Giu illegittimità costituzionale dell'art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, delle Norme di attuazione del codice di procedura penale
CORTE COSTITUZIONALE - 13 giugno 2024 N. 105
Massima
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, delle Norme di attuazione del codice di procedura penale, come introdotto dall'art. 6 del D.L. 5 gennaio 2023, n. 2 (Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella L. 3 marzo 2023, n. 17, nella parte in cui non prevede che le misure ivi indicate si applichino per un periodo di tempo non superiore a trentasei mesi.

Testo della sentenza
CORTE COSTITUZIONALE - 13 giugno 2024 N. 105

1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il GIP del Tribunale di Siracusa ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., come introdotto dall'art. 6 del D.L. n. 2 del 2023, come convertito.

In particolare, il rimettente appunta le proprie censure sul quinto periodo di tale disposizione, ai termini del quale, in caso di sequestro preventivo di stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell'art. 1 del D.L. n. 207 del 2012, come convertito, ovvero di impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, "il giudice autorizza la prosecuzione dell'attività se, nell'ambito della procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale, sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva e di salvaguardia dell'occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell'ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi".

Ad avviso del rimettente, la disciplina censurata non rispetterebbe le condizioni alle quali questa Corte, nella sentenza n. 85 del 2013, ha ritenuto compatibile con la Costituzione la prosecuzione dell'esercizio dell'attività di stabilimenti di interesse strategico nazionale, pur in presenza di provvedimenti di sequestro dell'autorità giudiziaria (segnatamente, l'osservanza di puntuali prescrizioni stabilite dall'autorità amministrativa all'esito di un procedimento con caratteristiche di pubblicità e partecipazione, finalizzato a individuare un punto di equilibrio in ordine all'accettabilità e alla gestione dei rischi dell'attività; l'effettività del controllo e monitoraggio sulla prosecuzione dell'attività; la durata limitata nel tempo della prosecuzione stessa).

La disciplina in parola, pertanto, violerebbe gli artt. 2 e 32 Cost., che presidiano la vita e la salute umana; l'art. 9 Cost., che tutela l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni; l'art. 41, secondo comma Cost., che vieta che l'iniziativa economica privata possa dispiegarsi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla libertà o alla dignità umana. Ciò in quanto il legislatore non avrebbe garantito un equilibrato bilanciamento tra i valori costituzionali in gioco, facendo prevalere incondizionatamente l'interesse alla continuità dell'attività produttiva e comprimendo eccessivamente i beni della vita, della salute e dell'ambiente.

2.- Vanno esaminate - in ordine di priorità logico-giuridica - le numerose eccezioni di inammissibilità delle questioni, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri e dalle società I. srl, S.R.I. srl e V. spa.

2.1.- S.R.I. srl ha eccepito il difetto di legittimazione del giudice a quo a promuovere l'incidente di costituzionalità e la carenza di incidentalità delle questioni.

L'eccezione deve essere rigettata sotto entrambi i profili.

2.1.1.- Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, per aversi un giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, ai sensi dell'art. 1 della L.Cost. 9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d'indipendenza della Corte Costituzionale) e dell'art. 23 della L. 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), è sufficiente che ricorra "il requisito oggettivo dell'esercizio "di funzioni giudicanti per l'obiettiva applicazione della legge", da parte di organi ... "posti in posizione super partes"" (sentenza n. 138 del 2019, nonché, nello stesso senso, sentenze n. 237 del 2022 e n. 244 del 2020).

Tale requisito certamente ricorre nel caso di specie, in cui l'incidente di costituzionalità origina dal procedimento cautelare relativo al sequestro preventivo del depuratore condotto da I. spa. Nell'ambito di tale procedimento, sono insorte questioni - introdotte dall'istanza dell'amministratore giudiziario del 10 novembre 2023 - concernenti la gestione del bene in sequestro e segnatamente alla necessità di rilevare, monitorare e valutare i valori limite di emissione tollerabili dell'impianto alla stregua delle prescrizioni impartite dal D.I. 12 settembre 2023, in prospettiva della prosecuzione del conferimento di reflui industriali in tale depuratore; e ciò a fronte di un sequestro originariamente disposto, il 13 maggio 2022, in funzione impeditiva di tale conferimento.

2.1.2.- Sussiste anche il requisito dell'incidentalità delle questioni, da ritenersi integrato ""ogniqualvolta sia individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalla questione (o dalle questioni) di legittimità costituzionale, sul quale il giudice rimettente sia chiamato a pronunciarsi" (sentenza n. 4 del 2000 e ordinanza n. 103 del 2022; di recente, nello stesso senso, sentenze n. 161 del 2023 e n. 169 del 2022)" (sentenza n. 49 del 2024).

Lo scrutinio di legittimità costituzionale dell'art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen. sollecitato dal rimettente risulta infatti non già fine a sé stesso, ma funzionale al vaglio dell'istanza dell'amministratore giudiziario, e segnatamente alla necessità di indicare a quest'ultimo se e come ottemperare alle disposizioni del D.I. 12 settembre 2023, che nella disposizione di legge censurata trova la sua base legale.

2.2.- L'Avvocatura generale dello Stato e I. srl eccepiscono che il rimettente avrebbe solo formalmente denunciato di illegittimità costituzionale l'art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., appuntando però in effetti le proprie doglianze sui contenuti del D.P.C.M. 3 febbraio 2023 e del D.I. 12 settembre 2023, i quali tuttavia costituirebbero atti non sindacabili da parte di questa Corte.

La stessa eccezione è in sostanza svolta da V. spa, pur dall'angolo visuale dell'aberratio ictus in cui sarebbe incorso il giudice a quo, per avere di fatto censurato le scelte di bilanciamento compiute dal D.I. 12 settembre 2023; e da S.R.I. srl, la quale ritiene che il GIP del Tribunale di Siracusa non abbia neppure compiutamente chiarito se oggetto di censura sia l'art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., oppure il D.P.C.M. 3 febbraio 2023, o ancora il D.I. 12 settembre 2023.

Tali eccezioni, nel loro complesso, non sono fondate.

È pur vero che il rimettente si sofferma diffusamente sul contenuto delle misure di bilanciamento recate dal D.I. 12 settembre 2023, in particolare sostenendo che tale provvedimento introduca significative deroghe alla disciplina recata dal D.Lgs. n. 152 del 2006 (segnatamente, ai valori limite di emissione indicati nella Tabella 3 dell'Allegato 5 alla Parte III cod. ambiente). Tuttavia, la doglianza fondamentale articolata dal giudice a quo si indirizza contro l'art. 104-bis, comma 1.bis.1, norme att. cod. proc. pen., che nella sua prospettiva conterrebbe una "delega in bianco" - di durata illimitata, priva di prescrizioni puntuali, non accompagnata da un sistema di controlli e in definitiva non rispettosa dei requisiti enunciati nella citata sentenza n. 85 del 2013 - a favore dell'amministrazione per l'adozione di misure di bilanciamento, al cui solo ricorrere il giudice penale sarebbe obbligato ad autorizzare la prosecuzione dell'attività di stabilimenti oggetto di sequestro preventivo.

Oggetto delle censure del rimettente è, dunque, l'art. 104-bis, comma 1.bis.1, norme att. cod. proc. pen., ossia una disposizione di rango primario.

2.3.- Secondo I. srl, le questioni sarebbero irrilevanti, poiché - essendo da un lato l'AIA rilasciata l'11 luglio 2022 al depuratore gestito da I. spa "pienamente valida ed efficace", e prevedendo dall'altro lato l'art. 4, comma 4, del D.I. 12 settembre 2023 che l'attività di tale impianto possa proseguire - il giudice a quo non sarebbe chiamato ad autorizzare alcunché.

L'eccezione non è fondata.

Infatti, a fronte di un provvedimento di sequestro preventivo che ordinava l'interruzione del conferimento di reflui industriali nel depuratore condotto da I. spa, la semplice presenza nell'ordinamento di una disposizione di rango secondario (l'art. 4, comma 4, del D.I. 12 settembre 2023), che prescrive la continuazione dell'attività del depuratore stesso, sarebbe di per sé insufficiente a rimuovere ipso iure il vincolo apposto dal giudice in sede cautelare. È invece la stessa disposizione legislativa censurata a prevedere che, in presenza di misure di bilanciamento, il giudice "autorizza" la prosecuzione dell'attività produttiva: evidenziando così la necessità di un apposito provvedimento del giudice in proposito (a prescindere, qui, dalla questione - di cui subito si dirà - se si tratti di provvedimento di natura vincolata o discrezionale).

2.4.- Un nutrito gruppo di eccezioni attiene alla correttezza del presupposto interpretativo da cui muove il rimettente.

