Giu Accertamento della sussistenza di una fattispecie associativa minore ai sensi dell'articolo 74 comma 6 D.P.R. n. 309 del 1990
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 17 giugno 2024 N. 23931
Massima
Per determinare se sussista una fattispecie associativa minore ai sensi dell'articolo 74 comma 6 D.P.R. n. 309 del 1990 è necessario innanzitutto accertare che i singoli reati scopo siano qualificabili come ipotesi lieve secondo i parametri previsti dall'art. 73 comma 5 dello stesso decreto; si tratta di una valutazione complessiva sulla base dei mezzi utilizzati nella realizzazione delle attività criminali programmate dall'associazione stessa.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 17 giugno 2024 N. 23931

1. Il ricorso di B.B. è inammissibile, mentre quello di A.A. è, complessivamente, infondato.

2. II ricorso di B.B. è inammissibile per aspecificità.

La prima sentenza aveva riconosciuto la sussistenza della recidiva qualificata contestata.

A pag. 5 della sentenza impugnata, nel riepilogo dei motivi di appello, si legge che il ricorrente aveva chiesto - tra le altre censure, tutte respinte - "il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle circostanze aggravanti contestate e la riduzione della pena".

La sentenza di appello (pag. 28), nel premettere che la recidiva contestata non aveva formato oggetto di gravame, ritiene che "la richiesta di riduzione della pena quanto al delitto associativo non può essere accolta avendo il Collegio di primo grado applicato il minimo edittale.

Il ruolo di mero partecipe del B.B. nell'associazione sub capo 1) e, soprattutto, quello di mero addetto alla cessione della droga quanto ai delitti scopo, consente invece di accogliere il motivo di appello relativo alla riduzione della pena per tali delitti, per i quali, richiamati gli ulteriori criteri ex art. 133 c.p. e considerata in particolare anche la giovane età del! 'imputato, si stima equa la pena da infliggere in complessivi anni 11 mesi 8 e giorni 14 di reclusione (pena base anni dieci di reclusione per il delitto sub capo 1), aumentata ex art. 81 cpv. c.p. di mesi 4 di reclusione per il delitto di cui al capo 73), di mesi 2 e giorni 24 di reclusione per ciascuno dei delitti di cui ai capi 111) e 61), di mesi due di reclusione per il delitto di cui al capo 122) e di mesi uno di reclusione per ciascuno degli altri delitti)".

La dosimetria della pena appare perfettamente coerente con i principi stabiliti da questa Corte, sia in tema di graduazione del trattamento sanzionatorio, che di aumenti per la continuazione interna.

Non vi è, viceversa, una statuizione specifica sulle attenuanti generiche, salvo un rinvio alla sentenza di primo grado, che "deve essere confermata nel resto".

Il Collegio evidenzia come al B.B. fosse contestata la recidiva qualificata di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen., per la quale l'articolo 69, ultimo comma, cod. pen., stabilisce il divieto di porre le circostanze attenuanti in giudizio di prevalenza.

Correttamente i secondi giudici hanno evidenziato che, non avendo l'imputato contestato con l'atto di appello l'applicazione della recidiva, non sussisteva alcun obbligo di motivazione specifica sul punto, scaturendo l'obbligo direttamente dalla legge.

A tal proposito la Corte, nella sua massima composizione (Sez. U., n. 35738 del 27-05-2010, (Omissis), Rv. 247838 -01), ha stabilito che, se la contestazione della recidiva è obbligatoria da parte del pubblico ministero, il giudice è titolare di un potere discrezionale in merito all'applicazione o meno della recidiva e può quindi non applicarla. Tuttavia, se nel caso concreto, ritiene che la recidiva di cui all'articolo 99, quarto comma, cod. pen., debba essere applicata, ciò determina tutte le conseguenze pregiudizievoli previste dalla legge, per cui il giudice dovrà aumentare la pena nella misura prevista dalla legge (art. 99, c. 4, c.p.: la metà ovvero due terzi), non potrà dichiarare la prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto alla recidiva in sede di giudizio di comparazione (art. 69, quarto comma, c.p.) e non potrà determinare l'aumento di pena previsto in caso di concorso formale o reato continuato in misura inferiore ad un terzo della pena stabilita per la violazione più grave (art. 81, quarto comma, c.p.).

Trattandosi di disciplina giuridica che discende direttamente dalla legge, il motivo di ricorso, che non attacca il riconoscimento della recidiva - su cui quindi è calata la preclusione del devolutum - ma solo il profilo sanzionatorio, è inammissibile, poiché non vi era spazio alcuno per i giudici di appello di effettuare un trattamento potiore per l'imputato.

3. In riferimento alla posizione di A.A., il ricorso presentato dall'imputato è complessivamente infondato.

3.1. Va premesso che la sentenza di appello, pur non effettuando un esplicito riferimento alla motivazione per relationem, espressamente rinvia - in numerose occasioni - all'iter motivazionale della prima sentenza, che conferma.

Come noto (Sez. U, n. 17 del 21-06-2000, (Omissis), Rv. 216664 -01, e unanime giurisprudenza successiva), la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile.

