3. Va preliminarmente disattesa l'istanza di rinvio per legittimo impedimento avanzata dall'avv. Grittini per concomitanti impegni professionali.
Non ricorre una situazione di legittimo impedimento in relazione al dedotto concomitante impegno professionale davanti al Tribunale di Torino per l'udienza del 5 aprile 2024, e ciò per la duplice ragione che l'avviso di fissazione dell'odierna udienza è stato comunicato in data precedente (6 febbraio 2024) rispetto all'udienza del 5 marzo 2024 nella quale è stato disposto il rinvio all'udienza del 5 aprile 2024, udienza nella quale l'avv. Grittini era sostituito da altro difensore.
L'avvocato era a conoscenza del già fissato impegno professionale in Corte di cassazione e comunque ha dimostrato di avere la possibilità di avvalersi di sostituti come risulta dal verbale allegato.
Con riguardo all'ulteriore istanza di legittimo impedimento per l'assistenza di altro soggetto avanti al Giudice delle indagini preliminari del Tribunale dì Pavia per l'interrogatorio ex art. 294 cod. proc. pen. del 5 aprile 2024, risulta che l'indagato in quel procedimento aveva revocato, in data 4 aprile 2024, l'avv. Grittini.
4. I ricorsi, pur per ragioni diverse, non sono fondati.
4.1. Il primo motivo di ricorso di A.A. non è fondato.
La questione della qualificazione giuridica dei fatti che pone il ricorrente è stata risolta dalla pronuncia delle Sezioni Unite De Costanzo (Sez. U, n. 29316 del 26/02/2015, De Costanzo, Rv. 264266 - 01).
Punto di partenza è la sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49. Il primo articolo aveva modificato l'art. 73 del T.U., unificando il trattamento sanzionatorio delle condotte illecite afferenti alle diverse tipologie di sostanze stupefacenti. Il secondo articolo aveva coerentemente modificato gli articoli 13 e 14 del medesimo atto normativo, collocando nella prima tabella tutte le sostanze stupefacenti o psicotrope e nella seconda tabella, ripartita in cinque sezioni, i medicinali contenenti tali sostanze.
Tale pronuncia ha determinato la reviviscenza con effetto ex tunc della disciplina contenuta nella originaria versione del T.U. mai validamente abrogata, basata, come è noto, sulla distinzione tra droghe "leggere" e "pesanti".
Per dare coerenza alla disciplina, riordinando anche il sistema tabellare, in sintonia con l'impianto sanzionatorio risultante dalla sentenza costituzionale, con l'art. 1 del decreto-legge n. 36 del 2014, sono stati modificati gli artt. 13 e 14 del T.U. con la previsione di quattro tabelle corrispondenti al modello legale espresso dalla originaria, rivissuta disciplina sanzionatoria, ed è stata altresì introdotta una quinta tabella dedicata ai medicinali. Tale ultima tabella (Tabella V) non è richiamata dal ridetto art. 73. La legge di conversione ha aggiunto il comma 1-bis all'art. 2 del decreto-legge, enunciando che nei decreti applicativi del T.U. sugli stupefacenti adottati dalla data di entrata in vigore della legge n. 49 del 2006 fino alla data di pubblicazione della sentenza costituzionale n. 32, ogni richiamo alla tabella II è da intendersi riferito alla tabella dei medicinali allegata al decreto-legge n. 36 del 2014.
Poste tali premesse, e tenuto conto, come ricordano le Sezioni Unite, che nell'attuale ordinamento penale vige, infatti, una nozione legale di stupefacente per cui sono soggette alla normativa che ne vieta la circolazione tutte e soltanto le sostanze specificamente indicate negli elenchi appositamente predisposti, l'individuazione della norma incriminatrice e delle sostanze cui essa si riferisce è frutto, in alcuni casi, dell'integrazione tra la disciplina espressa dalla legge e gli atti amministrativi che contribuiscono a definire l'area del penalmente rilevante attraverso la collocazione delle sostanze medesime nelle tabelle cui si è ripetutamente fatto riferimento. Tali tabelle, come pure si è accennato, costituiscono esplicazione delle direttive di carattere generale contenute negli articoli 13 e 14 del Testo Unico.
Tale struttura dell'incriminazione dà luogo ad una fattispecie penale parzialmente in bianco nei casi in cui la specificazione del precetto avviene per effetto di fonti secondarie come i decreti ministeriali di cui si discute e l'avere travolto la disposizione normativa che li richiamava, ha travolto anche l'atto amministrativo che poi è stato sostituito dalle disposizioni di cui alla legge n. 79 del 2014.