2.4.1.- Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, erroneamente il giudice a quo si riterrebbe vincolato ad autorizzare la prosecuzione dell'attività del depuratore sotto sequestro a fronte dell'adozione del D.I. 12 settembre 2023. La disciplina censurata gli consentirebbe, invece, di valutare l'idoneità delle misure adottate nella procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale ad assicurare l'effettivo bilanciamento tra i diversi interessi in gioco; e gli consentirebbe, inoltre, di intervenire sia dettando ulteriori prescrizioni necessarie (art. 104-bis, comma 1-bis.1, terzo periodo, norme att. cod. proc. pen.), sia negando l'autorizzazione alla prosecuzione dell'attività in caso di concreto pericolo per la salute o l'incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione (art. 104-bis, comma 1-bis.1, quarto periodo, norme att. cod. proc. pen.). Ne sarebbe riprova che il comma 1-bis.2 dell'art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. legittima la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero delle imprese e del made in Italy e il Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica a impugnare il provvedimento di esclusione, revoca o diniego della prosecuzione dell'attività, adottato in presenza di misure di bilanciamento.

2.4.2.- L'eccezione è in sostanza sollevata anche da S.R.I. srl e V. spa, le quali peraltro ritengono che il rimettente non abbia nemmeno chiarito se si ritenga vincolato o meno ad autorizzare la prosecuzione dell'attività produttiva in presenza delle misure di bilanciamento di cui all'art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, con conseguente difetto di motivazione sulla rilevanza delle questioni.

2.4.3.- Anche I. srl, all'udienza pubblica del 7 maggio 2024, ha sostenuto l'inammissibilità delle questioni per non avere il rimettente considerato la possibilità di applicare il quarto periodo dell'art. 104-bis, comma 1-bis.1.

2.4.4.- Le eccezioni non sono fondate.

Il giudice a quo muove inequivocabilmente dal presupposto interpretativo di essere vincolato ad autorizzare la continuazione dell'attività (id est, la ricezione di reflui industriali) del depuratore condotto da I. spa, a fronte dell'adozione del D.I. 12 settembre 2023. Egli osserva, infatti, che l'entrata in vigore della disciplina censurata ha "fortemente inciso" sui poteri cautelari del GIP, condizionandoli e limitandoli, poiché "se ... l'Amministratore Giudiziario, coerentemente all'esecuzione di un sequestro c.d. impeditivo, continuasse a chiedere ai c.d. Grandi Utenti l'osservanza del cronoprogramma volto all'interruzione dei reflui industriali, si porrebbe in contrasto con la disposizione che impone la prosecuzione dell'attività produttiva in presenza di un bilanciamento adottato all'interno della procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale"; e che tale disciplina "impone al giudice di autorizzare la prosecuzione dell'attività produttiva al solo ricorrere di misure di bilanciamento".

Tale presupposto interpretativo non solo supera agevolmente il vaglio di non implausibilità che questa Corte opera in fase di valutazione dell'ammissibilità delle questioni, ma appare anche - per le ragioni che saranno più innanzi illustrate (infra, punto 4.3.) - del tutto conforme alla volontà del legislatore.

2.5.- Per la medesima ragione, non sono fondate anche le eccezioni, sollevate dall'Avvocatura dello Stato e da S.R.I. srl, di inammissibilità delle questioni per omesso esperimento del tentativo di interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata.

Anche a supporre che l'interpretazione conforme propugnata sia nel senso che, pur a fronte dell'adozione delle misure di bilanciamento previste dall'art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, il giudice potrebbe non autorizzare la prosecuzione dell'attività degli stabilimenti o impianti sequestrati, deve reiterarsi come, alla luce del complessivo tenore letterale dell'art. 104-bis, comma 1-bis.1 e delle verosimili intenzioni del legislatore (su cui infra, punto 4.3.), non possa rimproverarsi al rimettente di non avere ritenuto possibile una simile lettura della disciplina censurata.

Secondo l'ormai costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, ai fini dell'ammissibilità della questione di legittimità è sufficiente che il giudice abbia motivatamente escluso la possibilità di una interpretazione conforme della disposizione censurata, attenendo poi al merito della questione la verifica della effettiva impraticabilità di tale interpretazione (ex multis, di recente, sentenze n. 6 del 2024, punto 5 del Considerato in diritto; n. 202 del 2023, punto 2 del Considerato in diritto; n. 139 del 2022, punto 3 del Considerato in diritto).

2.6.- L'Avvocatura generale dello Stato ha poi sostenuto che il giudice avrebbe potuto al limite disapplicare il D.I. 12 settembre 2023 se contrario alla legge, ma "non certo, ritenutane l'illegittimità, farne derivare il dubbio di legittimità costituzionale della norma di legge di cui costituisce attuazione".

Anche le parti, all'udienza del 7 maggio 2024, in risposta ai quesiti loro rivolti ai sensi dell'art. 10, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, hanno affermato che il giudice potrebbe disapplicare il decreto interministeriale, nei limiti consentiti dalla legge e individuati dalla sentenza n. 85 del 2013 di questa Corte.

Tali considerazioni non sono peraltro ostative all'esame del merito delle questioni, che risultano sotto questo profilo ammissibili, poiché dal tenore complessivo dell'ordinanza di rimessione risulta che il presupposto da cui - non implausibilmente, alla luce del tenore letterale dell'art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, norme att. cod. proc. pen. - muove il rimettente è quello di essere vincolato a rispettare le misure di bilanciamento contenute nel D.I. 12 settembre 2023.

2.7.- Un ulteriore gruppo di eccezioni attiene all'insufficienza della motivazione circa la non manifesta infondatezza delle questioni.

2.7.1.- Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, il rimettente si sarebbe limitato ad asserire la contrarietà della disposizione censurata agli artt. 2, 9, 32 e 41, secondo comma, Cost., senza in alcun modo spiegare "per quali ragioni ed in quali termini la procedura prevista dalla ... disposizione relativa agli stabilimenti dichiarati di interesse strategico nazionale e agli impianti necessari ad assicurarne l'attività produttiva violi i parametri costituzionali citati".

Ad avviso di V. spa, il giudice a quo, avendo "confuso i contenuti della norma legislativa e quelli dell'atto amministrativo, addebitando alla prima ciò che, in effetti, è proprio del secondo", non avrebbe spiegato i motivi per cui l'art. 104-bis, comma 1-bis.1 sarebbe contrario ai parametri costituzionali evocati.

L'eccezione è in sostanza svolta anche da I. srl, la quale, pur declinandola come mancanza della "soglia minima di chiarezza" delle questioni, anch'essa lamenta che il GIP non avrebbe spiegato perché l'art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., il quale "si limita a prevedere che al ricorrere di determinate e precise condizioni ... il Giudice autorizzi la prosecuzione dell'attività", rechi un vulnus agli artt. 2, 9, 32 e 41, secondo comma, Cost.

2.7.2.- Le eccezioni risultano complessivamente infondate.

Il rimettente ha estesamente richiamato la sentenza n. 85 del 2013, sostenendo che l'art. 104-bis, comma 1-bis.1 norme att. cod. proc. pen. non sia conforme alle condizioni alle quali questa Corte ha ritenuto compatibile con la Costituzione la prosecuzione dell'attività produttiva di stabilimenti di interesse strategico nazionale, pur in presenza di un sequestro giudiziario emesso in un procedimento per reati ambientali. Secondo il giudice a quo la disposizione censurata, a differenza di quella che veniva in considerazione nella sentenza n. 85 del 2013, "non ha introdotto un ragionevole bilanciamento tra i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione", poiché essa "non rinvia a prescrizioni puntuali da rispettare in modo da valorizzare i principi di prevenzione, precauzione, correzione alla fonte, informazione e partecipazione, che caratterizzano l'intero sistema normativo ambientale" e "non ha introdotto un efficace sistema di controlli", sicché "non vi è stata nel caso concreto una effettiva combinazione tra una norma di legge ed un atto amministrativo in grado di determinare le condizioni e i limiti della liceità della prosecuzione di un'attività per un tempo definito".

Il giudice a quo ritiene dunque che l'art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., imponendo la prosecuzione dell'attività produttiva di stabilimenti o impianti oggetto di sequestro preventivo, senza definire puntualmente le condizioni di liceità di tale prosecuzione, non abbia effettuato un corretto bilanciamento tra beni costituzionali concorrenti richiesto dalla sentenza n. 85 del 2013, sacrificando eccessivamente i valori della vita, della salute umana e dell'ambiente tutelati dagli artt. 2, 32 e 9 Cost. e travalicando i limiti cui l'art. 41, secondo comma, Cost. subordina l'iniziativa economica privata.

