Giu corruzione per l'esercizio della funzione - reato di mero pericolo
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - 02 maggio 2024 N. 17514
Massima
In tema di reato di corruzione per l'esercizio della funzione ascrivibile ad un rappresentante dell'Autorità Giudiziaria, in ragione della sua connotazione come reato di mero pericolo, a nulla rileva che l'interessamento non si sia tradotto nel compimento di atti specifici, ove risulti che già ab origine nel pactum sceleris era comunque dedotta la concreta possibilità di un coinvolgimento diretto del Giudice e che era prospettata una sua possibilità di influire di fatto sulla decisione del giudizio.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - 02 maggio 2024 N. 17514

1. Il presente procedimento riguarda fatti di rivelazione di segreti d'ufficio ed accesso abusivo a sistema informatico a carico della commercialista A.A. , nonché due distinte vicende corruttive aventi entrambe come protagonista il Giudice tributario D.D. , nel mentre deceduto, al quale era ascritto di aver messo a disposizione la sua funzione pubblica (art. 318 cod. pen.), per il tramite di intermediari (in un caso, B.B.; nell'altro, la suddetta A.A.) a favore di due imprenditori, in cambio di utilità economica (consistita nella dazione di denaro, nel caso del corruttore C.C. , imprenditore agricolo, e di tre prosciutti, nel caso del corruttore F.F. , titolare dell'omonima impresa, oltre che - in tale secondo caso - della promessa di denaro).

Da tali vicende corruttive si prenderanno le mosse, avvisando che i ricorsi in materia di corruzione vertono per parte su questioni analoghe, essendo in essi dedotta la mancanza o la mancata prova di un pactum sceleris (la prestazione offerta dal Giudice tributario sarebbe consistita in una mera, lecita, consulenza e comunque non sarebbero stati individuati gli atti inerenti alla funzione) nonché il difetto di competenza funzionale in capo ali'intraneus (anche ad ammettere un interessamento "attivo" nelle vicende tributarie dei contribuenti, il D.D. non avrebbe messo a disposizione atti del proprio ufficio), e che tuttavia le situazioni di fatto sono diversamente caratterizzate, il che ne suggerisce una trattazione per parte distinta.

2. Muovendo dalla "vicenda C.C.", a D.D. era stato contestato di essersi messo a disposizione del contribuente C.C. , imprenditore agricolo, prestando la propria consulenza per la redazione di un ricorso tributario e cercando di organizzare un incontro per carpire informazioni riservate con il Giudice di un'altra sezione della medesima Commissione tributaria regionale.

Nei due gradi di giudizio di merito veniva accertato che le informazioni erano state veicolate al C.C. tramite la sua commercialista, la ragioniera A.A. .

Il C.C. , gravato di un debito con il fisco di circa Euro 1.200.000, aveva infatti presentato ricorso avverso la cartella esattoriale emessa con riferimento all'anno 2007 dapprima presso la Commissione tributaria provinciale di Bologna e poi presso quella regionale dell'Emilia Romagna, vedendosi soccombente in entrambi i gradi.

I Giudici di secondo grado ritenevano provato che, quindi, nel 2015, H.H. decideva di rivolgersi all'amico di vecchia data D.D. attraverso l'intermediazione di altro comune e risalente amico, il G.G., ex dipendente dell'Agenzia delle entrate.

Il D.D. invitava pertanto il contribuente, che seguiva il suo consiglio, a ricorrere in Cassazione e a rivolgersi, a tal fine, all'Avv. Della Valle.

Successivamente, a C.C. era suggerito di presentare un'istanza di sospensione della esecutività della sentenza impugnata presso la Commissione tributaria regionale dell'Emilia-Romagna.

Della formale presentazione dell'istanza si sarebbe occupato l'Avv. Corsini, mentre il D.D. ne redigeva il testo.

