Giu il potere intimidatorio In materia di associazioni di tipo mafioso
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 24 giugno 2024 N. 24901
Massima
In materia di associazioni di tipo mafioso, il potere intimidatorio esercitato da un gruppo nei confronti dei soggetti esplicanti attività illecite in una determinata area territoriale, quali ad esempio gli spacciatori al minuto di sostanza stupefacente, in quanto mirante ad assicurarsi il controllo di attività economiche pur illecite ed a imporre percentuali di pagamento in ragione del controllo di quel territorio da organismi sovraordinati, costituisce esplicazione della natura mafiosa del gruppo.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 24 giugno 2024 N. 24901

1. I ricorsi degli imputati hanno contestato sotto diversi profili la possibilità di configurare i caratteri tipici di un'associazione mafiosa nelle diverse fattispecie contestate agli imputati o quali appartenenti al c.d. gruppo (Omissis) o al c.d. gruppo (Omissis) contestate ai capi n.104 e n.105 della rubrica. Il tema, principalmente devoluto all'analisi di questa Corte negli atti di impugnazione della decisione di appello, riguarda l'assenza di esteriorizzazione del metodo mafioso da parte dei due predetti gruppi criminali e contesta la sussistenza del requisito oggettivo previsto dal terzo comma dell'art. 416-bis cod. pen. per ritenere un'associazione catalogabile tra quelle di tipo mafioso, piuttosto che semplice ai sensi del precedente art. 416 cod. pen.

L'analisi cui dovrà procedersi deve tenere conto che il caso di specie si combina con le problematiche riguardanti la valenza del giudicato di condanna per precedenti fatti di cui all'art. 416-bis cod. pen. rispetto a nuove condotte delittuose, e ciò perché sia per il gruppo c.d. (Omissis) che per il gruppo (Omissis), ci si trova in presenza di soggetti già definitivamente condannati per associazione mafiosa che dopo avere scontato la pena ed essere stati rimessi in libertà, riprendono a porre in essere azioni delittuose aggregando soggetti diversi, configurando così un'ipotesi di gruppo mafioso a soggettività differente. Con la precisazione che ove si tratti di reinserimento in mafie storiche a seguito di precedenti condanne, tale problematica risulta del tutto estranea al thema decidendum, poiché in detti differenti casi, proprio perché si attua la prosecuzione dell'attività criminale sotto l'egida di un'associazione già costituita e costantemente operativa, non sarà certo necessario dimostrare l'esteriorizzazione.

Il tema proposto con i diversi ricorsi impone richiamare alcune nozioni sul requisito dell'esteriorizzazione del metodo mafioso e sull'evoluzione giurisprudenziale sul punto; deve essere rammentato come ai sensi del terzo comma dell'art. 416-bis c.p.: "L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano delia forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti..."; è certo quindi che, sulla base della previsione normativa introdotta con la legge Rognoni-La Torre nel 1982, l'associazione è di tipo mafioso soltanto ove si avvalga della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo ed abbia imposto, esternamente una condizione di assoggettamento ed omertà. Secondo la migliore dottrina la questione nasce perché l'attuale formulazione normativa dell'art. 416-bis cod. pen. ritaglia una fattispecie di associazione mafiosa a forte connotazione sociologico-ambientale come è dimostrato dal fatto che il legislatore dell'82 ha notoriamente tipizzato quali elementi costitutivi espliciti dell'art. 416-bis cod. pen. i requisiti della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omertà: requisiti criminologici questi che hanno tradizionalmente caratterizzato le mafie classiche storicamente radicate nel sud Italia dall'ottocento ad oggi. Così ricostruito il tema, appare evidente che, se in tutti i casi di mafie tradizionali, il requisito dello sfruttamento del potere intimidatorio è automaticamente ricollegato alla partecipazione a quel gruppo, sicché il problema probatorio principale è soltanto quello di provare l'inserimento del reo nel gruppo, nelle nuove figure associative sorge la problematica che non è sufficiente provare l'appartenenza, dovendosi anche dimostrare il carattere mafioso dell'associazione cui si appartiene. Insomma con l'emergere delle nuove mafie l'attenzione interpretativa e la dialettica tra giurisprudenza di merito e di legittimità si è spostata dal piano della partecipazione, e cioè della prova dell'inserimento ai sensi del primo comma, alla prova della capacità intimidatoria esteriorizzata, ai sensi del terzo comma del 416-bis cod. pen.

Sul tema della esteriorizzazione può citarsi come riferimento quella pronuncia della sezione seconda in base alle quale l'associazione di tipo mafioso si connota per l'utilizzazione da parte degli associati della carica intimidatrice nascente dal vincolo associativo che si manifesta internamente attraverso l'adozione di uno stretto regime di controllo degli associati, ma che si proietta anche all'esterno attraverso un'opera di controllo del territorio e di prevaricazione nei confronti di chi vi abita, tale da determinare uno stato di soggezione e di omertà non solo nei confronti degli onesti cittadini, nei riguardi dei quali si dirige l'attività delittuosa, ma anche nei confronti di coloro che abbiano intenti illeciti, costringendoli ad aderire al sodalizio criminale (Sez. 2, n. 18773 del 31/03/2017, Rv. 269747). In motivazione detta pronuncia precisa:" non basta, pertanto, che il sodalizio criminale si fondi su precise regole interne tale da esporre a pericolo chi se ne voglia allontanare ma occorre un quid pluris costituito dal metodo mafioso, seguito dai componenti dell'associazione per la realizzazione del programma associativo: esso non è componente della condotta ma dato di qualificazione del sodalizio e si connota, dal lato (attivo, per l'utilizzazione da parte degli associati della carica intimidatrice nascente dal vincolo associativo e, dal lato passivo, per la situazione di assoggettamento e di omertà che da tale forza intimidatrice si sprigiona verso l'esterno dell'associazione, cioè nei confronti dei soggetti nei riguardi dei quali si dirige l'attività delittuosa. In sostanza, poiché l'associazione di tipo mafioso si connota rispetto all'associazione per delinquere per la sua tendenza a proiettarsi verso l'esterno, per il suo radicamento nel territorio in cui alligna e si espande, i caratteri suoi propri, dell'assoggettamento e dell'omertà, devono essere riferiti ai soggetti nei cui confronti si dirige l'azione delittuosa, in quanto essi vengono a trovarsi, per effetto della convinzione di essere esposti al pericolo senza alcuna possibilità di difesa, in stato di soggezione psicologica e di soccombenza di fronte alla forza della prevaricazione".

I successivi interventi giurisprudenziali sul tema della esteriorizzazione quale requisito necessario ed imprescindibile per qualificare come mafiosa un'organizzazione, hanno riguardato essenzialmente due tipologie differenti di gruppi delittuosi:

a) le nuove associazioni mafiose, anche straniere;

b) le mafie delocalizzate, e cioè gruppi distaccati dalle cellule madri;

tralasciando il tema delle mafie delocalizzate, sostanzialmente estraneo all'oggetto del presente procedimento, dovrà analizzarsi l'evoluzione giurisprudenziale più recente sulla tematica delle c.d. nuove associazioni mafiose che ha sempre ribadito la necessità per la qualificazione di un gruppo ai sensi dell'art. 416-bis cod. pen. di rinvenire una qualche esteriorizzazione del metodo intimidatorio e ciò, pure costantemente affermandosi (Sez. 6, n. 57896 del 26/10/2017, Rv. 271724 - 01), che il reato previsto dall'art. 416-bis cod. pen. è configurabile in relazione ad organizzazioni diverse dalle mafie cosiddette "tradizionali", anche nei confronti di un sodalizio costituito da un ridotto numero di partecipanti, che tuttavia impieghi il metodo mafioso per ingenerare, sia pur in un ambito territoriale circoscritto, una condizione di assoggettamento ed omertà diffusa.

Si è così affermato che in tema di criminalità di tipo mafioso, le "nuove" associazioni possono rientrare nella previsione dell'art. 416-bis cod. pen. qualora presentino le caratteristiche tipiche delle "mafie storiche", sia pur dando luogo ad una riproduzione del fenomeno associativo in termini di minore intensità ed estensione, con riguardo alla complessità della organizzazione, all'ambito territoriale ed alle attività interessate, salva restando necessaria la dimostrazione che la "nuova associazione" abbia manifestato in concreto la propria capacità di intimidazione, determinando un assoggettamento omertoso (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, (dep. 12/06/2020) Rv. 279555 - 16); tuttavia, occorre sempre rammentare che l'associazione di tipo mafioso ha natura di reato di pericolo in quanto già la mera esistenza del sodalizio pone di per sé a rischio i beni giuridici protetti dalla norma incriminatrice, con particolare riguardo all'ordine pubblico, all'ordine economico ed alla libera partecipazione dei cittadini alla vita politica, ma ciò non consente di ritenere sufficiente ad integrare il reato la mera capacità potenziale del gruppo criminale di esercitare la forza intimidatoria, occorrendo invece che il sodalizio faccia effettivo, concreto, attuale e percepibile uso - ancorché non necessariamente con metodi violenti o minacciosi - della suddetta forza (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, cit.).

Il tema risulta recepito ed approfondito anche da una recente pronuncia della seconda sezione relativa ad una mafia locale, secondo cui in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, mentre per la mafie "storiche" l'esistenza del sodalizio è già giudizialmente acclarata, di modo che è sufficiente accertare la sussistenza della condotta partecipativa dei singoli imputati alla consorteria, nel caso delle "nuove mafie" o "mafie atipiche" il "thema probandum" involge, in primo luogo, in carattere mafioso dell'associazione e dunque, principalmente, l'avvalimento del metodo mafioso e il programma criminale mafioso ex art. 416-bis, terzo e sesto comma, cod. pen. (Sez. 2, n. 2159 del 24/11/2023, (dep. 18/01/2024) Rv. 285908 - 02). Detta pronuncia precisa poi che la "finalità di commettere delitti", di cui all'art. 416-bis cod. pen., coincide con lo "scopo di commettere più delitti", previsto dall'art. 416 cod. pen., di modo che la sola sussistenza, anche sopravvenuta, del metodo mafioso di cui si avvalgono strumentalmente i sodali per la realizzazione dei reati-fine vale, già di per sé, a qualificare come mafiosa un'associazione, anche preesistente, mediante il ed. "salto di qualità" (Sez. 2 n. 2159 del 24/11/2023 cit.); e precisa infine come in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, la costituzione e l'esistenza della consorteria criminosa non sono esclusi per il fatto che essa sia imperniata, per lo più, su componenti della stessa famiglia, posto che, al contrario, i rapporti parentali o coniugali, sommandosi al vincolo associativo, rendono lo stesso ancor più pericoloso (Sez. 2, n. 2159 del 24/11/2023 cit.).

I principi sopra indicati devono trovare applicazione anche al caso della fattispecie in esame, già denominata quale gruppo mafioso a soggettività diversa, costituito oltre che da un soggetto definitivamente condannato per partecipazione ad una determinata associazione mafiosa, che abbia scontato la pena allo stesso comminata, così risultando assente dal territorio di riferimento per un lungo arco temporale, e che sia stato successivamente scarcerato e riprenda le attività delittuose, da altri individui, originariamente estranei a fattispecie associative mafiose, che allo stesso pregiudicato mafioso aggregati, abbiano intrapreso attività criminali diffuse nel territorio.

Se è vero però che tale gruppo, proprio per la soggettività differente, rientra nelle categorie già analizzate delle "nuove mafie" o "mafie atipiche", deve pur sempre sottolinearsi che l'inserimento, spesso con ruolo direttivo od organizzativo, di un soggetto già definitivamente condannato per 416-bis cod. pen., in qualche modo muta il tema della necessaria prova della esteriorizzazione; ed invero l'inserimento del soggetto definitivamente condannato proprio per partecipazione ad associazione mafiosa, richiamando il potere intimidatorio scaturente dalla precedente partecipazione, determina che ove ci si trovi a giudicare attività delittuose nuovamente portate a termine nello stesso territorio in precedenza occupato, il ritorno sul luogo del delitto con modalità operative del soggetto già condannato unitamente ad altri aggregati, finisce per mutuare, quanto meno in parte, il vincolo intimidatorio in precedenza già manifestatosi, sfruttandone la fama criminale.

Appare evidente, infatti, che la ripresa delle attività delittuose sul territorio da parte di un soggetto già condannato per il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen., in parte richiede nuove forme di esteriorizzazione, ma, richiamando la già ritenuta partecipazione del soggetto di vertice, ne sfrutta tale capacità criminale proprio ai fini dell'imposizione in quella stessa area del vincolo intimidatorio; e ciò significa, pertanto, che ove i soggetti facenti parte di tale nuova formazione abbiano richiamato nell'esecuzione delle attività delittuose l'inserimento nel nuovo gruppo anche del soggetto definitivamente condannato, ne hanno chiaramente inteso sfruttare la fama criminale ai fini dell'imposizione dell'omertà e dell'intimidazione.