Risulta dunque chiaramente intelligibile il senso delle censure del rimettente.

2.8.- L'Avvocatura generale dello Stato ha, ancora, eccepito l'erronea individuazione dei parametri costituzionali asseritamente violati, per avere il giudice a quo da un lato lamentato l'indebita limitazione delle proprie prerogative in materia di sequestro preventivo a opera dell'art. 104-bis, comma 1-bis.1, ma dall'altro lato omesso di articolare una corrispondente censura di violazione del principio di separazione tra poteri dello Stato (artt. 102, 104 e 111 Cost.).

Un'eccezione di segno sostanzialmente analogo è articolata da S.R.I. srl, secondo cui si sarebbe in presenza di un "difetto di motivazione e contraddittorietà assoluta sui requisiti di non manifesta infondatezza". Il rimettente avrebbe escluso il vulnus agli artt. 76, 77 e 101, secondo comma, Cost. paventato dalla Procura della Repubblica, salvo poi contraddittoriamente lamentare che l'art. 104-bis, comma 1-bis.1 gli imponga di autorizzare la prosecuzione dell'attività produttiva, in presenza delle misure di bilanciamento di cui al quinto periodo della disposizione.

Nemmeno queste eccezioni sono fondate.

Il rimettente non contesta la scelta legislativa di disporre la continuazione dell'attività produttiva di stabilimenti di interesse strategico nazionale o impianti ad essi strumentali oggetto di sequestro, demandando alla pubblica amministrazione il bilanciamento degli interessi in conflitto. Egli riconosce, anzi, che tale modus procedendi è stato ritenuto compatibile con la Costituzione dalla sentenza n. 85 del 2013. Il giudice a quo lamenta piuttosto che il rinvio operato dalla legge all'atto amministrativo non sia accompagnato da quei limiti che la sentenza in questione aveva individuato come funzionali all'equilibrato bilanciamento tra i beni costituzionali in gioco, e che dunque si determini un'eccessiva compressione dei valori della vita, della salute e dell'ambiente; valori che sono presidiati dagli artt. 2, 32, e 9 Cost., e al cui rispetto deve conformarsi anche la libera iniziativa economica, ai sensi dell'art. 41, secondo comma, Cost.

Deve dunque escludersi l'inconferenza dei parametri evocati rispetto alle censure articolate dal rimettente.

2.9.- L'Avvocatura generale dello Stato ha infine eccepito che le questioni sarebbero prive di uno specifico petitum, non avendo il rimettente indicato quale frammento della disposizione censurata sia sospettato di illegittimità costituzionale, né precisato se l'auspicato intervento di questa Corte debba avere natura "ablativa o manipolativa" e in quale soluzione compatibile con la Carta costituzionale esso debba consistere.

Anche quest'ultima eccezione non è fondata.

Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, "l'ordinanza di rimessione delle questioni di legittimità costituzionale non necessariamente deve concludersi con un dispositivo recante altresì un petitum, essendo sufficiente che dal tenore complessivo della motivazione emergano con chiarezza il contenuto ed il verso delle censure" (da ultimo, sentenza n. 54 del 2024; sentenze n. 136 del 2022, n. 150 e n. 123 del 2021, n. 176 del 2019, n. 175 del 2018).

Come già notato (punto 1 del Considerato in diritto), il rimettente, pur avendo formalmente denunciato l'intero art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., ha appuntato le proprie censure sul quinto periodo della disposizione, secondo cui il giudice autorizza la prosecuzione dell'attività di stabilimenti di interesse strategico nazionale o impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, pur oggetto di sequestro preventivo, se, nell'ambito della procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale, sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva e di salvaguardia dell'occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell'ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi.

Dal tenore complessivo della motivazione dell'ordinanza di rimessione risulta evidente che il rimettente invochi un intervento ablativo di questa Corte sulla disposizione da ultimo richiamata, concepita come derogatoria rispetto a quelle dei periodi precedenti dell'art. 104-bis, comma 1-bis.1, che riconoscono in capo al giudice il potere di dettare prescrizioni per la prosecuzione dell'attività e di negarla in caso di concreto pericolo per la salute o l'incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione.

2.10.- In conclusione, tutte le censure prospettate dal rimettente superano il vaglio di ammissibilità.

3.- Prima di procedere all'esame del merito, è opportuno svolgere una premessa di ordine generale, che attiene al carattere, per così dire, ibrido della disposizione censurata: la cui introduzione è strettamente connessa alla specifica vicenda giudiziaria che interessa il depuratore di P.G. (infra, punto 3.1.), ma la cui portata precettiva trascende tale vicenda, assumendo così carattere generale, potenzialmente applicabile a una pluralità indeterminata di casi analoghi (infra, punto 3.2.).

3.1.- L'occasione che ha determinato il Governo a emanare la disposizione censurata, con il D.L. n. 2 del 2023, come convertito, è rappresentata, dichiaratamente, dalla ritenuta "straordinaria necessità e urgenza di prevedere misure anche di carattere processuale e procedimentale finalizzate ad assicurare la continuità produttiva degli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale": stabilimenti tra i quali, con l'appena successivo D.P.C.M. 3 febbraio 2023, sarebbero stati classificati quelli di proprietà di I. srl, mentre l'impianto di depurazione di I. spa di P.G. sarebbe stato riconosciuto dal medesimo d.P.C.m. come "infrastruttura necessaria ad assicurare la continuità produttiva" degli stabilimenti di I. srl.

Tanto le figure apicali di I. srl quanto quelle di I. spa (nonché le stesse società, ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001) sono in effetti sottoposte a indagini - come più dettagliatamente riferito al punto 1.1. del Ritenuto in fatto - in un procedimento penale avviato dalla Procura della Repubblica di Siracusa e relativo a plurime ipotesi di reato, tra cui quella di disastro ambientale aggravato.

Nell'ambito di tale procedimento, il GIP del Tribunale di Siracusa ha disposto, il 13 maggio 2022, il sequestro preventivo dell'impianto di depurazione di P.G. gestito da I. spa, nominando un amministratore giudiziario con l'incarico di limitare il funzionamento dell'impianto di depurazione ai reflui civili, con esclusione del conferimento dei reflui industriali.

Il successivo 11 luglio 2022 è stata rilasciata l'AIA regionale all'impianto di depurazione in parola, che conteneva numerose prescrizioni ma era comunque funzionale alla prosecuzione del conferimento nell'impianto stesso dei reflui provenienti dagli stabilimenti produttivi del polo petrolchimico siracusano, ivi compresi quelli di I. srl. Il 29 agosto 2022, tuttavia, il GIP di Siracusa ha disposto l'adozione di un "cronoprogramma" per l'interruzione in sicurezza dei conferimenti di reflui industriali nell'impianto di depurazione in parola, ritenendo evidentemente tale impianto non idoneo ad assicurare un adeguato trattamento dei reflui provenienti dal polo petrolchimico.

Su questo sfondo fattuale si inserisce l'intervento normativo che ha introdotto la disposizione ora censurata. In assenza di alternative immediatamente praticabili per lo smaltimento dei reflui industriali, l'interruzione della loro ricezione da parte del depuratore sequestrato avrebbe comportato la necessità di interrompere la stessa attività produttiva del polo petrolchimico siracusano, con le conseguenze economiche e occupazionali agevolmente desumibili dai dati riportati dall'Avvocatura generale dello Stato nel proprio atto di intervento nel presente giudizio (punto 2.1. del Ritenuto in fatto).

Dopo che il D.L. n. 187 del 2022, come convertito, aveva prescritto in via generale alle "imprese che gestiscono a qualunque titolo impianti e infrastrutture di rilevanza strategica per l'interesse nazionale nel settore della raffinazione di idrocarburi" di garantire "la sicurezza degli approvvigionamenti, nonché il mantenimento, la sicurezza e l'operatività delle reti e degli impianti, astenendosi da comportamenti che possono mettere a rischio la continuità produttiva e recare pregiudizio all'interesse nazionale", il D.L. n. 2 del 2023, come convertito, ha introdotto, al Capo II, una serie di "disposizioni in materia penale relative agli stabilimenti di interesse strategico nazionale".

All'art. 5 sono, in particolare, previste varie modifiche al D.Lgs. n. 231 del 2001 in materia di responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche, miranti nel loro complesso ad assicurare la prosecuzione dell'attività produttiva di tali stabilimenti, anche nell'ipotesi in cui sia disposta una misura cautelare a carico dell'ente ovvero una sanzione interdittiva.