Elementi tutti ricorrenti nel caso in esame.

Il Collegio, pertanto, ribadisce il principio della "reciproca integrazione" motivazionale delle sentenze di primo e secondo grado nelle parti in cui la decisione è conforme, senza affrontare in modo critico le motivazioni addotte dai giudici di prima cura, risultando di tal guisa inammissibile.

E' infatti pacifico che, in presenza di una c.d. "doppia conforme", ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Sez. 3, n. 44418 del 16-07-2013, (Omissis), Rv. 257595 -01; Sez. 2, n. 37295 del 12-06-2019, Rv. 277218 -01). Affinché tale effetto di crasi delle due sentenze si verifichi, occorre che i giudici del gravame concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione, con il conseguente obbligo per il ricorrente - che coltivi il vizio di motivazione del provvedimento impugnato - di confrontarsi in maniera puntuale, a pena di inammissibilità, con i contenuti di entrambe sentenze, onere che, come si vedrà caso per caso, nel caso di specie è stato largamente disatteso.

Inoltre, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella pronuncia di primo grado (Sez. 2, n. 37295 del 12-06-2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16-07-2013, (Omissis), Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01-12-2011, (Omissis), Rv. 252615-01; Sez. U, n. 6682 del 04-02-1992, (Omissis), Rv. 191229-01), il giudice di appello non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2, n. 46261 del 18-09-2019, (Omissis), Rv. 277593-01; Sez. 1, n. 37588 del 18-06-2014, (Omissis), Rv.260841-01).

3.2. Ciò premesso, i primi tre motivi di ricorso, che possono essere analizzati congiuntamente, posto che entrambi concernono la responsabilità nel reato associativo, sono inammissibili.

La sentenza di appello motiva in modo estremamente preciso in relazione alla sussistenza di un preciso accordo tra il ricorrente e C.C., partendo dall'intermediazione tra i due effettuata dallo E.E. (pag. 6 motivazione): "diversamente da quanto affermato dallo stesso E.E., la sua presenza presso l'abitazione del A.A., sita nel Comune di F, non era stata motivata esclusivamente dall'amicizia che li legava ma, come dimostrato dal contenuto delle predette comunicazioni indirette che verrà di seguito più nel "dettaglio considerato, anche e soprattutto, dall'attività di spaccio in essere in Via (Omissis), che costituiva l'argomento pressoché esclusivo dei loro colloqui. Essi riguardavano in particolare, le somme mensilmente corrisposte del C.C. al A.A. o impiegate dal primo per il pagamento dei debiti di droga del secondo e la richiesta, dello stesso A.A., di ottenere la c.d. "stecca para" connessa alla attività di spaccio che ancora avveniva in quel luogo e che era ora gestita, al vertice del gruppo criminale descritto al capo 1), dallo stesso C.C.".

Ancora (pag. 7), risponde alla censura relativa alla mancata presenza di corrispondenza epistolare tra i due, recapitata da F.F.: "risulta infatti in netta contraddizione con le sopra citate conversazioni ambientali, che, come meglio si vedrà in seguito, dimostrano non un generico interessamento del A.A. per i debiti che aveva maturato nel corso della sua precedente gestione apicale della piazza di spaccio di Via (Omissis) ma le sue richieste di maggior denaro direttamente connesse alla sua partecipazione all'associazione criminale ora capeggiata dal C.C., sostenere che le lettere di quest'ultimo non avessero avuto risposta intendendo il A.A. emanciparsi dalla propria, precedente esperienza delinquenziale. E' pertanto da condividere la valutazione di inattendibilità della testimonianza di F.F., espressa dal Collegio di primo grado".

Circa le spettanze economiche del A.A., la Corte distrettuale osserva (pag. 8) che "la conversazione ambientale n. 533, A2, A3, A4 del 13.12.2017, trascritta nel volume IV della perizia in atti, diversamente da quanto ritenuto dalla difesa del A.A., dimostra quanto affermato dal Tribunale ovvero che fosse circostanza pacifica anche per C.C. che, pur dopo il periodo di carcerazione sofferto da A.A. che, unitamente all'arresto degli altri suoi sodali, aveva fatto venir meno l'associazione dallo stesso capeggiata, spettasse a quest'ultimo un riconoscimento economico per lo sfruttamento della piazza di spaccio di Via (Omissis) e che questo trovasse causa proprio nella sua precedente gestione, svolta dall'imputato in posizione di vertice, che gli aveva consentito di effettuarne la cessione al C.C. stesso".

Nella indicata conversazione infatti, "C.C., riconoscendo espressamente che la piazza di spaccio appartenesse ancora al A.A. (ammissione peraltro riscontrata anche in altre conversazioni, n. 532 del 13.12.2017; n.888 del 28.12.20 17), discuteva della pretesa di quest'ultimo di ottenere una percentuale di guadagno pari a quella dello stesso C.C. ("stecca para") avversandola in quanto riteneva che potesse essere accolta solo se il A.A. si fosse nuovamente impegnato nella materiale gestione dell'attività criminale dell'associazione. Qualora invece l'imputato fosse rimasto passivo, gli spettava solo "il punto", ovvero una quota fissa di denaro tratta dai guadagni dell'associazione (.... ti prendi un punto ....)".

