Giu Violazione di domicilio: Tutti i conviventi (i membri della famiglia e gli stessi ospiti) sono titolari dello jus prohibendi
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 24 maggio 2024 N. 20742
Massima
Tutti i conviventi (i membri della famiglia e gli stessi ospiti) sono titolari dello jus prohibendi, onde il consenso di uno non può prevalere sul dissenso degli altri, spettando il diritto all'inviolabilità del domicilio a tutti i componenti della famiglia per il solo fatto della convivenza. Il legittimo esercizio dello jus escludendi, proprio in ragione della definizione del domicilio (quale luogo di privata dimora, dove si esplica liberamente la personalità del singolo), presuppone necessariamente l'esistenza di una situazione di fatto, reale ed attuale, che colleghi in maniera sufficientemente stabile il soggetto allo spazio fisico in cui si esplica la sua personalità.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 24 maggio 2024 N. 20742

1. Oggetto dell'impugnazione è l'ordinanza con la quale il Tribunale di Sassari, in accoglimento dell'appello proposto dal Pubblico Ministero, ha applicato a A.A. e a B.B. la misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare, in quanto ritenuti gravemente indiziati del delitto di cui all'art. 614, secondo comma, cod. pen. (perché si sarebbero trattenuti nell'abitazione di C.C., che li aveva in precedenza ospitati, contro l'espressa volontà del medesimo, titolare dello ius excludendi); delitto in relazione al quale, attesa l'esplicita volontà in tal senso manifestata dalle parti, sussisterebbe il concreto e attuale pericolo di reiterazione.

2. Ricorrono per cassazione gli indagati articolando un unico motivo d'impugnazione, formulato sotto il profilo della violazione di legge (in relazione agli artt. 280 e 282-bis cod. proc. pen. e 614 cod. pen.), a mezzo del quale deducono l'insussistenza di gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato contestato e l'inapplicabilità della misura adottata.

La difesa premette che l'art. 282-bis cod. proc. pen., in quanto norma diretta a prevenire gli abusi intrafamiliari, presuppone una situazione di conflittualità all'interno del nucleo familiare idonea a generare un pericolo per l'incolumità della persona offesa.

La condotta contestata ai ricorrenti, invece, mai caratterizzata da maltrattamenti o episodi di violenza (per come riconosciuto dallo stesso Tribunale), trova la sua genesi non in una relazione di convivenza familiare, ma all'interno di un diverso rapporto, di natura negoziale (nella specie, una sublocazione), dal quale era generata una mera coabitazione finalizzata all'assistenza della stessa persona offesa, con reciproci obblighi a carico di ciascuna delle parti.

In questa situazione, il reato contestato sarebbe un reato impossibile, in quanto il domicilio in ipotesi violato sarebbe anche quello proprio e rispetto a tale assunto diverrebbe del tutto irrilevante la mancata autorizzazione da parte dell'azienda regionale per l'edilizia abitativa all'ampliamento del nucleo familiare, in quanto non incidente sui rapporti tra le parti ai fini dell'applicazione della norma penale.

D'altronde, la stessa persona offesa avrebbe già una volta ritrattato le accuse, manifestando la volontà di proseguire la coabitazione, facendo così trasparire, in ipotesi difensiva, la vera finalità della denuncia sporta: eludere l'applicazione delle norme civilistiche che regolano i rapporti tra conduttore e subconduttore.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. Il tema posto all'attenzione del collegio è se il C.C. può considerarsi legittimo titolare dello jus excludendi alios nei confronti dei ricorrenti, in relazione al luogo in cui questi ultimi avevano convissuto con lui a partire dal 2018, essendo stati accolti presso la sua abitazione in cambio di prestazioni di assistenza e cura e partecipazione alle spese di gestione e se, in tale situazione, è legittima l'applicazione della misura emessa.

Secondo la prospettazione difensiva, il rapporto (riconducibile allo schema negoziale della sublocazione) aveva acquisito stabilità, limitando l'esercizio dello jus excludendi alios nei confronti dei ricorrenti da parte dell'originario conduttore.

L'assunto dal quale muove la difesa è corretto: tutti i conviventi (i membri della famiglia e gli stessi ospiti) sono titolari dello jus prohibendi, onde il consenso di uno non può prevalere sul dissenso degli altri, spettando il diritto all'inviolabilità del domicilio a tutti i componenti della famiglia per il solo fatto della convivenza (Sez. 5, n. 3998 del 19/12/2018, dep. 2019, Santini, Rv. 275374; Sez. 5, n. 47500 del 21/09/2012, Catania, Rv. 254518 con i relativi richiami giurisprudenziali).