L'art. 6 dispone l'introduzione, all'art. 104-bis norme att. cod. proc pen., del nuovo comma 1-bis.1, in questa sede censurato, nonché del successivo comma 1-bis.2, che attribuisce alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica la legittimazione a proporre appello, ai sensi dell'art. 322-bis cod. proc. pen., avverso il provvedimento con cui il giudice abbia comunque escluso o revocato l'autorizzazione alla prosecuzione dell'attività produttiva "nonostante le misure adottate nell'ambito della procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale", individuando come giudice competente per la decisione sull'impugnazione il Tribunale ordinario di Roma in composizione collegiale.

Infine, l'art. 7 prevede la non punibilità per chi abbia agito "al fine di dare esecuzione ad un provvedimento che autorizza la prosecuzione dell'attività di uno stabilimento industriale o parte di esso dichiarato di interesse strategico nazionale", e in conformità alle "prescrizioni dettate dal provvedimento dirette a tutelare i beni giuridici protetti dalle norme incriminatrici".

Durante la discussione al Senato sul disegno di legge governativo di conversione del decreto-legge, si è espressamente sottolineato che l'art. 6 - introduttivo della disposizione qui censurata - "ha permesso di risolvere una tematica inerente al depuratore del polo petrolchimico di P." (seduta n. 40 del 21 febbraio 2023). Ciò conferma la stretta connessione esistente tra la genesi della disposizione in parola e la specifica vicenda giudiziaria relativa al depuratore medesimo.

Nel frattempo, il D.P.C.M. 3 febbraio 2023 aveva già provveduto a dichiarare di interesse strategico nazionale - ai sensi del D.L. n. 207 del 2012, come convertito - gli stabilimenti della società I. srl e a riconoscere l'impianto di depurazione gestito da I. spa quale infrastruttura necessaria ad assicurarne la continuità produttiva, rendendo così applicabile il complesso della nuova disciplina introdotta con il D.L. n. 2 del 2023, come convertito, al procedimento cautelare pendente avanti al GIP di Siracusa e avente ad oggetto l'impianto di depurazione stesso.

Sulla base poi di quanto previsto dall'art. 3 del D.P.C.M. 3 febbraio 2023 il D.I. 12 settembre 2023 - adottato dal Ministro delle imprese e del made in Italy, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, sentiti i Ministri della salute, delle infrastrutture e dei trasporti, del lavoro e delle politiche sociali, e l'ISPRA - ha infine indicato le concrete "misure" con le quali è stato attuato il "bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva e di salvaguardia dell'occupazione, e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell'ambiente" in relazione al complesso degli stabilimenti di proprietà della società I. srl, nonché il "coordinamento a livello regionale in relazione agli interventi eventualmente necessari per dare soluzione alle questioni ambientali inerenti" l'impianto di depurazione di P.G. gestito da I. spa (oltre che l'impianto di M. gestito da P.S. scpa).

Tale decreto interministeriale rende, in particolare, applicabile nella vicenda giudiziaria oggetto del procedimento a quo la previsione del quinto periodo del nuovo art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., nei cui confronti si indirizzano le censure del rimettente.

3.2.- Tuttavia, nonostante lo stretto legame esistente con la vicenda giudiziaria che ne rappresenta l'occasio, la disposizione censurata non costituisce una legge-provvedimento, ma detta una disciplina generale e astratta, e dunque potenzialmente applicabile a una pluralità indeterminata di casi analoghi.

Essa si inserisce, in effetti, all'interno dell'articolato disposto dell'art. 104-bis norme att. cod. proc. pen., relativo all'amministrazione dei beni sottoposti a sequestro o a confisca da parte del giudice penale, dettando regole riferite alla specifica ipotesi in cui il sequestro abbia ad oggetto "stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale" ai sensi dell'art. 1 del D.L. n. 207 del 2012, come convertito (il cosiddetto "decreto Ilva"), ovvero "impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva".

Sino all'entrata in vigore del D.L. n. 2 del 2023, tale ipotesi era parzialmente regolata soltanto dall'art. 1, comma 4, del "decreto Ilva", ai sensi del quale le disposizioni relative all'autorizzazione della prosecuzione dell'attività produttiva di stabilimenti di interesse strategico nazionale contenute nell'art. 1, comma 1, del medesimo decreto "trovano applicazione anche quando l'autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento", aggiungendo che tali provvedimenti "non impediscono, nel corso del periodo di tempo indicato nell'autorizzazione, l'esercizio dell'attività di impresa".

Il complesso delle disposizioni di cui all'art. 1 del "decreto Ilva" - già giudicate da questa Corte nella sentenza n. 85 del 2013 non incompatibili con i molti parametri costituzionali allora evocati - in sostanza sanciscono che, quando uno stabilimento sia individuato da un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri come "di interesse strategico nazionale", il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica possa "autorizzare, in sede di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale AIA, la prosecuzione dell'attività produttiva per un periodo di tempo determinato non superiore a 36 mesi ed a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame della medesima autorizzazione, secondo le procedure ed i termini ivi indicati, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell'ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili". In tal caso, resta esclusa la possibilità che altre autorità - compresa l'autorità giudiziaria che ha disposto il sequestro - possano dettarne di ulteriori, subordinando ad esse l'autorizzazione a proseguire l'attività produttiva, ovvero possano addirittura imporre la cessazione dell'attività stessa.

L'art. 1 del "decreto Ilva" non è tuttavia applicabile a sequestri preventivi come quello oggetto del procedimento a quo, per almeno due ragioni. Da un lato, la disposizione si riferisce testualmente ai soli "stabilimenti di interesse strategico nazionale", e non anche agli impianti e infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, come nel caso degli impianti di depurazione che trattano i reflui provenienti da tali stabilimenti. Dall'altro, essa presuppone un provvedimento di "riesame" dell'AIA adottato dal Ministro dell'ambiente, il quale però non è l'unica autorità competente al rilascio di tali autorizzazioni: tant'è vero che, nel caso dell'impianto di depurazione oggetto di sequestro nel procedimento a quo, l'autorità competente al rilascio dell'AIA è l'Assessorato del territorio e dell'ambiente della Regione Siciliana (ARTA), il quale - peraltro - nel caso di specie aveva, per la prima volta nel 2022, rilasciato a I. spa un'AIA, che non risulta, allo stato, oggetto di alcun riesame.

Il nuovo comma 1-bis.1 dell'art. 104-bis norme att. cod. proc. pen., introdotto dal D.L. n. 2 del 2023, come convertito, intende colmare queste lacune, e istituire una disciplina generale - non a caso collocata stabilmente tra le norme di attuazione del codice di rito - destinata a regolare i poteri di amministrazione spettanti al giudice del sequestro penale su stabilimenti (o parti di essi) dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell'art. 1 del "decreto Ilva", nonché sugli impianti e infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, con particolare riguardo al profilo cruciale dell'autorizzazione alla prosecuzione dell'attività.

È dunque sulla sostenibilità costituzionale di questa disciplina generale e astratta alla luce dei parametri evocati dall'ordinanza di rimessione - e non già sulla correttezza del bilanciamento effettuato dal Governo, attraverso le misure prescritte dal D.I. 12 settembre 2023, nello specifico caso oggetto del procedimento a quo - che questa Corte è, oggi, chiamata a pronunciarsi.

4.- In via ancora preliminare allo scrutinio del merito delle questioni, occorre sciogliere un nodo esegetico sulla disciplina di cui al nuovo comma 1-bis.1 dell'art. 104-bis norme att. cod. proc. pen., su cui si sono incentrate numerose delle eccezioni in precedenza esaminate e su cui si è, altresì, ampiamente discusso durante l'udienza pubblica, anche in risposta ai quesiti formulati da questa Corte ai sensi dell'art. 10, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

4.1.- Come a suo tempo evidenziato (supra, punto 2.4.4.), il presupposto interpretativo da cui inequivocabilmente muove il giudice a quo è che il quinto periodo della disposizione censurata lo vincoli ad autorizzare la prosecuzione dell'attività - nel caso di specie, di ricezione dei reflui industriali da parte dell'impianto di depurazione sequestrato - una volta che, "nell'ambito della procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale", siano state adottate "misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento" tra i vari interessi in conflitto. Misure che, nel caso concreto oggetto del procedimento a quo, sono state adottate a mezzo del D.I. 12 settembre 2023 più volte citato.

4.2.- Tanto l'interveniente Avvocatura generale dello Stato quanto le parti hanno invece sostenuto che il nuovo comma 1-bis.1, letto nel suo complesso, consentirebbe al giudice di valutare l'idoneità di tali misure ad assicurare il corretto bilanciamento tra gli interessi in gioco, o comunque di non autorizzare la prosecuzione dell'attività - ai sensi di quanto disposto dal quarto periodo - "quando dalla prosecuzione può derivare un concreto pericolo per la salute o l'incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione".

