1. Il motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Le doglianze difensive, invero, impregiudicato l'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 5, lett. b), L. n. 283/1962, concernono essenzialmente l'ascrivibilità della condotta al ricorrente sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato.
Ma neanche sul punto si ravvisano criticità rilevabili in questa sede, avendo il giudice monocratico ragionevolmente rimarcato, in capo all'imputato, quale legale rappresentante della ditta DO.MI Costruzione Srl che gestiva il villaggio turistico all'interno del quale sono stati rinvenuti gli alimenti in cattivo stato di conservazione, la detenzione di detti alimenti ai fini della somministrazione ai clienti del villaggio. La veste di legale rappresentante della predetta ditta imponeva all'imputato di sorvegliare sul rispetto delle regole igienico-sanitarie da parte dei dipendenti e di far osservare le cautele a garanzia della buona conservazione degli alimenti preparati nel locale, e ciò tanto più ove si consideri che nulla è emerso, né è stato dedotto in ordine alla circostanza che l'impresa di cui l'imputato era il legale rappresentante fosse di dimensioni tali da giustificare la necessità di decentrare compiti e responsabilità.
Il giudice di merito si è, dunque, attenuto ai principi ripetutamente affermati nella giurisprudenza di legittimità secondo cui "con riguardo alla disciplina igienica dei prodotti destinati all'alimentazione, e sulla base della disposizione di cui alla legge n. 283 del 1962, art. 5, comma 1, lett. b), della detenzione o somministrazione di un prodotto non conforme alla normativa deve rispondere, in caso di società o impresa, a titolo di colpa, il legale rappresentante della stessa, essendo allo stesso riconducibili le deficienze dell'organizzazione di impresa e la mancata vigilanza sull'operato del personale dipendente, salvo che il fatto illecito non appartenga in via esclusiva ai compiti di un preposto, appositamente delegato a tali mansioni, con l'ulteriore precisazione, tuttavia, che la delega di funzioni può operare quale limite della responsabilità penale del legale rappresentante della impresa solo laddove le dimensioni aziendali siano tali da giustificare la necessità di decentrare compiti e responsabilità, ma non anche in caso di organizzazione a struttura semplice" (Sez. 3, n. 13784 del 20/01/2023, Comis, Rv. 284362; Sez. 3, n. 46710 del 17/10/2013, Rv. 257860; Sez. 3, n. 4067 del 16/10/2007, dep. 2008, Rv. 238596).
Nel caso di specie, sul punto, il motivo di ricorso è del tutto generico, poiché nulla deduce circa la presenza di una realtà aziendale tale da rendere inesigibile l'osservanza, da parte dell'imputato, legale rappresentante della ditta, dei suoi doveri di controllo oppure circa la presenza di deleghe nella gestione degli alimenti della struttura.
Della violazione dei doveri di assicurare il pieno rispetto delle condizioni igienico-sanitarie nella conservazione dei prodotti destinati alla somministrazione dei clienti del Villaggio, è stato legittimamente ritenuto colpevole il legale rappresentante della ditta DO.MI Costruzione Srl, risultando la contravvenzione per cui si procede integrabile anche dall'elemento psicologico della colpa e dovendosi ravvisare evidenti profili di negligenza nel custodire all'interno di una cella frigo delle buste in cellophane contenenti 50 chilogrammi di cornetti già scongelati ed in fase di ricongelamento.
Ne consegue che, in quanto sorretta da un percorso argomentativo assistito da tenuta logica e coerenza strutturale, l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato, anche sotto il profilo soggettivo, resiste alle doglianze articolate nel ricorso.
2. In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze formulate, il ricorso proposto nell'interesse di A.A. deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, inoltre, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Conclusione
Così deciso il 12 luglio 2024.
Depositata in Cancelleria l'8 agosto 2024.