Nelle more della pendenza dell'istanza, era inoltre captata una conversazione telefonica tra il D.D. e il G.G. in cui i due si auguravano che l'istanza giungesse presso la sezione dove il Giudice prestava servizio o che fosse quantomeno trattata da qualcuno di sua conoscenza e, successivamente, si confrontavano col linguaggio esplicito sul pagamento che il C.C. avrebbe dovuto effettuare in favore del D.D. per la redazione dell'istanza. Quello stesso giorno il G.G. e il D.D. si incontravano presso lo studio della H.H..

L'udienza per la sospensiva era fissata, tuttavia, dinanzi ad altra sezione della Commissione tributaria.

A questo punto, il D.D. riferiva al G.G. di aver preso appuntamento con il collega di tale diversa Sezione, circostanza che peraltro riferiva anche alla moglie.

Dalle intercettazioni emerge, poi, che il D.D. avesse tentato, invano, di carpire notizie sul deposito dell'ordinanza dal Cancelliere di tale sezione, come da quest'ultimo confermato, senza tuttavia ottenere il riscontro sperato.

L'istanza di sospensione del C.C. era respinta a fine luglio 2016, e il ricorso in Cassazione ritirato, in quanto il C.C. decideva di definire le proprie pendenze sulla base di un condono del 2016.

3. Ciò detto, i ricorsi di A.A. e, soprattutto, di C.C. appaiono per larga parte versati in fatto e volti a sollecitare una ricostruzione alternativa del compendio probatorio valutato in due gradi di giudizio di merito, preclusa a questo Giudice.

Ciò vale per le deduzioni del C.C. relative al suo mancato coinvolgimento nel patto corruttivo (motivi 1 e 2), avendo i Giudici di merito accertato che egli ben conosceva il ruolo del D.D. e che a questi si era rivolto, su consiglio e con l'intermediazione della sua commercialista A.A. , non già per ricevere una mera consulenza legale, ma nella speranza, fondata su una concreta manifestazione di disponibilità da parte del Giudice, che questi potesse incidere sulla vicenda giudiziaria del C.C. personalmente, laddove la causa fosse stata assegnata alla sua sezione, o per il tramite di colleghi della Commissione presso cui prestava servizio e dinanzi alla quale l'istanza sarebbe stata presentata, su consiglio dello stesso D.D. , il quale aveva anche suggerito apposita strategia processuale in tal senso.

Del pari, anche qui con motivazione compiuta, logica e non contraddittoria, la Corte d'appello ha ritenuto accertato il consapevole coinvolgimento di A.A. che, lungi dall'essere stata esclusa, come deduce nel primo motivo del suo ricorso, dal patto illecito, nei due giudizi di merito risulta essersene fatta promotrice o avervi, comunque, contribuito, recando un apporto peraltro decisivo e nella piena consapevolezza della illiceità del patto (di talché sono - in ogni caso - pacificamente integrati gli estremi del concorso di persone nel reato di corruzione).

Incidentalmente, neppure sussiste la contraddizione, rilevata nel medesimo motivo di ricorso, discendente dalla pretesa differenza di trattamento ai danni della H.H., condannata nella vicenda in oggetto e invece assolta in relazione a quella concernente altro Giudice tributario (Velardi). Il Tribunale aveva infatti chiarito come il quadro probatorio emerso in relazione al "caso C.C." fosse più ampio e tale da consentire di ipotizzare in modo non illogico lo svolgimento, da parte dell'imputata, di un'attività che travalicava la mera consulenza tributaria nell'interesse del cliente (come invece nel "caso Velardi").