Proprio a fronte di tale possibilità, secondo l'interveniente e le parti il sesto periodo della disposizione in esame prescriverebbe al giudice di trasmettere l'eventuale provvedimento negativo sulla prosecuzione dell'attività alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, sì da consentire a tali autorità di impugnare il provvedimento stesso avanti al Tribunale di Roma ai sensi del successivo comma 1-bis.2 dell'art. 104-bis norme att. cod. proc. pen., pure introdotto dall'art. 6 del D.L. n. 2 del 2023, come convertito.

4.3.- Questa Corte ritiene, invece, che un attento esame della successione logica dei diversi periodi del comma 1-bis.1 confermi la correttezza del presupposto interpretativo da cui muove il giudice rimettente.

Il primo periodo di tale disposizione prevede la regola generale secondo cui, quando il sequestro ha ad oggetto stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale, ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, il giudice dispone la prosecuzione dell'attività avvalendosi di un amministratore giudiziario, che l'art. 104-bis, comma 1, norme att. cod. proc. pen. prevede del resto sia nominato in tutti i casi di sequestro di aziende.

Il secondo periodo detta una regola speciale relativa all'ipotesi in cui l'impresa sia già stata ammessa all'amministrazione straordinaria, prevedendo che - in tal caso - la prosecuzione dell'impresa sia affidata al commissario già nominato in quella procedura.

Il terzo periodo dispone poi che, "ove necessario per realizzare un bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva e di salvaguardia dell'occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell'ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi, il giudice detta le prescrizioni necessarie, tenendo anche conto del contenuto dei provvedimenti amministrativi a tal fine adottati dalle competenti autorità".

Il quarto periodo - su cui si appuntano molti degli argomenti spesi dall'interveniente e dalle parti - prevede che "le disposizioni di cui al primo, secondo e terzo periodo non si applicano quando dalla prosecuzione può derivare un concreto pericolo per la salute o l'incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione".

Dunque: il giudice ordinariamente detta - avvalendosi per l'esecuzione del proprio provvedimento dell'amministratore giudiziario dell'azienda sequestrata (primo periodo), ovvero del commissario già nominato nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria (secondo periodo) - disposizioni che consentano la prosecuzione dell'attività, in esito a un bilanciamento, a lui stesso affidato, tra i diversi interessi in gioco; e ciò "tenendo anche conto dei" (ma non essendo vincolato ai) provvedimenti amministrativi autorizzativi già esistenti che riguardano l'attività dell'azienda (terzo periodo). Soltanto nell'ipotesi in cui il giudice stesso ritenga che dalla prosecuzione dell'attività possa derivare un "concreto pericolo" per la salute o l'incolumità pubblica, ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori, non evitabile con alcuna prescrizione, le disposizioni dei primi tre periodi "non si applicano": espressione, quest'ultima, che può essere ragionevolmente intesa soltanto nel senso di autorizzare il giudice a ordinare l'interruzione dell'attività, in esito a una valutazione - ancora di sua esclusiva competenza - sulla sussistenza di una situazione di concreto pericolo per i beni giuridici menzionati, derivante dalla prosecuzione dell'attività e che egli non ritiene schermabile mediante alcuna misura contenitiva (quarto periodo).

Il quinto periodo, oggetto delle censure del rimettente, riguarda però un'ipotesi ancora diversa: e cioè quella in cui, "nell'ambito della procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale" regolata dal "decreto Ilva", "sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento" tra i vari beni giuridici in gioco (in particolare, continuità dell'attività produttiva e salvaguardia dell'occupazione, oltre ai beni già elencati nel quarto periodo appena esaminato). Tali misure sono, all'evidenza, adottate dal Governo a valle dell'individuazione, mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, dello stabilimento in questione come di interesse strategico nazionale, secondo lo schema procedimentale disegnato dallo stesso "decreto Ilva"; e sono, altrettanto evidentemente, distinte dai "provvedimenti amministrativi" autorizzativi di cui parla il terzo periodo, e dei quali il giudice deve semplicemente "tener conto".

In questa diversa ipotesi, il linguaggio della legge diviene perentorio: il giudice "autorizza la prosecuzione dell'attività", senza poter più svolgere un autonomo bilanciamento tra gli interessi in gioco, evidentemente alle condizioni stabilite dal provvedimento governativo che stabilisce le "misure" di bilanciamento in questione. E senza potere, nemmeno, disporre l'interruzione dell'attività nel caso in cui apprezzi un "concreto pericolo" per la salute o l'incolumità pubblica, ovvero la salute o la sicurezza dei lavoratori, dal momento che il precedente quarto periodo deroga soltanto al primo, al secondo e al terzo periodo, ma non - appunto - al quinto, ora all'esame. In questa fase, l'apprezzamento della sussistenza o meno di tale concreto pericolo spetta dunque al solo Governo, nell'ambito della procedura avviata con la dichiarazione di interesse strategico nazionale dello stabilimento.

La previsione, nel sesto periodo, di un obbligo di trasmissione del provvedimento "ai sensi dei periodi precedenti" (dal primo al quinto, dunque), "anche se negativo" (e cioè preclusivo della prosecuzione dell'attività), alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, sottende poi la volontà legislativa di assicurare a tali autorità governative - tutte a vario titolo coinvolte nella procedura disciplinata dal "decreto Ilva" - una piena e tempestiva conoscenza delle determinazioni del giudice, nell'ambito del procedimento di sequestro, relative all'azienda in questione.

E ciò sia al fine di consentire a tali autorità di calibrare le adottande "misure" di cui al quinto periodo rispetto alla concreta situazione dell'azienda, tenendo conto anche del bilanciamento già operato dal giudice sulla base dei dati da questi raccolti; sia - nell'ipotesi specifica in cui il giudice abbia negato la prosecuzione dell'attività nonostante l'avvenuta adozione delle "misure" predette da parte del Governo - onde permettere alle autorità in parola di impugnare il provvedimento di diniego alla prosecuzione dell'attività innanzi al Tribunale di Roma, ai sensi del nuovo comma 1-bis.2 norme att. cod. proc. pen.

Quest'ultima previsione sembra dunque operare, nella logica - invero, non proprio cristallina - del legislatore, come una sorta di "freno di emergenza" nell'ipotesi in cui il giudice, nonostante l'adozione da parte del Governo delle "misure" di cui al quinto periodo del comma 1-bis.1, concepite quali vincolanti per l'autorità giudiziaria, abbia comunque negato l'autorizzazione a proseguire l'attività.

Contrariamente a quanto sostenuto dall'interveniente e dalle parti costituite, non può però desumersi dalla previsione dell'appello di cui al comma 1-bis.2 che il giudice conservi un qualche residuo potere di bilanciare discrezionalmente gli opposti interessi in gioco: e di dettare così misure che si discostino da quelle stabilite dal Governo ai sensi del quinto periodo del comma 1-bis.1, o addirittura di vietare la prosecuzione dell'attività sulla base di un discrezionale apprezzamento relativo ad un "concreto pericolo" di pregiudizio per i beni collettivi di cui ragiona il quarto periodo.

Al contrario, la logica seguita dal legislatore è, per quanto si è sin qui argomentato, chiara: una volta che il Governo, nell'ambito della procedura di cui al "decreto Ilva", abbia dettato le misure di bilanciamento, al cui rispetto è condizionata la prosecuzione dell'attività, non residua più in capo al giudice del sequestro alcun margine di discrezionalità nella valutazione degli interessi in gioco, e nelle determinazioni conseguenti. Il giudice è, a questo punto, vincolato ad autorizzare la prosecuzione dell'attività, alle condizioni stabilite dal Governo.

5.- Tanto precisato con riguardo all'interpretazione della disposizione censurata, e in particolare del suo quinto periodo, possono finalmente vagliarsi nel merito le doglianze del rimettente.

In estrema sintesi, come si rammenterà, il giudice a quo lamenta che questa disciplina non assicuri un bilanciamento adeguato tra il complesso degli interessi di rilevanza costituzionale in gioco, e determini pertanto una lesione degli artt. 2 e 32 Cost., che tutelano la vita e la salute umana; dell'art. 9 Cost., che tutela l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi; nonché dell'art. 41, secondo comma, Cost., che garantisce l'iniziativa economica, imponendo però che essa non si svolga in contrasto con la salute, l'ambiente, la sicurezza, la libertà e la dignità umana.

Tali censure sono parzialmente fondate, nei termini di seguito chiariti.

5.1.- Il punto di riferimento naturale, nell'esame delle presenti questioni, è rappresentato dai precedenti di questa Corte sulla vicenda Ilva, e in particolare dalla sentenza n. 85 del 2013, con cui non a caso il rimettente si confronta estesamente.

