Giu giudizio abbreviato: la natura processuale dell'istituto e delle norme che ne disciplinano l'accesso prevale sulla natura sostanziale degli effetti premiali connessi alla riduzione della pena
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 12 giugno 2024 N. 23569
Massima
In tema di giudizio abbreviato, la natura processuale dell'istituto e delle norme che ne disciplinano l'accesso prevale sulla natura sostanziale degli effetti premiali connessi alla riduzione della pena, dovendosi rispettare le modalità e i tempi fissati dal codice di rito. La disposizione introdotta dall'art. 442, comma 2-bis del codice di procedura penale, che prevede un ulteriore sconto di pena in caso di mancata impugnazione della sentenza di condanna resa all'esito del giudizio abbreviato, non consente all'imputato già decaduto dalla possibilità di richiedere il rito speciale alternativo o che abbia optato per il rito ordinario, di essere rimesso in termini al fine di beneficiare del migliore regime sanzionatorio previsto da tale disposizione.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 12 giugno 2024 N. 23569

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

1. La questione posta dal ricorrente è quella di stabilire se, posta l'efficacia retroattiva in bonam partem della disposizione di cui all'art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., ai sensi dell'art. 2, comma 4, cod. pen., l'imputato possa essere rimesso in termini per poter accedere al rito abbreviato beneficiando così, ove ritenga poi di non impugnare la sentenza di condanna, dell'ulteriore riduzione di pena prevista dalla disposizione normativa di nuovo conio.

Il D.Lgs. n. 150 del 2022 ha introdotto nell'art. 442 cod. proc. pen. il comma 2-bis secondo cui "Quando né l'imputato né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna (resa all'esito di un giudizio svoltosi con le forme del rito abbreviato), la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell'esecuzione" che vi provvede de plano ex art. 676, comma 1, e 667, comma 4, cod. proc. pen. L'ulteriore sconto di pena previsto da siffatta nuova disposizione normativa, dunque, costituisce l'esito di una fattispecie giuridica complessa costituita dalla richiesta e conseguente ammissione al rito abbreviato, dalla sentenza di condanna, dalla definitività di siffatto provvedimento per mancata proposizione dell'impugnazione e, infine, dall'introduzione di sub-procedimento esecutivo.

Il ricorrente assume che siffatta disposizione, incidendo sul trattamento sanzionatorio, è astrattamente applicabile anche ai procedimenti penali per i quali era stata già proposta impugnazione al momento dell'entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in quanto, condizionando il trattamento sanzionatorio e comportando la ridefinizione della pena stessa, avrebbe natura sostanziale.

2. Orbene tali rilievi, pedissequamente reiterativi delle doglianze proposte nei precedenti gradi di giudizio, evidenziano l'omessa considerazione delle ragioni poste a fondamento della decisione del Tribunale per i minorenni e, poi, della Corte d'appello.

Ed invero, il Tribunale per i minorenni, a fronte della richiesta dell'imputato di essere rimesso in termini per proporre la richiesta di rito abbreviato, ha rigettato siffatta domanda richiamando innanzitutto quanto affermato da questa Corte e cioè che "In tema di giudizio abbreviato, il fatto che la relativa disciplina abbia riflessi di natura sostanziale (cosa naturale, in considerazione delle caratteristiche premiali dell'istituto), non può valere a cancellare o anche a far solo passare in seconda linea la natura processuale del medesimo istituto e, quindi, dell'intera normativa che lo riguarda, dovendosi in proposito considerare che, tanto nella vigente disciplina, introdotta dalla legge 16 dicembre 1999 n. 479, quanto nella precedente, l'effetto sostanziale costituito dalla riduzione di pena di cui all'art. 442 c.p.p. risulta pur sempre rigidamente ed ineludibilmente posto in rapporto di dipendenza rispetto a scelte processuali in tanto attuabili in quanto rispettose delle modalità e dei tempi fissati, con rigida scansione, dal codice di rito. Ciò posto, ne deriva che le norme in questione non possono non soggiacere alla regola del "tempus regit actum" che vige nella materia processuale in applicazione, del resto, del principio generale dell'irretroattività della legge fissato dall'art. 11, comma primo, delle preleggi, rispetto al quale si pone come norma derogatoria, ispirata al principio del "favor rei", la disciplina dettata dall'art. 2, comma terzo, c.p. in materia di successione di leggi penali nel tempo; disciplina, quest'ultima, applicabile alle sole norme penali sostanziali, cioè quelle il cui contenuto incida direttamente sul precetto o sulla sanzione, senza che possa ammettersi la configurabilità di una sorta di "tertium genus", costituito da norme qualificabili al tempo stesso come sostanziali e processuali, dovendosi invece, nei casi dubbi, verificare quale sia, in ogni singola disposizione, il carattere prevalente e determinante, per stabilire poi, in base ad esso, la classificazione da attribuire alla disposizione stessa" (Sez. 1, n. 7385 del 05/06/2000, Hasani, RV. 216255 - 01). Il Tribunale, quindi, ha ulteriormente osservato che "la richiesta del difensore è subordinata a due eventi futuri ed ipotetici, ovvero la condanna e l'eventuale rinuncia all'appello con conseguente diminuzione della pena di un sesto. In ordine al primo, il Tribunale non può anticipare il giudizio e, in ordine al secondo, né l'imputato né il difensore possono ovviamente oggi impegnarsi".