Dunque, la caducazione della normativa ha comportato, per quanto qui rileva, la caducazione della Tabella II che, nella vigenza della legge del 2006, individuava i medicinali, essendo questi ricompresi nella nuova Tabella V del decreto legge del 2014. Poiché le fattispecie incriminatrici, derivanti dalle modifiche introdotte nel 2014, fanno riferimento solo alle sostanze di cui alle prime quattro tabelle e non recano più alcuna menzione dei medicinali di cui alla quinta tabella, le Sezioni Unite, hanno affermato che le preparazioni e i medicinali sono oggetto della disciplina penale in quanto contengano sostanze riportate nelle indicate quattro tabelle: "sono le tabelle delle sostanze psicotrope e stupefacenti alle quali si riferisce la disciplina sanzionatoria di cui ai richiamati artt. 73 e 75. In breve, conclusivamente, i medicinali rientrano nell'area penale in quanto contengano principi di cui alle ridette tradizionali tabelle. Tale soluzione interpretativa è l'unica che consente di superare la vaghezza ed indeterminatezza della disciplina legale, ancorando saldamente la repressione penale alla presenza di principi attivi inseriti nelle tabelle oggetto della normativa sanzionatoria di cui all'art. 73". L'ossicodone cloridato, contenuto nel farmaco Oxycontin prescritto dall'imputato, derivato sintetico degli oppiacei, compare sia nella tabella I che in quella dei medicinali, con la conseguenza che nella sua formulazione medicinale è oggetto della disciplina penale di cui all'art. 73 relativa alle sostanze elencate nella detta tabella I.
In particolare, l'ossicodone compare sia nella tabella V che nella tabella I, che comprende le sostanze stupefacenti maggiormente pericolose per la salute. Ciò fa sì che i medicinali di cui alla tabella V siano puniti conformemente a quanto previsto da quelli di cui alla tabella I, irrilevante essendo la circostanza che la sostanza abbia uno ovvero altro nome commerciale attribuitole dalla casa farmaceutica produttrice. Ciò non toglie che il farmaco sia composto della stessa molecola di ossicodone, come del pari irrilevante è il fatto che riguardo alla stessa molecola, che risulta comunque inserita nella tabella I in quanto oppioide utilizzato nella terapia del dolore, sia prevista una semplificazione ai fini della prescrizione in favore di pazienti malati oncologici (cfr. artt. 41 e 43 T.U. stup., nonché Ali. III-bis del medesimo T.U. Stup.).
Correttamente il Tribunale, a pag. 10, aveva ritenuto sussistente la fattispecie di cui all'art. 73 comma 1 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la decisione è stata confermata dal giudice di appello che ha implicitamente disatteso la censura in quanto infondata.
In conclusione, l'ossicodone cloridato, contenuto nel farmaco Oxycontin è sostanza stupefacente ricompresa nella Tabella I e la condotta posta in essere dall'imputato integra la fattispecie di cui all'art. 73 comma 1 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Sez. 3, n. 6741 del 12/01/2023, non mass.).
4.2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La censura sul trattamento sanzionatorio ritenuto eccessivo e immotivato tenuto conto dell'irrogazione di una pena prossima al massimo edittale muove da un errato presupposto in fatto: l'imputato è stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 73 comma 1 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e non del reato di cui all'art. 73 comma 4 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. Fatta questa premessa, la pena base di anni otto di reclusione e Euro 28.000,00 di multa è stata determinata in misura di poco superiore al minimo edittale per la violazione di cui all'art. 73 comma 1 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e ciò tenuto conto dell'intensità del dolo e della gravità del fatto tenuto conto del numero di ricette; la pena è stata poi aumentata, come specificato a pag. 12 della sentenza del Tribunale, per ogni reati satellite, misura degli aumenti giustificata dai giudice territoriale in ragione della personalità dell'imputato che ha anche asservito la funzione di medico (tra i reati satellite sono compresi il reato di corruzione, falso e truffa). Anche il diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è stato congruamente argomentato in ragione dei profili di personalità, come delineati dai giudici del merito, tra cui il numero rilevantissimo di ricette, l'asservimento della funzione di medico con retribuzione per tale attività illecita, l'ingente danno cagionato all'ASL, ritenuti dagli stessi giudici di rilievo negativo per riconoscere una mitigazione del trattamento sanzionatorio. In tale contesto non assume rilievo, come già argomentato dai giudici del merito, il disturbo di carattere depressivo dell'imputato.
4.3. Infine, anche il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La rinnovazione dell'istruttoria in grado di appello ha, come è noto, carattere eccezionale e, in tema di sindacato del diniego di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in grado di appello nel caso in cui il giudizio di primo grado sia stato svolto con le forme del giudizio abbreviato, la giurisprudenza di legittimità ha, ancora di recente, ribadito che nel giudizio abbreviato d'appello, le parti sono titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice "ex officio" nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell'art. 603, comma 3, cod. proc. pen., atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e più ampi rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado (Sez. 2 n. 17103 del 24/03/2017, A. Rv. 270069 - 01).
