Giu il nocumento In tema di trattamento illecito dei dati personali
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 09 maggio 2024 N. 18211
Massima
In tema di trattamento illecito dei dati personali, il nocumento previsto dall'art. 167 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, deve intendersi come un pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura, patrimoniale o non patrimoniale, subito dal soggetto cui si riferiscono i dati protetti oppure da terzi quale conseguenza dell'illecito trattamento.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 09 maggio 2024 N. 18211

1. Il ricorso è nel suo complesso infondato e deve essere perciò rigettato.

2. Con riferimento al primo ordine di doglianze, imperniato sulla mancata dimostrazione del "nocumento" di cui alla norma incriminatrice, è anzitutto opportuno richiamare il consolidato orientamento di questa Suprema Corte secondo cui "nel reato di trattamento illecito di dati personali previsto dall'art. 167 del D.Lgs. n. 196 del 2003 il nocumento è costituito dal pregiudizio, anche di natura non patrimoniale, subito dalla persona cui si riferiscono i dati quale conseguenza dell'illecito trattamento" (Sez. 3, n. 29549 del 07/02/2017, F., Rv. 270458 - 01, la quale, in applicazione del principio, ha ritenuto "nocumento" la propalazione da parte dell'indagato di informazioni relative alla vita sessuale della persona offesa alla sua nuova compagna). In senso analogo, cfr. ad es. Sez. 3, n. 52135 del 19/06/2018, B., Rv. 275456 - 03, secondo la quale "in tema di trattamento illecito dei dati personali, il nocumento previsto dall'art. 167 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, deve intendersi come un pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura, patrimoniale o non patrimoniale, subito dal soggetto cui si riferiscono i dati protetti oppure da terzi quale conseguenza dell'illecito trattamento" (In applicazione del principio, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione di merito che aveva ravvisato il nocumento nel caso di trasmissione di un verbale di assemblea societaria contenente dati falsi, recante l'indicazione di soggetti che avevano assunto delle cariche sociali in virtù delle quali avevano contratto debiti per la società).

In tale prospettiva ermeneutica, che si condivide e qui si intende ribadire, nessun dubbio può sussistere in ordine alla sussistenza di un danno morale cagionato, alla parte civile, dalla comunicazione della sua positività al C.C. e alla D.D. effettuata dall'odierno ricorrente: tale comunicazione, in altri termini, ha "arrecato alla B.B. un nocumento alla vita di relazione, immettendo nell'orizzonte psicologico del C.C. e della D.D. quella preoccupazione e quel turbamento che sono alla base del pregiudizio se non del vero e proprio stigma che colpisce le persone affette da AIDS o HIV" (in questi termini, efficacemente, cfr. pag. 9 della sentenza di primo grado, espressamente richiamata dalla Corte territoriale).

Si tratta di conclusioni del tutto coerenti con i consolidati principi in tema di danno morale, la cui liquidazione postula non tanto una prova positiva, quanto piuttosto una completa allegazione delle circostanze fattuali determinative del danno medesimo. A tale specifico riguardo, deve osservarsi che le considerazioni svolte nella sentenza impugnata, volte a prospettare una sorta di autoevidenza, nel caso di specie, del nocumento arrecato dalla comunicazione (cfr. pag. 2), devono essere integrate con le ben più diffuse argomentazioni contenute nella sentenza del Tribunale, che formano parte integrante del compendio motivazionale (secondo i noti principi in tema di "doppia conforme") e che vale la pena di riportare, anche perché strettamente correlate alle risultanze dichiarative e documentali acquisite.

Si è in particolare osservato, dal primo giudice (cfr. pag. 10), che la condotta del A.A. aveva cagionato alla parte civile "gravi danni non patrimoniali, consistiti nelle sofferenze e nei patemi d'animo cagionati dalla scoperta dell'odiosa violazione della propria privacy perpetrata in suo danno (peraltro da un ex promesso sposo) e dal tormentoso timore che il delicatissimo dato sensibile illecitamente comunicato a terzi venisse ulteriormente propalato con devastanti ripercussioni sia sulla vita di relazione che sull'attività lavorativa (tenuto conto che il C.C. era titolare di una gioielleria sita in prossimità del negozio di pane e dolci della B.B. e ne era cliente, e che l'eventuale diffusione da parte sua della notizia della sieropositività della donna fra gli altri esercenti del quartiere e fra gli altri avventori del panificio avrebbe potuto distruggere l'avviamento commerciale di quest'ultimo e decretarne la fine)".

Appare evidente, alla luce di tale esaustiva prospettazione del contesto in cui si era inserita la comunicazione del A.A., e della veridicità della notizia propalata, l'irrilevanza dell'argomentazione difensiva secondo cui i destinatari della comunicazione medesima non avrebbero creduto all'odierno ricorrente.

3. Manifestamente infondata è l'ulteriore doglianza concernente l'elemento soggettivo.

Anche in questo caso, il sintetico riferimento alle connotazioni crudeli e odiose della condotta, poste in evidenza dalla Corte territoriale (cfr. pag. 3, cit.), devono essere lette unitamente a quanto osservato dal primo giudice in ordine non solo alla piena consapevolezza e volontà della propria condotta, in capo al A.A., ma anche alla sua "specifica finalità portare il C.C. e la D.D. a conoscenza della sieropositività" della B.B. (cfr. pag. 9, cit.).

Tale rilievo trova un concreto elemento di supporto nelle precisazioni, operate dallo stesso Tribunale, con riferimento sia alla deposizione del C.C. (il quale aveva appreso dal A.A. che questi non aveva potuto sposare la B.B. perché malata di AIDS: cfr. pag. 5), sia alla mail inviata alla parte civile dalla D.D. (la quale aveva scritto alla B.B. che, secondo quanto riferitole dal A.A.. l'esito negativo della sua attività commerciale era dipeso dalla sua positività all'HIV: cfr. pag. 6).

4. Le considerazioni fin qui svolte impongono il rigetto del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Il A.A. deve essere inoltre condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente grado, che si liquidano in complessivi Euro 3.700, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.700,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.

Conclusione

Così deciso il 5 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2024.