Anche la conversazione n. 533 A4, secondo la Corte di appello, "contiene la prova che A.A. fosse di nuovo legato alla stabile attività di spaccio di droga in corso in Via (Omissis). Non si spiegherebbe infatti altrimenti sia la ragione per la quale i correi detenuti si fossero rivolti al A.A. per ottenere una forma di mantenimento e sia il titolo in base al quale lo stesso A.A. avrebbe dovuto manifestare la sua contrarietà alla corresponsione di denaro che il C.C. aveva effettuato in favore dei loro precedenti associati tratti in arresto".

I secondi giudici ritengono destituito di fondamento anche "l'argomento connesso alla successione del C.C. nei debiti contratti dal A.A. per l'acquisto delle partite di droga destinate all'associazione. Ha infatti già chiaramente evidenziato il Tribunale, sulla base di una serie di conversazioni indicate nella decisione appellata (n. 526 del 13.12.2017; n. 113 del 26.11.2017; nn. 532 e 533 deIl3.12.2017 n. 926 del 29.12.2017) che il pagamento delle forniture arretrate di droga accordate al A.A. aveva costituito oggetto dell'accordo con il C.C. che tuttavia se ne era lamentato. Emblematica, in tal senso, sarebbe la menzionata conversazione n. 526 del 13.12.2017 (vol. IV pag. 14 e segg. della perizia di trascrizione)", relativa alla vicenda del debito che il A.A. aveva nei confronti di tale "Romina", che era stata dal A.A. indirizzata al C.C. per regolare il debito che il ricorrente aveva contratto con lei.

Conclusivamente, la Corte territoriale ritiene corretta la valutazione operata dai primi giudici, secondo cui le periodiche erogazioni di danaro in favore del A.A. (provate dalle diverse conversazioni ambientali già richiamate dal Tribunale nelle quali C.C. le elenca tra i costi della sua attività criminale), debbano essere imputate all'accordo di gestione della piazza di spaccio di Via (Omissis), in quanto:

- è provato che nel territorio in questione, sino al giugno 2016 il A.A. aveva gestito con ruolo di capo, promotore ed organizzatore l'attività di spaccio di sostanze stupefacenti compiutamente descritta nella sentenza del Gip del Tribunale di Roma del 18-04-2017, irrevocabile il 10-06-2021, versata in atti;

- è provato che, nell'ambito di tale associazione ex art. 74 D.P.R. 309-90, C.C. aveva svolto un ruolo di diretto collaboratore del A.A., gestendo il quotidiano turno di spaccio dalle ore 10.00 alle ore 16.00;

- sono provati i legami tra il A.A. ed il C.C., conseguenti alla parentela tra le rispettive compagne conviventi;

- sono provate le continue interlocuzioni tra i due, realizzate ora da lettere consegnate dalle sorelle G.G., ora tramite E.E., frequentatore delle abitazioni dove sia il C.C. che il A.A. si trovavano agli arresti domiciliari;

- è provato che tali interlocuzioni, quelle attuate tramite E.E. in particolare, avevano avuto ad oggetto il danaro periodicamente versato dal C.C. al A.A. (oltre quello versato ai creditori di quest'ultimo), nonché la pretesa dell'imputato, dividendo in parti uguali i proventi dello spaccio (stecca para), di ottenere dall'attività di spaccio in corso un guadagno pari a quello che si garantiva lo stesso C.C.

Ritiene quindi la Corte di appello, sulla base delle ora indicate circostanze di fatto e non diversamente da quanto concluso dal Tribunale, "che debba ritenersi provato con certezza sia il presupposto dell'accordo di gestione della piazza di spaccio di Via (Omissis) tra A.A. e C.C., ovvero la sua indiscussa titolarità in capo allo stesso A.A. derivantegli dall'attività criminale descritta nella sentenza della Corte di appello di Roma del 26.5.2020 n. 4629, sia il contenuto dell'accordo, che si trae non solo dal danaro che il C.C. gli versava periodicamente ma dalla richiesta del A.A. di modificarlo".

3.3. La prima sentenza, dal canto suo, da un lato evidenzia come (pag. 32) la circostanza che la piazza di spaccio "appartenga" al A.A. non è mai contestata dai correi (v. conv. N. 532 del 13-12-2017, in cui C.C. dice chiaramente, parlando del A.A., che "la piazza è tua" e che la stessa piazza ha "la faccia sua", come una sorta di brand), che si limitano solo a discutere se alla mera titolarità della stessa consegua il diritto solo ad una rendita mensile piuttosto che a una compartecipazione agli utili. Per cui la doglianza circa la titolarità "formale" degli spazi ove avveniva lo spaccio deve ritenersi manifestamente infondata, essendo argomento superato in modo incontrovertibile del compendio probatorio.

