Giu La restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 21 maggio 2024 N. 20026
Massima
La restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale, ai sensi dell'art. 175, comma secondo, cod. proc. pen., nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della L. 28 aprile 2014, n. 67, applicabile ai procedimenti in corso a norma dell'art. 15-bis della legge citata, comporta la facoltà per l'imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento, di chiedere al giudice di appello di essere ammesso a un rito alternativo al dibattimento.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 21 maggio 2024 N. 20026

3. La richiesta risulta fondata nei termini che seguono.

4. In primo luogo, occorre evidenziare che la Corte di appello si è pronunciata, con la sentenza citata, successivamente alla restituzione in termini ottenuta dallo A.A. per impugnare la pronuncia di primo grado, disposta con ordinanza del 6/12/2013.

4.1. Con il successivo atto di appello, l'imputato aveva quindi chiesto di esser giudicato con rito abbreviato, proponendo alla Corte di merito, diversamente, di sollevare questione di legittimità costituzionale degli art. 175 e 603 cod. proc. pen., nella parte in cui non consentivano all'imputato restituito in termini per l'impugnazione, per omessa conoscenza del procedimento, di esercitare in grado di appello le facoltà di cui agli art. 438, 468, 491 cod. proc. pen., con particolare riguardo proprio alla possibilità di accedere al giudizio abbreviato.

4.2. Ebbene, pronunciandosi sul punto in termini di inammissibilità, la Corte di appello ha richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo cui l'imputato, per essere ammesso al rito di cui all'art. 438 cod. proc. pen. avrebbe dovuto chiedere la restituzione in termini ai sensi dell'art. 175, comma 1, cod. proc. pen., nel termine perentorio fissato dalla stessa norma, non anche ai sensi del successivo comma 2 che, nel testo allora vigente, stabiliva che "se è stata pronunciata sentenza contumaciale o decreto di condanna, l'imputato è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione od opposizione, salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione od opposizione" (in tal senso, tra le altre, Sez. 4, n. 11141 del 4/2/2015, PG/Marku, Rv. 262707).

4.3. L'imputato A.A., pertanto, era stato giudicato in appello con rito ordinario, concluso con la conferma della sentenza di primo grado; la pronuncia di appello era quindi divenuta definitiva quando questa Corte - con la sentenza n. 23196 del 10/5/2016 - aveva rigettato il ricorso proposto dallo stesso e dal coimputato B.B.

6. Successivamente al passaggio in giudicato della pronuncia di condanna, la vicenda processuale è stata quindi interessata dalla sentenza emessa il 31/8/2023 dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, presupposto della richiesta - qui in esame - formulata ai sensi dell'art. 628-bis cod. proc. pen. (richiesta per l'eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali o dei Protocolli addizionali), introdotto dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Con questa sentenza, la Corte EDU (al pari, peraltro, del governo nazionale) ha riscontrato la violazione dell'art. 6, par. 1-3 della Convenzione con riguardo sia al decreto di latitanza nei confronti dello A.A. in corso di indagini, che sarebbe stato emesso su presupposti non certi, sia all'impossibilità, per lo stesso imputato restituito in termini, di ottenere una nuova celebrazione del processo ab initio e non solo dal grado di appello, così potendo avanzare eccezioni (l'incompetenza per territorio del Tribunale di Milano) e formulare istanze (l'accesso al giudizio abbreviato) che la sentenza di appello gli aveva negato.

6.1. Proprio a quest'ultimo riguardo, peraltro, il Collegio rileva che, nelle more del giudizio convenzionale, l'indirizzo seguito dalla Corte di appello di Milano per dichiarare inammissibile la richiesta di giudizio abbreviato è stato superato dalla sentenza del Supremo Collegio n. 52274 del 29/6/2016, che ha stabilito che la restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale, ai sensi dell'art. 175, comma secondo, cod. proc. pen., nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della L. 28 aprile 2014, n. 67, applicabile ai procedimenti in corso (come quello in esame) a norma dell'art. 15-bis della legge citata, comporta la facoltà per l'imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento, di chiedere al giudice di appello di essere ammesso a un rito alternativo al dibattimento. Ciò sul presupposto che "l'imputato, che non abbia avuto conoscenza del procedimento, non si è trovato nella condizione di potersi avvalere dei riti alternativi nei termini perentori previsti dal codice di rito. Precludergli tale facoltà, anche dopo la restituzione in termini ex art. 175, comma 2, (per non aver avuto effettiva conoscenza del procedimento e per non aver volontariamente rinunciato a comparire), significherebbe violare gravemente il diritto di difesa garantito dall'art. 24, secondo comma, Cost.".

7. Tanto premesso con riguardo alle pronunce di stampo nazionale e convenzionale, questa Corte - verificata l'ammissibilità della richiesta di cui all'art. 628-bis cod. pen. - rileva che il mancato accesso dello A.A. al giudizio abbreviato costituisce violazione accertata dalla Corte europea che, per natura e gravità, ha avuto una incidenza effettiva sulla sentenza pronunciata: la mancata celebrazione di questo rito, infatti, si è tradotta non in una minor garanzia per l'imputato (il dibattimento costituisce, all'evidenza, il rito che consente alla difesa di esercitare con la maggiore ampiezza le proprie prerogative), ma in un più grave e severo trattamento sanzionatorio, non operando la riduzione di un terzo prevista dall'art. 442, comma 2, cod. proc. pen.