Nel giudizio di appello avverso la sentenza emessa all'esito di rito abbreviato è ammessa la rinnovazione istruttoria esclusivamente ai sensi dell'art. 603, comma 3, cod. proc. pen. e, quindi, solo nel caso in cui il giudice ritenga l'assunzione della prova assolutamente necessaria, perché potenzialmente idonea ad incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti. Tale situazione di indispensabilità è stata esclusa dalla corte territoriale in ragione della solidità del quadro probatorio (pag. 13), motivazione che non presta il fianco a rilievi di manifesta illogicità.
4.4. I motivi aggiunti sono in parte inammissibili e comunque infondati.
Sul primo motivo aggiunto va dapprima rilevato che esso è inammissibile nella misura in cui tende ad allargare il devoluto del terzo motivo principale (mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale) rappresentando la mancata risposta a censure devolute nell'atto di appello anche con riferimento a capi di imputazione c), d),e) e g) che non sono stati oggetto di censura con il ricorso principale per cassazione. Nel resto la doglianza che contesta la mancata assunzione di due testi che avrebbero riferito di minacce proferite da stranieri nei confronti dell'imputato, è manifestamente infondata in quanto diretta ad introdurre una prova meramente esplorativa.
Il secondo motivo di ricorso è meramente reiterativo della stessa censura devoluta nel primo motivo in relazione alla qualificazione giuridica di cui all'art. 73 comma 4 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, mentre è inammissibile là dove introduce l'ulteriore questione della qualificazione ai sensi dell'art. 73 comma 5 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 che non era stata oggetto del motivo principale.
Il terzo motivo in punto trattamento sanzionatorio nulla aggiunge rispetto alla cesura già devoluta nel ricorso principale.
5. Il ricorso di B.B. non è fondato.
5.1. Il primo motivo di ricorso con cui si deduce il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della circostanza di cui all'art 323 bis cod. pen. risulta infondato.
Deve premettersi che l'imputato è stato condannato in relazione al reato continuato di corruzione (art. 318 e 321 cod. pen.) di cui ai capi c) e d), in concorso con il A.A., medico di base che rilasciava, dietro pagamento, prescrizioni sanitarie per farmaci a base di oppiacei (Oxycontin), prescrizione mediche false che l'B.B. cedeva a terzi. La corte territoriale ha negato il riconoscimento della circostanza attenuante, di cui all'art. 323 bis cod. pen.,per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite, sul rilievo che: la collaborazione era stata parziale avendo ammesso solo le responsabilità macroscopicamente evidenti, come quella del sanitario peraltro immediatamente rilevabile dall'intestazione delle ricette, omettendo di indicare i soggetti ai quali cedeva le ricette; il numero di ricette false e il correlato ingente danno per l'erario e per il servizio sanitario nazionale.
La motivazione resa dalla corte territoriale è oltremodo congrua, ed è corretta in diritto.
Infatti, in tema di delitti contro la P.A., la circostanza attenuante speciale prevista per i fatti di particolare tenuità ricorre quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l'entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato (Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014, Di Marzio, Rv. 259501 - 01; Sez. 6, n. 30178 del 23/05/2019, Fundarò, Rv. 276280 - 01), da cui la conclusione che nella valutazione complessiva del fatto non rileva unicamente la collaborazione prestata, dovendo questa essere valutata in sinergia con la globalità del fatto che deve presentare una gravità contenuta.
La corte territoriale all'esito di una valutazione globale delle condotte corruttive e della gravità del danno cagionato alla collettività ha escluso l'applicazione della menzionata attenuante. E, poiché in questa sede non è diversamente valutabile la collaborazione dell'imputato che, secondo la corte territoriale, non ha assunto la portata richiesta per l'applicazione della circostanza attenuante, sulla base di una diversa valutazione del fatto, e tenuto conto che la l'esclusione della circostanza attenuante è stata correttamente fondata anche sulla gravità del danno cagionato al servizio sanitario nazionale e dunque alla collettività, all'esito di una globale valutazione, la censura risulta infondata.
5.2. Il secondo motivo di ricorso è parimenti infondato.
Il ricorrente contesta la qualificazione giuridica del delitto di falso di cui ai capi e) ed f) ai sensi dell'art. 479 cod. pen. in luogo dell'art. 481 cod. pen. Argomenta il ricorrente che nel caso, come quello in esame, in cui la prescrizione farmacologica sia redatta sul ricettario personale del sanitario ricorre il reato di falsità ideologica di cui all'art. cod. pen. e non il reato di cui all'art. 479 cod. pen.
