Giu il coltello a serramanico è da considerarsi arma impropria Ai fini delia configurabilità del reato d'inosservanza degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, per violazione del divieto di detenere e portare armi
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - 15 luglio 2024 N. 28372
Massima
Ai fini delia configurabilità del reato d'inosservanza degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, per violazione del divieto di detenere e portare armi, il concetto di arma deve intendersi limitato alle sole armi proprie e non può essere riferito ad un coltello a serramanico, da considerarsi arma impropria.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - 15 luglio 2024 N. 28372

1. Con la sentenza in preambolo, la Corte di appello di Palermo ha confermato quella emessa il 17 gennaio 2022. dal Tribunale della stessa città, di condanna di A.A. e B.B. per il reato di cui agli artt. 110 e 707 cod. pen. (capo 1), del solo A.A. per quello di cui all'art. 9 L. n. 1423 del 1956 (capo 3), infine del solo B.B. per il reato di cui all'art. 116, comma 15, D.Lgs. n. 285 del 1992 (capo 4), condannandoli a pena di giustizia.

2. Avverso detta sentenza ricorre A.A., a mezzo del difensore di fiducia avv. Filippo De Luca e, con un unico motivo, deduce violazione dell'art. 9 della L. n. 1423 del 1956.

La Corte territoriale, nel confermare la condanna per il reato di cui al capo 3), avrebbe trascurato la sentenza della Corte costituzionale n. 25 del 2019 con cui è stata dichiarata la parziale illegittimità dell'art. 75, commi 1 e 2, D.Lgs. 159 del 2011 nella parte in cui sanziona penalmente la violazione delle prescrizioni di "vivere onestamente" e di "rispettare le leggi" imposte con la misura personale della sorveglianza speciale.

Nel caso di specie, infatti, una volta ritenuta non più elevabile una generica contestazione legata al "rispetto delle leggi", neppure residuerebbe la residua violazione della prescrizione di non detenere le armi, posto che, per consolidata giurisprudenza di legittimità la nozione di "arma" dev'essere intesa in senso restrittivo e, dunque, comprendente le sole armi proprie.

3. Ricorre altresì B.B., per il tramite del difensore di fiducia avv. Michele Palazzolo che, con un unico e articolato motivo, deduce violazione dell'art. 707 cod. pen. e vizio di motivazione in punto di attribuibilità della condotta di detenzione di arnesi atti allo scasso.

Il Giudice di appello avrebbe errato nel ritenere il suo concorso nella contravvenzione de qua poiché egli era nel possesso esclusivamente di un coltello da cucina che non può ritenersi strumento atto ad aprire ovvero a forzare serrature e che, invece, il cacciavite era stato rinvenuto nella disponibilità di altro imputato.

Difetterebbe, dunque, un'adeguata motivazione sull'esistenza di specifici elementi in virtù dei quali egli sarebbe responsabile a titolo di concorso nella contravvenzione.

4. Il Sostituto Procuratore generale, Simone Perelli, intervenuto con requisitoria scritta in data 7 febbraio 2024, ha chiesto la declaratoria d'inammissibilità dei ricorsi.

Motivi della decisione

1. Il ricorso di A.A. è fondato per le ragioni e con gli esiti di cui si dirà appresso, mentre quello di B.B. dev'essere dichiarato inammissibile.

2. Quanto al ricorso di A.A., secondo il Giudice di Appello la possibilità di configurare nei suoi riguardi il delitto di cui all'art. 75, comma 2, D.Lgs. 159/2011, contestato al capo 3) dell'imputazione, è stata ravvisata nella violazione degli obblighi quivi indicati, ossia quello di "rispettare le leggi" e di "non detenere armi", essendosi la condotta dell'imputato "posta sicuramente in contrasto con gli obblighi imposti, stante la detenzione di strumenti atti a forzare serrature, in un contesto altamente sospetto, dal momento in cui veniva sorpreso a scavalcare un cancello".

2.1. E, tuttavia, quanto alla prescrizione di non violare le leggi, la stessa è stata dichiarata incostituzionale con la sentenza della Corte costituzionale n. 25 del 2019.

