1. Il secondo motivo di ricorso è fondato con conseguente assorbimento delle ulteriori censure.
2. Preliminarmente deve ribadirsi il principio, reiteratamente affermato da questa Corte di legittimità, secondo cui la Corte di cassazione, in materia di diffamazione, è legittimata a conoscere e valutare l'offensività delle frasi che si assumono lesive dell' altrui reputazione "perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato". (Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, Fabi, Rv. 278145-01; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, Demofonti, Rv. 261284-01; Sez. 5, n. 41869 del 14/2/2013, Fabrizio, Rv. 256706-01; Sez. 5, n. 832 del 21/06/2005, dep. 2006, Travaglio, Rv. 233749 - 01).
3. Orbene, ritiene il Collegio che le dichiarazioni dell'imputato, tenuto conto del contesto nel quale sono state rese, della finalità che le ha caratterizzate, del loro tenore, non siano caratterizzate dal contenuto offensivo che è elemento costitutivo del reato di diffamazione. Ed invero, l'imputato si è limitato alla presentazione di un "esposto" e, cioè, di uno scritto, inviato al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati per la trasmissione al competente Consiglio distrettuale di disciplina, con cui ha portato a conoscenza degli organi competenti determinati fatti perché venissero, se del caso, ove ravvisati degli illeciti disciplinari, adottati i provvedimenti di competenza. Con l'esposto in questione, in altri termini, l'imputato si è limitato soltanto a segnalare nella sede propria dei comportamenti del collega antagonista, attuati in cause civili ben identificate e ritenuti deontologicamente non commendevoli. L'imputato, in altri termini, ha espresso liberamente - già con la copertura prevista dall'art. 21 Cost. - una sua opinione, fondata su fatti circostanziati e documentati. Deve infatti osservarsi che l'esposto inviato al Consiglio dell'Ordine tende inevitabilmente ad individuare degli scenari deontologici essendo ovvio che intanto si presenta un esposto in quanto il comportamento denunciato viene ritenuto deontologicamente scorretto. Ove si ragionasse diversamente, si verrebbe a negare la stessa possibilità di esercitare il diritto di presentare esposti o comunque di adire l'organo disciplinare per veder accertato un illecito disciplinare.
La sentenza d'appello impugnata individua il "nucleo della condotta penalmente rilevante" nella frase con cui, facendo riferimento ad altri procedimenti connessi a quello principale si afferma "sono state formulate eccezioni palesemente temerarie, prodotte prove di dubbia provenienza, perseguendo, suggerendo o favorendo condotte che si ritengono del tutto illecite". Il Tribunale osserva che le espressioni adoperate sono rispettose del limite della continenza espositiva, ma proprio perché generiche ne rivelano "il carattere non funzionale al vaglio deontologico ma piuttosto orientato a finalità diffamatoria". La natura diffamatoria dell'esposto è quindi ricondotta nella sentenza del Giudice d'appello - conforme in parte qua a quella di primo grado - alla genericità delle affermazioni contenute nell'esposto, ma così opinando si mostra innanzitutto di aver dato una lettura del tutto parcellizzata dell'esposto, come peraltro evidenziato dal ricorrente, senza aver riguardo alla concreta articolazione e alla complessiva portata significativa delle frasi incriminate che devono essere lette in uno con l'intero testo in cui sono inserite. Nell'esposto, infatti, non solo si richiamano e si allegano i precedenti esposti e la documentazione ivi acclusa, ma si prospettano, descrivendoli, i comportamenti che l'esponente ritiene debbano esser valutati dall'organo disciplinare ai fini dell'esercizio del potere che gli compete. Tale prospettazione è priva, come è giusto che sia, di un connotato categorico, ma si demanda al Consiglio di disciplina la valutazione della stessa.
In conclusione, dunque, l'imputato ha legittimamente e civilmente esercitato il diritto che gli compete di esporre il proprio assunto critico all'organo deputato a valutare il rispetto da parte di un avvocato delle regole deontologiche.
4. La sentenza del Tribunale di Modena, impugnata alla parte in cui ha confermato la sentenza di condanna di primo grado, deve essere dunque annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste con conseguente eliminazione delle accessorie statuizioni civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste
Conclusione
Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2024.
Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2024.