Giu truffa ai danni dell'ente pubblico
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 13 settembre 2024 N. 34649
Massima
Per configurare la truffa ai danni dell'ente pubblico è necessario dimostrare non solo l'esistenza di artifici e raggiri, ma anche un danno economico concretamente subito dall'ente stesso. La semplice esecuzione del contratto secondo i termini pattuiti, senza fattori perturbativi della volontà contrattuale dell'ente, non è sufficiente a configurare il reato.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 13 settembre 2024 N. 34649

1. Il ricorso merita di essere accolto a causa delle carenze motivazionali del provvedimento impugnato, con conseguente annullamento dell'ordinanza e rinvio al Tribunale di Palermo per ulteriore trattazione.

Secondo la prospettiva difensiva, due sono gli aspetti critici della ricostruzione formulata con l'ordinanza in relazione all'ipotesi di truffa, risultando allo stato indimostrati sia l'elemento dell'inganno che il danno contrattuale.

2. Incontestata la ricostruzione della vicenda, circostanza che dispensa la Corte da una dettagliata illustrazione degli aspetti fattuali, la Corte osserva che l'ipotesi accusatoria, di truffa aggravata ai danni del Comune di F e di illecita concessione di subappalto di cui all'art. 21 della Legge n. 646 del 1982 (capi 1 e 2 dell'imputazione provvisoria) attuata attraverso la tecnica dell'interposizione di impresa in un'attività svolta in sub-appalto, non appare supportata da un quadro indiziario sufficientemente solido, nemmeno per la preliminare fase processuale nella quale attualmente l'indagine si trova.

Sotto il primo aspetto lamentato dalla difesa (mancanza dell'inganno), al di là dell'elemento della buona fede, che l'indagato ritiene dimostrata dall'aver agito alla luce del sole (avendo fatturato integralmente la propria attività alla ditta B.B., aggiudicatrice dei lavori) ma che rileva se mai sul piano soggettivo, ciò che risulta concettualmente fragile è l'identificazione dell'inganno nell'impegno a svolgere l'attività di scerbatura, assunto da parte del A.A. nei confronti del B.B., all'insaputa dell'Amministrazione Comunale di F.

Nel provvedimento del Tribunale del riesame (pg.10), si incentra l'elemento decettivo nella "illecita ingerenza del A.A. e delle aziende a lui riconducibili nelle opere aggiudicate all'impresa B.B." in base al contenuto di una intercettazione telefonica intercorsa tra l'indagato ed un altro imprenditore (non il B.B.) ed in base alle dichiarazioni del Sindaco del Comune di F e di alcuni dipendenti comunali.

V'è da concludere, pertanto, che l'attività fraudolenta derivi, secondo il Tribunale, dall'accordo (intervenuto presumibilmente prima della presentazione dell'offerta alla stazione appaltante) tra l'appaltatore e l'indagato per far sì che l'attività di scerbatura fosse condotta da quest'ultimo con le attrezzature della ditta intestata alla moglie (coindagata) C.C.

Premesso che sono sconosciuti i termini dell'accordo tra B.B. e A.A. (si può solo presumere che sia intervenuto prima dell'affidamento dell'incarico all'appaltatore) e che non è dato comprendere il ruolo eventualmente rivestito da B.B. nella truffa, in quanto 'testa di legno' ed interlocutore del Comune di F, occorre riconoscere che nella ricostruzione accusatoria manca un ultimo elemento, costituito dal ruolo della persona offesa nella vicenda. Va infatti considerato che il Comune di F non ha visto la propria volontà contrattuale perturbata in alcun modo dall'accordo intercorso tra B.B. e A.A. asseritamente ai suoi danni. Non è dato comprendere quali siano stati gli artifici o i raggiri che avrebbero indotto la Amministrazione ad un contratto che non avrebbe stipulato o avrebbe stipulato ad altre condizioni. È vero che anche il silenzio artificiosamente serbato su una circostanza che dovesse essere manifestata e che sia tale da comportare la formazione di una diversa volontà da parte della persona offesa, può costituire artificio idoneo ad integrare la truffa (Sez. 6, n. 13411 del 05-03-2019 Imp. C., Rv. 275463 -04) ma nel caso concreto, in assenza di un qualche ruolo concreto assegnato al B.B. nella vicenda, è perfino difficile comprendere in capo a chi si dovesse configurare l'obbligo di disclosure. In proposito, è stato di recente affermato da questa stessa Sezione, che in relazione alla truffa contrattuale, il silenzio può essere sussunto nella nozione di raggiro quando non si risolva in un semplice silenzio-inerzia, ma si sostanzi, in rapporto alle concrete circostanze del caso, in un "silenzio espressivo", concretizzandosi in un comportamento concludente idoneo ad ingannare la persona offesa (Sez. 2, n. 46209 del 03-10-2023 Alfonso Rv. 285442 -01).