Passando a tale specifico aspetto, infine, parimenti versate in fatto e, dunque, inammissibili sono le deduzioni, trasversali nei ricorsi del C.C. e della H.H., mirate a negare il contenuto illecito dell'accordo tra l'imprenditore e il Giudice tributario, definendone il contenuto, come poc'anzi ricordato, in termini di mera elargizione - gratuita e a titolo di amicizia, in virtù della risalente conoscenza con A.A. - di consigli in una materia ad alto tasso di complessità tecnica. Si è già detto, infatti, che dalla ricostruzione accusatoria passata al vaglio nei due giudizi di merito è emerso, al contrario, che anche la strategia difensiva (il consiglio di presentare ricorso per cassazione in vista della richiesta di sospensiva presso la Commissione tributaria dove prestava servizio D.D. e la predisposizione della relativa istanza da parte dello stesso Giudice) servirono, piuttosto, a creare le condizioni materiali per poter successivamente incidere, direttamente o indirettamente (spendendosi, cioè, presso i suoi colleghi della Commissione tributaria), sulla vicenda giudiziaria del contribuente e che tale interessamento non fu certo fu a titolo gratuito, come emerse da captazioni il cui tenore è inequivoco (vi si parla, ad esempio, di passare "alla riscossione" e si mostra impazienza nell'attesa di un corrispettivo).

4. Ciò detto, le questioni di diritto sostanziale poste nei ricorsi di C.C. e di H.H. sono essenzialmente due.

4.1. La prima concerne - al di là dell'asserito carattere lecito della prestazione offerta dal D.D. - la mancata individuazione degli specifici atti contrari ai doveri d'ufficio nell'accordo tra corrotto e corruttore.

Sul punto, è appena il caso di ricordare, come d'altronde ha fatto la Corte d'appello, che l'art. 318 cod. pen. è un reato di pericolo, la cui ratio consiste nell'anticipare la soglia della tutela penale in tutti i casi in cui l'agente pubblico abbia stipulato un patto con l'extraneus per asservire la propria "funzione", al soddisfacimento degli interessi di questi, dietro dazione o anche soltanto promessa di una contropartita economicamente valutabile (sulla natura di pericolo del reato di cui all'art. 318 cod. pen. e sulle differenze con l'art. 319 cod. pen. per tutte, Sez. 6, n. 18129 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla).

Ciò è appunto avvenuto nel caso di specie.

Il disvalore dell'art. 318 cod. pen. , dunque, si condensa e si esaurisce in tale indebita funzionalizzazione, che il legislatore ritiene di per sé arrecare offesa (come detto, in forma di pericolo) agli interessi della Pubblica Amministrazione.

Di conseguenza, non assume rilievo il contenuto del patto, la cui illiceità deriva, a monte, dal mercimonio della funzione o del servizio pubblici, essendo noto, d'altronde, che nella fattispecie introdotta nel 2012 rifluirono le ipotesi di asservimento della funzione, a prescindere al compimento di specifici atti, oltre che quelle di compimento di atti conformi (la vecchia corruzione c.d. "impropria"), il che rende tra l'altro irrilevante la circostanza che il D.D. credesse o meno nelle buone ragioni dei contribuenti che a lui si rivolgevano e che, dunque, in fede ritenesse, o meno, sussistenti ragioni giuridiche per le quali la relativa posizione dovesse risolversi in senso favorevole.

Dalla premessa di cui si è detto derivano ulteriori conseguenze.

Innanzitutto, dal punto di vista "qualitativo", il patto di cui all'art. 318 cod. pen. può avere ad oggetto il compimento di atti specificamente individuati e concordati tra le parti, così come l'impegno indefinito a soddisfare qualunque interesse dell 'extraneus (in questo caso il privato corruttore) che possa in prospettiva palesarsi.

Inoltre, dal punto di vista "quantitativo", esso può riguardare sia la realizzazione di plurimi atti, sia il compimento di un unico atto (Sez. 6, n. 33251 del 26/05/2021, Crocetta, Rv. 281844, secondo cui il reato è integrato dalla promessa o dazione indebita di somme di danaro o di altre utilità in favore del pubblico ufficiale che sia sinallagmaticamente connessa all'esercizio della funzione, ancorché finalizzata al compimento di un unico e specifico atto non contrario ai doveri di ufficio, non richiedendosi necessariamente che l'asservimento dell'agente all'interesse privato si sia protratto nel tempo), il reato essendo, in ipotesi, configurabile addirittura là dove la generica "messa a disposizione" non si concreti, per circostanze esterne alla volontà del corrotto, nel compimento di alcun atto (fermo restando che, in simili casi, sarà difficile raggiungere la prova del do ut des).

