività della società, e non, come avrebbe dovuto, la realizzazione del delitto oggetto di contestazione.

7. L'accertato vizio motivazionale impone perciò l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma per nuovo giudizio in ordine alla sussistenza di un contributo causale dell'imputata nella realizzazione del delitto a lei ascritto, da accertare sulla base dei principi dinanzi enunciati.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 4 luglio 2024.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2024.