Giu Non contravviene al divieto della "reformatio in peius" il giudice di appello che, pur in presenza di impugnazione proposto dal solo imputato, revochi il beneficio della sospensione condizionale
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 11 marzo 2024 N. 10187
Massima
Non contravviene al divieto della "reformatio in peius" il giudice di appello che, pur in presenza di impugnazione proposto dal solo imputato, revochi il beneficio della sospensione condizionale, nelle ipotesi previste dai commi primo e terzo dell'art. 168 cod. pen., in quanto, in entrambi i casi, si tratta di provvedimenti dichiarativi, riguardanti effetti che si producono "ope legis" e presuppongono un'attività puramente ricognitiva e non discrezionale o valutativa, a differenza dell'ipotesi di cui al comma secondo del medesimo articolo che, invece, ha natura costitutiva e implica un giudizio sull'indole e sulla gravità del reato, rispetto al quale l'imputato deve essere posto nella condizione di potersi difendere

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 11 marzo 2024 N. 10187

4. I ricorsi proposti congiuntamente dal A.A. e dalla B.B. sono inammissibili, in quanto i motivi addotti si discostano dai parametri dell'impugnazione di legittimità stabiliti dall'art. 606 cod. proc. pen., i primi due perché attengono esclusivamente al merito della decisione impugnata, ed il terzo perché manifestamente infondato.

4.1. Con il primo motivo di ricorso, infatti, i ricorrenti qualificano come violazione di legge e vizio di motivazione quelle che sono, in realtà, mere censure attinenti al merito della decisione impugnata, volte ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento.

I ricorrenti prospettano, invece, una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione che esula dai poteri della Corte di cassazione, trattandosi di valutazione riservata, in via esclusiva, al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U., 30/4/1997, n. 6402, Rv. 207944).

I giudici di merito, infatti, hanno riconosciuto che i beni mobili della persona offesa erano custoditi a titolo gratuito in un appartamento locato dalla B.B., ove erano stati depositati dal A.A., e poco rileva ai fini della responsabilità per il reato di appropriazione indebita che si sia trattato di comodato gratuito o deposito gratuito, quanto, piuttosto che - secondo la ricostruzione dei giudici di merito - la persona offesa C.C. aveva invano chiesto la restituzione dei beni, prima negatagli dal A.A. assumendo che stava partendo per l'estero e che avrebbe provveduto egli stesso alla vendita dei mobili, proposta che veniva rifiutata dalla C.C., e poi impedendo il ritiro dei mobili al teste D.D., incaricato dalla persona offesa, sull'assunto del A.A. che la stessa C.C. avrebbe dovuto prima estinguere un presunto debito di 5000,00 euro.

I ricorrenti contestano tale ricostruzione dei fatti assumendo che questa si fonderebbe sul travisamento delle prove testimoniali della persona offesa e del D.D., ma deve ritenersi ormai consolidato l'insegnamento di questa Corte di legittimità secondo cui gli atti a tal fine indicati, che devono essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di autosufficienza del ricorso - requisito in alcun modo soddisfatto nel caso di specie - devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell'ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. Resta, comunque, esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova. Inoltre, l'art.

606 lett. e) cod. proc. pen., non consente alla Cassazione di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali può essere dedotta nella specie del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze. (Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099).

Inoltre, deve anche considerarsi che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti. (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, Rv. 272018). Nel caso di specie, in presenza di una ed. doppia conforme, si contestano le ricostruzioni delle dichiarazioni dei testimoni C.C. e D.D., così come riportate da entrambi i giudici di merito, senza alcuna allegazione delle stesse e senza che risulti la manifesta evidenza di una non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti.

Senza incorrere in vizio logico alcuno, pertanto, la sentenza impugnata ha riconosciuto l'elemento oggettivo del reato di appropriazione indebita nell'interversione del possesso manifestata con il rifiuto di restituire i beni mobili, nonostante la pattuizione della gratuità del deposito riferita anche dalla stessa ricorrente B.B., se non dietro pagamento di una somma di denaro non concordata.

4.2. Anche il motivo di ricorso volto a censurare il riconoscimento della responsabilità della ricorrente B.B. in ordine all'appropriazione indebita di cui si tratta tende, nella sostanza, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, non potendosi ravvisare alcun vizio logico o giuridico, invece, nel riconoscimento del contributo causale offerto dalla predetta ricorrente alla consumazione del reato con la custodia dei beni mobili di cui si tratta nell'appartamento di cui era locataria e del quale disponeva delle chiavi, senza restituirli alla proprietaria, nella piena e riconosciuta consapevolezza del rifiuto del suo compagno di restituire i beni medesimi quale risposta al rifiuto della C.C. di corrispondere alcun contributo economico per la restituzione.

4.3. Manifestamente infondato, infine, è il terzo motivo di ricorso, con il quale viene prospettata una violazione del divieto di reformatio in pejus, ai sensi dell'art. 593 comma 3 cod. proc. pen., per essere stato revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso al A.A., pur nel difetto di appello del pubblico ministero.

Deve rilevarsi, infatti, che il beneficio in parola, concesso in primo grado, è stato revocato dal giudice di appello perché concesso in presenza di condizioni ostative, avendo il A.A. già riportato una condanna ed essendogli stata contestata la recidiva reiterata.

In coerenza con la costante giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, alla quale si intende dare seguito, pertanto, deve ribadirsi che non contravviene al divieto della "reformatio in peius" il giudice di appello che, pur in presenza di impugnazione proposto dal solo imputato, revochi il beneficio della sospensione condizionale, nelle ipotesi previste dai commi primo e terzo dell'art. 168 cod. pen., in quanto, in entrambi i casi, si tratta di provvedimenti dichiarativi, riguardanti effetti che si producono "ope legis" e presuppongono un'attività puramente ricognitiva e non discrezionale o valutativa, a differenza dell'ipotesi di cui al comma secondo del medesimo articolo che, invece, ha natura costitutiva e implica un giudizio sull'indole e sulla gravità del reato, rispetto al quale l'imputato deve essere posto nella condizione di potersi difendere (Sez. 2, n. 37009 del 30/06/2016, Rv. 267913 - 01; Sez. 6, n. 51131 del 15/11/2019, Rv. 277570 - 01).

5. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dai ricorsi, si determina equitativamente in euro tremila ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria l’11 marzo 2024.