Sotto questo profilo, le deduzioni contenute nel ricorso del C.C. devono essere, dunque, rigettate.

4.2. Per la stessa ragione, infondate appaiono le deduzioni, comuni ad entrambi i ricorsi (del C.C. e del H.H.), sulla mancanza del requisito della competenza funzionale in capo a D.D., in quanto componente di una sezione della Commissione tributaria provinciale diversa da quella cui fu assegnato il ricorso del C.C. .

In via generale può rilevarsi che, se la ragione dell'incriminazione risiede nello stabile asservimento della "funzione", la cui proiezione temporale e la cui funzionalizzazione contenutistica può andare oltre il compimento di atti specifici ed implica, anzi, la "versatilità" della prestazione promessa, allora deve escludersi che l'art. 318 cod. pen. imponga una stretta competenza funzionale in capo ali 'intraneus.

Ciò è, d'altra parte, quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, univoca nel ravvisare il carattere indeterminato - nel senso, appena specificato, di "indefinito" - dell'asservimento della "funzione" e nel desumere da tale connotazione l'eventualità che l'interessamento sia promesso anche per un settore diverso da quello di appartenenza, purché su di esso l'agente possa esercitare un'ingerenza anche solo fattuale (in tal senso, in motivazione, Sez. 6, n. 32401 del 20/06/2019, Monaco, Rv. 276801; Sez. 6, n. 13406 del 13/02/2019, Carollo, Rv. 275428).

Tanto, per contro, non emerge affatto dalla giurisprudenza richiamata nei ricorsi.

E' vero che le sentenze citate richiedono che l'atto oggetto del mercimonio rientri nella sfera di competenza o di influenza dell'ufficio cui appartiene il soggetto corrotto (Sez. 6, n. 17973 del 22/01/2019, Caccuri, Rv. 275935, peraltro relativa ad un patto corruttivo intervenuto con un giudice incardinato nella commissione tributaria regionale, ma relativo a procedimento pendente innanzi alla commissione tributaria provinciale. Vd. anche Sez. 6, n. 23355 del 26/02/2016, Margiotta, Rv. 267060; Sez. 6, n. 7731 del 12/02/2016, dep. Pasini, Rv. 266543).

Tuttavia, esse si riferiscono alla diversa ipotesi di corruzione propria (art. 319 cod. pen.) la cui ragion d'essere affonda, come detto, in differenti presupposti empirico - criminologici ed in cui tale conclusione è imposta dalla delimitazione del tipo legislativo (soltanto) al compimento di atti contrari ai doveri dell'"ufficio" (concetto diverso e più delimitato di quello di "funzione" di cui all'art. 318 cod. pen.).

Deve comunque aggiungersi che, secondo la ricostruzione dei Giudici di merito, era dedotta nel patto illecito la concreta possibilità che l'istanza fosse assegnata alla Sezione del giudice, con la conseguenza che ab origine quel patto includeva il compimento di un atto dell'ufficio, sia pur con la prospettiva dell'eventuale esercizio di una capacità di influenza funzionale.

Deve ancora precisarsi che la ricostruzione del patto conduce a ritenere che l'asservimento della funzione fosse limitato alla vicenda e che in termini più generali fosse valutata l'opera di consulenza che il giudice avrebbe potuto fornire, essa sì, di per sé sola, esulante dalla sfera dei poteri funzionali.

D'altro canto, contrariamente agli assunti difensivi, non rileva il mero tenore dell'imputazione originaria, la quale deve essere interpretata in questa sede alla luce dell'analisi compiuta dai Giudici di merito, in assenza della tempestiva formulazione di eccezioni ai sensi degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen.

4.3. Per le esposte ragioni, i motivi esaminati devono ritenersi infondati.

5. Merita, infine, un cenno la deduzione svolta dal C.C. (terzo motivo del ricorso) sull'omessa rinnovazione dibattimentale.

