Giu consumazione del reato di appropriazione indebita da parte dell'amministratore di condominio che distragga le risorse finanziarie delle quali dispone in ragione del suo incarico
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 23 maggio 2024 N. 20488
Massima
Deve ritenersi consumato il reato di appropriazione indebita, commesso dall'amministratore di condominio che distragga le risorse finanziarie delle quali dispone in ragione del suo incarico, solo alla data del rendiconto finale della gestione, non potendosi altrimenti individuare e distinguere le risorse destinate alle esigenze del condominio da quelle distratte in favore del proprio illecito arricchimento, atteso anche che il momento in cui i delitti istantanei di appropriazione indebita si consumano coincidono solitamente con il rifiuto di restituzione o di rendere il conto degli ammanchi. In caso di detenzione del bene giustificata ab origine dalla qualità di amministratore della res comune, l'appropriazione indebita non si realizza neppure in concomitanza con la risoluzione del rapporto di prestazione d'opera, ma si perfeziona nel momento in cui il detentore manifesta la volontà di detenere il bene uti dominus, non restituendo, senza alcuna giustificazione, il bene o il denaro che gli viene richiesto.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 23 maggio 2024 N. 20488

1. L'imputato propone ricorso per cassazione, a ministero del difensore di fiducia, avverso la sentenza indicata in epigrafe, che ha confermato la sentenza di condanna di primo grado emessa dal Tribunale di Lecco in data 8 febbraio 2023, in relazione a più delitti di appropriazione indebita aggravata, già unificati in primo grado sotto il vincolo della continuazione. Fatti che la Corte indica come commessi dal primo marzo 2013 al 9 novembre 2019, data ultima di manifestazione della intervenuta interversione nel possesso dei documenti e delle somme trattenute.

Il ricorrente deduce a sostegno della impugnazione i motivi in appresso sinteticamente indicati, secondo quanto disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.:

1.1. Vizi esiziali di motivazione, anche per travisamento della prova (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.), in ordine ai fatti di appropriazione per i quali è stata riconosciuta la responsabilità del ricorrente. Non è rimasto dimostrato nel processo che l'imputato si è appropriato delle somme versate dai condomini allo scopo di adempiere le obbligazioni condominiali nei confronti dei fornitori di servizi ed energie, sono sul punto state travisate le prove dichiarative incerte e titubanti dei testi escussi in primo grado; l'imputato inoltre non ha potuto difendersi nel merito dell'an e del quantum delle contestate sottrazioni, in quanto la contabilità dei condominii amministrati non era più in suo possesso; né nel giudizio di merito è stata disposta, come richiesto dalla difesa, alcuna perizia contabile, per asseverare le indicazioni (ritenute equivoche dal ricorrente) provenienti dai querelanti.

1.1.1. Violazione di legge e vizio esiziale di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b ed e, cod. proc. pen.), per avere la Corte confermato il giudizio di bilanciamento in equivalenza tra circostanze di segno diverso già effettuato dal giudice di primo grado, senza tener conto della effettiva gravità delle condotte, del corretto comportamento processuale e delle condizioni di disagio sofferte dall'imputato che era stato sottoposto ad una campagna denigratoria conseguente alle doglianze dei condomini querelanti.

1.2. Erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione (art. 606, comma 1, lett. b ed e, cod. proc. pen.), con riferimento alla non rilevata estinzione dei reati di appropriazione indebita per intervenuta prescrizione, maturata in data antecedente alla pronunzia impugnata ed anche alla decisione di primo grado, rispetto ai reati (avvinti in continuazione) commessi fino al 26 aprile 2016, atteso che detti reati devono ritenersi consumati nelle date delle singole appropriazioni, come contestate in imputazione. Da tali date devono farsi decorrere partitamente i termini della prescrizione, che il difensore indica in anni sei, oltre il quarto, con la conseguenza che i reati commessi dal 1 marzo 2013, fino al 26 aprile 2016 si sarebbero prescritti ben prima della decisione di appello (13 dicembre 2023).

Motivi della decisione

1. Le critiche esposte dal ricorrente, con il primo motivo di ricorso, riguardano l'aspetto della corretta valutazione delle prove assunte nel corso della istruttoria dibattimentale, patrimonio esclusivo del giudice di merito, che ha correttamente scrutinato le evidenze raccolte, argomentando da esse i profili della ritenuta responsabilità, nel corpo delle conformi decisioni di merito; la riproposizione di tali censure è tesa -in tutta evidenza- ad una rivalutazione del peso dimostrativo degli elementi di prova. In tal senso, il ricorso finisce con il proporre argomenti di merito, la cui rivalutazione è preclusa in sede di legittimità. E' costante, infatti, l'insegnamento di questa Corte per cui il sindacato sulla motivazione del provvedimento impugnato va compiuto attraverso l'analisi dello sviluppo motivazionale espresso nell'atto e della sua interna coerenza logico-giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità "nuove" attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa (si veda, ex multis, Sez. 5, n. 602 del 14/11/2013, dep. 2014, Rv. 258677 Sez. 6, n. 11194, del 8/3/2012, Rv. 252178; da ultimo Sez. 2, n. 9949, del 16/02/2024, non massimata). Così come va ribadito che l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U., n. 24 del 24/11/1999, Rv. 214794; Sez. U., n. 47289, del 24/09/2003 Rv. 226074).