Il c.d. gruppo mafioso a soggettività diversa, in quanto fattispecie intermedia tra le c.d. mafie nuove e quelle storiche, ricostituito attorno ad un soggetto già definitivamente condannato per 416-bis cod. pen. e che abbia scontato la pena, proprio per la particolarità della sua formazione, per l'inserimento nella stessa con ruolo organizzativo del soggetto già affermato essere "mafioso", per il richiamo a tale presenza dotata di carattere intimidatorio nei confronti della collettività, si profila, pertanto, quale fattispecie associativa particolare che, se da un lato deve certamente essere dotata di capacità di esteriorizzare il potere intimidatorio ed imporre una nuova e diffusa condizione di omertà, dall'altro mutua i caratteri tipici dell'organizzazione già in passato operativa sullo stesso territorio per c.d. gemmazione.

1.1 Essenzialmente connesso al tema della esteriorizzazione quale elemento strutturale della fattispecie di cui all'art. 416-bis cod. pen., appare la problematica della piattaforma probatoria necessaria al fine di dimostrare la sussistenza di tale presupposto normativo; anche in questo caso, come già notato dalla sentenza delle Sezioni Unite Modaffari in tema di partecipazione punibile, gli aspetti della struttura del reato di cui all'art. 416-bis cod. pen. e della prova dello stesso, appaiono strettamente connessi, poiché, in tanto può dirsi dimostrata la natura mafiosa di un gruppo, in quanto sia stata acclarata la consumazione di fattispecie delittuose tipicamente dimostrative l'imposizione del vincolo intimidatorio su una determinata area od anche nei confronti di una categoria di persone, estranee ai componenti dell'associazione medesima. E non vi è dubbio che, ai fini della dimostrazione di questo requisito essenziale della fattispecie, il riferimento normativo nella parte in cui richiama gli scopi tipici dell'associazione di tipo mafioso, costituisce un'indicazione imprescindibile; in detto contesto, lo stesso terzo comma dell'art. 416-bis cod. pen., afferma che l'associazione è di tipo mafioso quando si avvale della forza di intimidazione:" per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a se' o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.

Il parametro normativo fornisce, pertanto, precise indicazioni utili ad affermare a quali condizioni un determinato gruppo rivesta natura mafiosa, facendo preciso riferimento agli scopi perseguibili dal gruppo mediante lo sfruttamento del vincolo e del potere di intimidazione esercitato su una determinata area territoriale ovvero nei confronti di determinati soggetti -estranei ad essa, elencando alcune categorie di attività che vengono a tipizzare la natura mafiosa del gruppo, costituite:

dalla commissione di delitti;

dalla gestione o dal controllo delle attività economiche; dal controllo e gestione di autorizzazione, appalti e servizi pubblici; dalla realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti; dal condizionamento dell'esercizio del diritto di voto.

Orbene, in tale esemplificazione degli scopi mafiosi di un'associazione contenuta nella stessa norma incriminatrice, assume valenza particolare pregnante l'attività diretta ad assumere la gestione o comunque anche il controllo di attività economiche e ciò perché idonea ad alterare le regole fondamentali del libero mercato e della libertà di concorrenza; e tra le attività dirette ad assicurare al gruppo di tipo mafioso il controllo delle attività economiche oltre che a garantire la realizzazione di profitti ingiusti, assume certamente rilevanza particolare la richiesta di versamento di somme effettuata dai componenti del gruppo agli esercenti attività economiche, sia commerciali che di impresa, sia autonomamente che quali appaltatori di servizi pubblici, perché dirette inequivocabilmente ad imporre forme di controllo delle attività economiche sul territorio oggetto della esplicazione della forza intimidatoria. Deve pertanto affermarsi che ove una nuova formazione di tipo criminale, composta da più membri, ponga in essere attività dirette ad esigere dagli operatori commerciali operanti in un determinato territorio forme di pagamento di somme di denaro a titolo di "pizzo" per permettere la prosecuzione pacifica delle attività, avendo posto in essere azioni inequivocabilmente dirette ad esercitare il controllo delle attività economiche ed a conseguire vantaggi ingiusti, tale entità viene ad assumere natura essenzialmente mafiosa, proprio perché il potere intimidatorio è stato diretto ad assicurarsi uno degli scopi tipici richiamati dallo stesso terzo comma dell'art. 416-bis cod. pen.

Al proposito va precisato che la natura mafiosa del gruppo va affermata anche nei casi in cui i componenti dello stesso attuino forme di controllo di attività economiche di tipo illecito che vengono a subire la pressione intimidatoria e nei cui confronti quindi siano richieste forme di pagamento di percentuali dei profitti illegali per permetterne la prosecuzione; si è già affermato come l'associazione di tipo mafioso si connota per l'utilizzazione da parte degli associati della carica intimidatrice nascente dal vincolo associativo che si manifesta internamente attraverso l'adozione di uno stretto regime di controllo degli associati, ma che si proietta anche all'esterno attraverso un'opera di controllo del territorio e di prevaricazione nei confronti di chi vi abita, tale da determinare uno stato di soggezione e di omertà non solo nei confronti degli onesti cittadini, nei riguardi dei quali si dirige l'attività delittuosa, ma anche nei confronti di coloro che abbiano intenti illeciti, costringendoli ad aderire al sodalizio criminale (Sez. 2, n. 18773 del 31/03/2017, Rv. 269747 - 01). E pertanto, in adesione a tale indirizzo, va ribadito che il potere intimidatorio esercitato da un gruppo nei confronti dei soggetti esplicanti attività illecite in una determinata area territoriale, quali ad esempio gli spacciatori al minuto di sostanza stupefacente, in quanto mirante ad assicurarsi il controllo di attività economiche pur illecite ed a imporre percentuali di pagamento in ragione del controllo di quel territorio da organismi sovraordinati, , costituisce esplicazione della natura mafiosa del gruppo.

1.2 Oltre al controllo delle attività economiche, particolarmente significativo appare anche il richiamo contenuto nell'art. 416-bis cod. pen. e riferito allo sfruttamento del metodo intimidatorio ed al potere di condizionamento ed omertà al fine della consumazione di delitti; in questo senso vengono infatti in rilievo quelle ipotesi delittuose consumate dal gruppo mafioso che siano attuate sfruttando il potere intimidatorio e lo stato di omertà esistente nel territorio di riferimento. L'esemplificazione contenuta nella norma appare fare chiaro riferimento alla consumazione di delitti particolari, indicativi di una elevata capacità criminale del gruppo sprigionantesi all'esterno, e cioè a delitti c.d. di sangue attuati mediante l'eliminazione di coloro i quali ostacolino le attività del gruppo mafioso nell'ambito spaziale di attività e ciò o perché appartenenti a gruppi avversi ovvero in quanto cittadini che in qualsiasi forma e maniera siano coraggiosamente riottosi ad accettare l'espansione criminale del gruppo mafioso ed il suo diffuso potere intimidatorio. L'omicidio o le stragi, quindi, in quanto attività ad elevata capacità criminale costituiscono quelle forme tipiche di manifestazione del potere di intimidazione sul territorio, tali da imporre diffuse condizioni di omertà, in quanto espressive di un concreto potere criminale di un gruppo mafioso nei confronti dei cittadini di una determinata area o comunità, i quali vedono messo a rischio il bene vita senza che le forze di Polizia siano capaci di assicurare in tali circostanze un'adeguata forza di prevenzione e repressione delle attività criminali. Cosi ricostruito il riferimento contenuto nella norma, ai fini della valorizzazione della natura mafiosa di un gruppo criminale, anche l'avvenuta esecuzione in un determinato territorio di tentati omicidi, omicidi, stragi, costituisce un primo ed eclatante segno inequivocabile della presenza esteriorizzata di un gruppo dotato di carattere mafioso, capace di imporre la propria capacità criminale al punto da mettere concretamente in pericolo ed attentare all'incolumità fisica dei singoli. E tale carattere mafioso di un gruppo è vieppiù reso manifesto ove i predetti fatti di sangue siano commessi mediante l'utilizzo di armi da fuoco micidiali, in uso solo a soggetti dotati di elevate abilità operative, in quanto stabilmente e professionalmente dediti alla consumazione di gravi delitti.

1.3 I suddetti principi andranno pertanto applicati ai casi in esame dei gruppi (Omissis) e (Omissis), oggetto di contestazione ex art. 416-bis cod. pen. ai capi nn. 104 e 105 della rubrica, che, al loro interno, vedono operativi con ruolo certamente di vertice due soggetti già definitivamente condannati per partecipazione a gruppi mafiosi operanti nel territorio foggiano e cioè nella stessa area in cui si sono poi trovati a rioperare unitamente ad altri soggetti agli stessi successivamente aggregati ed a porre in essere le azioni delittuose oggetto del presente procedimento. In questi casi, quindi, come correttamente osservato dal procuratore generale nelle proprie conclusioni si applicano quei principi già stabiliti dal precedente di questa sezione secondo cui in tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, la costituzione di un gruppo formalmente nuovo all'interno di un territorio già controllato da cosche mafiose non vale ad escludere la configurabilità del reato, allorché il nuovo sodalizio riproduca struttura e finalità criminali del "clan" storico, realizzi la stessa tipologia di reati, sfruttando la notorietà del primo per mantenere lo stato di assoggettamento intimidatorio nella popolazione del territorio di pertinenza, in modo da far percepire una sorta di continuità tra le azioni del gruppo originario e le proprie (Sez. 2, n. 20926 del 13/05/2020, Rv. 279477 - 01). Proprio in applicazione dei principi stabiliti da detta pronuncia il P.G. nelle proprie corrette conclusioni ha osservato come tali principi devono valere anche nei casi di gruppi ricostituiti in territori storici che si ricolleghino

a sodalizi preesistenti, dei quali sfruttano la notorietà, in modo da far percepire una sorta di continuazione tra le azioni del gruppo originario e le proprie.

Fatte tali premesse, l'analisi di questa corte ai fini della valutazione della sussistenza del clima di intimidazione e di assoggettamento omertoso dei due gruppi oggetto delle rispettive imputazioni di cui ai capi nn. 104 e 105 della rubrica deve necessariamente estendersi all'esame degli elementi di fatto valorizzati nelle pronunce eli primo e secondo grado per dimostrare l'esistenza dei presupposti della partecipazione o direzione punibile ex art. 416-bis cod. pen.

Anche in sede di giudizio di legittimità, infatti, l'analisi della sussistenza del requisito del terzo comma dell'art. 416-bis cod. pen. richiede vagliare gli elementi di fatto sulla base dei quali i giudici di merito abbiano ritenuto la natura mafiosa del gruppo, ove tale presupposto sia contestato nei ricorsi, come esattamente avvenuto nel caso in esame.

In tale contesto, va in primo luogo osservato, con riferimento a quel parametro richiamato al punto 1.2 della motivazione che, sotto il profilo dell'aggressione all'incolumità personale e quindi della capacità intimidatoria diffusa nel territorio di S, le pronunce di primo e secondo grado danno atto della diffusione di un ampio clima di terrore scaturente dalla consumazione di vari fatti di sangue; in particolare i giudici di merito segnalavano come in quel contesto temporale e territoriale fossero avvenuti l'omicidio del R.R.R., ritenuto un componente del gruppo (Omissis), l'omicidio di K.K.K., zio del collaboratore J.J.J., i tentati omicidi A.A.A., Q.Q.Q. e B.B.B. attribuiti al R.R.R. poi eliminato; ancora la pronuncia di primo grado segnalava gli omicidi di tali D.D.D. e della moglie C.C.C., il primo componente del gruppo (Omissis), tutti fatti avvenuti con l'utilizzo di armi da guerra e perciò già dotati di forte carica intimidatrice.

Il diffuso stato di intimidazione, veniva ricavato anche dalla causale della collaborazione di J.J.J., il quale, dichiarava apertamente, di avere iniziato a collaborare dopo l'eliminazione dello zio e per l'evidente timore di essere eliminato dalle cosche operative in quel territorio indicate nei gruppi E.E.E. e (Omissis); proprio tale scelta manifestava l'evidente stato di forte intimidazione, mentre, sotto il profilo della diffusa condizione di omertà le sentenze di merito segnalano come i parenti del K.K.K. non avessero denunciato integralmente i fatti. Si segnalava ancora che il J.J.J. riferiva di avere partecipato ad un incontro con lo zio K.K.K. ed il gruppo (Omissis)-Testa nel quale era stato detto allo stesso K.K.K. che avrebbe dovuto allontanarsi da quel territorio per i contrasti inserti ovvero sarebbe stato eliminato, circostanza poi puntualmente verificatasi.