La Corte di appello ha reputato la rinnovazione non soltanto non decisiva, ma anzi superflua, alla luce del quadro probatorio già nitidamente delineato.

In particolare, ha ritenuto non necessaria l'escussione dell'avvocato Forte in virtù delle e - mail intercorse tra questi e il D.D. , "il cui tenore è chiaro e contiene riferimenti concreti a passaggi, comunicazioni, importi e date che non necessitano di ulteriori spiegazioni in quanto autoesplicativi": giudizio argomentato in modo compiuto e logico alla luce di quanto già riferito e quindi non sindacabile nella presente sede.

Neppure la Corte ha considerato utile, ai fini della decisione, l'acquisizione dei documenti dell'Agenzia delle Entrate riferiti a pendenze fiscali "sanate in epoca successiva i fatti e proprio in forza del mancato raggiungimento dell'esito sperato dell'accordo corruttivo in oggetto", aggiungendo che il motivo era generico in quanto non spiegava le ragioni per cui le prove erano ritenute decisive: genericità che il ricorrente ha tentato di sanare tardivamente, e cioè in questa sede, peraltro in modo inefficace (non risultando chiaro come l'argomentazione sviluppata nel ricorso possa escludere la sussistenza del dolo della corruzione).

Il motivo, pertanto, è per questa parte inammissibile.

6. Premesso che i ricorsi sono, dunque, infondati, va tuttavia rilevata l'estinzione del reato (capo 6) per avvenuto decorso del termine prescrizionale.

Dovendosi aver riguardo alla pena edittale prevista all'epoca per il reato di cui all'art. 318 cod. pen. , pari al massimo di anni sei, il termine di prescrizione risulta di anni sette e mesi sei, cui devono aggiungersi giorni 64 di sospensione previsti dalla disciplina emergenziale per Covid - 19: orbene, poiché il patto corruttivo e le dazioni prospettate, secondo quanto ricostruito dai Giudici di merito, non sono successivi al 4 luglio del 2016, deve ritenersi che il reato, così come qualificato, sia estinto per intervenuta prescrizione.

7. Passando alla "vicenda F.F.", va innanzitutto precisato che, come ritenuto nel ricorso principale dell'imputata e diversamente da quanto assunto nei motivi aggiunti, B.B. è chiamata a rispondere, a seguito di riqualificazione del fatto da parte del Pubblico Ministero, dell'ipotesi di corruzione per l'esercizio delle funzioni (art. 318 cod. pen.) e non quella di corruzione propria (art. 319 cod. pen.), sicché le deduzioni contenute nei motivi aggiunti e relative a tale reato non saranno prese in esame.

7.1. Anche in relazione a questa vicenda, secondo la prospettazione difensiva (primo motivo del ricorso B.B.), il Giudice tributario D.D. si sarebbe limitato ad offrire una mera consulenza e a dimostrare un generico interessamento ai problemi fiscali del F.F. . Si aggiunge che, comunque, gli atti che si assumono promessi esulavano dalla competenza funzionale dell'intraneus (il che precluderebbe l'integrazione del tipo dell'art. 318 cod. pen.)

Ed anche qui (si legge nei motivi aggiunti di B.B.) il contenuto del pactum sceleris non sarebbe individuato in sentenza.

Come in relazione alla "vicenda C.C.", tali deduzioni appaiono per parte inammissibili, per parte infondate.

In particolare, le deduzioni sono inammissibili nella misura in cui - con motivazione completa e non illogica né contraddittoria: dunque non sindacabile in questa sede - i Giudici dell'appello argomentano che l'interessamento" in oggetto non riguardò la sola questione del domicilio fiscale a M e si spinse anche ben oltre la manifestazione di una generica curiosità. Per esempio, nella sentenza impugnata si insiste sul fatto che F.F. presentò ricorso proprio alla Commissione tributaria cui era assegnato il D.D. ; si riferisce di una telefonata del D.D. al figlio di F.F. , J.J. , per comunicargli che il ricorso era stato assegnato a diversa Sezione i cui consiglieri, però, erano definiti, con tono rassicurante, "vicini di casa" e "tutti brave persone", alludendo inoltre alla necessità di un incontro "in camera caritatis" ecc.