A tale motivazione ha fatto sostanzialmente eco la Corte d'appello che ha rigettato il ricorso ritenendo che sulla scelta processuale effettuata dall'imputato (quella del rito ordinario) non era più possibile ritornare indietro e ha richiamato quanto affermato da questa Corte (Sez. 1, n. 16054 del 10/03/2023, Moccia, RV. 284545 - 01), sia pure nella diversa situazione di procedimento penale pendente in fase di impugnazione, e cioè che "Il legame esistente tra la mancata proposizione dell'impugnazione e l'irrevocabilità della sentenza di primo grado, elementi che rendono applicabile l'ulteriore sconto di pena disposto dal giudice dell'esecuzione, rende evidente che, nel caso in esame, non può porsi nessuna questione di restituzione nel termine, posto che l'atto che impedisce l'accesso alla riduzione di pena è già stato compiuto e ha introdotto la fase processuale dell'impugnazione, fase che la norma premiale vuole evitare".

3. Orbene, la questione che qui si pone è essenzialmente quella se sia consentito o meno al giudice di rimettere in termini l'imputato per la richiesta di rito abbreviato allo scopo di poter usufruire del migliore regime sanzionatorio previsto dall' art. 442, comma 2-bis del codice di rito. Non si tratta, quindi, tanto di assumere posizione sulla natura sostanziale o processuale di siffatta disposizione, quanto piuttosto di riflettere se, nell'ottica di una eventuale trattamento sanzionatorio - previsto da una disciplina entrata in vigore dopo la scelta del rito ordinario - più favorevole, di cui beneficiare in sede esecutiva e condizionato alla scelta dell'imputato di non impugnare una eventuale sentenza di condanna, sia possibile "bypassare" le norme che sottopongono la richiesta di rito abbreviato al rispetto di modalità e tempi prefissati dal legislatore con rigida scansione così disperdendo tutte le attività processuali già espletate e consentendo l'ammissione al rito in tutti quei processi già in fase di svolgimento nel giudizio di primo grado.

A tale quesito si ritiene di dover dare risposta negativa.

Ed invero, il diritto dell'imputato di chiedere il giudizio abbreviato e di ottenere i conseguenziali benefici trova la sua ragion d'essere nell'esigenza di consentire una rapida definizione dei processi. Al fine di soddisfare siffatta finalità, il legislatore ha previsto, a fronte del rischio che assume l'imputato d'essere giudicato allo stato degli atti e di rinunciare al dibattimento, dal quale potrebbe anche scaturire una pronuncia a lui più favorevole, il "corrispettivo" della riduzione della pena. Ne deriva che, ove si consentisse all'imputato di essere rimesso in termini al fine di beneficiare delle disposizioni premiali di cui all'art. 442, comma 2-bis cod. proc. pen., non solo verrebbero vanificate le esigenze sottese all'introduzione del rito speciale, ma anche quelle che permeano l'intera riforma cd. Cartabia e, nello specifico, la disposizione di che trattasi che ha lo scopo di ridurre la durata del procedimento penale, favorendo la definizione della causa dopo la decisione di primo grado prevedendo un'ulteriore riduzione di un sesto, in sede esecutiva, della pena applicata ove non si proceda all'appello, se previsto, o al giudizio di legittimità.

Devesi peraltro rilevare che l'operatività della disposizione invocata per assumere rilievo deve necessariamente integrarsi con le peculiarità del rito speciale alternativo. Come correttamente evidenziato dal Tribunale nel provvedimento di cui si discute, la rigida disciplina prevista per l'accesso al rito verrebbe vanificata onde consentire all'imputato di ottenere un beneficio del tutto ipotetico in quanto subordinato alla duplice eventuale condizione della emissione di una sentenza di condanna e della decisione, libera, insandacabile e del tutto ipotetica, di non appellare. Le disposizioni che individuano i presupposti per poter richiedere il giudizio abbreviato e nello specifico quelle che fissano, a pena di decadenza, i termini per la richiesta e le modalità di accesso al rito hanno evidente natura processuale che rimane tale nonostante l'indubbia natura sostanziale della diminuente premiale prevista per la scelta operata (Sez. 1, n. 48757 del 04/12/2012 , Aspa, RV. 254524 - 01); esse, quindi, sono regolate, in assenza di una disciplina transitoria, dal principio tempus regit actum. Ne deriva che, ove sia intervenuta la preclusione e l'imputato abbia optato, come nel caso di cui si discute, per il rito ordinario, egli non potrà più accedere al giudizio abbreviato, anche se da quest'ultimo potrebbe derivare un trattamento sanzionatorio più mite previsto da una disposizione successiva .

Non può infine sottacersi la considerazione che in argomento, a differenza di quanto è avvenuto in altre situazioni similari, manca la pur minima indicazione normativa che lasci trapelare la volontà del legislatore di superare le preclusioni processuali. Si pensi, ad esempio, alla nuova disciplina in tema di domanda di messa alla prova. In tale caso, con riguardo al regime intertemporale, il legislatore, nell'art. 90, comma 2, D.Lgs. n. 150 del 2022, ha espressamente stabilito che ove siano trascorsi i termini di cui all'art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen., è nella facoltà dell'imputato o del suo procuratore speciale, formulare la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, a pena di decadenza, entro la prima udienza successiva alla data di entrata in vigore del decreto, o nei quaranta giorni successivi all'entrata in vigore della disposizione ove non sia stata ancora fissata l'udienza.

4. In conclusione, dunque, il silenzio serbato dal legislatore che non ha ritenuto di introdurre una disposizione transitoria, la ratio sottesa alle previsioni normative in esame, l'eccezionalità della disposizione di cui al citato articolo 90 che ne esclude l'applicazione analogica, sono tutte ragioni che ostano all'accoglimento del ricorso che deve dunque essere rigettato.

5. Deve essere disposta, ai sensi dell'art. 52, comma 5, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs.196/03 in quanto imposto dalla legge.

Conclusione

Cosi deciso in Roma, il 2 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2024.