Peraltro, due fondamentali profili differenziali tra le questioni oggetto della sentenza n. 85 del 2013 e quelle odierne debbono essere, in limine, posti in evidenza.

5.1.1.- In primo luogo, le questioni decise con la sentenza n. 85 del 2013 erano in larga parte incentrate su parametri costituzionali estranei al presente giudizio: il principio di eguaglianza-ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.; gli artt. 101, 102, 103, 104, 107 e 111 Cost., in relazione all'asserita indebita incidenza del "decreto Ilva" su provvedimenti giudiziari già assunti e passati in "giudicato cautelare", attraverso norme prive del carattere di generalità e astrattezza; gli artt. 25, 27 e 112 Cost., in relazione alle pretese deroghe, introdotte dalla normativa censurata, ai principi costituzionali dettati in materia di responsabilità penale ed esercizio dell'azione penale.

Di nessuno di tali profili si duole l'odierno rimettente, che - in particolare - non contesta la possibilità, in linea di principio, che il legislatore disciplini dettagliatamente i poteri del giudice nel caso in cui sia stato disposto il sequestro di uno stabilimento industriale dichiarato di interesse strategico nazionale, ovvero di impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva.

Le doglianze del GIP del Tribunale di Siracusa sono, invece, assai più circoscritte: esse assumono, in sostanza, che la disciplina in concreto dettata dal legislatore con il nuovo comma 1-bis.1 dell'art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. non offra adeguata tutela alla vita e alla salute umana, nonché all'ambiente, alla biodiversità e agli ecosistemi, privilegiando in modo eccessivo l'interesse alla continuità produttiva di impianti, per quanto considerati di interesse strategico nazionale.

5.1.2.- Censure analoghe, invero, erano state proposte - accanto alle molte altre sopra menzionate - anche nel caso deciso con la sentenza n. 85 del 2013; ed erano state in quell'occasione ritenute non fondate, per le ragioni illustrate ai punti 9 e 10 del Considerato in diritto di quella sentenza, imperniate attorno all'idea della necessità di un "ragionevole bilanciamento", riservato in linea di principio al legislatore, "tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all'ambiente salubre, e al lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l'interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso" (punto 9 del Considerato in diritto).

In relazione a queste censure va segnalato però il secondo, rilevante profilo di distinzione tra le questioni odierne e quelle esaminate con la sentenza n. 85 del 2013, che attiene al mutamento, nel frattempo intervenuto, nella stessa formulazione dei parametri costituzionali sulla base dei quali deve essere condotto lo scrutinio di questa Corte.

La L.Cost. 11 febbraio 2022, n. 1 (Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell'ambiente) ha, in effetti, attribuito espresso rilievo costituzionale alla tutela dell'ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni (art. 9, terzo comma, Cost.); e ha inserito tra i limiti alla libertà di iniziativa economica menzionati nell'art. 41, secondo comma, Cost. le ragioni di tutela dell'ambiente, oltre che della salute umana.

Invero, già da epoca anteriore alla riforma dell'art. 117, secondo comma, Cost. - la cui lettera s) affida alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la tutela dell'ambiente e degli ecosistemi, facendone per la prima volta oggetto di menzione espressa nel testo costituzionale - questa Corte aveva riconosciuto l'esistenza di un "diritto fondamentale della persona ed interesse fondamentale della collettività" alla salvaguardia dell'ambiente, precisando che esso "comprende la conservazione, la razionale gestione ed il miglioramento delle condizioni naturali (aria, acque, suolo e territorio in tutte le sue componenti), la esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici terrestri e marini, di tutte le specie animali e vegetali che in esso vivono allo stato naturale", intesi tutti quali "valori che in sostanza la Costituzione prevede e garantisce (artt. 9 e 32 Cost.)" (sentenza n. 210 del 1987 punto 4.5. del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n. 641 del 1987, punto 2.2. del Considerato in diritto, nonché, più di recente, sentenza n. 126 del 2016, punto 5.1. del Considerato in diritto).

La riforma del 2022 consacra direttamente nel testo della Costituzione il mandato di tutela dell'ambiente, inteso come bene unitario, comprensivo delle sue specifiche declinazioni rappresentate dalla tutela della biodiversità e degli ecosistemi, ma riconosciuto in via autonoma rispetto al paesaggio e alla salute umana, per quanto ad essi naturalmente connesso; e vincola così, esplicitamente, tutte le pubbliche autorità ad attivarsi in vista della sua efficace difesa.

Peculiare è, altresì, la prospettiva di tutela oggi indicata dal legislatore costituzionale, che non solo rinvia agli interessi dei singoli e della collettività nel momento presente, ma si estende anche (come già, del resto, prefigurato da numerose pronunce di questa Corte risalenti a epoca anteriore alla riforma: sentenze n. 46 del 2021, punto 8 del Considerato in diritto; n. 237 del 2020, punto 5 del Considerato in diritto; n. 93 del 2017, punto 8.1. del Considerato in diritto; n. 22 del 2016, punto 6 del Considerato in diritto; n. 67 del 2013, punto 4 del Considerato in diritto; n. 142 del 2010, punto 2.2.2. del Considerato in diritto; n. 29 del 2010, punto 2.1. del Considerato in diritto; n. 246 del 2009, punto 9 del Considerato in diritto; n. 419 del 1996, punto 3 del Considerato in diritto) agli interessi delle future generazioni: e dunque di persone ancora non venute ad esistenza, ma nei cui confronti le generazioni attuali hanno un preciso dovere di preservare le condizioni perché esse pure possano godere di un patrimonio ambientale il più possibile integro, e le cui varie matrici restino caratterizzate dalla ricchezza e diversità che lo connotano.

Per altro verso, la tutela dell'ambiente - nell'interesse, ancora, dei singoli e della collettività nel momento presente, nonché di chi ancora non è nato - assurge ora a limite esplicito alla stessa libertà di iniziativa economica, il cui svolgimento non può "recare danno" - oltre che alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, come recitava il testo previgente dell'art. 41, secondo comma, Cost. - alla salute e all'ambiente.

Di tali chiare indicazioni del legislatore costituzionale - lette anche attraverso il prisma degli obblighi europei e internazionali in materia - questa Corte è chiamata a tenere puntualmente conto, nel vagliare le censure del rimettente.

5.2.- Quest'ultimo si duole, essenzialmente, del venir meno - per effetto della disposizione censurata - di ogni potere discrezionale dell'autorità giudiziaria nella gestione dello stabilimento sottoposto a sequestro, una volta che l'autorità governativa abbia indicato le "misure" di bilanciamento cui allude il quinto periodo della disposizione censurata. Ciò appare al rimettente incongruo, al metro dei parametri costituzionali evocati, ogniqualvolta le misure predette risultino insufficienti ad offrire adeguata tutela all'ambiente, o addirittura alla vita e alla salute delle persone su cui potenzialmente ricadono le conseguenze nocive dell'attività produttiva.

Nel caso oggetto del giudizio a quo, ad esempio, il rimettente ritiene che il decreto interministeriale con cui sono state adottate le "misure" di cui al quinto periodo della disposizione censurata si sarebbe limitato a innalzare i parametri di accettabilità degli scarichi di varie sostanze nocive per la salute umana nelle matrici aria e acqua da parte del depuratore di P.G., prevedendo altresì un sistema a suo avviso inefficace di monitoraggio del rispetto di tali limiti.

Come poc'anzi rammentato, la sentenza n. 85 del 2013 ha ritenuto non fondate doglianze analoghe rivolte nei confronti della disciplina dettata dal "decreto Ilva", che parimenti vincola l'autorità giudiziaria che ha disposto il sequestro alle prescrizioni dettate dal potere esecutivo, e più precisamente - in quello schema normativo - dal provvedimento del Ministro dell'ambiente che chiude la procedura di riesame dell'AIA.

Questa Corte ha in quell'occasione sottolineato che il provvedimento di riesame dell'AIA - successivo alla constatazione dell'inefficacia delle prescrizioni contenute nell'AIA originaria - "indica un nuovo punto di equilibrio, che consente ... la prosecuzione dell'attività produttiva a diverse condizioni, nell'ambito delle quali l'attività stessa deve essere ritenuta lecita nello spazio temporale massimo (36 mesi), considerato dal legislatore necessario e sufficiente a rimuovere, anche con investimenti straordinari da parte dell'impresa interessata, le cause dell'inquinamento ambientale e dei pericoli conseguenti per la salute delle popolazioni" (punto 10.2. del Considerato in diritto).