1.4 Quanto poi agli elementi specifici atti a dimostrare la mafiosità dei due gruppi, contestata nei ricorsi, molteplici sono gli elementi di fatto ai quali i giudici di merito hanno fatto riferimento nelle pronunce di primo e secondo grado per segnalare la certa esteriorizzazione del metodo mafioso da parte dei componenti dell'associazione E.E.E.; con valutazioni del tutto corrette in punto interpretazione in concreto degli elementi di cui al terzo comma dell'art. 416-bis cod. pen., le pronunce di merito hanno segnalato che il capo del suddetto gruppo, il E.E.E. (vedi p. 120 sentenza di appello) è soggetto già condannato per avere fatto parte della "società foggiana" e per un omicidio, che dalle dichiarazioni del collaboratore J.J.J. risultava avere una posizione di comando nel territorio di S, che fosse sospettato di essere mandante ed esecutore di omicidi; ancora si sottolineava l'evidente carica intimidatrice derivante dall'accertato possesso di armi ed esplosivi (ben 11 ordigni sequestrati), dalle intimidazioni a carico degli spacciatori di stupefacente costretti a versare somme per effettuare l'attività illecita e come l'attività estorsiva avesse ad oggetto anche imprese legali (un esercente attività estrattiva).

Ancora emergevano circostanze rilevanti dall'esplosione di colpi di arma da fuoco all'indirizzo di altri malavitosi (B.B.B.) e dallo scontro con esponenti gruppo (Omissis), dalle estorsioni ai gestori dei sistemi di videopoker, dall'attentato in danno del A.A.A. che a dimostrazione dell'assoluta serietà delle minacce veniva gambizzato, dalla vicenda descritta al capo n.60 dell'estorsione alla macelleria (Omissis). Ed ancora la motivazione di appello (p.121 e segg.) segnala quale elemento significativo il sostentamento degli affiliati detenuti che rientra nella tipologia operativa delle organizzazioni di stampo mafioso.

Proprio sulla base di tali elementi di fatto, poliedrici e tutti convergenti, le conclusioni dei giudici di merito circa la natura mafiosa del gruppo (Omissis) e dei suoi componenti non paiono affette da alcuno dei vizi denunciati nei ricorsi degli imputati ritenuti membri della predetta associazione mafiosa; proprio in applicazione dei principi precedentemente esposti i componenti del gruppo (Omissis), a seguito della scarcerazione del predetto già condannato per partecipazione ad associazione mafiosa, riprendevano le attività delittuose, sia sfruttando il potere intimidatorio derivante dal ruolo di vertice ricoperto dall'omonimo coimputato sia compiendo nuove attività dotate di forte carica intimidatoria, quali i gravi fatti in danno degli avversari o di coloro che non avevano assecondato le direttive del gruppo (come riferito dal J.J.J.), ovvero ai fini del controllo intimidatorio di attività lecite ed illecite. Così che la natura mafiosa del gruppo deriva proprio dal riscontrato carattere che l'associazione ha esteriorizzato sul territorio di S.

1.5 Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche in relazione ai componenti del gruppo facente capo a R.R., soggetto già definitivamente condannato per il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen. quale partecipe della " società foggiana". Con le argomentazioni esposte alle pagine 166 e seguenti la sentenza di appello segnala quali elementi significativi l'esteriorizzazione del metodo mafioso; il possesso eli armi da guerra tipo kalashnikov oggetto di sequestro (3 fucili mitragliatori oltre una pistola calibro 38), il summit di mafia con il E.E.E. presso l'abitazione del R.R. in cui si stabilisce la suddivisione dei proventi illeciti, il mantenimento delle spese dei sodali arrestati, i traffici di notevoli quantità di stupefacenti anche con collegamento in altre regioni (Campania) ed all'estero (Olanda), la sintomatica vicenda della estorsione F.F.F. avvenuta con il danneggiamento ed il porto abusivo di armi contestate ai capi 35 e 35, mediante il ritrovamento di una testa di agnello davanti al portone di casa della vittima, l'invio di una busta contenente proiettili, l'esplosione di colpi di arma da fuoco sul portone, le minacce gravi telefoniche anche ai figli; inoltre, ancora, si segnala dalla congiunta lettura delle pronunce di merito, che nel corso delle conversazioni intercettate il R.R. ed i suoi interlocutori programmassero altre estorsioni ad imprenditori, avessero individuato i soggetti facoltosi dei quali avevano ottenuto le fotografie dei nuclei familiari per rendere ancora più significative le condotte intimidatorie. Ancora si segnalavano le dichiarazioni dei collaboratori J.J.J., M.M.M., L.L.L. circa il battesimo di nuovi adepti, il mantenimento dei sodali in carcere, l'alleanza con la batteria (Omissis)-(omissis) sancita da un incontro 24 dicembre 2015, il pestaggio di un avversario (p. 37 sentenza di primo grado) per concludere che quell'affermazione di R.R. nella intercettazione all'interno del luogo ove scontava la semidetenzione in cui affermava: "il paese è nostro" corrispondesse proprio alla condizione venutasi a creare nel territorio di S ove il predetto R.R. aveva raccolto attorno a sé un nuovo gruppo mafioso, tramite il quale programmava il compimento di azioni di sangue ed aveva già manifestato la propria capacità intimidatoria.

Così che anche al proposito di tutti i componenti del gruppo (Omissis) le conclusioni delle pronunce di primo e secondo grado appaiono esenti dai lamentati vizi.

Né può attribuirsi valore decisivo per escludere la sussistenza ed operatività dei due gruppi mafiosi (Omissis) e (Omissis) a quella circostanza segnalata nei ricorsi e secondo cui la cessazione delle attività dei gruppi a seguito dell'arresto dei capi dimostrerebbe l'assenza di concreta e diffusa capacità intimidatrice degli stessi. Invero nelle ipotesi di c.d. gruppi a soggettività diversa di cui si è già detto, tali da ricavare per gemmazione il proprio potere, oltre che dalla ripresa di diffuse attività delittuose nel territorio, non può escludersi che l'intervenuto arresto dei componenti porti a disarticolare completamente il gruppo cessandone ogni capacità intimidatoria, senza che ciò rilevi in maniera decisiva per ciò che risulti già essere avvenuto, come puntualmente verificato nei casi in esame.

1.6 Accertata la natura mafiosa dei gruppi e sottolineate le modalità delle azioni criminose in tema di traffico di stupefacenti, di estorsione, di detenzione e porto abusivo di armi nonché di danneggiamento, correttamente i giudici di merito affermavano la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 416-bis 1 cod. pen. per i delitti-fine delle ispettive organizzazioni, apparendo la consumazione degli stessi essere avvenuta proprio nella esecuzione dei programmi delittuosi miranti ad imporre la propria presenza sul territorio di S ed al fine di finanziare le attività degli stessi. Sicché anche al proposito dell'aggravante di cui all'art. 416-bis 1 cod. pen. i ricorsi appaiono non fondati, contestando vanamente la riconducibilità dei delitti fine al programma associativo sebbene le pronunce di merito, con valutazioni conformi, abbiano già ° spiegato che ognuno dei numerosi fatti presi in considerazione nel presente procedimento, trovi proprio spiegazione nell'ottica della affermazione del potere criminale di ciascun gruppo sul territorio e nel finanziamento delle attività associative illecite.

Ciò premesso in ordine ai motivi comuni può ora procedersi all'analisi delle singole posizioni processuali.

2. Il ricorso avanzato dall'avv.to Ettore Censano nell'interesse di A.A., B.B., C.C. e J.J., tutti condannati a varie pene di legge in forza di concordato in appello e con il quale si è chiesto l'annullamento della sentenza impugnata è proposto per motivi infondati e deve, pertanto, essere respinto. Ed invero questa Corte di legittimità ha affermato sul tema come ai fini dell'applicabilità del regime transitorio previsto, ex art. 95, comma 1, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, per le pene sostitutive delle pene detentive brevi, la pronuncia del dispositivo della sentenza di appello entro il 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore del citato D.Lgs., determina la pendenza del procedimento "innanzi la Corte di cassazione" e consente, quindi, al condannato, una volta formatosi il giudicato all'esito del giudizio di legittimità, di presentare l'istanza di sostituzione della pena detentiva al giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 666 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 51557 del 14/11/2023, Rv. 285628 - 01), sullo stesso argomento in senso conforme altra pronuncia ha stabilito che ai fini dell'applicabilità del regime transitorio previsto, ex art. 95, comma 1, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, per le pene sostitutive delle pene detentive brevi, la pronuncia del dispositivo della sentenza di appello entro il 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore del citato D.Lgs., determina la pendenza del procedimento "innanzi la Corte di cassazione" e consente, quindi, al condannato, una volta formatosi il giudicato all'esito del giudizio di legittimità, di presentare l'istanza di sostituzione della pena detentiva al giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 666 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 48579 del 11/10/2023, Rv. 285684 - 01). Ne consegue che erra il ricorso nel prospettare la necessaria competenza del giudice eli merito per l'applicazione delle sanzioni sostitutive posto che, nel caso in esame, avuto riguardo alla data della pronuncia di appello (22 novembre 2022) la pendenza della fase di cassazione al momento della presentazione del ricorso legittima i predetti imputati alla proposizione dell'istanza dinanzi al giudice dell'esecuzione.

Al rigetto delle impugnazioni segue la condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali.

3. Tutte le doglianze svolte dal ricorso dell'avv.to Pagano nell'interesse di D.D. e con le quali si è dedotto violazione di legge e difetto di motivazione quanto all'affermazione di responsabilità per il reato di partecipazione all'associazione mafiosa clan (Omissis), sotto il profilo dell'assenza di azioni idonee a manifestare la concreta capacità di intimidazione sul territorio e nei confronti della cittadinanza di S, trovano soluzione nei punti da 1 ad 1.5 della presente motivazione ove si sono sottolineati i plurimi parametri di fatto sulla base dei quali affermare l'esteriorizzazione del metodo mafioso da parte del suddetto clan nel territorio di S.

3.1 In relazione, poi, alle doglianze in tema di partecipazione punibile dello stesso D.D., con le diffuse argomentazioni esposte alle pagine 209 e seguenti della sentenza di secondo grado, il giudice di appello ha spiegato sulla base di quali elementi desumere lo stabile coinvolgimento del D.D. nelle attività del gruppo mafioso denominato clan (Omissis); in particolare, il giudice di secondo grado, sottolineava le dichiarazioni dei collaboratore J.J.J. che associava il ricorrente a detta organizzazione nonché alle attività di spaccio e gestione dei contatti con altri gruppi criminali del foggiano svolte dal D.D.

Il giudice di appello ha peraltro sottolineato come precisi e concordanti riscontri alle suddette dichiarazioni accusatorie siano stati individuati sulla base del contenuto delle conversazioni intercettate e dei servizi di osservazione e controllo compendiati nella informativa finale di reato, con i quali il ricorso omette di confrontarsi. Ne deriva pertanto che erra il ricorso nella parte in cui contesta, anche solo genericamente, essere assente la dimostrazione della partecipazione punibile del D.D.

Alla luce delle predette considerazioni, pertanto, il ricorso deve essere respinto e l'imputato condannato al pagamento delle spese processuali.

4. Infondati appaiono tutti i motivi esposti dall'avv.to Di Pillo nell'interesse di E.E. e con i quali si muovono doglianze in punto affermazione di responsabilità per il delitto di cui all'art. 73 D.P.R. 309/90; la sentenza impugnata, a pagina 232 della motivazione, espone come il D.D., nel corso del giudizio di secondo grado, abbia rinunciato a tutti i motivi in punto responsabilità così che le questioni non possono certamente esser riproposte con il successivo ricorso per cassazione. A fronte di tale precisa affermazione del giudice di appello il ricorso nulla sostiene così che, sul punto, è evidentemente affetto da inammissibilità, introducendo doglianze relative a motivi rinunciati nel precedente grado.

4.1 Quanto poi alle ulteriori doglianze in punto attenuanti generiche, giudizio di equivalenza e trattamento sanzionatorio, la corte di appello non è incorsa in alcuno dei vizi denunciati posto che ha concesso le circostanze attenuanti generiche valutandole equivalenti rispetto alla recidiva ed ha diminuito la sanzione inflitta all'esito del primo grado partendo dalla pena base minima prevista per il delitto di cui all'art. 73 D.P.R. 309/90 allo stesso contestato. Al proposito va rammentato che in tema di circostanze, il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall'art. 133 cod. pen., senza che occorra un'analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838 - 02).

In conclusione, l'impugnazione deve ritenersi infondata a norma dell'art. 606 comma terzo cod. proc. pen.; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

5. Il ricorso di W.W., in quanto proposto personalmente, è inammissibile alla luce del disposto di cui all'art. 613 cod. proc. pen. secondo cui abilitati all'impugnazione dinanzi la Corte di cassazione sono solo i difensori iscritti all'albo speciale. Alla declaratoria di inammissibilità consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del W.W. al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 3.000,00.