Sotto altro profilo, la sentenza di primo grado evidenzia - a testimonianza della vera e propria "successione" del C.C. al A.A. - come il primo si lamenti che il secondo gli ha lasciato "500.000 Euro di buffo", ossia di debiti con i fornitori.

Ritiene provato, la sentenza di prima cura, che il C.C. si giova del prestigio e della fama criminale del A.A., per accreditarsi come referente affidabile, valorizzando, in primo luogo, il momento genetico dell'associazione. A pag. 38, infatti, sottolinea come la "cessione" della piazza di spaccio, così come strutturata durante la gestione da parte del A.A., costituisce un ineliminabile antecedente della fattispecie associativa contestata al C.C. La consegna dello spazio compreso tra i civici (Omissis) di Via (Omissis), ove veniva svolta attività continuativa di spaccio con suddivisione in turni dei vari pusher, si traduce in un contributo causale alla predisposizione di una stabile struttura collettiva volta alla consumazione di una serie indeterminata di delitti di detenzione e spaccio di stupefacenti, contributo che il primo giudice ritiene anche superiore a quello del mero compartecipe.

Ma la presenza del A.A. non si limita alla fase genetica del sodalizio. Alle pag. 39-41 si evidenzia, da un lato, come lo stesso sia artefice sia dell'ingresso dello E.E. nel sodalizio (che fungerà da tramite tra lui e il C.C.); dall'altro come, in almeno una occasione, abbia partecipato all'acquisto dello stupefacente

3.4. A fronte di una motivazione che non presenta profili di manifesta illogicità o contraddittorietà (essendo al contrario evidente la sussistenza di un accordo di successione tra C.C. e A.A., che non concordano tra loro solo sul quantum dovuto al A.A.), il ricorrente chiede a questa Corte di sovrapporre un nuovo, differente, giudizio a quello operato dalle due conformi pronunce di merito, operazione non consentita in sede di legittimità.

Secondo i principi consolidati dalla Corte di cassazione la sentenza non può infatti essere annullata sulla base di mere prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettura orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferire rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perché considerati maggiormente plausibili, o perché assertiva mente ritenuti dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 49921 del 25-01-2018, (Omissis), Rv. 274287 -01; Sez. 6, n. 47204 del 7-10-2015, (Omissis), rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26-04-2006, (Omissis), rv. 234148)

Ed infatti, nel giudizio di legittimità (v. da ultimo Sez. 3, n. 8466 del 17-01-2023, (Omissis), n.m.) sono escluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07-10-2015, (Omissis), Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16-11-2006, (Omissis), Rv. 235507).

Ciò determina l'inammissibilità di tutti quei profili che concernono la valutazione degli elementi di prova, quali il linguaggio contenuto nelle intercettazioni telefoniche o la valutazione delle immagini riprese, in cui si contesta la "lettura" degli elementi di prova da parte dei giudici del merito, che sono pertanto inammissibili, posto che si chiederebbe alla Corte di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, operazione preclusa salvo che si deduca un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale; ed infatti, il vizio della motivazione, come vizio denunciabile, è coltivabile solo ove esso sia "evidente", cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi (Sez. U., n. 14722 del 30-01-2020, (Omissis), Rv. 279005 -01, cit.), circostanza non ricorrente nel caso di specie.

Inoltre, il ricorso propone una "rilettura" del contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali, in senso diverso da quello operato dai giudici del merito, non consentita nel giudizio di cassazione.

Va infatti ricordato che la portata dimostrativa del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. U, n. 22471 del 26-02-2015, (Omissis), Rv. 263715 -01; Sez. 3, n. 44938 del 05-10-2021, (Omissis), Rv. 282337 -01; Sez. 2, n. 50701 del 04-10-2016, (Omissis), Rv. 268389 -01; Sez. 3, n. 35593 del 17-05-2016, (Omissis), Rv. 267650 -01; Sez. 2, n. 35181 del 22-05-2013, (Omissis), Rv. 257784 -01; Sez. 6, n. 17619 del 08-01-2008, dep. 30-04-2008, (Omissis), Rv. 239724).

È possibile prospettare in sede di legittimità una interpretazione del significato di un'intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito soltanto in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21-11-2017, 2018. (Omissis), Rv. 272558 -01; Sez. 5, n. 7465 del 28-11-2013, dep. 2014, (Omissis), Rv. 259516 -01; Sez. 6, n. 11189 del 08-03-2012, v, Rv. 252190 -01; Sez.2, n. 38915 del 17-10-2007, dep. 19-10-2007, (Omissis), Rv. 237994), circostanza, anche questa, non sussistente nel caso in esame.

I motivi, che non si confrontano in modo realmente critico con il provvedimento impugnato, sono pertanto inammissibili per genericità estrinseca.

4. Il quarto motivo di ricorso, che si appunta sulla omessa riconduzione del reato associativo all'ipotesi di cui al comma 6 dell'articolo 74 del D.P.R. 309-1990 in parola, è infondato.