Non è superfluo premettere che questa Corte, anche nella sua più autorevole composizione, aveva già statuito che l'inosservanza delle prescrizioni generiche di "vivere onestamente" e di "rispettare le leggi", da parte del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, non configura il reato previsto dall'art. 75, comma 2, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, il cui contenuto precettivo è integrato esclusivamente dalle prescrizioni c.d. specifiche (Sez. U, n. 40076 del 27/04/2017, Paterno, Rv. 270496; Sez. 4, n. 42332 del 09/05/2017, Scialpi, Rv. 270764; Sez. 7, n. 1576 del 07/12/2023, dep. 2024, Mansuè Mouez, Rv. 285605). L'obbligo di rispettare le leggi non integra, dunque, la norma incriminatrice, sicché il sorvegliato speciale che avrà commesso un reato comune o un illecito amministrativo sarà punito solo per questi, non anche per il delitto di cui al secondo comma dell'art. 75 citato; l'inosservanza - si è precisato - può, tuttavia, essere valutata dal giudice ai fini dell'eventuale aggravamento della misura di prevenzione.

Con la sentenza sora indicata, la Corte costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità dell'art. 75, comma 2, D.Lgs. 159 del 2011, in relazione all'art. 117 Cost., rispetto all'art. 7 CEDU e all'art. 2 del relativo Protocollo n. 4 (assorbita la pur prospettata violazione dell'art. 25, comma secondo, Cost.) nella parte in cui prevede come delitto la violazione degli obblighi e delle prescrizioni inerenti alla misura della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno ove consistente nell'inosservanza di "vivere onestamente" e "rispettare le leggi", nonché il via consequenziale, l'art. 71, comma 1, D.Lgs. n. 159 del 2011, nella parte in cui prevede come reato contravvenzionale la violazione dei medesimi obblighi.

La Corte Costituzionale - superando la propria precedente decisione n. 238 del 2010, con la quale aveva ritenuto le prescrizioni di honeste vivere e "rispettare le leggi" coerenti con il principio di legalità, essendo le "leggi" tutte a contenuto precettivo e dovendosi porre la prescrizione di vivere onestamente nel contesto di prescrizioni altrettanto dotate di contenuto prescrittivo - ha completato "l'operazione di adeguamento dell'ordinamento interno alla CEDU" (par. 13), che le Sezioni unite avevano già operato, ma entro i limiti connaturali all'attività interpretativa giurisprudenziale che permettono al giudice di "ritagliare la fattispecie penale escludendo dal reato condotte che prima si riteneva vi fossero comprese" (par. 13), lasciando inevitabilmente "scoperte" alcune ipotesi egualmente necessitanti di un rimedio ordinamentale a presidio dei diritti costituzionali e convenzionali della persona costituite dall'esecuzione del giudicato penale di condanna (insuscettibile di essere modificato o revocato ex art. 673 c.p.p. in virtù di un mero mutamento giurisprudenziale favorevole, secondo l'insegnamento della sentenza n. 230 del 2012) e dall'ipotesi di ricorso per cassazione recante solo censure manifestamente infondate e quindi inammissibile, rispetto al quale il mutamento giurisprudenziale favorevole non risulta rilevabile ai sensi dell'art. 129 c.p.p.

Nel merito la Corte costituzionale ha osservato che il canone della prevedibilità della condotta sanzionata, così come definito nella sentenza della Corte Edu Grande Camera del 23 febbraio 2017, De Tommaso contro Italia, risponde ormai a quell'"approdo giurisprudenziale stabile (sentenza n. 120 del 2018) o a quel diritto consolidato (sentenza n. 49 del 20115 e 80 del 2011) idoneo ad assumere rilevanza ai sensi dell'art. 117 Cost.

La condotta di violazione dell'obbligo di "vivere onestamente" non, pertanto, integra il reato contestato al ricorrente.

2.2. Del pari insussistente è la condotta di violazione dell'obbligo di non detenere armi.

Pertinente si reputa, in proposto, il condiviso arresto secondo cui "Ai fini della configurabilità del reato d'inosservanza degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, per violazione del divieto di detenere e portare armi, il concetto di arma deve intendersi limitato alle sole armi proprie e non può essere riferito ad un coltello a serramanico, da considerarsi arma impropria" (Sez. 1, n. 17877 del 01/03/2019, Lo Iacono, Rv. 275603).