6. Il primo motivo del ricorso avv.to Chiusolo nell'interesse di F.F., e con il quale si lamenta violazione dell'art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in ordine all'affermazione di responsabilità per il reato di associazione mafiosa gruppo (Omissis) di cui al capo n. 105 ed all'aggravante ex art. 416-bis 1 cod. pen. per il capo n. 106, trova risposta nelle osservazioni svolte ai punti da 1 ad 1.6 della presente motivazione ai quali integralmente si rinvia; si è spiegato come proprio il gruppo (Omissis) fosse dotato di capacità intimidatoria tale da ritenerlo certamente caratterizzato da tipicità mafiosa.

Inoltre, il giudice di appello, ha anche fornito specifica argomentazione relativa alla sussistenza dell'aggravante ex art. 416-bis 1 cod. pen. che il ricorso pure contesta, alle pagine 150 e seguenti della motivazione, ove si espone come proprio il traffico di sostanze stupefacenti fosse organizzato e gestito al fine di favorire le attività del clan mafioso, essendosi imposto sul territorio quale fornitore esclusivo degli spacciatori; argomenti questi che il ricorso non contesta adeguatamente.

6.1 In relazione al secondo motivo, che lamenta violazione del divieto di reformatio in pejus va segnalato, innanzi tutto, che il F.F. riportava in appello la pena finale di anni 9 e mesi 4 con riduzione della sanzione inflitta dal G.I.P. nella misura di anni 10 e mesi 8; orbene il primo aspetto devoluto è manifestamente infondato posto che l'aumento per la circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis 1 cod. pen., determinato in secondo grado nella misura di anni 4 sulla fattispecie di cui all'art. 74 D.P.R. 309/90, è esattamente identico a quello stabilito in egual misura in primo grado (vedi p. 152 sentenza G.I.P.) così che alcuna violazione del divieto di reformatio in pejus appare sussistere. Quanto alla deduzione sotto il profilo del maggiore aumento percentuale in secondo grado va fatta applicazione del principio secondo cui in caso di impugnazione proposta dal solo imputato, non viola il divieto di "reformatio in peius" la decisione del giudice di appello che, dopo aver ridotto la pena base, operi, con riguardo all'applicazione di una circostanza aggravante già riconosciuta in primo grado, un aumento di pena inferiore, in termini assoluti, rispetto a quello calcolato in primo grado, sebbene in misura percentualmente maggiore (Sez. 3, n. 1124 del 25/11/2020, (dep. 13/01/2021) Rv. 280893 - 01). Deve pertanto essere escluso che anche sotto questo profilo sussista la violazione dell'invocato divieto.

6.2 Viceversa, in relazione agli aumenti per continuazione, la doglianza è fondata posto che il capo n. 64 è relativo ad una contravvenzione di cui all'art. 703 cod. pen. che il giudice di appello dichiarava prescritta (vedi dispositivo p. 238 e motivazione p. 154 sentenza di secondo grado) così che non poteva poi lo stesso giudice stabilire per detto episodio l'aumento di mesi 6 di reclusione poi ridotto per il rito nel calcolo complessivo.

Peraltro, l'aumento complessivo per continuazione stabilito nella pronuncia di appello di anni 2 di reclusione è uguale a quello stabilito complessivamente in primo grado pur comprendendo anche il reato prescritto di cui al capo n. 64; alla rideterminazione della pena può procedere ex art. 620 lett. I) cod. proc. pen. questa stessa corte di cassazione, eliminando la sanzione di mesi 4 di reclusione, ridotta per il rito a mesi e giorni 20 di reclusione, risultante dalla suddivisione degli aumenti per continuazione stabiliti in primo grado per il numero di reati riconosciuti; la pena finale va pertanto rideterminata nella misura di in anni 9, mesi 1 e gg.10 di reclusione con rigetto del ricorso nel resto.

7. Manifestamente infondati sono i motivi avanzati nel ricorso avv.to Chiusolo nell'interesse di I.I., condannato per i reati di cui ai capi 1), 3), 4), 8), 19), 31) e 104) della rubrica, sotto i profili della violazione di legge e del difetto di motivazione, in ordine al reato di associazione mafiosa (gruppo (Omissis)) di cui al capo n. 104 ed all'aggravante ex art. 416-bis 1 cod. pen. per i capi n. 3), 4), 8), 19) 31); al proposito infatti vanno richiamate tutte le osservazioni svolte ai punti da 1 ad 1.6 della presente motivazione e sottolineato, quanto all'aggravante di cui all'art. 416-bis 1 cod. pen., che la corte di appello ha reso specifica motivazione circa la finalizzazione dei reati fine in materia di stupefacenti ed estorsione a finanziare le attività del gruppo mafioso ed il mantenimento dei detenuti alle pagg. 213-214 della motivazione senza incorrere in alcuno dei vizi dedotti.

7.1 Infondati sono altresì le doglianze in punto determinazione degli aumenti per continuazione c.d interna posto che il I.I. risulta condannato per sei ipotesi di reato in continuazione con il capo n. 1) e di cui ai capi 3), 4), 8), 19), 31) e 104), e corretta appare la determinazione della pena in aumento per complessivi anni 2 e mesi 6 stabiliti nella misura di mesi 5 per ciascuna delle predette ipotesi.

Non sussiste poi il lamentato difetto di motivazione quanto all'aumento di pena in continuazione per il reato di associazione mafiosa posto che, con le osservazioni svolte a pagina 215 della motivazione, il giudice di secondo grado ha fatto riferimento a plurimi aspetti del fatto e della personalità, giustificativi l'elevazione della pena nella misura di anni 4 senza incorrere nel lamentato vizio. Né sussiste alcun diritto dell'imputato alla perequazione rispetto agli aumenti stabiliti per i correi.

7.2 Fondate sono invece le doglianze in punto riconoscimento del vincolo della continuazione esterna; ed invero il giudice di appello appare essere incorso in un duplice vizio avendo, in primo luogo, statuito la sussistenza del vincolo ex art. 81 cpv cod. pen. dei fatti giudicati nel presente procedimento con quelli oggetto del giudicato definitivo della Corte di Appello di L'Aquila del 31-3-2014, in luogo invece di quanto richiesto dall'appellante avente ad oggetto il riconoscimento del suddetto vincolo con la sentenza della corte di appello di L'Aquila del 7-10-2017.

In secondo luogo la doglianza appare fondata anche in punto omessa applicazione della diminuente per la scelta dell'abbreviato anche per i reati ritenuti in continuazione esterna; al proposito va ricordato come sia stato affermato che in tema di riconoscimento della continuazione "in executivis", qualora il giudizio relativo al reato satellite sia stato celebrato con il rito abbreviato, l'aumento di pena inflitto in applicazione dell'art. 81 cod. pen., è soggetto alla riduzione premiale di cui all'art. 442 cod. proc. pen., ed il giudice deve specificare in motivazione di aver tenuto conto di tale riduzione, la quale, essendo aritmeticamente predeterminata, non necessita di alcuna motivazione in ordine "al quantum" (Sez. 1, n. 26269 del 08/04/2021 Rv. 281617 - 01). Nel caso in esame invece alcuna motivazione risulta fornita dal giudice di appello sulla riduzione per il rito delle pene applicate in continuazione esterna così che la questione deve essere rimessa al giudice del rinvio con annullamento della sentenza sul punto, declaratoria di inammissibilità del ricorso nel resto ed irrevocabilità dell'affermazione di responsabilità.

8. Manifestamente infondati appaiono entrambi i motivi del ricorso avanzato nell'interesse del L.L., ritenuto colpevole del reato di cui al capo n.29); quanto al primo motivo, che lamenta violazione dell'art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all'affermazione di responsabilità, va rammentato che il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, Rv. 203428); esame nel caso di specie esattamente compiuto dai giudici di appello che, con valutazioni complete e del tutto prive delle lamentate illogicità, hanno sottolineato come, dagli atti utilizzabili nel presente rito abbreviato, il L.L. sia stato individuato quale soggetto partecipe dell'acquisto di una partita di ben 2 kg. di cocaina proveniente dall'Olanda (p. 228), avendo lo stesso fornito l'auto utilizzata per il trasporto ed essendo incaricato di custodire il denaro destinato al pagamento.

Pertanto, le censure riproposte con il primo motivo di ricorso, vanno ritenute null'altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva.

Manifestamente infondato è anche il secondo motivo posto che il rigetto della possibilità di qualificare i fatti ex comma quinto dell'art. 73 D.P.R. 309/90 è stata ricollegata ad un dato quantitativo certamente di particolare rilievo; in tal modo il giudice di appello ha fatto applicazione del principio giurisprudenziale secondo cui l'ipotesi lieve può essere esclusa anche quando uno solo dei riferimenti oggettivi e soggettivi del citato art. 73 lo escluda.

Alla declaratoria di inammissibilità consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 3.000,00.

9. Fondato appare il ricorso avanzato nell'interesse di M.M. che ha dedotto violazione dell'art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. quanto all'omesso riconoscimento della continuazione esterna tra i reati in materia di art. 73 D.P.R. 309/90 giudicati nel presente procedimento (capi 44-45) e quelli oggetto della sentenza n. 276 del 2015 del Tribunale di Chieti. La corte di appello, con le argomentazioni esposte a pagina 227, ha fatto solo generico riferimento a plurimi aspetti del fatto (data e luogo di consumazione) per escludere la possibilità di ritenere l'unicità del disegno criminoso senza però precisare in alcun modo sia le differenti date di consumazione degli episodi criminosi e la cesura temporale che impedirebbe l'applicazione della disciplina dettata dall'art. 81 cpv cod. pen., sia gli esatti luoghi di consumazione, la cui rilevante distanza escluderebbe anch'essa l'applicazione dell'istituto. A fronte di tali statuizioni il ricorso prospetta invece la sussistenza di plurimi elementi in conflitto con tale valutazione; ne consegue l'annullamento della sentenza sul punto con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Bari per la nuova valutazione della doglianza con declaratoria di irrevocabilità dell'affermazione di responsabilità.

10. Manifestamente infondato appare l'unico motivo di ricorso avanzato nell'interesse di A.A.A. in ordine alla determinazione della pena ed agli aumenti per continuazione, stabiliti nella sentenza impugnata nella misura di anni 3 di reclusione, con precisa specificazione delle ragioni di fatto poste a fondamento della statuizione. Al proposito deve essere ricordato come la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione. (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, (dep. 04/02/2014) Rv. 259142 - 01).

Alla declaratoria di inammissibilità consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 3.000,00.

11. I primi motivi dei ricorsi degli avv.ti Quarta e Mastrangelo nell'interesse di Y.Y. svolgono doglianze che hanno trovato integrale risposta nei punti da 1 ad 1.5 della presente motivazione cui si rinvia e ciò sia per la capacità intimidatrice del gruppo mafioso di appartenenza del ricorrente (Omissis) che con riferimento alle illecite finalità perseguite dallo stesso, che è bene ricordare è risultato attivo non soltanto nel settore degli stupefacenti ma anche in molteplici attività estorsive e di controllo mafioso del territorio per acquisire vantaggi ingiusti.

Quanto all'ultimo motivo del ricorso avv.to Mastrangelo, relativo all'omessa concessione delle attenuanti generiche ed alla determinazione della pena, trattasi di statuizioni del tutto prive dei lamentati vizi e non censurabili in sede di legittimità avendo il giudice di appello con i precisi argomenti esposti a pagina 136 sottolineato il ruolo direttivo assunto dal ricorrente all'interno della compagine criminale, oltre che il numero e gravità dei delitti commessi.

Alla declaratoria di inammissibilità consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 3.000,00.

12. Il motivo del ricorso avanzato dagli avv.ti Massimo Roberto Chiusolo e Luigi Marinelli nell'interesse di V.V., e con il quale si lamenta violazione dell'art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in ordine alla sussistenza del reato di associazione mafiosa (gruppo (Omissis)) di cui al capo n. 104) ed all'aggravante ex art. 416-bis 1 cod. pen. per i delitti fine, trova integrale risposta ai punti 1.-1.6 della motivazione cui integralmente si rinvia in ordine alla natura mafiosa del gruppo ed alla agevolazione della compagine, perseguita con la consumazione dei del itti -scopo. Al rigetto del ricorso segue la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.

13. Il ricorso avanzato dall'avv.to Mastrangelo per H.H. e che deduce vizi della sentenza impugnata quanto alla ritenuta sussistenza dell'aggravante di mafia pur a fronte dell'assoluzione dal reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., reitera doglianze già affrontate ed adeguatamente risolte dal giudice di appello; la corte di appello di Bari, con la motivazione esposta a pagina 143 della sentenza, ha esposto come la cessione continuata di droga da parte dell'organizzazione cui apparteneva l'imputato fosse effettuata con l'utilizzo del metodo mafioso, consistito nella imposizione dei fornitori agli spacciatori e che detta attività organizzata era anche finalizzata a finanziare il gruppo mafioso del E.E.E.. Trattasi di argomenti specifici, che richiamano precise emergenze istruttorie valorizzate dai giudici di merito e che danno conto della sussistenza dell'aggravante sotto entrambi i profili senza che rilievo decisivo possa assumere l'assoluzione dal reato di cui all'art. 416-bis cod. pen.