4.1. In riferimento alla fattispecie delittuosa in esame, la consolidata giurisprudenza di questa Corte ritiene che si tratti di una fattispecie autonoma di reato - e non di una mera attenuante della fattispecie maggiore (Sez. U, 34475 del 23-6-2011, (Omissis), Rv. 250352) ­ caratterizzata dal fatto che l'accordo criminoso stabile e l'organizzazione devono essere funzionali solo alla commissione di fatti che non oltrepassino la soglia della lieve entità (Sez. 6, n. 1642 del 09-10-2019, dep. 2020, (Omissis), Rv. 278098 -01; Sez. 6, n. 49921 del 25-01-2018, (Omissis), Rv. 274287 -02: "la fattispecie associativa prevista dall'art. 74, comma 6, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, è configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravità e che, in concreto, l'attività associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione dell'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990").

In tal senso, sono rivelatrici le modalità con cui l'azione criminosa si compie in concreto: la fattispecie in esame non può essere configurata in tutti i casi in cui non si raggiunga la prova che il programma criminoso, per come ideato, progettato, realizzato nella sua concreta dinamica operativa avesse ad oggetto solo fatti di lieve entità.

Si è altresì evidenziato come "in presenza di profili strutturali ridotti e di fatti di detenzione, approvvigionamento e spaccio tutti compatibili con la qualificazione in termini di lieve entità, ben potrà attribuirsi tale qualificazione anche all'associazione, a prescindere da una più approfondita verifica del momento genetico e della concreta esclusione a livello programmatico di azioni di maggiore rilievo, mentre in presenza di fatti eccedenti quella soglia, tanto più se coinvolgenti soggetti che abbiano la possibilità di influire sulle determinazioni operative del sodalizio, potrà ragionevolmente presumersi che l'associazione non avesse escluso ma anzi avesse concepito la realizzazione di fatti non di lieve entità, il che varrà a qualificare corrispondentemente il sodalizio, in assenza di prova contraria, da parte di chi abbia interesse, in ordine ad una diversa base progettuale e programmatica e in ordine all'estemporaneità di un'azione di maggior rilievo" (così testualmente Sez. 6, n. 12537 del 19-01-2016, (Omissis), Rv. 267267).

Dunque, al fine di verificare se sussista la fattispecie di cui all'art. 74, comma 6, è necessario innanzitutto accertare che i singoli fatti reato siano di lieve entità, secondo i parametri descritti dall'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990; è, cioè, necessario riferirsi ai mezzi, alle modalità, alle circostanze dell'azione ovvero alla quantità e qualità delle sostanze. Si tratta di una valutazione che deve essere complessiva e che deve fare riferimento a tutti i parametri contemplati dalla norma.

Influiscono su tale giudizio le concrete articolazioni dell'attività, il modo con cui essa è compiuta, l'intensità e la frequenza, la idoneità a rivolgersi ad una indeterminata clientela relativa ad un ambito territoriale (in tal senso, unitamente ad altri rilievi, Sez. 6, n. 50382 del 18-11-2014, (Omissis), non massimata), la capacità di sfuggire all'attività repressiva e di controllo (Sez. 6, n. 12537 del 2016, cit.)

La giurisprudenza assolutamente prevalente della Corte (v., ex plurimis, Sez. 3, n. 14017 del 20-02-2018, (Omissis), Rv. 272706 -01) è nel senso che se è vero "che, in tema di stupefacenti, la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 non è incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale ma continuativa, come si desume dall'art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309 del 1990, che, con il riferimento ad un'associazione costituita per commettere fatti descritti dal quinto comma dell'art. 73, rende evidente che è ammissibile configurare come lievi anche gli episodi che costituiscono attuazione del programma criminoso associativo (Sez. 6, n. 39374 del 03-07-2017, (Omissis), Rv. 270849).

Allo stesso tempo, l'attenuante del fatto di lieve entità di cui all'art. 73, comma quinto, D.P.R. n. 309 del 1990 non è, in astratto, incompatibile con la reiterazione delle condotte di spaccio da parte dell'imputato - come si desume dall'art. 74, comma sesto, D.P.R. n. 309 del 1990 - né con la particolare tipologia di sostanza stupefacente detenuta (nella specie, cocaina), posto che la norma non prevede ipotesi di esclusione legate alla natura della sostanza stupefacente (Sez. 6, n. 48697 del 26-10-2016, (Omissis) e altri, Rv. 268171).

In ogni caso, peraltro, è insegnamento costante che la circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell'azione), con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l'eventuale presenza degli altri (Sez. 4, n. 10211 del 21-12-2004, dep. 2005, (Omissis), Rv. 231140; conf., in esito alla novella introdotta dall'art. 2 del d.l. n. 146 del 2013, conv. in legge n. 10 del 2014, e quindi in presenza di fattispecie autonoma di reato, cfr. Sez. 3, n. 23945 del 29-04-2015, (Omissis), Rv. 263651).