La questione di diritto è stata compiutamente risolta dalla pronuncia di Questa Corte di legittimità n. 28847/2020 (Sez. 5, n. 28847 del 07/09/2020, Cova, Rv.
279697 - 01). Ha chiarito, in primo luogo, la Corte di legittimità che ciò che rileva è la funzione certificativa del sanitario in considerazione della diversissima tipologia di farmaci prescrivibili.
Occorre, quindi, ai fini di inquadrare correttamente i profili rilevanti nel caso di specie, ricordare, come rammenta la sentenza citata, la differenza tra le varie tipologie di ricette, per quanto di interesse, fermo restando che entrambe condividono la medesima funzione accertativa (Sez. 5, n. 13509 del 13/01/2015, Vabba, Rv. 263066; Sez. 5, n. 33548 del 23/03/2005, Cantalino,Rv. 232332).
In particolare, rileva la differenza tra la ricetta redatta su ricettario regionale - c.d. ricetta rossa, che permette l'erogazione di farmaci e prestazioni a carico del servizio sanitario regionale - e la cosiddetta ricetta "bianca" del ricettario personale del medico, che permette comunque l'erogazione delle prestazioni e dei farmaci, a completo carico del cittadino.
Per completezza va ricordato che la ricetta rossa, una volta cartacea, e ora sempre più sostituita dalla ricetta elettronica o dematerializzata; si tratta di una vera e propria ricetta virtuale, che il medico compila usando uno specifico programma del sistema sanitario della regione, per cui è abilitato.
Pur avvalendosi di uno strumento informatico il medico inserisce al computer le stesse informazioni di cui necessita per compilare la ricetta rossa cartacea. Non c'è, quindi, alcuna differenza, in quanto la ricetta elettronica ha le stesse caratteristiche della ricetta rossa - che, tuttavia, è ancora necessaria per alcune specifiche tipologie di prescrizioni (ossigeno, farmaci stupefacenti, sostanze psicotrope, ed altro) - in termini di capacità di prescrizione da parte del medico e di validità temporale, con il vantaggio che, al contrario della ricetta cartacea, quella elettronica permette di ritirare farmaci in qualunque regione, anche diversa dalla propria, senza pagare il prezzo di vendita.
La ricetta redatta sul ricettario del Sevizio Sanitario Nazionale e la ricetta bianca differiscono, quindi, anche perché solo sulla prima devono essere indicato il nome e il cognome dell'assistito, il suo codice fiscale, il codice dell'Azienda Sanitaria di riferimento, gli eventuali codici e motivi di esenzione e l'eventuale nota AIFA pertinente.
Ciò nondimeno, chiarisce ancora la sentenza citata, il documento, come detto, conserva intatta la propria valenza certificativa - su cui, quindi, può innestarsi il falso ideologico - nella misura in cui attesti, attraverso la prescrizione, che l'assistito abbia diritto a quella specifica prestazione o a quel determinato farmaco, a prescindere, quindi, dalla peculiare modalità con cui l'accertamento medico è stato effettuato che resta, in questa tipologia di documenti, in un certo senso sullo sfondo, nella misura in cui non è richiesta una specifica tipologia di verifica da parte del medico, che non deve essere neanche attestata; ciò che rileva infatti, è l'attestazione che l'assistito rientri nella categoria dei soggetti aventi diritto alla specifica prestazione farmacologica.
Ne discende, quindi, come nel caso di specie che le prescrizioni farmacologiche indicate nel capo di imputazione b), redatte su ricetta del medico A.A. nella valenza certificativa contiene la falsa attestazione del nome del beneficiario, della necessità della prescrizione farmacologica per il soggetto intestatario della prescrizione medica, ed anche la sussistenza dei requisiti per l'esenzione dal pagamento del ticket. Si tratta, come ha anche evidenziato la corte territoriale, che erano ricette c.d "rosse", circostanza questa non contestabile avuto riguardo anche alla tipologia di farmaci prescritti.
5.3. Infine, il terzo motivo di ricorso risulta inammissibile. Già la corte territoriale aveva rilevato che la censura in punto diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche era al limite dell'inammissibilità per genericità. Ora, tenuto conto della integrazione della motivazione (cfr. pag. 14) e della assenza di contestazione specifica della censura articolata nel ricorso per cassazione, il motivo di ricorso risulta inammissibile per aspecificità estrinseca.
6. Conclusivamente, i ricorsi vanno rigettati e i ricorrenti condannati alle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Conclusione
Così deciso il 05 aprile 2024
Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2024