Anche il secondo motivo che deduce violazione di legge in ordine alla mancata prevalenza delle attenuanti generiche ed alla determinazione della pena base in misura superiore ai minimi edittali è manifestamente infondato avendo, il giudice di appello, a pag. 144 esposto le ragioni per le quali escludere la prevalenza e stabilire la pena base.

Alla declaratoria di inammissibilità consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 3.000,00.

14. Manifestamente infondato è il ricorso avanzato nell'interesse di G.G. con cui si lamenta mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenuta responsabilità dell'imputato per il delitto di cui all'art. 2 L. 895 del 1967 posto che, l'impugnata pronuncia di appello, con gli ampi e specifici riferimenti contenuti alle pagine 234235 ha esposto gli elementi sulla base dei quali affermare che gli ordigni esplosivi sequestrati allo P.P.P. erano di pertinenza proprio del G.G. Pertanto, le censure riproposte con il. presente ricorso, vanno ritenute null'altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva.

Anche le doglianze in punto determinazione della pena sono manifestamente infondate posto che a fronte di una sanzione irrogata in misura certamente assai ridotta, la corte di appello ha sottolineato la gravità dei fatti commessi e la negativa personalità dell'imputato già gravato da precedenti per fatti specifici.

Alla declaratoria di inammissibilità consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 3.000,00.

15. Infondato appare il primo motivo avanzato nel ricorso avv.ti Quaranta e Vannetiello nell'interesse di N.N. e con il quale si deduce violazione di legge e travisamento della prova; l'impugnata pronuncia, appare avere fatto corretta applicazione del principio più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità e secondo cui ai fini dell'integrazione del concorso di persone nel reato di estorsione è sufficiente la coscienza e volontà di contribuire, con il proprio comportamento, al raggiungimento dello scopo perseguito da colui che esercita la pretesa illecita; ne consegue che anche l'intermediario, nelle trattative per la determinazione della somma estorta, risponde del reato di concorso in estorsione, salvo che il suo intervento abbia avuto la sola finalità di perseguire l'interesse della vittima e sia stato dettato da motivi di solidarietà umana (Sez. 2, n. 6824 del 18/01/2017, Rv. 269117 - 01; Sez. 2, n. 37896 del 20/07/2017, Rv. 270723 - 01). Nel caso in esame, i giudici di merito, con doppia valutazione conforme, hanno escluso che l'intervento del ricorrente fosse avvenuto per motivi di sola solidarietà umana nei confronti della vittima dell'estorsione, il parente I.I.I., sottolineando plurimi elementi di riscontro alle dichiarazioni della stessa p.o. costituiti dagli accertati rapporti del ricorrente sia con il E.E.E., capo del clan che commetteva il delitto, e con altri esponenti del medesimo gruppo mafioso pure coinvolti nei fatti, quali O.O. e F.F. A fronte di tale conforme ricostruzione, deve pertanto ricordarsi che in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell'elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del "devolutum" in caso di cosiddetta "doppia conforme" e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758). E nel caso in esame, la sussistenza di plurime relazioni tra l'imputato ed i coautori del fatto, esclude la sussistenza dell'avvenuto travisamento delle dichiarazioni della p.o. che il ricorso pure deduce sicché il profilo di chi abbia assunto l'iniziativa di contattare il ricorrente non appare in alcun modo decisivo. Deve anzi essere ribadito che nelle dinamiche criminali organizzate è frequente attendere che sia la stessa vittima dei danneggiamenti e delle richieste estorsive ad individuare il canale di collegamento con gli autori del fatto illecito, senza però che tale iniziativa venga a mutare la qualificazione giuridica della condotta dell'intermediario, molte volte anche legato da rapporti di parentela od amicali con la stessa vittima, poiché l'intervento dello stesso nel sollecitare con la propria condotta il pagamento delle somme, nel fungere da anello di congiungimento tra i criminali mafiosi e la vittima del pizzo, finisce per contribuire materialmente e moralmente alla consumazione dell'episodio illecito, sia trasferendo le informazioni riservate dall'uno agli altri sia rafforzando il proposito criminoso di quelli.

Così che proprio tali considerazioni escludono ogni rilevanza al rilievo contenuto in ricorso e secondo cui gli 8 contatti telefonici tra l'imputato e la p.o. erano sempre avvenuti ad esclusiva iniziativa della vittima che aveva più volte sollecitato l'intervento mediatore dell'imputato, poiché, come sottolineato dalla corte di appello, era proprio il ricorrente che segnalava la gravità della richiesta estorsiva ed i rischi connessi al resistere alla stessa (p. 162), contribuendo così al rafforzamento del proposito intimidatorio.

15.1 Quanto al secondo motivo, in punto di omessa motivazione in relazione all'aggravante di cui all'art. 416-bis 1 cod. pen., va ricordato come sia stato affermato che in tema di estorsione, è configurabile l'aggravante del metodo mafioso anche a fronte di un messaggio intimidatorio "silente", in quanto privo di un'esplicita richiesta, nel caso in cui la consorteria abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l'avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti violenti o minacciosi (Sez. 2, n. 51324 del 18/10/2023, Rv. 285669 - 01); nel caso di specie la sentenza impugnata ricollega la sussistenza della fattispecie aggravata proprio al metodo posto in essere dalla compagine criminale (p.163) ed alla agevolazione, riconosciuta in ragione della provenienza della richiesta di pagamento dallo stesso gruppo mafioso, che vedeva così realizzato il progetto di controllo delle attività economiche, costituente una delle tipiche manifestazioni della mafiosità dell'azione delittuosa. Al proposito, infatti, va sottolineato come, costituendo il controllo delle attività economiche una delle manifestazioni tipiche dell'agire dell'associazione mafiosa, indicato quale elemento oggettivo dal terzo comma dell'art. 416-bis cod. pen., ogni richiesta estorsiva rivolta dalle organizzazioni ad operatori economici, siano essi commerciali ovvero produttori di beni o fornitori "- di servizi, diretta ad ottenere somme di denaro per "autorizzare" la prosecuzione delle attività, in quanto tipica manifestazione di controllo del territorio è sempre effettuata sfruttando il metodo e favorendo l'agevolazione dell'associazione stessa. Ed anche l'intermediario che si trovi a collegare la richiesta estorsiva del gruppo criminale alla vittima, in quanto consapevole delle ragioni di tale richiesta di pagamento del "pizzo", avente causa nel controllo delle attività economiche su una determinata area, deve rispondere del fatto aggravato, avendone condiviso il metodo e favorito proprio quella determinata organizzazione. Deve pertanto ribadirsi che ove l'intermediario dell'estorsione sia consapevole che la richiesta di pagamento viene effettuata all'indirizzo di un operatore commerciale per "permettergli" di continuare ad operare indisturbato od anche per lavorare con la protezione del gruppo mafioso, lo stesso risponde del fatto aggravato ex art. 416-bis 1 cod. pen.

Infine, priva di fondamento appare la doglianza in punto trattamento sanzionatorio, posto che, la corte di appello, ha già spiegato come la bassissima pena inflitta (anni 2 di reclusione) sia più che giustificata in ragione della gravità dei fatti e della negativa personalità dell'imputato.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

16. Il primo motivo del ricorso avanzato dall'avv.to Iafelice, nell'interesse di O.O., con il quale si deduce violazione dell'articolo 606 lettere b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all'articolo 416-bis codice penale, sotto il profilo della prova della piena partecipazione del O.O. all'associazione mafiosa di cui al capo 105) costituita dal clan (Omissis), trova integrale risposta ai punti da 1. ad 1.4 della presente motivazione cui si rinvia. Si è già spiegato come l'affermazione della mafiosità del clan trovi fondamento sia nell'accertato coinvolgimento nello stesso del pregiudicato mafioso E.E.E., soggetto già definitivamente condannato proprio per il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen., sia nella ripetuta manifestazione da parte dei componenti del gruppo criminali di attività intimidatorie nel territorio di S, dirette ad assicurarsi anche il controllo delle attività economiche illecite.

Sul primo motivo va poi aggiunto che i giudici di merito hanno anche sottolineato quelle specifiche condotte poste in essere dal O.O. e significative della sua piena partecipazione punibile; con le osservazioni svolte alle pagine 144-147 della sentenza impugnata, la corte di appello, ha esposto il coinvolgimento del O.O. in attività dirette a conseguire gli scopi tipici dell'associazione mafiosa ed in particolare in una serie di reati-fine del gruppo criminale. In particolare, il giudice di secondo grado, ha fatto riferimento a quei reati ammessi dallo stesso ricorrente e costituiti da diffuse attività estorsive in danno sia di soggetti dediti allo spaccio, cui veniva imposto il rifornimento dal gruppo (Omissis), sia di operatori commerciali quali il macellaio I.I.I., dagli attentati con esplosione di colpi di arma da sparo, dal possesso di armi di provenienza illecita. Può pertanto ritenersi che la corte di appello ha fatto corretta applicazione dei principi stabiliti dalle Sezioni Unite imp. Modaffari (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Rv. 281889 - 01) nella parte in cui hanno affermato che sono indice di partecipazione punibile ex art. 416-bis cod. pen. tutte le condotte dalle quali potere desumere che l'affiliato abbia preso parte attiva al fenomeno associativo ovvero che abbia fornito un qualsivoglia "apporto concreto", sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell'associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell'inserimento attivo con carattere di stabilità; parte attiva al fenomeno associativo che correttamente veniva desunta dal coinvolgimento nei reti fine dell'associazione che, ben lungi dall'essere rimasti a livello di programmazione o mero tentativo, manifestavano già il potere intimidatorio esercitato sulla cittadina di S.

Le suddette emergenze valorizzate con doppia valutazione conforme dai giudici di merito, escludono fondatezza anche al secondo motivo proposto in relazione all'aggravante di mafia, che si contesta sotto i profili della violazione di legge e del difetto di motivazione, posto che la corte di appello non ha pretermesso il tema ma lo ha specificamente affrontato e risolto con gli argomenti esposti a pagina 148, ove vengono segnalati quegli elementi di fatto per ritenere che i delitti fine siano proprio stati posti in essere sia con metodo mafioso, tramite l'esplosione di colpi di arma da fuoco all'indirizzo delle vittime, ovvero con l'imposizione di regole proprie del clan agli spacciatori cui veniva imposto il pagamento di percentuali, nonché al fine oggettivo di agevolare il finanziamento dell'associazione medesima.

Alla declaratoria di inammissibilità consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 3.000,00.

17. Quanto al primo motivo del ricorso avv.to Finocchietti nell'interesse di Z.Z., con cui si lamenta violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del delitto associativo finalizzato al traffico di sostanza stupefacente, la doglianza appare scontrarsi con le diffuse argomentazioni esposte con doppia valutazione conforme dalle pronunce di primo e secondo grado oltre che con la valenza della definitività della pronuncia in ordine alla fattispecie di cui all'art. 74 D.P.R. 309/90 nei confronti di numerosi coimputati. A sostegno della tesi della sussistenza della fattispecie associativa, la corte di appello, ha richiamato gli elementi già esposti dal giudice di primo grado alle pagine 16 e seguenti, ove si sottolineava come il gruppo diretto da R.R. aveva creato dei canali per l'approvvigionamento di rilevanti partite di stupefacente sia in Italia che all'estero, circostanza confermata dai rilevanti sequestri poi effettuati, per poi rivenderla a terzi; in tale contesto si era provveduto alla predisposizione di risorse finanziarie ed altri mezzi utilizzati per gli acquisti nonché alla ripartizione dei compiti tra i vari associati, con individuazione dei soggetti dediti al trasporto e di quelli incaricati della successiva rivendita della droga.

Gli elementi ricavati dalle intercettazioni, permettevano anche di ricavare l'utilizzazione da parte del suddetto gruppo di disturbatori di frequenza destinati ad impedire le intercettazioni, oggetti questi, che, per la loro particolare funzionalità, costituiscono strumenti tipici di fazioni organizzate e stabilmente dedite al commercio di stupefacenti. Inoltre, agli elementi ricavati dalle intercettazioni e dai ripetuti sequestri di droga, il giudice di primo grado collegava quelli desunti dalle dichiarazioni del collaboratore J.J.J., il quale riferiva proprio di avere operato in collegamento con il gruppo (Omissis). Esclusa, quindi, qualsiasi fondatezza alla doglianza in punto sussistenza dell'associazione, corrette appaiono poi le conclusioni dei giudici di merito anche in relazione alla specifica partecipazione del Z.Z., nei cui confronti certamente milita quale elemento di particolare pregnanza e significatività l'arresto del marzo 2016 perché rinvenuto in possesso di droga e ben 3 fucili mitragliatori marca kalashnikov. Alle pagine 365 e seguenti della sentenza di primo grado, richiamata dal giudice di appello, il G.I.P. barese espone le conversazioni dalle quali emergono i commenti dei (Omissis) all'arresto del Z.Z., le intenzioni di sostenere economicamente lo stesso, ed altri elementi significativi del pieno coinvolgimento del predetto nella compagine associativa di cui al capo n. 1). A fronte di tali elementi, già dimostrativi del pieno coinvolgimento del ricorrente nella compagine associativa, il giudice di primo grado segnalava anche il contenuto accusatorio dalle dichiarazioni del J.J.J. che inseriva Z.Z. nel gruppo del R.R. dedito stabilmente alle attività illecite in materia di sostanze stupefacenti.

