Giu l'omessa comunicazione di informazioni dovute nel reato di indebita percezione del reddito di cittadinanza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 23 settembre 2024 N. 35526
Massima
Ai fini della configurazione del reato di indebita percezione del reddito di cittadinanza, ex art. 7, D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, l'omessa comunicazione di informazioni dovute si considera integrata anche nel caso in cui la condotta omissiva abbia comportato non solo l'ottenimento del beneficio economico non spettante, ma anche di un importo maggiore rispetto a quello legittimamente spettante, evidenziando un ingiusto profitto a danno delle risorse economiche dell'ente pubblico.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 23 settembre 2024 N. 35526

1. Per ragioni di priorità logico giuridica deve innanzitutto considerarsi la censura, inammissibile, di cui al secondo motivo, riguardante vizi di violazione di legge e di motivazione sollevati contestando l'indirizzo di legittimità (cfr. Sez. 3 nr. 37836/2023) volto ad escludere l'operatività anticipata dell'abrogazione della fattispecie penale (la cui efficacia risulta espressamente posticipata al 1.01.2024). Deve in proposito ribadirsi l'orientamento di questa Suprema Corte secondo il quale l'abrogazione, a far data dall'01/01/2024, del delitto di cui all'art. 7 D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, disposta ex art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, nel far salva l'applicazione delle sanzioni penali dallo stesso previste per i fatti commessi sino al termine finale di efficacia della relativa disciplina, deroga al principio di retroattività della "lex mitior", altrimenti conseguente ex art. 2, comma secondo, cod. pen., ma tale deroga, in quanto sorretta da una plausibile giustificazione, non presenta profili di irragionevolezza, assicurando la tutela penale all'indebita erogazione del reddito di cittadinanza sin tanto che sarà possibile continuare a fruire di detto beneficio, posto che la sua prevista soppressione si coordina cronologicamente con la nuova incriminazione di cui all'art. 8 D.L. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, riferita agli analoghi benefici per il futuro introdotti in sostituzione del reddito di cittadinanza. (Sez. 3 - n. 7541 del 24/01/2024 Rv. 285964 - 01). Le ulteriori notazioni appaiono meramente astratte e lontane dalla questione decisa, afferente il reato ex art. 7 comma 2 del DL 4/2019.,

2. Quanto al primo motivo, va premesso che A.A. è stata condannata in ordine al reato di cui all'art. 7 D.L. n. 4/2019 perché, nelle autocertificazioni del 9.7.2019 e dell'8.2.2021, volte a ottenere il beneficio del "reddito di cittadinanza" aveva omesso di segnalare che il proprio coniuge A.A.(indicato quale componente del nucleo familiare) era stato condannato in via definitiva alla pena di anni 3 mesi 4 di reclusione per il delitto di cui all'art. 416 bis c.p., ottenendo in tal modo l'importo complessivo di Euro 17.541,20, anziché il corretto ammontare di Euro 13.017,20, con un ingiusto profitto conseguito pari ad Euro 4.524,00., ovvero un beneficio superiore a quanto le sarebbe effettivamente spettato. Il giudice di appello, in tale quadro ha rilevato, venendo in rilievo una omissione che aveva riguardato informazioni rilevanti ai fini della revoca e/o della "riduzione" del beneficio, la correttezza della riqualificazione della fattispecie contestata, ai sensi dell'art. 7 comma 2 del DL 4/2019, che il Giudice di prime cure ha effettuato rispetto alla condotta originariamente contestata ai sensi dell'art. 7 commi 1 e 4 del D.L. 4/2019, relativa alle falsità relative ai requisiti di accesso.

Si tratta di una decisione che, al di là delle distinzioni operate dai giudici tra il primo e secondo comma dell'art. 7 citato, che si traducono al più in errori di diritto ex art. 619 cod. proc. pen., appare comunque giuridicamente coerente con l'art. 7, comma 1, D.L. cit, che prevede "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all'articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni".

Questa disposizione deve ritenersi riferita non solo ai casi di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, o di omissione di informazioni dovute finalizzati a conseguire il beneficio economico del reddito di cittadinanza, quando questo non spetterebbe in alcuna misura, ma anche ai casi di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, o di omissione di informazioni dovute finalizzati a conseguire il beneficio economico del reddito di cittadinanza per un importo maggiore di quello altrimenti spettante, come nel caso in esame.

Innanzitutto, infatti, beneficio "indebitamente" ottenuto è anche quello di importo maggiore di quello legittimamente spettante.

Inoltre, la soluzione ermeneutica secondo cui beneficio "indebitamente" ottenuto è anche quello di importo maggiore di quello legittimamente spettante è in linea anche con esigenze di coerenza normativa.

Invero, l'art. 7, comma 2, D.L. n. 4 del 2019, sottopone a sanzione penale "(I)'omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all'articolo 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11".

E sembra irrazionale ritenere, anche in chiave di coerenza logica del sistema, che le falsità e le omissioni funzionali ad ottenere un importo maggiore di quello spettante siano penalmente indifferenti, mentre le omesse comunicazioni di informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio, anche quando non attinenti a variazioni reddituali o patrimoniali, siano assoggettate a sanzione penale (cfr. in motivazione Sez. 3 - , n. 5440 del 13/01/2023 Rv. 284137 - 01).

3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Conclusione
Così deciso il 15 luglio 2024.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2024.