Tale punto di equilibrio - ha proseguito la sentenza n. 85 del 2013 - "deve presumersi ragionevole, avuto riguardo alle garanzie predisposte dall'ordinamento quanto all'intervento di organi tecnici e del personale competente; all'individuazione delle migliori tecnologie disponibili; alla partecipazione di enti e soggetti diversi nel procedimento preparatorio e alla pubblicità dell'iter formativo, che mette cittadini e comunità nelle condizioni di far valere, con mezzi comunicativi, politici ed anche giudiziari, nelle ipotesi di illegittimità, i loro punti di vista" (punto 10.3. del Considerato in diritto).

La sentenza ha concluso che il punto di equilibrio così raggiunto non avrebbe potuto essere contestato dal giudice del sequestro, al quale non spetta in ogni caso un potere di "riesame del riesame" circa il merito dell'AIA, sul presupposto di una insufficienza delle prescrizioni dettate dall'autorità amministrativa (ancora, punto 10.3. del Considerato in diritto). Con conseguente non fondatezza delle questioni allora prospettate, sotto il profilo della allegata violazione del diritto alla salute e ad un ambiente salubre.

5.3.- Come osserva l'odierno rimettente, tuttavia, la disposizione ora all'esame - e in particolare il suo quinto periodo - si discosta in maniera non marginale dallo schema normativo di cui all'art. 1 del D.L. n. 207 del 2012, come convertito, esaminato dalla sentenza n. 85 del 2013.

Anzitutto, essa non indica quale sia l'autorità amministrativa competente ad adottare le "misure" di bilanciamento alle quali il giudice sarà poi vincolato (infra, punto 5.3.1.).

In secondo luogo, essa non chiarisce in quale rapporto si collochino tali misure con l'AIA degli stabilimenti industriali suscettibili di essere indicati di interesse strategico nazionale (ovvero necessari ad assicurarne la continuità produttiva), né con l'eventuale procedimento di riesame dell'AIA medesima (infra, punto 5.3.2.).

In terzo luogo, essa non prevede alcun termine finale per la sua operatività, a differenza di quanto invece accade nello schema normativo disegnato dall'art. 1 del D.L. n. 207 del 2012, come convertito (infra, punto 5.3.3.).

5.3.1.- Per ciò che concerne, anzitutto, l'autorità competente ad adottare le "misure" in questione, deve ritenersi che essa sia indirettamente individuabile tramite il riferimento, contenuto nel quinto periodo del comma 1-bis.1, alla "procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale", a sua volta disciplinata dal D.L. n. 207 del 2012, come convertito. Questa procedura, ai sensi dell'art. 1, comma 1, di tale decreto-legge, prende avvio con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con il quale lo stabilimento viene individuato come di interesse strategico nazionale. Ciò comporta, di necessità, il coinvolgimento - in ragione dell'elevato rilievo dell'attività dello stabilimento per l'economia nazionale e la salvaguardia dei livelli occupazionali - del massimo livello di governo nelle decisioni che riguardano lo stabilimento, a prescindere poi dalla possibilità, per lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, di delegare a uno o più ministri l'adozione concreta delle misure cui dovrà essere condizionata la prosecuzione dell'attività produttiva stessa.

Il che è, del resto, quanto è puntualmente accaduto nel caso oggetto del giudizio a quo, in cui il D.P.C.M. del 3 febbraio 2023 ha demandato a un successivo "decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, da adottarsi di concerto con il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, sentiti i Ministri della salute, delle infrastrutture e dei trasporti, del lavoro e delle politiche sociali e l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA)", la definizione delle misure in questione.

5.3.2.- Più problematico, dal punto di vista della sostenibilità costituzionale della scelta legislativa, è però il segnalato difetto di qualsiasi indicazione, da parte della disposizione censurata, circa il procedimento da seguire per l'individuazione delle misure.

La sentenza n. 85 del 2013 ha ritenuto compatibile con le ragioni di tutela della salute e dell'ambiente una disciplina che vincola il giudice alle prescrizioni cristallizzate nell'AIA riesaminata: e cioè in un provvedimento "di derivazione europea" (sentenza n. 233 del 2021, punto 3.1. del Considerato in diritto) che "costituisce l'esito della confluenza di plurimi contributi tecnici ed amministrativi in un unico procedimento, nel quale ... devono trovare simultanea applicazione i princìpi di prevenzione, precauzione, correzione alla fonte, informazione e partecipazione, che caratterizzano l'intero sistema normativo ambientale. Il procedimento che culmina nel rilascio dell'AIA, con le sue caratteristiche di partecipazione e di pubblicità, rappresenta lo strumento attraverso il quale si perviene, nella previsione del legislatore, all'individuazione del punto di equilibrio in ordine all'accettabilità e alla gestione dei rischi, che derivano dall'attività oggetto dell'autorizzazione" (sentenza n. 85 del 2013, punto 10.1. del Considerato in diritto).

In effetti, il procedimento destinato a sfociare nell'AIA o nel suo riesame - procedimento oggi regolato dagli artt. 4 e 5 e da 29-bis a 29-quattuordecies del D.Lgs. n. 152 del 2006, in conformità alle dettagliate indicazioni della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento) - è caratterizzato da un procedimento imperniato, tra l'altro:

- sul principio di un "approccio integrato alla prevenzione e alla riduzione delle emissioni nell'aria, nell'acqua e nel terreno, alla gestione dei rifiuti, all'efficienza energetica e alla prevenzione degli incidenti", al fine di evitare che "approcci distinti nel controllo delle emissioni nell'atmosfera, nelle acque o nel terreno possono incoraggiare il trasferimento dell'inquinamento da una matrice ambientale all'altra anziché proteggere l'ambiente nel suo complesso" (considerando n. 3 della direttiva 2010/75/UE);

- sulla prescrizione di "tutte le misure necessarie per assicurare un elevato livello di protezione dell'ambiente nel suo complesso e per assicurare che l'installazione sia gestita conformemente ai principi generali degli obblighi fondamentali del gestore", compresa la fissazione di valori limite di emissione per le sostanze inquinanti, sulla base delle migliori tecniche disponibili (BAT) (considerando n. 12 della direttiva 2010/75/UE);

- sul principio della partecipazione effettiva dei cittadini al processo decisionale in materia ambientale (considerando n. 27 della direttiva 2010/75/UE), a sua volta derivato dai principi sanciti dalla Convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione dei cittadini e l'accesso alla giustizia in materia ambientale, fatta ad A. il 25 giugno 1998, ratificata e resa esecutiva con L. 16 marzo 2001, n. 108: principi, quest'ultimi, puntualmente declinati a livello nazionale dall'art. 29-quater del D.Lgs. n. 152 del 2006, che prevede ampie forme di pubblicità al procedimento destinato a sfociare nell'AIA, consentendo a tutti i soggetti interessati di presentare osservazioni e di conoscere le determinazioni finali, e prevedendo la convocazione di un'apposita conferenza di servizi, oltre che gli interventi dell'ISPRA e delle competenti ARPA regionali e provinciali.

I profili della necessaria pubblicità e partecipazione dei cittadini in genere, e comunque di tutti i soggetti interessati al procedimento destinato a sfociare nell'AIA, unitamente alla necessità di accurate analisi della situazione fattuale sulle quali deve essere basata ogni decisione autorizzativa di attività, sono d'altra parte costantemente sottolineati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di tutela dell'ambiente, che - essa pure ispirandosi largamente ai principi enunciati dalla Convenzione di A. - deduce tali profili "procedimentali" dagli obblighi positivi di tutela del diritto alla vita privata di cui all'art. 8 CEDU (grande camera, sentenza 9 aprile 2024 Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri contro Svizzera, paragrafo 539, e ivi ampie citazioni ai precedenti pertinenti).

La disposizione censurata non condiziona, invece, la prosecuzione dell'attività dello stabilimento o impianto sequestrato al rispetto delle prescrizioni dell'AIA riesaminata, come l'art. 1 del "decreto Ilva", bensì all'osservanza di generiche "misure" di bilanciamento, senza chiarire in esito a quale procedimento tali misure debbano essere adottate - e con quali garanzie di pubblicità e di partecipazione del pubblico, oltre che delle diverse autorità locali a vario titolo competenti in materia ambientale e di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro -; e senza chiarire, nemmeno, se ed eventualmente in quale misura i valori limite di emissione possano discostarsi dalle BAT di settore, al fine di consentire la prosecuzione dell'attività.

5.3.3.- Infine, e soprattutto, la disposizione censurata non contiene alcun termine finale per la sua operatività, a differenza, ancora, di quanto previsto dall'art. 1 del D.L. n. 207 del 2012, come convertito, scrutinato con la sentenza n. 85 del 2013.