17.1 II secondo motivo propone una lettura alternativa di elementi di prova interpretati dai giudici di merito in assenza di qualsiasi illogicità, tanto più manifesta, non consentita in sede di legittimità; accertato il ruolo del Z.Z. alla luce dei dati inequivocabili risultanti dal suo arresto, verificate le dichiarazioni del collaboratore J.J.J. sul suo inserimento nell'associazione dedita al traffico, correttamente la corte di appello sottolineava l'inequivocabile valenza della conversazione dell'8 marzo 2016 dalla quale desumeva il ruolo di custode della droga poi sequestrata (oltre 800 gr. di cocaina) del ricorrente.

Infine, manifestamente infondati appaiono i motivi in punto determinazione della pena ed aumenti per continuazione posto che il giudice di merito li ha correttamente giustificati in ragione della particolare gravità dei fatti e della capacità a delinquere del reo, con valutazioni prive di qualsiasi vizio.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

18. Il primo motivo del ricorso avv.to Massimo Roberto Chiusolo nell'interesse di X.X., condannato per i reati di cui ai capi 1), 19), 2.5), 33), 34), 35), 80) e 104) della rubrica, e con il quale si deduce violazione di legge e difetto di motivazione in ordine al reato di associazione mafiosa (gruppo (Omissis) di cui al capo n. 104) ed all'aggravante ex art. 416-bis 1 cod. pen., trova integrale risposta ai punti da 1. ad 1.6 della presente motivazione cui si rinvia; si è già ripetutamente esposto come il gruppo (Omissis), al cui interno militava anche il X.X., avesse raggiunto sufficiente capacità intimidatoria all'interno del territorio di S ampiamente comprovata dalle modalità esecutive dei delitti fine oltre che dall'esecuzione di fatti di sangue nella stessa area territoriale. In tale contesto, la pronuncia di appello, segnala alle pagine 207-208 gli elementi a carico dell'imputato, espressamente qualificato con doppia° valutazione conforme quale componente del gruppo, circostanza questa ritenuta correttamente dimostrata dal suo coinvolgimento nei delitti fine in materia estorsiva e di armi e dalle dichiarazioni convergenti del J.J.J.

18.1 Fondate appaiono invece le doglianze in punto determinazione della pena, pure avanzate nel ricorso dell'avv.to Chiusolo; la corte di appello, con le argomentazioni esposte a pagina 208 dell'impugnata pronuncia, appare essere incorsa in plurimi errori avendo, innanzi tutto, disposto un aumento della pena con riferimento ad un articolo di legge inesistente (art. 64 comma 4 cod. pen.), senza che detto riferimento possa intendersi quale errore materiale non inficiante la nullità parziale della pronuncia perché invece riferibile alla aggravante di cui all'art.

74 comma 4 D.P.R. 309/90 pure contestata. Ed invero, come correttamente segnalato dal ricorso del difensore, un aumento per l'aggravante dell'essere l'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti di natura armata, deve essere escluso avendo il giudice di appello ribadito poco prima il giudizio di bilanciamento tra attenuanti ed aggravanti nei termini dell'equivalenza. Così che una volta stabilita l'equivalenza tra le attenuanti generiche e le aggravanti, il giudice di seconde cure non poteva aumentare la pena per una delle suddette aggravanti già bilanciate, non sussistendo peraltro alcun divieto di bilanciamento per l'aggravante di cui all'art. 74 comma 4 D.P.R. 309/90. Ne consegue che tali valutazioni dovranno essere riviste in sede di nuovo giudizio al fine di valutare i motivi di appello originariamente proposti sul punto.

Ne consegue l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di X.X., limitatamente al trattamento sanzionatorio, con declaratoria di inammissibilità del ricorso nel resto e di irrevocabilità dell'affermazione di responsabilità.

19. Il ricorso avanzato nell'interesse di S.S., condannato per i reati di cui al capo 104) della rubrica e per numerosi fatti di traffico di stupefacenti aggravati ex art. 416bisl cod. pen., e con il quale si lamenta violazione dell'art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in ordine al ritenuto reato di associazione mafiosa quale partecipe del c.d. gruppo (Omissis) di cui al capo n. 104) ed all'aggravante ex art. 416-bis 1 cod. pen. per i reati fine, trova integrale risposta ai punti da 1. ad 1.6 della presente motivazione cui integralmente si rinvia. Si è già esposto come il gruppo mafioso potesse contare sulla fama criminale del capo R.R., già definitivamente condannato per il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen. ed altresì che le attività di esteriorizzazione del metodo mafioso attraverso attentati ed altri delitti fine fossero già state poste in essere e non siano rimaste a livello solo potenziale, come sostenuto dal ricorso.

Al rigetto del ricorso segue la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.

20. Infondato appare il primo motivo del ricorso avanzato nell'interesse di Q.Q., ritenuto colpevole dei delitti di cui ai capi 60) e 105) della rubrica, e con il quale si deduce violazione di legge e difetto di motivazione della impugnata sentenza di appello nella parte in cui ha escluso l'esistenza del bis in idem con i fatti separatamente giudicati di ricettazione, detenzione illecita di armi e detenzione illecita di 721 piante di marijuana a carico del medesimo ricorrente; con le precise osservazioni svolte a pagina 159, il giudice di appello, ha già spiegato come alcuna ipotesi di duplicazione di giudizi per i medesimi fatti possa sussistere tra le condotte per le quali è già intervenuta condanna (ricettazione e detenzione dell'arma), ed il concorso del ricorrente nell'attività estorsiva posta in essere ai danni di I.I.I.

Ed invero, la corte di appello, segnalata la diversità dei beni giuridici tutelati dalla differenti fattispecie incriminatrici, ha poi sottolineato come il concorso del Q.Q. nella condotta estorsiva, si ricavi da alcune conversazioni intercettate dalle quali emergeva la consapevolezza dello stesso di fornire l'auto e le armi destinate ad essere utilizzate in danno della vittima. Così che correttamente si affermava il concorso di reati trattandosi di frazione di condotta ulteriore ed estranea ad i fatti già giudicati.

Analogamente il collegio di appello negava l'ipotesi del bis in idem in relazione al possesso del rilevante quantitativo di droga, utilizzato anche quale uno degli elementi significativi del coinvolgimento del ricorrente nelle attività dell'organizzazione dedita al traffico di stupefacente. Il giudice di secondo grado, ha ricostruito il ruolo svolto dall'imputato all'interno del gruppo criminale dedito al traffico illecito ed ha anche sottolineato ulteriori fattori, quali il suo sostentamento in carcere dopo l'arresto in flagranza, significativi dell'affectio societatis così che anche sotto tale profilo l'impugnata sentenza appare esente da censure posto che il coinvolgimento del Q.Q. nell'associazione è stato affidato ad altre e diverse condotte rispetto al solo possesso di quella partita di marijuana per il quale era stato separatamente giudicato.

20.1 Le considerazioni svolte dal giudice di appello in ordine agli elementi strutturali della fattispecie associativa, escludono fondatezza anche al secondo motivo che lamenta il difetto di motivazione in ordine all'ipotesi di cui all'art. 74 D.P.R. 309/90. Ben lungi dall'avere ricollegato la partecipazione punibile al solo possesso delle piante di marijuana, il collegio di appello, con valutazione conforme a quella operata all'esito del primo grado di giudizio, ha ritenuto che sulla base delle conversazioni intercettate e degli acclarati rapporti tra il Q.Q. e gli altri componenti il gruppo (Omissis), il ricorrente avesse assunto un ben preciso ruolo all'interno della compagine dedita al traffico illecito di droghe.

Analogamente deve concludersi quanto all'affermato concorso nel reato di tentata estorsione pluriaggravata posto che, come già osservato al punto 20., i giudici di appello hanno desunto il pieno concorso del Q.Q. nei fatti sulla base del a piena consapevolezza dimostrata dallo stesso nel corso dei colloqui intercettati circa la finalità dell'azione che i correi stavano ponendo in essere. Anche su tale punto pertanto il ricorso appare infondato (terzo motivo).

Infine, in relazione alla circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis 1 cod. pen. contestata con l'ultimo motivo in relazione alla fattispecie estorsiva, ed oggetto di un generico motivo di appello, la sentenza segnala il suo riconoscimento anche con riguardo all'ipotesi di cui all'art. 74 D.P.R. 309/90 che non risulta oggetto di contestazione. In ogni caso non assume rilievo decisivo l'assoluzione dell'imputato dall'ipotesi di all'art. 416-bis cod. pen. poiché, per interpretazione giurisprudenziale delle Sezioni Unite, la circostanza aggravante dell'aver agito al fine di agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, (dep. 03/03/2020) Rv. 278734 - 01).

Peraltro, va anche ricordato come, in relazione al profilo del metodo mafioso, pure oggetto di contestazione, sia stato ritenuto che la circostanza aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso, prevista dall'art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, non presuppone necessariamente l'esistenza di un'associazione ex art. 416-bis, cod. pen., essendo sufficiente, ai fini della sua configurazione, il ricorso a modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell'agire mafioso; essa è pertanto configurabile con riferimento ai reati-fine commessi nell'ambito di un'associazione criminale comune, nonché nel caso di reati posti in essere da soggetti estranei al reato associativo (Sez. 6, n. 41772 del 13/06/2017, Rv. 271103 - 01). E correttamente i giudici di merito ne affermavano la sussistenza in correlazione con le particolari modalità esecutive del fatto estorsivo che rendevano anche l'extraneus consapevole dello sfruttamento del metodo da parte dei correi.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.

21. Il primo motivo del ricorso avv.to Luigi Marinelli, nell'interesse di P.P., contesta violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla sussistenza dell'associazione mafiosa di cui al capo n. 104) ed alla partecipazione alla stessa del ricorrente. Orbene, sotto il profilo della sussistenza di un'associazione punibile ex art. 416-bis cod. pen. ravvisabile nel gruppo c.d. (Omissis), valgono e si richiamano le argomentazioni esposte ai punti da 1 ad 1.4 della presente motivazione cui integralmente si rinvia.

Quanto, invece, agli argomenti esposti in relazione al travisamento delle prove ed alla contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al ritenuto inserimento del P.P. in detta compagine riconducibile ai (Omissis), la corte di appello di Bari, con valutazione conforme a quella del giudice di primo grado, ha valorizzato gli elementi desumibili dal coinvolgimento del ricorrente e nel traffico di sostanze stupefacenti e nelle attività estorsive, nelle quali concorreva unitamente a R.R., vertice dell'associazione. Può pertanto ritenersi che il giudice di secondo grado ha fatto corretta applicazione dei principi stabiliti dalle Sezioni Unite imp. Modaffari (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Rv. 281889 - 01) nella parte in cui hanno affermato che sono indice di partecipazione punibile ex art. 416-bis cod. pen. tutte le condotte dalle quali potere desumere che l'affiliato abbia preso parte attiva al fenomeno associativo ovvero che abbia fornito un qualsivoglia "apporto concreto", sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell'associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell'inserimento attivo con carattere di stabilità. Apporto individuato sia nelle attività di traffico di stupefacente che nel concorso nei fatti estorsivi, così che, per la pluralità delle attività illecite e per la diversificazione delle stesse, esente da vizi appare il giudizio di coinvolgimento del ricorrente nelle attività del gruppo mafioso.

In ordine, poi, alla dedotta inattendibilità intrinseca del collaboratore J.J.J., il giudice di appello, con le argomentazioni esposte alle pagine 116 e seguenti, ha confutato detti argomenti, avendo ricostruito il contesto nel quale avveniva la scelta collaborativa del suddetto, evidenziando come lo stesso si fosse autoaccusato di avere gestito numerosi affari illeciti con lo zio K.K.K., poco prima ucciso brutalmente in un agguato, chiarendo così di avere forte timore per la propria incolumità e fornendo pertanto ampia giustificazione del proprio operato.