La Corte ha ritenuto che, ai fini della qualificazione dei singoli reati scopo come ipotesi di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, può "tenersi conto del dato quantitativo relativo agli approvvigionamenti del gruppo, quale indice della finalizzazione degli stessi alla commissione di fatti non riconducibili allo spaccio di lieve entità, fatta salva l'autonomia della valutazione complessiva della pericolosità delle singole condotte di cessione sulla base di tutti gli altri indici disponibili" (Sez. 4, n. 476 del 25-11-2021, dep. 2022, (Omissis), Rv. 282704 -01).

Ancora, la "reiterazione nel tempo" di una pluralità di condotte di cessione della droga, pur non precludendo automaticamente al giudice di ravvisare il fatto di lieve entità, entra in considerazione nella valutazione di tutti i parametri dettati, in proposito, dall'art. 73, comma quinto, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309; ne consegue che è legittimo il mancato riconoscimento della lieve entità qualora la singola cessione di una quantità modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una più ampia e comprovata capacità dell'autore di diffondere in modo non episodico, né occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensività della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantità volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio più ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva (Sez. 3, n. 6871 del 08-07-2016, dep. 2017, (Omissis) e altri, Rv. 269149). In definitiva, è legittimo il mancato riconoscimento della lieve entità, di cui all'art. 73, comma quinto, cit., qualora la singola cessione di una quantità modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una più ampia e comprovata capacità dell'autore di diffondere in modo non episodico, né occasionale, sostanza stupefacente (Sez. 4, n. 40720 del 26-04-2017, (Omissis) e altri, Rv. 270767).

Sul versante probatorio, la Citata sentenza Laboriosi (Sez. 6, n. 49921 del 25-01-2018, (Omissis), Rv. 274287 -01) ha in concreto ritenuto, in un caso molto simile al presente, ritenuto che la sussistenza di una serie di "indicatori" escludesse la riconducibilità dell'associazione alla ipotesi lieve del comma 6 dell'articolo 74 t.u.s., quali:

a) il fatto che l'associazione si ponesse in linea di diretta continuità e derivazione, quanto a struttura, organizzazione e modalità di stabile gestione operativa dell'attività criminosa con altra precedente, accertata con sentenza definitiva;

b) l'attività di spaccio nella piazza sia organizzata in termini seriali e sistematici, attraverso la predisposizione di turni ed orari di "lavoro", con conseguente pagamento di "stipendi" differenziati in ragione del ruolo in concreto svolto dai singoli (spacciatore e c.d. "vedetta") e del rischio diverso che le singole condotte comportavano;

c) vi sia una sistematica ed organizzata attività di rifornimento di droga e di ritiro dei proventi dell'attività illecita;

d) sia individuabile una divisione gerarchica di ruoli e di funzioni ed una disponibilità di luoghi in cui nascondere e da cui prelevare la droga.

Inoltre, se i reati-fine sono qualificati da strategie e modalità insidiose messe a punto dal sodalizio, quali una attività di spaccio organizzata in modo da consentire rapidi approvvigionamenti e dunque costanti e assai ravvicinate attività di cessione ovvero modalità particolarmente accurate e insidiose di nascondimento e trasporto della sostanza, conosciute capillarmente dagli spacciatori e dalla clientela, ovvero laddove, pur in assenza di peculiari strutture, siano movimentate rilevanti quantità ovvero diverse tipologie di sostanze, volte ad assicurare il soddisfacimento di una più ampia clientela, per entrambi varrà l'esclusione del fatto di lieve entità (Sez. 6, n. 12537 del 19-01-2016, (Omissis), Rv. 267267, cit; Sez. 4, n. 53568 del 05-10-2017, (Omissis), Rv. 271708).

4.2. La sentenza impugnata, con motivazione certamente non illogica e non incorrendo in violazione di legge, fa buon governo degli anzidetti principi.

A pag. 15 e ss. della motivazione si legge infatti che i fatti sottoposti alla valutazione della Corte territoriale "hanno ad oggetto un'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti che ha operato nella medesima area di R, Via (Omissis), dove lo spaccio di droga era stato gestito, sino al giugno 2016, da un gruppo criminale organizzato, capeggiato da A.A.".

Le "modalità organizzative ed operative" e la consistenza dell'associazione di cui al capo 1), "la cui esistenza è stata acclarata nei mesi da dicembre 2017 a gennaio 2018, non risultano differenti rispetto a quanto è emerso sino al giugno 2016 (organizzazione verticistica, controllo del territorio, ripartizione di ruoli con suddivisione dello spaccio in più turni, utilizzazione di spacciatori minorenni, ampio bacino di utenza)".