Le deduzioni sono infondate perché: alla luce dei rilievi già svolti sulla ratio della fattispecie di cui all'art. 318 cod. pen. e sulla sua connotazione come reato di mero pericolo, a nulla rileva che tale interessamento non si fosse tradotto nel compimento dì atti specifici, dovendosi comunque rilevare che ab origine nel patto era comunque dedotta la concreta possibilità di un coinvolgimento diretto del Giudice o della sua Sezione e che alla resa dei conti era prospettata una sua possibilità di influire di fatto sulla decisione.

7.2. Diversamente dai ricorsi del C.C. e della H.H., l'impugnazione di B.B. richiama l'attenzione pure sull'entità dei donativi, che il capo di imputazione definisce "di rilevante valore" e che - obietta la difesa - sono invece consistiti nella dazione di tre prosciutti da parte di J.J. a D.D. , per sottolineare come tale elemento incida negativamente sul requisito della proporzione, il che, a sua volta, revocherebbe in dubbio l'esistenza stessa del sinallagma.

Ferma l'astratta fondatezza del rilievo (vd. Sez. 6, n. 7007 del 08/01/2021, Micheli, Rv. 281158; Sez. 6, n. 45073 del 28/10/2022, Cesaroni, non mass.), in concreto, tuttavia, la premessa di fatto non risulta corretta nel caso di specie.

In disparte ogni considerazione sull'intrinseco valore economico dei salumi (poco interessando che tale valore fosse risibile dal punto di vista dell'imprenditore), dalla sentenza impugnata emerge, infatti, come la ricorrente avesse tranquillizzato il Giudice tributario, assicurandogli che avrebbe potuto chiedere altro in aggiunta ai prosciutti, ed anzi invitandolo a quantificare egli stesso il prezzo della corruzione: il che fuga i dubbi sulla configurabilità del pactum sceleris nel caso di specie.

8. Manifestamente infondato è, inoltre, il secondo motivo del ricorso B.B. , volto a contestare la configurabilità di un concorso di persone nel delitto, essendo intervenuta la ricorrente - si sostiene - soltanto dopo che, il 06/02/2016, il D.D. ricevette il primo prosciutto.

Infatti, seppure le sentenze di merito specifichino che l'intervento della B.B. quale intermediaria si concretizzò subito dopo la prima visita del D.D. al J.J. (in occasione della quale avvenne il donativo), dalle medesime pronunce emerge anche che: la ricorrente si curò successivamente di mettere in contatto i due; preparò il Giudice sulle tematiche oggetto dell'incontro con l'imprenditore; mostrò interesse a che il ricorso di J.J. fosse assegnato alla Sezione del D.D. e fosse da lui giudicato.

Si tratta di elementi i quali depongono tutti nel senso della sussistenza di un contributo causale (materiale e morale), oltre che della consapevolezza in ordine al perfezionamento dell'accordo corruttivo, a nulla evidentemente rilevando l'individuazione del momento in cui tali condizioni si sono inverate.

D'altronde, la Corte di appello, come poc'anzi ricordato, aggiunge che l'imputata aveva rassicurato il D.D. riguardo alla riscossione di un compenso ulteriore rispetto alla dazione in generi alimentari, desumendone - con argomentazione anche in questo caso completa, logica e non contraddittoria - che l'intervento della stessa era stato non soltanto utile ma decisivo ai fini dell'integrazione del reato.

9. Fondato è, invece, il terzo motivo del ricorso di B.B. , relativo al vizio di motivazione sulla mancata applicazione dell'art. 323-bis cod. pen. , corrispondendo al vero quanto dedotto dall'imputata, e cioè che la Corte di appello, nel motivare, richiama due volte il caso C.C. (citandone anche le specifiche circostanze, a dimostrazione del fatto che non si tratta di mero errore materiale), con il quale la ricorrente nulla consta che ebbe a che fare.