Dette conclusioni, appaiono confermate dalle considerazioni svolte dalla sentenza di primo grado, che, in caso di doppia conforme costituisce un unico apparato argomentativo, in ordine alle attività ed ai ruoli del P.P.; con le osservazioni svolte alle pagine 194 e seguenti, il G.I.P. di Bari, ha segnalato come il ricorrente fosse soggetto in ripetuto contatto con R.R. e T.T., partecipe della suddivisione degli utili provento dei traffici di droga, appartenente al c.d. secondo anello e cioè a coloro che si rifornivano dai (Omissis) per poi spacciare la droga, indicato quale dedito a tale attività anche dal collaboratore M.M.M.. Inoltre, la pronuncia di primo grado, riporta (alle pagine 200 e segg.) la conversazione tra R.R. ed il P.P. relativa alla estorsione F.F.F. e dalla quale ricava il coinvolgimento del ricorrente nei piani criminali del gruppo, con valutazione che appare esente dalle lamentate censure; alle pagine 209 e seguenti ancora la pronuncia del G.I.P. riporta una serie di convergenti conversazioni intercettate con il R.R. dalle quali emerge che il P.P. è impegnato nella programmazione di azioni di sangue ai danni dei rivali del gruppo, tra le quali anche l'eliminazione del R.R.R., poi effettivamente ucciso, ovvero in danno del Y.Y. e del A.A.A., quest'ultimo poi risultato oggetto di tentato omicidio. Ancora nella conversazione riportata, il P.P. fa riferimento a dinamiche di scontro tra diverse fazioni (p.211 sentenza GIP), al possesso di un'autovettura rubata e ad altre possibili eliminazioni di avversari.

Orbene, proprio alla luce dell'inequivocabile contenuto di dette conversazioni intercettate e riportate dalla pronuncia di primo grado, deve ritenersi che il giudizio di merito abbia dimostrato l'inequivocabile inserimento del ricorrente anche nell'associazione capeggiata da R.R., con il quale P.P. si è ritrovato a colloquiare di dinamiche criminali e progetti di eliminazione e soppressione degli avversari. Il coinvolgimento nelle attività del gruppo mafioso e l'intraneità allo stesso è pertanto proprio dimostrata dalle stesse frasi riferite direttamente dal ricorrente, con le quali ha dimostrato l'aderenza ai progetti criminali del gruppo e la presenza dell'affectio societatis.

21.1 Quanto agli altri motivi:

- il coinvolgimento nelle attività estorsive ai danni del F.F.F., che il ricorso contesta al secondo motivo, trova fondamento nella valutazione conforme dei giudici di merito nella conversazione del 29 marzo 2016 con R.R. (p. 216 motivazione di appello) e nel corso della quale i due progettano le azioni delittuose da portare a termine in danno della vittima, spingendosi il P.P. a prevedere un agguato sanguinoso ai danni della stessa; appare, pertanto, evidente che l'affermata responsabilità per detti reati sia stata fondata sul concorso morale del ricorrente nella programmazione di quegli episodi poi effettivamente portati a termine mediante l'esplosione di colpi di arma da sparo all'indirizzo dell'abitazione del F.F.F. e della spedizione di diversi messaggi fortemente intimidatori finalizzati a procurarsi un ingiusto profitto;

- la descrizione del coinvolgimento del P.P. nelle attività dell'associazione unitamente al rilevante grado di compenetrazione nel gruppo (Omissis), dimostrato dalla programmazione dei gravi fatti in danno del F.F.F., hanno correttamente ritenuto dimostrata la sussistenza del metodo e dell'agevolazione mafiosa;

- manifestamente infondate appaiono le doglianze in punto determinazione della pena e giudizio di bilanciamento, avendo, la corte di appello, fatto riferimento (p. 218) alla riduzione della pena base per la concessione delle generiche (da anni 10 ad anni 8) ed alla irrogazione della stessa in termini prossimi ai minimi assoluti con aumenti ridotti per i gravi fatti in continuazione. Al rigetto del ricorso segue la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.

22. Il primo motivo del ricorso avv.to Censano nell'interesse di K.K. deduce, sotto molteplici profili, erronea applicazione delle norme penali e violazione di legge con riferimento all'articolo 416-bis codice penale nonché travisamento degli atti e comunque carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione di appello, sotto il profilo della insussistenza dell'associazione di stampo mafioso di cui al capo di imputazione n. 105) c.d. gruppo (Omissis); il motivo, tutto fondato sul difetto di capacità intimidatrice riferibile al sodalizio e sulla mancanza della esteriorizzazione della forza di intimidazione, ha già trovato risposta negativa nel punto 1.4 della presente motivazione cui integralmente si rinvia. Basta qui rammentare che il gruppo del E.E.E., che contrariamente a quanto assunto nel ricorso proposto nell'interesse del K.K., non contava esclusivamente sulla figura dell'omonimo capo bensì anche sul coinvolgimento nelle attività illecite del Y.Y., del R.R.R., del K.K. e di altri adepti, è risultato coinvolto in molteplici attività estorsive ai danni sia dei soggetti abituali spacciatori nel territorio che di esercenti attività commerciali e di impresa.

In questo contesto, il suddetto gruppo, non ha mancato di minacciare di morte vari soggetti anche dediti ad attività illecite, tra cui K.K.K., cui faceva seguito l'eliminazione del predetto e di conseguenza, la collaborazione del J.J.J., proprio per il forte timore di essere anch'egli soppresso; tali dati sono già indicativi del forte carattere intimidatorio del gruppo e dell'avvenuta esteriorizzazione del metodo mafioso che non è certamente ascrivibile al solo E.E.E., come dimostrato dalle molteplici attività violente ed estorsive poste in essere da Y.Y. e R.R.R., quest'ultimo successivamente eliminato in un tipico agguato mafioso. Irrilevanti appaiono, pertanto, le considerazioni svolte nel ricorso K.K. circa l'insussistenza di rapporti con la mafia foggiana e le difformità emerse nel presente procedimento rispetto a quello c.d. day before, posto che, come già anticipato con valutazioni congiunte a tutti i ricorsi nei punti 1.3 ed 1.4 della presente motivazione, le motivazioni di primo e secondo grado hanno dato atto di come a seguito della sua scarcerazione il E.E.E. risulta avere aggregato attorno a se stesso una serie di soggetti con i quali poneva in essere una serie di azioni inequivocabilmente dirette ad assicurarsi il controllo degli affari illeciti nel territorio di S e ad imporre il proprio potere criminale. E proprio l'accertata consumazione di gravissimi fatti illeciti anche da parte di altri componenti di tale gruppo, come il Y.Y. ed il R.R.R., esclude ogni fondamento alla tesi difensiva dello sfruttamento di un metodo mafioso da parte del solo E.E.E., con esclusione della possibilità di configurare una compagine rientrante nei parametri di cui all'art. 416-bis cod. pen., avendo le pronunce di merito, dipinto una situazione di fatto in cui più membri del gruppo criminale erano attivi nei settori illeciti e ripetutamente coinvolti anche in gravi fatti di sangue, fatti, la .cui verificazione, già da sola manifesta l'esteriorizzazione del metodo mafioso. Anche sotto tale profilo pertanto la doglianza lungamente esposta nel primo motivo deve essere respinta.

22.1 Quanto al difetto di motivazione in relazione alla aggravante di cui all'art. 416-bis 1 cod. pen. per i delitti fine, che si contesta con il secondo motivo, la pronuncia di appello alle pagine 139-140 oltre a contenere la descrizione dei fatti, indica puntualmente come i due episodi estorsivi fossero stati commessi sia con metodo mafioso che al fine di agevolare l'organizzazione criminale facente capo al E.E.E., così che il lamentato vizio non appare sussistente. Peraltro, il giudice di appello, per entrambi gli episodi, fa proprio riferimento alle circostanze che denotavano il concorso nel K.K. nei fatti criminosi, senza che rilievi quale elemento discriminante l'avvenuta formulazione della pressione intimidatoria da parte del solo E.E.E., soggetto che si presentava quale capo del gruppo e già definitivamente condannato per 416-bis cod. pen., poiché va fatta applicazione dei principi che attribuiscono anche ai concorrenti consapevoli delle finalità dell'azione, l'aggravante dell'agevolazione oltre che quella del metodo.

22.2 Infondato appare, poi, il motivo in punto recidiva e ciò perché l'avvenuto riconoscimento della aggravante è fondata sui plurimi precedenti a carico dell'imputato, senza che risulti dalla consultazione del casellario giudiziale la circostanza dedotta dalla difesa dell'avvenuta estinzione di tutti i delitti per i quali risultava riportata condanna a seguito dell'affidamento in prova ai servizi sociali; ed invero, risulta invece, che alla data di consumazione dei fatti (2016) oggetto del presente giudizio, il K.K. aveva riportato le seguenti condanne:

- 2 luglio 2004 della Corte di Appello di Bari, irrevocabile il 6-10-2005, per ricettazione, detenzione illegale di armi, detenzione di armi clandestine (anni 1, mesi 4 di reclusione ed Euro 400,00 di multa) a pena che benché dichiarata condizionalmente sospesa e successivamente condonata va tenuta conto ai fini della recidiva;

- 19 gennaio 2005 della Corte di Appello di Bari, irrevocabile il 7-4-2005, per ricettazione e furto (mesi 6 di reclusione ed Euro 200,00 di multa) che benché successivamente condonata rileva ai fini della recidiva;

- 13 luglio 2007 del G.I.P. di Verona per furto e contraffazione (anni 2, mesi 10 di reclusione ed Euro 300,00 di multa) che benché applicata ex art. 444 cod. proc. pen. non comportava effetti estintivi stante la successiva consumazione di ulteriori delitti nel quinquennio;

- 19 novembre 2009 della Corte di Appello di Venezia, irrevocabile l'I febbraio 2011 per 416 e 625 cod. pen. (anni 5 e mesi 8 di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa).

Così che il successivo provvedimento di cumulo del 6 marzo 2014 del P.M. di Venezia, avente ad oggetto l'estinzione della pena detentiva residua per esito positivo dell'affidamento in prova, non comporta il venire meno degli effetti penali ai fini della recidiva di tutte le suddette condanne, avendo ad oggetto un calcolo di residuo pena (pari ad anni 2, mesi 3, giorni 28 ed Euro 877,48) effettuato detraendo tutte le sanzioni estinte per l'indulto delle quali però va tenuto conto ai fini della recidiva. Difatti, va ricordato che l'indulto, se estingue la pena e ne fa cessare l'esecuzione, non ha tuttavia efficacia ablativa rispetto agli altri effetti scaturenti dalla sentenza

di condanna, tra i quali rientra la recidiva, che può quindi essere contestata anche in relazione ai reati la cui pena, inflitta con precedenti sentenze definitive, sia stata condonata (Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015, Rv. 264629 - 01).

Il principio della limitazione degli effetti dell'affidamento in prova a seguito di cumulo delle pene da eseguire, risulta già affermato da diverse pronunce secondo cui in tema di misure alternative alla detenzione, in caso di cumulo "esecutivo" di più titoli di condanna a pene detentive e pecuniarie, l'effetto estintivo dell'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale si estende, qualora il condannato versi in disagiate condizioni economiche, esclusivamente alla pena pecuniaria irrogata con la pena detentiva oggetto della misura alternativa, e non già all'intera pena pecuniaria risultante dal cumulo (Sez. 1, n. 27343 del 17/05/2019, Rv. 275848 - 01). Ne consegue che anche nel caso in esame l'affidamento in prova con esito positivo a seguito del cumulo in fase esecutiva non può comportare il venire meno delle precedenti condanne a pene non cumulate ai fini del giudizio sulla recidiva.

Al rigetto del ricorso segue la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.