La stessa sentenza del Gip del Tribunale di Roma del 02-11-2021, che ha invece ritenuto sussistente per lo stesso delitto associativo di cui al presente giudizio, l'ipotesi di cui al comma 6 dell'art. 74 D.P.R. 309-90, ha ritenuto che:

- il gruppo criminale operava nell'area di Via (Omissis) in R attraverso un serrato sistema di controllo del territorio che consentiva all'associazione di spacciare ininterrottamente, ogni giorno della settimana, cocaina ed eroina. In quell'area operavano infatti giovani spacciatori, alcuni dei quali minorenni, secondo ruoli e turni prestabiliti;

- il quantitativo di droga smerciato quotidianamente non era inferiore a 200 dosi da 20 o 50 Euro ciascuna che aumentava notevolmente nei giorni festivi e prefestivi;

- oltre agli spacciatori ed alle vedette, l'organizzazione era composta da addetti al reperimento della sostanza stupefacente da rivendere e da coloro che ne curavano l'occultamento ed il confezionamento. Tra gli associati ve ne erano diversi minorenni, elemento che è peraltro espressamente menzionato da C.C. nella conversazione ambientale n. 1397, intercettata l'8.1.2018, nella quale il capo dell'associazione, quanto al concorso di partecipi minorenni, affermava di avere preso ad esempio da quella precedente, gestita da A.A.;

non vi era soluzione di continuità nell'attività di spaccio. Anche quando importanti quantitativi di droga cadevano in sequestro, come accaduto il 19 dicembre 2017, il 30 dicembre 2017 ed il 4 gennaio 2018, non veniva meno la droga da vendere.

Quanto al "dato ponderale", in particolare, la sentenza ritiene che " non può essere revocato in dubbio, in ragione della natura continuativa dell'attività di vendita, che l'associazione con a capo C.C. e E.E. disponesse di affatto ridotti quantitativi di cocaina ed eroina. Inoltre, avuto riguardo anche solo al sequestro di 700 grammi di cocaina operato il 4 gennaio 2018 e ed a quello di 314 di cocaina e 235 di eroina eseguito iI19.12.2017 (essi rendono destituita di fondamento l'affermazione difensiva circa l'esiguità dei sequestri realizzati), per il rilievo assorbente dell'elemento quantitativo, deve escludersi che per la relativa ipotesi di detenzione a fini di spaccio, che non risulta essere stata contestata come tale, possa ricorrere la fattispecie di cui al V comma dell'art. 73 D.P.R. 309-90 (lo stesso deve ritenersi anche per i delitti di cui ai capi 73 e 122, il primo avente ad oggetto grammi 250 di cocaina, il secondo 181 dosi di cocaina e 458 di eroina; per i quali è da escludersi, sulla base anche in tal caso della sola valutazione della consistenza dell'oggetto del reato, la fattispecie lieve)".

Quanto ai guadagni e al "giro d'affari" dell'associazione, la sentenza (pag. 16) precisa che "se, come già esposto, è provato che l'associazione di cui al capo 1) aveva assunto su di sé i costi non pagati dei rifornimenti di droga che il precedente gruppo criminale, capeggiato dal A.A., aveva contratto, è logico ritenere che non solo i canali di approvvigionamento fossero gli stessi, in quanto solo il pagamento del pregresso avrebbe consentito la reiterazione delle forniture, ma che la consistenza dello spaccio fosse la medesima e che i proventi delle vendite di droga, non fossero certo inferiori a quelli dell'associazione ex art.74, comma 1, D.P.R. 309-90 venuta meno nel giugno 2016 ... osserva la Corte che nella conversazione n. 1141 del 7.1.2018 C.C. ha riepilogato il valore della droga da ultimo sequestratagli ritenendolo ammontante a complessivi Euro 60.000,00. Considerando il valore della sola cocaina sequestrata il 19 dicembre 2017 ed il quattro gennaio 2018 (complessivamente un chilogrammo) - ma si dovrebbero aggiungere i 235 grammi di eroina sequestrati sempre il 4 gennaio 2018 e gli oltre complessivi cento grammi di cocaina sequestrati 1'8 gennaio 2018 - il suo importo si aggira, secondo il valore medio di tale tipologia di droga, intorno ai 40.000,00-50.000,00 Euro. E' provato dai reati scopo irrevocabilmente dimostrati in fatto dalla sentenza del Gip del Tribunale di Roma del 2.11.2021 n. 3352-2021 che, nonostante tali sequestri avvenuti nell'arco di poco meno di tre settimane, la piazza di spaccio di Via (Omissis), in tale periodo, ha continuato ad operare secondo i consueti turni nelle 24 ore. È quindi logico ritenere che gli approvvigionamenti dell'associazione non fossero limitati alla droga sequestrata e che pertanto C.C. ed i suoi sodali disponessero di fonti di guadagno tali da supplire agevolmente a sequestri di quantità non limitate di sostanza stupefacente".

La Corte territoriale ha, in conclusione, valorizzato l'organizzazione, con precisa suddivisione in ruoli e articolata su turni, dedita allo spaccio di diversi tipi di stupefacente; la costante ripetitività del traffico illecito nel periodo oggetto di osservazione; la capacità di controllo del territorio (comprovata dalla frequenza di contatti con gli avventori, all'evidenza edotti della presenza nei luoghi del clan organizzato); la potenzialità diffusiva in forza della sicura reiterazione dei reati; il sequestro di quantitativi non irrisori di stupefacenti in diverse occasioni; la disponibilità costante di stupefacenti anche dopo operazioni di sequestro.