1.1. La difesa deduce con i motivi di ricorso in sede di legittimità un deficit probatorio nella dimostrazione della effettiva appropriazione di somme destinate alle spese condominiali. Il ricorso insiste, quindi, per una rinnovata valutazione degli elementi a carico, pur a fronte di puntuali argomentazioni circa la ricorrenza in fatto e in diritto dell'illecito, contenute nella decisione impugnata, con le quali, evidentemente il ricorrente non si confronta. La Corte ha infatti motivato a fondo su ciascuno dei presupposti della riconosciuta colpevolezza, dando atto dei motivi di gravame, come pure ha fatto in tema di riconoscimento nella condotta dell'agente dei tratti essenziali della volontà di appropriarsi del denaro altrui, che deteneva nella qualità di amministratore. Mentre nulla evidenziano i motivi di ricorso circa le allegazioni difensive o i percorsi ricostruttivi alternativi che il giudice del merito avrebbe in ipotesi potuto percorrere o confutare; anche sulla richiesta di verifica peritale delle somme oggetto di appropriazione la Corte territoriale ha diffusamente argomentato, dando atto del computo effettuato anche dai nuovi amministratori nominati, che hanno riferito dati appresi attraverso l'analisi della contabilità loro consegnata.

1.2. Né miglior sorte merita il motivo speso in tema di errato bilanciamento (mera equivalenza) tra circostanze di segno diverso operato, in conformità, dai giudici di merito. La difesa avrebbe voluto attenuare il trattamento sanzionatorio con il riconoscimento, in regime di prevalenza, delle circostanze attenuanti generiche stimate dalla Corte (in conformità a quanto deciso da giudice di primo grado) solo equivalenti alle aggravanti contestate.

1.2.1. La Corte di merito ha motivato anche su tale specifico aspetto del bilanciamento, evidenziando che il corretto comportamento processuale è stato stimato quale condotta post delictum idonea a riconoscere le circostanze generiche equivalenti, ma non già prevalenti sulle contestate e ritenuta aggravanti. Il criterio adottato si conforma ai canoni di valutazione di cui all'art. 133 cod. pen., che costituisce il "serbatoio" cui attingere al fine di riempire di contenuto la previsione attenuante innominata di cui all'art. 62 bis cod. pen., da bilanciare ai sensi del successivo art. 69. Ritiene il Collegio sul punto di dover dare continuità all'indirizzo giurisprudenziale che esclude il sindacato di legittimità sulle statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando detta operazione una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito. Tale valutazione sfugge pertanto al sindacato di legittimità, qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e ove la decisione sia sorretta da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto. La Corte ha infatti diffusamente argomentato circa la gravità delle numerose condotte contestate e riconosciute, oltre alla irreperibilità successiva alle prime contestazioni di appropriazione, così reputando congrua la stimata equivalenza anche in ragione del buon comportamento processuale (circa la natura discrezionale del giudizio di comparazione: Sez. 2, n. 36265, del 8/7/2010, Rv. 248535; Sez. 7, n. 11210, del 28/10/2017, Rv. 272460; Sez. 2, n. 31543, del 8/6/2017, Rv. 270450).

2. Quanto alla individuazione della data di consumazione del reato istantaneo di appropriazione indebita, per la parte relativa ad un segmento cronologico (20132016) della amministrazione delle risorse del "Condominio (Omissis)". Deve premettersi che la pena base calcolata per il più grave degli episodi appropriativi, ritenuto dal giudice di primo grado, è stata indicata in riferimento ad un unico episodio appropriativo istantaneo e non già dilatato nel tempo, in quanto la ritenuta continuazione ha affasciato le condotte appropriative consumate, distinte per ogni singola gestione delle risorse condominiali, per ogni singolo condominio, non già per ogni singolo esercizio finanziario di bilancio. Del resto, trattandosi di questione di fatto dalla quale possono sortire effetti in diritto, l'imputato aveva l'onere di dedurre il motivo di doglianza con l'atto di gravame proposto innanzi alla Corte di revisione nel merito. Il diverso opinare sulla formulazione della imputazione e sul calcolo della sanzione irrogata per i reati posti in continuazione necessitava, quindi, di un previo accertamento di merito, che, in assenza di specifico motivo di appello sul punto, la Corte di merito non aveva alcun onere di svolgere (Sez. 2, n. 35791 del 29/05/2019 Rv. 277495; Sez. 4, n. 7985 del 18/05/1994 Rv. 199216); l'interruzione della catena devolutiva realizzatasi sul punto determina ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen. la inammissibilità del motivo.