Il secondo aspetto dell'ipotesi accusatoria che merita migliore considerazione attiene alla sussistenza di un danno in capo all'Ente Pubblico, condizione per poter configurare la truffa. Allo stato, il danno viene identificato nel maggiore esborso che sarebbe stato sostenuto dall'Ente Pubblico a fronte di lavori eseguiti (dal A.A.) ad un costo inferiore a quello di aggiudicazione. Tale valutazione appare errata poiché non vi son ragioni di dubitare della libertà contrattuale dell'Amministrazione nella determinazione dell'ammontare del corrispettivo per il servizio, essendo comunque lecita la ricerca del massimo profitto da parte dell'appaltatore così come è doverosa da parte dell'Amministrazione l'assegnazione dei lavori al migliore offerente o a colui che presenti l'offerta più competitiva. In assenza di fattori che abbiano perturbato la volontà contrattuale dell'Ente (nemmeno allegati) nella determinazione del corrispettivo contrattuale, rimesso alle regole proprie delle procedure amministrative cui si è fatto ricorso, si deve concludere che esso rappresenti la migliore offerta per il Comune, non risultando peraltro alcuna contestazione né in ordine alla conclusione del contratto né in relazione alla sua esecuzione a regola d'arte.

Sui punti fin qui esposti è necessario dunque un nuovo giudizio che tenga in considerazione e risponda ai rilievi critici formulati. Ne consegue l'annullamento con rinvio al Tribunale del riesame di Palermo per nuovo giudizio.

3. Anche in relazione al reato di cui all'art. 512-bis cod. pen. (capo 5 di imputazione provvisoria) si deve concludere per l'insufficienza del quadro probatorio basato più su illazioni o congetture che su effettivi elementi indiziari.

Paradigmatico, in tal senso, è il giudizio sui gravi indizi di colpevolezza del reato esposti nell'ordinanza. In proposito, correttamente viene enfatizzato (pg. 12 dell'ordinanza) l'ineludibile significato confessorio della conversazione intercorsa tra C.C. e una sua amica, dal cui contenuto emergerebbe che i beni intestati a C.C. appartengano, in realtà, al marito.

Anche in questo caso, è incontestata la circostanza che beni acquisiti grazie al lavoro comune ovvero alle risorse del A.A., siano stati intestati alla consorte e coindagata C.C., personalmente o attraverso la intestazione alla azienda agricola di cui la donna è legale rappresentante.

Tuttavia, in linea con l'argomento difensivo, apodittica e sbrigativa appare la conclusione trattane dal Tribunale circa la sussistenza dell'elemento psicologico doloso necessario ad integrare la condotta incriminata che, come previsto dalla disposizione dell'art. 512-bis c.p. consiste nel "fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli artt. 648, 648-bis e 648-ter" c.p.

Invero, già l'affermazione della intestazione fittizia di beni in relazione a quelli elencati nel capo di imputazione ma in verità da considerarsi beni strumentali di una società di cui il A.A. è socio (la M.G.F. Project Srl) appare una operazione indebita (si tratta dell'autocarro (Omissis), del rimorchio (Omissis), dell'autocarro (Omissis)). Ma anche nei confronti degli ulteriori beni, suona apodittica l'affermazione secondo cui (pg. 12 dell'ordinanza) la ragione specifica della intestazione dei beni alla moglie risiederebbe "nel timore di una possibile apprensione nell'ambito di eventuali procedimenti di prevenzione", espressione non emergente nell'intercettazione, che si limita a menzionare la "paura che gliele tolgono", che ben può riferirsi, come spesso avviene in ambienti imprenditoriali marginali o in momenti di difficoltà, al rischio di esecuzioni da parte di creditori, di natura civilistica o esattoriale.

Tanto più che, come evidenziato dalla difesa senza che il punto abbia trovato risposta nell'ordinanza, l'intestazione fittizia alla consorte o convivente sarebbe stata in ogni caso destinata ad entrare in conflitto con la presunzione posta dall'art. 26 comma 2 D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159.

Da quanto precede deriva la necessità di annullare il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale del riesame per una nuova valutazione che dovrà incentrarsi su elementi dotati di maggiore cogenza logica siccome indicativi del necessario dolo specifico tanto all'epoca della costituzione della società MGF project Srl (la cui stessa esistenza dovrebbe risultare sospetta, a seguire l'impostazione accusatoria) quanto in quella di acquisto degli immobili e dei veicoli elencati nel quinto capo di imputazione.

4. Data la natura pregiudiziale dei primi due motivi, il terzo, attinente alle esigenze cautelari, resta assorbito.

5. Infine, con memoria difensiva illustrata in udienza, si è evidenziato che l'art. 105, comma 3, lett. c), decreto legislativo n. 50 del 18 aprile 2016 esclude dalla definizione di subappalto "l'affidamento di servizi per importo inferiore a 20.000,00 Euro annui a imprenditori agricoli nei comuni classificati totalmente montani di cui all'elenco dei comuni italiani predisposto dall'istituto nazionale di statistica (ISTAT), ovvero ricompresi nella circolare del Ministero delle finanze n. 9 del 14 giugno 1993, pubblicata nel supplemento ordinario n. 53 alla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 141 del 18 giugno 1993, nonché nei comuni delle isole minori di cui all'allegato A annesso alla legge 28 dicembre 2001, n. 448", tra i quali, appunto F.

Tuttavia, anche a superare la tardività dell'argomento, non collegato ad un motivo dedotto con il ricorso iniziale, la soglia indicata (Euro 20.000,00) per l'esclusione pare nel caso concreto abbondantemente superata, trattandosi di appalto - quello descritto nei primi due capi di imputazione - per importo corrispondente quasi al doppio di tale cifra.

L'argomento è quindi manifestamente infondato e comunque inammissibile per tardività.

P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Palermo competente ai sensi dell'art. 309, co. 7, c.p.p.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2024

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2024