23. Il primo motivo del ricorso dell'avv.to Ettore Censano nell'interesse di R.R., con il quale si lamenta erronea applicazione e violazione di legge con riferimento all'articolo 416-bis codice penale, travisamento degli atti e comunque carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza del reato di associazione di tipo mafioso, è infondato per le ragioni esposte ai punti da 1 ad 1.5 della motivazione cui si rinvia. Le ricostruzioni operate dai giudici di merito, attraverso il riferimento ai plurimi fatti di sangue avvenuti nel territorio di S nel periodo oggetto di contestazione in danno di soggetti indicati quali obiettivi dallo stesso R.R. in alcune conversazioni intercettate, il rinvenimento di armi di micidiale potenza in possesso del suo gruppo, il sequestro di rilevanti partite di stupefacente oggetto di acquisto in Campania o dall'estero, la consumazione di gravi fatti di danneggiamento, mediante l'esplosione di colpi di arma da fuoco, ed estorsione nei confronti di esercenti attività commerciali, hanno correttamente portato all'affermazione dell'avvenuta esteriorizzazione del metodo mafioso da parte del gruppo criminale capeggiato dal ricorrente. A fronte di tali molteplici emergenze che danno atto dell'avvenuta diffusione del clima di forte intimidazione nei confronti della cittadinanza di S, costretta ad assistere ad una violenta guerra di mafia tra due fazioni rivali nella quale perivano diversi soggetti, correttamente il giudice di appello, con valutazione conforme a quella operata già in primo grado, ha ritenuto la sussistenza di un'associazione punibile ex art. 416-bis cod. pen. senza che possano valere ad escludere tale fattispecie la pronta denuncia delle vittime delle richieste estorsive ovvero la mancata contestazione in altri e separati procedimenti della aggravante di mafia. Peraltro, il ricorso, omette di considerare come il gruppo operante attorno a R.R., come osservato ai punti 1.2-1.4 della presente motivazione, lungi dall'operare quale fattispecie di "nuova mafia" a tutti gli effetti, fosse costituito da un soggetto, proprio l'odierno ricorrente, già condannato per

il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen, così che valgono quelle osservazioni svolte ai predetti punti cui pure si rinvia, in relazione alla fattispecie particolare del gruppo mafioso a soggettività differente, che trae il potere intimidatorio sia dalle nuove azioni criminose portate a termine nel territorio, sia, per gemmazione, dal coinvolgimento nello stesso di un soggetto già definitivamente condannato per il delitto di associazione mafiosa. Quarto alle doglianze in punto attendibilità intrinseca ed estrinseca dei collaboratori, va sottolineato come la corte di appello ed il giudice di primo grado, non abbiano omesso di valutare la credibilità del principale accusatore, il J.J.J., perché, pur in assenza di un autonomo paragrafo dedicato a tale tema, la motivazione di entrambe le pronunce ricostruisce la genesi della scelta di collaborare con la giustizia, individuata nel forte timore di essere eliminato dopo l'avvenuto omicidio dello zio K.K.K., e descrive, quindi, il contenuto delle dichiarazioni rese dallo stesso, risultate costanti, precise e confermate dalla costante corrispondenza dei soggetti riconosciuti nelle fotografie mostrate allo stesso. Parimenti effettuata appare la ricerca dei riscontri estrinseci, che la corte di appello individua negli imponenti esiti delle intercettazioni ambientali svolte in prevalenza all'interno dell'abitazione in P (Omissis) ove proprio R.R. scontava la pena in regime di semi-libertà e dall'analisi delle quali emerge la consumazione di numerose ipotesi delittuose in tema di commercio di stupefacenti, oltre che la programmazione anche di attentati sanguinari ai danni dei componenti gli altri schieramenti. Inoltre, la pronuncia di appello, non ha mancato di rilevare come la frase dal contenuto certamente significativo riferita in una conversazione intercettata proprio da R.R.: "il paese è nostro" trovasse riscontro proprio nelle molteplici attività delittuose, nelle chiare indicazioni provenienti dal collaboratore J.J.J., nell'accertato svolgimento del summit di mafiei con il E.E.E. per la distribuzione degli affari e delle sfere di competenza.

Gli argomenti esposti con il primo motivo vanno, pertanto, disattesi ed analogamente deve disporsi in relazione all'ultimo motivo in relazione alla aggravante di mafia che la corte di appello motiva in rapporto alla ricostruzione del quadro generale di operatività del gruppo e del ruolo di capo rivestito da R.R. (si veda al proposito il punto 1.6 della presente motivazione).

23.1 Quanto al secondo motivo, la corte di appello non ha omesso di confrontarsi con le doglianze in punto responsabilità per il delitto di cui all'art. 74 D.P.R. 309/90, avendo, alle pagine 192 e seguenti della sentenza impugnata, evidenziato come la responsabilità per tale ipotesi associativa trovi fondamento nella congerie di conversazioni intercettate dalle quali emergeva la° programmazione di numerosi episodi di traffico di droga, la spartizione dei proventi, l'assegnazione dei diversi ruoli ai vari componenti il gruppo, la predisposizione di mezzi e denaro; circostanze, queste, emerse in occasione della descrizione dei numerosi delitti fine in tema di droga ricostruiti nella sentenza di primo grado e rispetto ai quali i ricorrenti rinunciavano ai motivi di gravame, certamente confermati dai sequestri di rilevanti partite di droga anche a componenti del gruppo (Omissis).

Manifestamente infondato appare poi il motivo in punto trattamento sanzionatorio, determinato in primo grado in anni 18 di reclusione, che la corte di appello giustifica in ragione del descritto ruolo verticistico del R.R. in entrambe le compagini associative, in assenza di qualsiasi illogicità tanto più manifesta.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

24. L'avv.to Ettore Censano, con il primo motivo, ha dedotto nell'interesse di T.T. elementi del tutto analoghi a quelli già svolti nel ricorso R.R., quanto alla non configurabilità nel gruppo omonimo di un'associazione riconducibile ai parametri di cui all'art. 416-bis cod. pen.; basta, pertanto, richiamare quanto detto ai punti da 1. ad 1.5 e nella trattazione della posizione di R.R. per ritenere tale doglianza non fondata.

Quanto alle ulteriori doglianze sempre contenute nel primo motivo, e riferite al difetto di prova dell'inserimento del ricorrente nella suddetta associazione, benché estremamente succinte valgono le osservazioni svolte dalla corte di Bari alle pagine 202-203, ove si è sottolineato come l'imputato, figlio di R.R., fosse risultato presente in occasione delle deliberazioni più delicate assunte dal padre durante il periodo di semi-libertà a 45Pe.@, avesse direttamente partecipato al summit di mafia che vedeva coinvolti proprio R.R. ed il boss E.E.E., diretto alla spartizione delle sfere di influenza, fosse chiaramente indicato dallo steso R.R. ad alcuni suoi interlocutori che si erano recati a colloquio, come il soggetto di propria fiducia cui rivolgersi per qualsiasi problema in F o C e cioè un alter ego del capo stesso. Trattasi di motivazione che delinea tutti i caratteri della partecipazione punibile in capo a M.M.M. così che le argomentazioni difensive, tutte fondate su interpretazioni alternative del significato di altre conversazioni non colgono nel segno; al proposito va infatti ricordato come in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n.22471 del 26/2/2015, Rv.263715). Ancora si è affermato che in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez.2, n.35181, del 22/5/2013, Rv.257784). L'applicazione del suddetto principio deve portare ad escludere che, nella presente sede, il contenuto di quelle conversazioni, conformemente interpretato dai giudici di merito, possa essere sottoposto al sindacato di questa Corte nella prospettiva dedotta della lontananza od estraneità del figlio M.M.M. rispetto alle iniziative criminali del padre R.R., e ciò perché, l'esistenza di possibili contrasti sorti nel tempo ricavabili da altre conversazioni intercettate diverse da quelle valorizzate nelle pronunce di merito, non esclude comunque la partecipazione punibile e non espone la motivazione della sentenza impugnata al vizio di manifesta illogicità.

24.1 In relazione all'aggravante di mafia, la corte di appello non ha omesso la motivazione ritenendolo motivo rinunciato, come dedotto in ricorso, bensì, con gli argomenti esposti a pagina 202-203 della motivazione, ha sottolineato che il pieno coinvolgimento nelle due organizzazioni criminali, ed il ruolo svolto nell'associazione dedita al traffico di stupefacenti, dovessero fare ritenere il ricorrente certamente consapevole dell'agevolazione delle attività dell'organizzazione mafiosa. Al rigetto del ricorso segue la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.

25. Il primo motivo del ricorso dell'avv.to Cecilia D'Alessandro nell'interesse di U.U. che deduce violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di un'associazione di tipo mafioso nel clan facente capo a R.R. trova risposta nei punti da 1. ad 1.5 della presente motivazione e nella trattazione della posizione R.R. cui integralmente si rinvia.

25.1 Quanto al secondo motivo, che lamenta violazione di legge e difetto di motivazione circa la ritenuta sussistenza della partecipazione del ricorrente U.U. all'associazione mafiosa ex articolo 416-bis codice penale, la sentenza impugnata, con le osservazioni svolte a pagina 205, appare avere fatto corretta applicazione di quel principio stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte di cassazione (Sez. U, n. 35958 del 27/05/2021, Rv. 281889 - 01) nella parte in cui hanno affermato che sono indice di partecipazione punibile ex art. 416-bis cod. pen. tutte le condotte dalle quali potere desumere che l'affiliato abbia preso parte attiva al fenomeno associativo ovvero che abbia fornito un qualsivoglia "apporto concreto", sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell'associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell'inserimento attivo con carattere di stabilità; parte attiva al fenomeno associativo che correttamente veniva desunta dal coinvolgimento nei reati fine dell'associazione che, ben lungi dall'essere privi di valenza, ne assumevano certamente una particolare, poiché, l'accertata responsabilità per il possesso del micidiale arsenale composto anche da diverse armi da guerra e che dovevano essere utilizzate nel conflitto con le altre organizzazioni operanti in S, secondo le determinazione del capo R.R. parente del ricorrente, certamente colora di partecipazione punibile la condotta del U.U., peraltro stabilmente coinvolto anche nel traffico di stupefacenti come dimostrato dalla definitività dell'accertamento di responsabilità sul punto.

In relazione, poi, alla contestata valutazione di attendibilità intrinseca ed estrinseca del collaboratore J.J.J., premesso che nella parte motiva della pronuncia di appello le dichiarazioni dello stesso contro U.U. vengono appena accennate, va detto che i giudici di merito hanno scandagliato il tema, pur non dedicandovi una parte autonoma della motivazione, risalendo alle ragioni della scelta collaborativa causata dalla soppressione violenta dello zio con il quale il collaboratore era in affari illeciti, ed evidenziato altresì le numerose conferme, prime tra tutti le esattezze dei riconoscimenti fotografici, oltre che i dati di riscontro esterno ricavati massicciamente dalle conversazioni intercettate.

Anche le doglianze in punto contestazione dell'aggravante di mafia appaiono non fondate avendo il giudice di appello specificato che il possesso di quelle armi micidiali utilizzabili per gli scontri con altri gruppi e l'affermazione nel territorio, unito allo stabile coinvolgimento nelle attività di traffico di droga, fossero significative sia del vincolo intimidatorio e cioè del metodo mafioso che dell'agevolazione delle attività dell'organizzazione.

Infondato appare anche il motivo sulla recidiva, posto che, con le osservazioni svolte a pagina 206 della motivazione della sentenza impugnata, il giudice di appello ha proprio sottolineato come la reiterazione di delitti della stessa indole giudicati nel presente procedimento fosse indicativa di maggiore pericolosità.

25.2 Quanto alle statuizioni in punto confisca allargata avente ad oggetto un'autovettura, un motociclo ed una somma contante di Euro 2250,00, il ricorso difetta di interesse rispetto ai mezzi di locomozione intestati a terzi stante che la doglianza prospetta in sostanza la regolarità delle cessioni ai familiari dell'imputato, così attestando la titolarità degli stessi in capo ai predetti senza quindi rappresentare alcuna ragione per la restituzione in capo al U.U. Tali ragioni, riguardanti l'effettività delle cessioni e quindi l'effettività degli acquisti, possono essere fatte valere soltanto da coloro che si assumono essere reali proprietari e non anche dal U.U. l'accoglimento del cui ricorso non potrebbe portare all'attribuzione dei mezzi già ceduti.

Viceversa, fondato appare il motivo avente ad oggetto le statuizioni in punto confisca di una somma di denaro contante; sul punto, infatti, si registra assenza eli motivazione essendosi il giudice di appello limitato a richiamare le argomentazioni di quello di primo grado senza analizzare i motivi di appello pure proposti sul punto. Ne consegue, pertanto, l'annullamento della pronuncia impugnata nei confronti di U.U. limitatamente alla confisca della somma di Euro 2250,00 con rigetto del ricorso nel resto e declaratoria di irrevocabilità dell'affermazione di responsabilità.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di F.F., limitatamente al trattamento sanzionatorio, che ridetermina in anni 9, mesi 1 e gg.10 di reclusione, con rigetto del ricorso nel resto.

Annulla la sentenza impugnata:

nei confronti di I.I., limitatamente alle statuizioni inerenti alla continuazione c.d. esterna, con declaratoria di inammissibilità del ricorso nel resto e di irrevocabilità dell'affermazione di responsabilità;

nei. confronti di M.M., limitatamente alle statuizioni inerenti alla continuazione c.d. esterna con la sentenza n. 275/2015 del Tribunale di Chieti, con declaratoria di irrevocabilità dell'affermazione di responsabilità;

nei confronti di U.U., limitatamente alla confisca della somma di Euro 2250,00 con rigetto del ricorso nel resto e declaratoria di irrevocabilità dell'affermazione di responsabilità;

nei confronti di X.X., limitatamente al trattamento sanzionatorio, con declaratoria di inammissibilità del ricorso nel resto e di irrevocabilità dell'affermazione di responsabilità

per tutti con rinvio per nuovo giudizio sui predetti punti ad altra sezione della Corte di Appello di Bari.

Rigetta i ricorsi di A.A., B.B., C.C., D.D., D.D., K.K., J.J., N.N., P.P., Q.Q., R.R., S.S., T.T., V.V., Z.Z., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Dichiara inammissibili i ricorsi di G.G., H.H., L.L., O.O., W.W., Y.Y., A.A.A., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Conclusione

Così deciso in Roma, 17 maggio 2024.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2024.