In ogni caso, il Collegio ritiene, sul punto, di doversi porre nel solco della consolidata ermeneusi resa in sede di legittimità (Sez. 2, n. 46744, del 19/9/2018, Rv. 274650; Sez. 2, n. 40870, del 20/6/2017, Rv. 271199; Sez. 2, n. 25282, del 31/5/2016, Rv. 267077; Sez. 5, n. 1670, del 8/7/2014, Rv. 261731; Sez. 2, n. 29451, del 17/5/2013, Rv. 257232) che ritiene consumato il reato di appropriazione indebita, commesso dall'amministratore di condominio che distragga le risorse finanziarie delle quali dispone in ragione del suo incarico, solo alla data del rendiconto finale della gestione, non potendosi altrimenti individuare e distinguere le risorse destinate alle esigenze del condominio da quelle distratte in favore del proprio illecito arricchimento, atteso anche che il momento in cui i delitti istantanei di appropriazione indebita si consumano coincidono solitamente con il rifiuto di restituzione o di rendere il conto degli ammanchi. In caso di detenzione del bene giustificata ab origine dalla qualità di amministratore della res comune, l'appropriazione indebita non si realizza neppure in concomitanza con la risoluzione del rapporto di prestazione d'opera, ma si perfeziona nel momento in cui il detentore manifesta la volontà di detenere il bene uti dominus, non restituendo, senza alcuna giustificazione, il bene o il denaro che gli viene richiesto. Nel caso di specie, in coerenza con tali arresti ed a prescindere dalla formulazione della imputazione, che ha indicato l'intero periodo di gestione condominiale in luogo dell'istante di consumazione della condotta, il dies a quo della prescrizione non può che individuarsi nella data (settembre 2019) in cui l'imputato rifiutava la consegna del denaro e della contabilità detenuta, principiando quindi, da quella data, a detenere il denaro, che fino ad allora teneva presso di sé quale amministratore di risorse altrui, uti dominus. Così individuate le date dei commessi reati, il termine di prescrizione (sei anni, più un quarto per la interruzione dovuta in ragione dell'atto di esercizio dell'azione penale, ai sensi degli art. 157, 160 e 161 cod. proc. pen., in assenza di cause di sospensione) non era certamente scaduto alla data della sentenza di appello.

3. Quanto a misura della sanzione inflitta, pur prendendo atto ex officio della pronuncia demolitoria della Corte costituzionale (sent. n. 46 del 22 marzo 2024), che ha dichiarato la illegittimità della norma incriminatrice nella parte in cui indica il limite minimo della pena detentiva per il delitto di appropriazione indebita in anni due di reclusione, si deve pure tener conto della motivazione profonda spesa dalla Corte di merito per stimare congrua la pena base individuata in anni due e mesi due di reclusione, una sanzione detentiva che dunque ancor oggi (pur sensibilmente discosta dal minimo edittale di 15 giorni di reclusione) si colloca nella prima metà della forbice edittale (pena massima cinque anni di reclusione). Sul punto, del resto, difetta uno specifico motivo di ricorso teso a confutare i criteri di calcolo enunciati dalla Corte territoriale in motivazione; né risultano pervenuti motivi nuovi (art. 585, comma 4, cod. proc. pen.), memorie o conclusioni scritte di sorta.

4. Alla luce dei principi che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile. Quanto a rilevanza del tempo decorso successivamente alla decisione impugnata, ai fini del calcolo del termine di prescrizione, va ribadito che in tale segmento temporale il procedimento penale versa in una fase di pendenza "condizionata", posto che in tanto rilevano gli accadimenti intermedi, successivi alla decisione (come il decorso del tempo), in quanto la parte eserciti validamente (v. Sez. U n. 33542 del 27.6.2001, Cavalera, Rv. 219531) il potere di impugnazione conferito dall'ordinamento, mediante la proposizione di un atto di impugnazione conforme al modello legale. Ove ciò non accada, e dunque nei casi di ricorso inammissibile, il rapporto impugnatorio non si perfeziona, con la conseguenza che il tempo decorso tra la emissione del dispositivo e l'esercizio del potere di impugnazione diventa irrilevante a fini di prescrizione del reato (in tal senso anche Sez. U, n. 12602, del 17/12/2015, Ricci, Rv. 266819, ove si precisa che è consentito proporre come motivo unico di ricorso per cassazione l'intervenuta prescrizione solo se, essendo maturato l'effetto estintivo prima

della decisione impugnata sia riconoscibile un vizio della decisione stessa, consistente nella omessa applicazione dell'art. 129 cod. proc. pen.).

5. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro tremila.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2024.