10. L'annullamento della sentenza sul punto è tuttavia precluso dall'estinzione del reato (capo 7) per intervenuta prescrizione.

Risultando il fatto, da valutarsi in relazione al pactum sceleris e alle dazioni effettive, commesso non oltre il 04/07/2016 (termine da valutarsi in ragione del computo del periodo di sospensione legato all'emergenza pandemica: cfr. retro sub 6), è maturato anche in questo caso il termine massimo di prescrizione, pari ad anni sette e mesi sei.

11. Si venga, infine, alla vicenda - che interessa la sola ricorrente H.H., relativa al concorso negli accessi/intrattenimenti abusivi nel sistema informatico (art. 615-tercod. pen.) compiuti dal marito, all'epoca dipendente delle Agenzie delle Entrate di Bologna, e nelle correlate rivelazioni di segreto d'ufficio (art. 326 cod. pen.).

11.1. Nel secondo motivo del suo ricorso, dedicato alle rivelazioni del segreto d'ufficio, A.A. eccepisce come la Corte d'appello: non avrebbe esaminato ogni singola posizione dei contribuenti indicati; non avrebbe considerato che l'imputata agiva per incarico dei clienti, quale loro delegata e rappresentante; avrebbe trascurato che quelle informazioni, riferite a dati fiscali reddituali e patrimoniali dei suoi clienti, potessero già essere in suo possesso, avendo in alcune ipotesi assunto l'incarico di provvedere lei stessa alla compilazione delle dichiarazioni degli altri atti fiscali oggetto delle visure (essendo iscritta all'albo dei tributaristi e dei revisori contabili, quale intermediaria, la ricorrente poteva, infatti, accedere per delega dell'agenzia delle entrate ai cassetti fiscali dei suoi clienti).

Tali deduzioni sono infondate.

Premesso che, ai fini della sussistenza del reato, non è certo necessario accertare ogni analitica condotta, ad analoghe deduzioni, la Corte di appello replica - in modo compiuto e non illogico - che le informazioni in oggetto non erano affatto generiche e non riservate, vertendo esse sulle situazioni reddituali e patrimoniali nonché su vicende fiscali di privati e società accessibili soltanto a soggetti titolari di specifica delega ad acquisirle.

Aggiunge poi che la stessa H.H., in sede di esame, riferiva che molte informazioni erano relative a clienti del suo studio, ammettendo con ciò che una parte riguardava invece altri soggetti con i quali non sussisteva alcun rapporto professionale, come in un caso specifico citato dalla stessa imputata.

D'altronde, la ricorrente è chiamata a rispondere a titolo di concorso, in qualità di istigatrice o determinatrice, nel delitto commesso dal marito rispetto alla cui condotta la configurabilità dell'offesa al bene protetto dall'art. 326 cod. pen. è, se possibile, ancor meno revocabile in dubbio, fermo restando che il segreto di ufficio è violato anche nel caso in cui l'informazione venga acquisita al di fuori del rigoroso rispetto delle disposizioni in materia di legittimo accesso (sul punto: Sez. 6, n. 35779 del 11/05/2023, Agnetto, Rv. 285179).

Né la motivazione del provvedimento impugnato può essere viziata dall'omessa risposta alle deduzioni sull'assenza dell'elemento soggettivo, chiaramente inferibile, nella concreta vicenda, dalle circostanze del fatto.

Sul punto, sia quindi, sufficiente richiamare il consolidato insegnamento in base al quale non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando ne risulti il rigetto dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata (Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, Curro, Rv. 275500).