2.3. Per le ragioni sin qui esposte, la Corte di appello avrebbe dovuto assolvere A.A. dal reato di cui al capo 3), con lei formula perché il fatto non sussiste.

Di qui, l'annullamento senza rinvio della sentenza nei suoi riguardi, limitatamente al reato di cui al capo 3) perché il fatto non sussiste e la conseguente eliminazione della relativa porzione di pena di mesi uno di arresto. Ricorrono, invero, i requisiti previsti dall'art. 620, lett. I), cod. proc. pen., definiti dalle Sezioni Unite come sussistenti in tutti i casi nei quali il rinvio sia superfluo, potendo la Corte di cassazione decidere anche con valutazioni discrezionali, purché condotte sulla base degli elementi di fatto accertati e delle statuizioni adottate dal giudice di merito, e a condizione che non siano necessari ulteriori accertamenti (Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, 2C18, Matrone, Rv. 271831.

Non vi è dubbio che siffatte condizioni siano ravvisabili ove, come nel caso di specie, la pena irrogata in aumento per un fatto non integrante alcun reato è stata già indicata dal Giudice di primo grado e va, pertanto, esclusivamente eliminata, senza la necessità di alcun accertamento.

3. La statuizione di annullamento senza rinvio va, inoltre, estesa ai coimputati, C.C. e D.D., la cui condanna per il reato de quo è stata confermata dal Giudice di appello, pur se non costoro non hanno proposto ricorso per cassazione.

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 9 del 24 marzo 1995, Cacciapuoti, Rv. 201304, hanno già avuto modo di affermare che il fenomeno processuale dell'estensione dell'impugnazione (in un processo plurisoggettivo per lo stesso reato o in un processo cumulativo) in favore del coimputato non impugnante (o l'impugnazione del quale sia stata dichiarata inammissibile), di cui all'art. 587 cod. proc. pen., "opera di diritto come rimedio straordinario che, al verificarsi dell'evento consistente nel riconoscimento, in sede di giudizio conclusivo sul gravame, del motivo non esclusivamente personale dedotto dall'imputato diligente, è idoneo a revocare il giudicato in favore del non impugnante, rendendo questi partecipe del beneficio conseguito dal coimputato"; conseguentemente, fino a quando non si sia verificato tale effetto risolutivo, il predetto fenomeno processuale non spiega influenza alcuna sulla esecutorietà della sentenza relativa al rapporto processuale individuo concernente il non impugnante od equiparato.

Detto principio è stato, poi, ripreso e ribadito con riferimento a specifiche ipotesi e, segnatamente: i) quella dell'accoglimento dei motivi a sostegno del ricorso per cassazione, sub specie di applicazione della nuova pena indicata dai ricorrenti, a norma dell'art. 3 della legge n. 14 del 1999, riguardo alla diversa qualificazione giuridica del fatto-reato loro ascritto che si è; ritenuto giovare anche ai coimputati non ricorrenti, nella specie istanti per il patteggiamento (Sez. 1, n. 1475 del 07/05/1999, Freda, Rv. 213507); ii) quello della sentenza che aveva escluso la sussistenza di una circostanza aggravante nei confronti di un concorrente nel reato (Sez. 1, n. 2940 del 17/10/2013, dep. 2014, Del Re, Rv. 258393); iii) nei riguardi di coloro che hanno concordato la pena in appello, che hanno proposto un ricorso originariamente inammissibile o che al ricorso hanno successivamente rinunciato (Sez. 3, n. 55001 del 18/07/2018 Ud, Cante, Rv. 274213. In applicazione di tale principio, la Corte hai escluso l'effetto estensivo con riferimento alla sentenza di assoluzione di un concorrente in un reato associativo, il cui contributo partecipativo era cronologicamente distonico rispetto all'epoca in cui aveva operato l'organizzazione, alla quale il ricorrente era stato ritenuto affiliato).

Venendo al caso che ci occupa, il fenomeno dell'estensione di cui all'art. 587 cod. proc. pen. deve ritenersi senz'altro operante, di diritto, nei riguardi degli originari coimputati C.C. e D.D., siccome giudicati con la stessa sentenza soggetta a impugnazione, al fine di assicurare la par condicio di costoro, siccome imputati che si trovano in situazioni identiche all'imputato diligente in quanto ricorrente, rendendoli partecipi del beneficio da questi conseguito.