4.3. A sua volta, la sentenza di primo grado chiarisce (pag. 62) che i sequestri messi a segno dagli organi di polizia giudiziaria nel breve arco temporale interessato dalle indagini dimostrano che l'associazione disponeva:

- alla data del 19 dicembre 2017, di oltre 300 grammi di cocaina e oltre 230 grammi di eroina nascosti nell'edificio condominiale di via (Omissis);

- alla data del 30 dicembre 2017, H.H. viene fermato con 29 confezioni di cocaina e 14 confezioni di eroina appena ritirate nell'abitazione C.C.;

- alla data del 4 gennaio 2018 I.I. viene trovato in possesso di 700 grammi di cocaina detenuti nella propria abitazione;

- alla data dell'otto gennaio 2018 vengono trovati 28 grammi di cocaina e 25 grammi di eroina occultati nello stabile in cui abita E.E.

Evidenzia il giudice come per effetto dei soli sequestri operati il 30 dicembre e il 4 gennaio C.C. quantificherà la perdita in Euro 130.000, e, pur dopo i sequestri, l'attività dell'associazione non si interrompe, ed anzi, C.C. e E.E. pensano di poter recuperare in breve tempo le perdite subite.

Tali elementi, secondo il primo giudice, stanno ad indicare che l'associazione, al di là dei singoli quantitativi oggetto delle operazioni di vendita al dettaglio ai consumatori finali, era in grado di disporre e di movimentare partite consistenti di sostanza stupefacente di tipologia diversa (cocaina, eroina ed hashish), dato che certamente non è compatibile con la quantificazione in termini di lieve entità dei reati rientranti nei fini programmatici della struttura societaria.

Del resto, i discorsi che si sviluppano tra C.C. e i suoi visitatori fanno comprendere che i pusher ricevevano all'inizio di ciascun turno una dotazione di droga non minimale (intere "pallette"), e che questa veniva prontamente rimpiazzata, a seguito di mera segnalazione degli interessati, in base all'andamento delle vendite, così da comportare la manipolazione di quantitativi non esigui.

Né si rinvengono, secondo il GUP (pag. 62-63), elementi apprezzabili in qualità di eventuali "fattori compensativi" ai fini del riconoscimento della fattispecie di cui al comma 5 dell'articolo 73 t.u.s., posto che il fatto si svolge in modo seriale mediante occupazione di una porzione del territorio ad elevata densità abitativa, ad ogni ora del giorno e della notte, spesso con il supporto di soggetti minorenni; vengono offerte in vendita sostanze stupefacenti di tipo diverso; le dosi sono preconfezionate in base al peso e al prezzo corrispondente, in modo da agevolare e velocizzare le vendite (ventini, trentini e cinquantini); per operare in condizioni di maggiore efficienza e sicurezza agli addetti alle vendite lavorano in coppie formati da un pusher e da una vedetta; l'attività di spaccio viene effettuata non in forma spontanea ed estemporanea bensì organizzata in modo verticistico, così da escludere eventuali sospensioni o pause dell'illecito commercio.

Trattasi, in conclusione, di azioni produttive di un rilevante allarme sociale, con un'intera frazione del territorio cittadino asservita agli interessi del gruppo criminale e meta incessante di acquirenti di sostanze stupefacenti di tipologia eterogenea e con movimentazioni finanziarie rilevanti.

Anche l'allegazione di' sentenze di questa Corte, intesa a censurare l'esclusione della fattispecie minore di cui all'articolo 74 t.u.s., non appare calibrata in relazione ai contenuti della motivazione, limitandosi ad astratte e generiche considerazioni, avulse dal confronto con contenuti dei provvedimenti di merito.

Per quanto concerne la censura secondo cui, per i coimputati che hanno optato per il rito ordinario, i giudici avrebbero riqualificato i fatti contestati nella fattispecie associativa minore, il Collegio osserva che il ricorrente non deduce neppure se tale pronuncia sia definitiva o meno.

Per altro verso, tale eventuale riqualificazione - ove anche definitiva -non avrebbe carattere dirimente, posta la possibilità, riconosciuta dalla Corte nella sua massima composizione (Sez. U. 14 dicembre 2023, Pres. Cassano, rel. Pezzella, non ancora depositata, che ha deciso sulle questioni rimesse dalle ordinanze di Sez. 4, n. 32320 del 23-06-2023, (Omissis), e Sez. 3, n. 20563 del 12-05-2022, (Omissis)), di attribuire ai concorrenti nello stesso fatto una qualificazione giuridica differente alla medesima condotta (principio affermato da questa Corte in relazione dall'articolo 73, commi 1 e 5, D.P.R. 309-1990, ma che può applicarsi anche all'ipotesi associativa, in applicazione del principio generale della "atipicità" del concorso nel reato).

Il motivo è pertanto infondato.

5. In definitiva, il ricorso presentato da B.B. deve essere pertanto dichiarato inammissibile, mentre quello di A.A. deve essere rigettato, ed entrambi debbono essere condannati al pagamento delle spese processuali.

Con riferimento al B.B., tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativa mente fissata in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di B.B. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Rigetta il ricorso di A.A. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Conclusione

Così deciso in Roma, l'8 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2024