11.2. Nel terzo motivo del ricorso, H.H. eccepisce l'omessa risposta alle eccezioni in appello con cui contestava di aver concorso negli accessi abusivi commessi dal marito (pur ritenendo accertato che il E.E. abbia effettuato plurimi accessi anche in autonomia, la Corte d'appello avrebbe considerato l'imputata concorrente nel reato contestato a E.E. per aver sollecitato tutti gli accessi, né avrebbe motivato in rapporto alle deduzioni sulla mancanza dell'elemento soggettivo).

Deve al riguardo osservarsi che nella sentenza di primo grado (che, essendo al cospetto di una c.d. "doppia conforme", con la sentenza impugnata forma un unico corpo decisionale: Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E. , Rv. 277218) le condotte erano state ritenute provate in virtù delle dichiarazioni di tre testi del Pubblico Ministero, delle intercettazioni telefoniche nonché dell'esame dei due imputati.

E si aggiungeva che l'indagine penale aveva preso l'avvio da una segnalazione all'ufficio Audit dell'agenzia delle entrate che scopriva 301 linee di interrogazioni corrispondenti ai clienti di H.H. o a società riferibili ai coniugi e che, all'esito del confronto con quanto risultante dall'indagini della Guardia di Finanza, si scoprivano ben 345 linee di interrogazioni relative a 88 soci, rappresentanti legali di società clienti della ragioniera (e altre 123 relative alla posizione del marito e dei suoi parenti)".

Alla luce di tali evidenze, l'eccezione difensiva in ordine alla mancata sollecitazione, da parte di H.H., di "tutti" gli accessi (compresi cioè anche quelli effettuati dal coniuge per proprie motivazioni) appare infondata. Di conseguenza, sulla base della massima di diritto poc'anzi richiamata, la sentenza impugnata sfugge alle prospettate censure, che non confutano la complessiva analisi del merito.

12. Tanto più in ragione della fondatezza del quarto motivo, che riguarda in generale il trattamento sanzionatorio e in relazione al quale va rimarcata l'assenza di una motivazione della Corte territoriale in tema di applicazione di pene sostitutive, deve ritenersi che anche con riguardo ai capi 11) e 12) debba valutarsi l'intervenuta prescrizione.

I reati di cui agli artt. 615 - ter 326 cod. pen. risultano commessi, i primi dal "01/01/2015 al 05/08/2016" e i secondi "da marzo 2016 a settembre 2016": tenendo conto della sospensione legata all'emergenza pandemica e del termine massimo di anni sette e mesi sei, va ravvisata l'estinzione per prescrizione dei reati commessi non oltre il 04/07/2016.

La sentenza va dunque annullata sul punto, con assorbimento del tema oggetto del quarto motivo, con rinvio per la rideterminazione della pena in ordine ai reati residui.

13. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di H.H., di B.B. e di C.C. in relazione ai reati di cui ai capi 6 e 7, nonché nei confronti di H.H. in relazione ai reati di cui ai capi 11) e 12), commessi non oltre il 04/07/2016, perché gli stessi sono estinti per prescrizione.

Va disposto il rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna, ai fini della rideterminazione della pena nei confronti di H.H. per i residui reati sub 11) e 12).

Ferme le statuizioni civili, i ricorrenti devono essere condannati a rifondere alle parti civili Ministero dell'Economia e delle Finanze e Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria le spese di rappresentanza e difesa nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di H.H. Valentina, di B.B. e di C.C. in relazione ai reati di cui ai capi 6 e 7, perché gli stessi sono estinti per prescrizione. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di H.H. Valentina in relazione ai capi 11 e 12, limitatamente ai fatti commessi fino al 4 luglio 2016, perché gli stessi sono estinti per prescrizione. Rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Bologna per la rideterminazione della pena nei confronti di H.H. in relazione ai residui reati di cui ai capi 11 e 12. Ferme le statuizioni civili, condanna i ricorrenti a rifonderete parti civili Ministero dell'Economia e delle Finanze e Consiglio dè Presidenza della Giustizia Tributaria le spese di rappresentanza e difesa del presente grado, che liquida in euro 3.592, salvi accessori.

Conclusione

Così deciso il 6 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2024.