Ma il legittimo esercizio dello jus esdudendi, proprio in ragione della definizione del domicilio (quale luogo di privata dimora, dove si esplica liberamente la personalità del singolo), presuppone necessariamente l'esistenza di una situazione di fatto, reale ed attuale, che colleghi in maniera sufficientemente stabile il soggetto allo spazio fisico in cui si esplica la sua personalità.

Ebbene, se è incontestato, per come chiaramente ricostruito dallo stesso Tribunale, che A.A. e B.B. hanno effettivamente convissuto con C.C., trasferendo, in quell'abitazione, la loro stessa residenza, è circostanza altrettanto pacifica, nella ricostruzione offerta nel provvedimento impugnato, che il rapporto trova il suo presupposto logico e giuridico non, come prospettato dalla difesa, in un rapporto di (sub)locazione, astrattamente idoneo a fondare una limitazione dello ius excludendi conseguente alla regolamentazione del relativo esercizio, ma nella tutela delle esigenze assistenziali dello stesso C.C. e nel (necessario) consenso dell'Azienda Regionale per l'Edilizia Abitativa (ente di gestione del rapporto di locazione del C.C.) al successivo inserimento - all'interno del nucleo familiare del C.C. - dei due odierni ricorrenti.

Cosicché, il venir meno di tale presupposto (avendo l'agenzia regionale escluso i ricorrenti dal nucleo familiare del C.C.) ha precluso la prosecuzione del rapporto di convivenza e, con essa, la titolarità dello jus prohibendi (anche) in capo ai ricorrenti. E tanto permette di ritenere che la condotta di questi ultimi (che consapevolmente si sono trattenuti all'interno dell'abitazione del C.C. senza il suo consenso) sia sussumibile all'interno della fattispecie contestata.

3. Infondata è anche l'altra doglianza, diretta a censurare, per come si è detto, la sussistenza del presupposto di applicabilità della misura.

Anche in questo caso, l'assunto difensivo è corretto. Il perimetro normativo disegnato all'art. 282-bis cod. proc. pen. è definito dal riferimento alla "casa familiare", concetto che non si identifica né con la semplice "abitazione", né con la dimora della famiglia di diritto e che, invece, evoca il riferimento al luogo dove si è creato un "nucleo familiare", comunque costituito, senza distinzione in ordine al titolo della convivenza.

Cosicché, il presupposto applicativo diventa l'insorgere, all'interno di una "relazione familiare" (concetto evocato anche dell'esplicita finalizzazione della novella del 2011 che ha introdotto la previsione: predisposizione di "misure contro la violenza nelle relazioni familiari") di condotte in grado di minacciare l'incolumità, non solo fisica, della persona (Sez. 6, n. 17950 del 17/09/2015, dep. 2016, A., Rv. 266726, ben potendo le condotte manifestarsi in forme di violenza psicologica o morale, ugualmente idonee a cagionare una sofferenza, anche solo psicologica, alla vittima: Sez. U. n. 10959 del 16 marzo 2016, Colzani, Rv. 265894) nel quadro di relazioni che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l'insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale. Solo al di fuori di tale ambito, estendere l'operatività della previsione normativa comporterebbe una violazione dei principi di stretta legalità e tassatività che governano la disciplina delle misure cautelari (Sez. 5, n. 27177 del 19/03/2014, V., Rv. 260565).

Ebbene: "relazione familiare" è appunto anche quella che si è venuta a creare in conseguenza dell'inserimento dei ricorrenti all'interno dello stesso "nucleo" del C.C., in quanto strutturata intorno alle prestazioni di cura e assistenza (che i predetti offrivano al primo) e alla condivisione di tempo e luogo, tipici del legame familiare; così come violenza (psicologica e morale) è anche quella posta in essere, dagli imputati, continuando a permanere all'interno della "casa familiare", invito domino.

Né, per quanto osservato in precedenza, la comune partecipazione al medesimo "nucleo familiare" (presupposto fondante l'applicazione della misura) esclude in assoluto la possibilità che si possa legittimamente esercitare uno jus prohibendi nei confronti di taluno dei componenti: da un canto è la stessa previsione normativa (l'art. 5 della legge n. 154 del 2011, che ha introdotto l'art. 282-bis cod. proc. pen.) a stabilire esplicitamente che le norme introdotte si applicano, in quanto compatibili, anche nel caso in cui la condotta pregiudizievole sia stata tenuta da altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente, ovvero nei confronti di altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente (Sez. 5, n. 27177, cit.); dall'altro, la sopravvenuta cessazione del presupposto fondante il diritto a permanere della "casa familiare" legittima l'esercizio dello ius prohibendi da parte del residuo titolare di tale potere (Sez. 5, n. 47500 del 21/09/2012, Catania, Rv. 254518).

4. In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese di lite.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 2 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2024.