4. La sentenza impugnata, pertanto, dev'essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo 3) nei confronti di A.A. e, per l'effetto estensivo, nei riguardi di C.C. e D.D., non ricorrenti, perché il fatto non sussiste, con eliminazione, per tutti, della pena di mesi uno di arresto, relativa al predetto capo d'imputazione, e rideterminazione della pena finale in mesi sei di arresto.

5. Il ricorso di B.B., limitato alla condanna per la contravvenzione di cui all'art. 707 cod. pen., è inammissibile siccome fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito.

La giurisprudenza di questa Corte ha, invero, chiarito che motivi siffatti devono essere considerati non specifici e meramente apparenti, perché non assolvono la tipica funzione di critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42946, del 17/07/2019, Boutartur Sami, Rv. 277710).

E, difatti, a fronte della deduzione in appello dell'argomento secondo cui il coltello da cucina non potesse classificarsi quale strumento idoneo ad aprire forze e serrature e che il cacciavite non era stato rinvenuto nella diretta disponibilità dell'imputato, la Corte di appello ha richiamato la giurisprudenza di legittimità in tema d'interpretazione ampia della locuzione "arnesi idonei ad aprire le serrature", soggiungendo, quanto alla condotta concorsuale, che tutti gli imputati erano stati identificati a seguito di una segnalazione telefonica che ne denunciava la presenza sospetta mentre scavalcavano un cancello e frettolosamente cercavano di risalire nell'autovettura, in particolare A.A. sorpreso nel tentativo di disfarsi del cacciavite e di un paio di guanti.

Si tratta di motivazione che si pone nell'alveo del principio espresso da questa Corte secondo cui, in tema di possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli, l'espressione "strumenti atti acl aprire o forzare le serrature", contenuta nell'art. 707 cod. pen., deve essere intesa nella sua accezione più ampia e incondizionata, sì da farvi rientrare tutti gli arnesi idonei di per sé ad aprire le serrature ed altri analoghi congegni dotati di attitudine potenziale ad operare sulle medesime (Sez. 2, n. 48172 del 28/09/2012, Novara, Rv. 253900). Rientrano, dunque, in detta nozione non solo gli strumenti atti a forzare serrature poste all'esterno delle abitazioni, ma anche quelli idonei a scardinare congegni di protezione che possono trovarsi all'interno, a tutela dei beni ivi contenuti o custoditi (Sez. 2, n. 29344 del 10/06/2022, Dainotti, Rv. 283662).

Del pari rispettosa dei consolidati principi espressi in sede di legittimità è la motivazione spesa dal Giudice di secondo grado in punto di responsabilità concorsuale.

Pertinente si reputa l'arresto secondo cui, in tema di possesso ingiustificato di chiavi e grimaldelli, è sufficiente, ai fini della configurabilità del concorso nel reato, la consapevole disponibilità concreta e immediata, da parte di più persone, degli arnesi predetti, essendo irrilevante l'originaria appartenenza di essi a uno solo dei correi e dovendosi, viceversa, dare rilievo alla possibilità di questi ultimi di servirsene o di aiutare il proprietario a servirsene (Sez. 2, n. 47686 del 03/10/2018, Lebiati, Rv. 274715). Sul punto è appena il caso di osservare che, come emerge dalla sentenza di primo grado, il ricorrente era il conducente dell'auto con cui tutti gli imputati erano giunti sul luogo e con la quale si sono dati alla fuga.

6. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso di B.B. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - per i profili di colpa connessi all'irritualità dell'impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) - di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in Euro tremila.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso proposto da B.B. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sommai di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di A.A. limitatamente al reato di cui al capo 3) e, per l'effetto estensivo, anche nei confronti di C.C. e D.D., non impugnanti, perché il fatto non sussiste ed elimina, per tutti, la pena di mesi uno di arresto, relativa al predetto capo. Ridetermina in mesi sei di arresto la pena finale per A.A., C.C. e D.D.

Si comunichi al Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo.

Conclusione

Così deciso in Roma il 13 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2024.