Essa finisce così per autorizzare, potenzialmente senza alcun limite di durata, un meccanismo basato su un'autorizzazione che proviene direttamente dal Governo nazionale e il cui effetto è quello di privare indefinitamente il giudice del sequestro di ogni potere di valutazione sull'adeguatezza delle misure medesime rispetto alla tutela dell'ambiente e della salute pubblica, e mediatamente rispetto alla tutela della stessa vita umana.

5.4.- Ritiene questa Corte che taluni dei profili critici appena evidenziati possono essere superati attraverso una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata (infra, punto 5.4.1.), che deve invece essere dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede alcun termine finale per la sua operatività (infra, punto 5.4.2.).

5.4.1.- Occorre anzitutto osservare che, in una situazione di crisi determinata dalla necessità di assicurare continuità produttiva a uno stabilimento di interesse strategico nazionale che sia stato attinto da un sequestro penale - a sua volta disposto sulla base del fumus di una violazione in atto di normative penalmente sanzionate, con pregiudizio potenziale per l'ambiente, la salute e la sicurezza dei lavoratori -, non può considerarsi di per sé incompatibile con la Costituzione la previsione di un meccanismo che consenta allo stesso Governo nazionale di intervenire a dettare, in via interinale, misure che consentano nell'immediato di contenere il più possibile tali rischi, vincolando al contempo il giudice a consentire la prosecuzione dell'attività.

In una simile ipotesi, gli ordinari poteri del giudice - riconosciuti e disciplinati dallo stesso art. 104-bis, comma 1.bis.1, terzo periodo, norme att. cod. proc. pen., in connessione con le finalità e la logica del sequestro cosiddetto "impeditivo" di cui all'art. 321, comma 1, cod. proc. pen. - di dettare prescrizioni miranti a impedire l'aggravamento o la protrazione delle conseguenze di verosimili condotte criminose in atto possono essere temporaneamente compressi, in forza di una lex specialis che riservi al potere esecutivo il compito di indicare le misure che assicurino il complesso bilanciamento tra tutti i delicati interessi in conflitto, inclusi quelli sottesi alla prosecuzione dell'attività degli stabilimenti in questione, e conseguentemente alla salvaguardia dei livelli occupazionali presso gli stabilimenti medesimi.

Resta fermo tuttavia che il nuovo testo dell'art. 41, secondo comma, Cost. vieta che l'iniziativa economica privata si svolga "in modo da recare danno" alla salute o all'ambiente: e nessuna misura potrebbe legittimamente autorizzare un'azienda a continuare a svolgere stabilmente la propria attività in contrasto con tale divieto.

Vale, qui, quanto già affermato da questa Corte in un'altra pronuncia concernente la vicenda Ilva, con riferimento agli interessi menzionati nel testo previgente dell'art. 41, secondo comma, Cost.: "rimuovere prontamente i fattori di pericolo per la salute, l'incolumità e la vita dei lavoratori costituisce ... condizione minima e indispensabile perché l'attività produttiva si svolga in armonia con i principi costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona" (sentenza n. 58 del 2018, punto 3.3. del Considerato in diritto). Esigenze basilari della persona (delle persone oggi esistenti, e di quelle che saranno) tra cui si annovera ora, esplicitamente, anche la tutela dell'ambiente.

Ed allora, le misure legittimamente adottabili dal Governo allo scopo di consentire provvisoriamente la prosecuzione di un'attività di interesse strategico nazionale dovranno, semmai, essere funzionali all'obiettivo di ricondurre gradualmente l'attività stessa, nel minor tempo possibile, entro i limiti di sostenibilità fissati in via generale dalla legge in vista - appunto - di una tutela effettiva della salute e dell'ambiente. In altre parole, le misure in questione - che dovranno naturalmente mantenersi all'interno della cornice normativa fissata dal complesso delle norme di rango primario in materia di tutela dell'ambiente e della salute - dovranno tendere a realizzare un rapido risanamento della situazione di compromissione ambientale o di potenziale pregiudizio alla salute determinata dall'attività delle aziende sequestrate. E non già, invece, a consentirne indefinitamente la prosecuzione attraverso un semplice abbassamento del livello di tutela di tali beni.

L'adozione delle misure (individuate da un provvedimento che resta di natura amministrativa, e come tale soggetto agli ordinari controlli giurisdizionali sotto il profilo della sua legittimità) dovrà, inoltre, essere preceduta - conformemente alle indicazioni derivanti dalle fonti internazionali sopra ricordate - da adeguata attività istruttoria, e dovrà essere sorretta da una congrua motivazione, che dia conto tra l'altro delle risultanze dell'istruttoria, ai sensi di quanto previsto in via generale dall'art. 3, comma 1, della L. 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).

Infine, l'effettiva osservanza delle misure medesime dovrà essere adeguatamente verificata, con le modalità indicate nello stesso provvedimento governativo, attraverso il costante monitoraggio da parte delle autorità competenti ai sensi della legislazione ambientale in vigore.

5.4.2.- Peraltro, una disposizione come quella all'esame - distinta dalle ordinarie procedure (supra, punto 5.3.2.), dirette ad assicurare la compatibilità dell'attività d'impresa con i limiti della tutela della salute e dell'ambiente, così come della salute e sicurezza dei lavoratori - potrebbe trovare legittimazione costituzionale soltanto in quanto si presenti come disciplina interinale, che consenta di non interrompere un'attività produttiva ritenuta di rilievo strategico per l'economia nazionale o per la salvaguardia dei livelli occupazionali, nel tempo strettamente necessario per portare a compimento gli indispensabili interventi di risanamento ambientale e riattivare gli ordinari meccanismi procedimentali previsti dal D.Lgs. n. 152 del 2006. E ciò, in particolare, attraverso il riesame delle AIA esistenti, che si siano rivelate insufficienti rispetto ai loro scopi.

La mancata fissazione di un termine massimo di durata di operatività della previsione del quinto periodo del comma 1-bis.1 dell'art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. finisce, invece, per configurare un sistema di tutela dell'ambiente parallelo a quello ordinario, e affidato a una disposizione dai contorni del tutto generici: come tali inidonei ad assicurare che, a regime, l'esercizio dell'attività di tali stabilimenti e impianti si svolga senza recare pregiudizio alla salute e all'ambiente.

Ne consegue l'illegittimità costituzionale, sotto lo specifico profilo della mancata previsione di un termine di durata del regime individuato dall'art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, norme att. cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 9, 32 e 41, secondo comma, Cost., con assorbimento della censura riferita all'art. 2 Cost.

6.- La reductio ad legitimitatem di tale disposizione può essere effettuata attraverso una pronuncia additiva che introduca un termine di durata massima delle misure indicate dalla disposizione all'esame, individuato quale soluzione costituzionalmente adeguata (ex multis, sentenze n. 91 del 2024, punto 10 del Considerato in diritto; n. 5 del 2024, punto 4.1. del Considerato in diritto) tra quelle, già esistenti nell'ordinamento, che regolano situazioni simili.

In particolare, un punto di riferimento significativo è costituito dalla previsione dell'art. 1, comma 1, del più volte menzionato "decreto Ilva" (il D.L. n. 207 del 2012, come convertito), il quale pure risponde all'analoga esigenza di assicurare la prosecuzione dell'attività produttiva di stabilimenti di interesse strategico nazionale, in particolare nell'ipotesi in cui l'autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento. Tale previsione consente al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica di autorizzare la prosecuzione dell'attività produttiva per un termine massimo di trentasei mesi.

Un termine, non rinnovabile, di trentasei mesi appare congruo anche rispetto allo scopo di fissare un limite massimo di operatività delle misure di bilanciamento interinalmente individuate dal Governo ai sensi della disposizione censurata, in pendenza del quale occorrerà in ogni caso assicurare il completo superamento delle criticità riscontrate in sede di sequestro e il ripristino degli ordinari meccanismi autorizzativi previsti dalla legislazione vigente, in conformità alle indicazioni discendenti dal diritto dell'Unione europea.

Non è un caso, del resto, che nella vicenda oggetto del procedimento a quo, il Governo abbia comunque ritenuto - nel dare attuazione alla disposizione censurata, e nonostante il silenzio della stessa sul punto - di fissare il termine di trentasei mesi dall'entrata in vigore del provvedimento perché siano realizzati gli interventi prescritti dal d.interm.12 settembre 2023.

L'art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, norme att. cod. proc. pen. deve, pertanto, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che le misure ivi indicate si applichino per un periodo di tempo non superiore a trentasei mesi.

P.Q.M.

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, delle Norme di attuazione del codice di procedura penale, come introdotto dall'art. 6 del D.L. 5 gennaio 2023, n. 2 (Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella L. 3 marzo 2023, n. 17, nella parte in cui non prevede che le misure ivi indicate si applichino per un periodo di tempo non superiore a trentasei mesi.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2024