8. In ragione di tale violazione, pertanto, la sentenza di appello dovrebbe essere revocata per la celebrazione del giudizio abbreviato. Il Collegio, tuttavia, ritiene non necessario procedere in questi termini, in quanto l'interesse ad essere giudicato con il rito in esame, costantemente espresso dal richiedente sia innanzi alla Corte di appello che in sede convenzionale, può trovare effettiva e compiuta soddisfazione, nei termini indicati dalla stessa Corte EDU, con la riduzione di un terzo della pena ad opera di questo Collegio di legittimità; è lo stesso art. 628-bis cod. proc. pen., infatti, a stabilire che - accertata l'effettiva incidenza della violazione sulla sentenza o sul decreto penale di condanna - se non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto o comunque risulta superfluo il rinvio, la Corte di Cassazione assume i provvedimenti idonei a rimuovere gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione, disponendo, ove occorra (e solo in questo caso), la revoca della sentenza o del decreto penale di condanna.

8.1. Ebbene, nel caso di specie questa necessità non si riscontra affatto, in quanto l'interesse sotteso alle varie iniziative dell'imputato - in sede nazionale e convenzionale - è risultato sempre quello di esser giudicato con il rito abbreviato e, dunque, di ottenere la riduzione della pena nei termini già richiamati: riduzione che, pertanto, può essere legittimamente disposta anche da questa Corte, previo annullamento della sentenza senza rinvio limitatamente alla determinazione della sanzione irrogata allo A.A.

9. Proprio in ragione di ciò, peraltro, deve essere invece rigettata l'ulteriore richiesta avanzata ai sensi dell'art. 628-bis cod. proc. pen., volta ad ottenere l'annullamento anche della sentenza di primo grado, per ottenere l'integrale, nuova celebrazione del giudizio. Nell'atto qui in esame, invero, la difesa non sostiene mai che la celebrazione del primo grado di giudizio con il rito ordinario abbia pregiudicato la propria linea in punto di responsabilità e, analogamente, l'atto di appello aveva ad oggetto pressoché esclusivo talune questioni processuali (eccepita nullità del decreto di citazione a giudizio per invalidità del decreto di latitanza; nullità dello stesso decreto ai sensi dell'art. 492, comma 2, cod. proc. pen. e per omessa traduzione dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare e del decreto che dispone il giudizio; incompetenza territoriale del Tribunale di Milano; riconoscimento del diritto dell'imputato a richiedere il giudizio abbreviato). Le censure in tema di merito, invece, erano genericamente impuntate sull'identificazione del soggetto e sulla sua identificazione nell'ambito di intercettazioni. Dal che, conseguentemente, la conferma che le iniziative intraprese dal richiedente avevano come interesse esclusivo l'accesso al giudizio abbreviato ed alla conseguente riduzione di pena, così da non rendere necessaria, in esito alla sentenza della Corte EDU, la nuova celebrazione anche del giudizio di primo grado.

10. Con riguardo, infine, all'ultimo profilo sottolineato dalla stessa pronuncia, ossia che il richiedente non avrebbe avuto la possibilità di eccepire l'incompetenza per territorio del Tribunale di Milano, si osserva che la proposizione di una tale eccezione non costituisce di certo un atto personalissimo dell'imputato, a differenza della richiesta di giudizio abbreviato, e ben può essere azionata dal difensore di propria iniziativa, come in effetti accaduto nel giudizio in esame, quindi senza alcuna lesione del diritto di difesa. L'eccezione, infatti, era stata avanzata in appello, e giudicata tardiva con un argomento che anche questa Corte ha ritenuto corretto con la sentenza n. 23196 del 10/5/2016 ("L'eccezione d'incompetenza territoriale è stata, correttamente, dichiarata inammissibile in quanto non proposta nel termine decadenziale prescritto dall'art. 491 cod. proc. pen., ed il relativo motivo di ricorso è infondato per le ragioni già menzionate nel par. 6."), così da non potersi sostenere che la violazione accertata dalla Corte europea sul punto, per natura e gravità, abbia avuto una incidenza effettiva sulla pronuncia di merito.

11. Conclusivamente, pertanto, la stessa sentenza della Corte di appello di Milano deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla determinazione della pena irrogata a carico dello A.A., pena che - ai sensi dell'art. 442, comma 2, cod. proc. pen. - viene rideterminata da questo Collegio in 17 anni e 4 mesi di reclusione (26 di reclusione, ridotti di 1/3). Nel resto, la richiesta ex art. 628-bis cod. proc. pen. deve essere rigettata.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena irrogata a carico di A.A. che, visto l'art. 442, comma 2, cod. proc. pen., ridetermina in anni 17 e mesi 4 di reclusione. Rigetta il ricorso nel resto.

Conclusione

Così deciso in Roma l'8 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2024.