Giu In caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo può essere derogata
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 07 marzo 2024 N. 9705
Massima
In caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo può essere derogata a condizione che questo sia viziato da un errore materiale obiettivamente rilevabile e che da esso, quale espressione della volontà decisoria del giudice, non derivi un risultato più favorevole per l'imputato.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 07 marzo 2024 N. 9705

4. Il ricorso risulta infondato.

5. Con riguardo alla prima censura, il Collegio osserva che se la sentenza non contiene, effettivamente, alcun riferimento alle note scritte inviate via pec dal difensore l'11/5/2023, parimenti la questione posta con le stesse note -l'applicazione in appello dell'art. 420-quater cod. proc. pen. - risulta del tutto infondata.

5.1. Questa norma - per come radicalmente modificata dal D.Lgs. 30 ottobre 2022, n. 150 - ha introdotto nell'ordinamento l'innovativa sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato, che il giudice dell'udienza preliminare pronuncia se questi non è presente e fuori dei casi previsti dai precedenti articoli 420-bis (assenza dell'imputato) e 420-ter (impedimento a comparire dell'imputato o del difensore); ebbene, la stessa disposizione non è riferibile al caso di specie, sotto plurimi e decisivi profili, così che il silenzio tenuto sul punto dalla sentenza impugnata non può essere censurato.

5.2. In primo luogo, la norma si riferisce - per espressa indicazione - alla mancata conoscenza della pendenza del processo, ossia, in sé, di un giudizio instaurato a carico di un soggetto con riferimento ad una condotta di reato, in esito alle indagini preliminari, con fissazione dell'udienza preliminare; la norma, dunque, presuppone che l'imputato non abbia mai avuto alcuna informazione circa la pendenza del processo medesimo, in alcun modo, solo così giustificandosi, per un verso, l'emissione di una sentenza di non doversi procedere (non già di una ordinanza di sospensione del giudizio) e, per altro verso, il carattere inappellabile della stessa decisione. Questa sentenza, infatti, non è suscettibile di gravame, potendo soltanto essere revocata - ai sensi dell'art. 420-sexies cod. proc. pen. -nel caso in cui la polizia giudiziaria rintracci la persona nei cui confronti è stata emessa; le relative ricerche, peraltro, sono disposte già con la sentenza stessa (art. 420-quater, comma 3), e potranno essere svolte fino a quando per tutti i reati oggetto di imputazione non sia superato il termine previsto dall'art. 159, ultimo comma, cod. pen., in tema di prescrizione. Decorso inutilmente il termine, la sentenza non può più essere revocata, come da previsione del comma 6 della stessa norma.

5.3. Ebbene, questo complesso normativo - i cui esiti, come appena indicato, possono essere anche esiziali per il giudizio - appare giustificarsi soltanto in presenza di un radicale vizio di conoscenza del processo, quale fase di giudizio successiva alla conclusione delle indagini preliminari, tale da non consentirne la legittima celebrazione per come riscontrato dal giudice con insindacabile accertamento di merito.

5.4. Se questa, dunque, è la ratio della previsione e della sua intera disciplina, fondata sul binomio conoscenza del processo/effettività del diritto di difesa di cui all'art. 6, par. 3, CEDU, ecco allora che l'art. 420-quater cod. proc. pen. non può trovare applicazione nel diverso caso in cui il difetto di conoscenza riguardi l'esistenza non di un processo, ossia dell'intrapresa celebrazione di un primo giudizio in esito alle indagini, ma soltanto di una fase o di un grado del processo stesso, la cui pendenza, comunque, sia conosciuta dall'imputato; diversamente, infatti, risulterebbe un'irragionevole equiparazione - anche quanto ad effetti processuali - tra due situazioni di fatto evidentemente diverse.

5.4. Ebbene, proprio questa seconda ipotesi si riscontra nel caso di specie, nel quale l'effettiva conoscenza del processo da parte del ricorrente non è revocabile in dubbio, avendo ottenuto plurimi riscontri. Presente nel corso del giudizio di primo grado (come da intestazione della sentenza del tribunale di Ancona dell'8/5/2013), il A.A. aveva proposto appello - a data 28/10/2013 - attraverso il proprio difensore fiduciario Avv. Nucera, che poi ha sottoscritto il ricorso in esame. Avverso la sentenza di appello del 27/2/2017, lo stesso difensore aveva proposto ricorso per cassazione, con il cui primo motivo - accolto dalla sentenza di questa Sezione n. 35621 del 5/5/2021 - lamentava che il decreto di citazione a giudizio in appello era stato notificato presso il difensore di fiducia, ai sensi dell'art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen, e non presso lo studio legale di un precedente difensore (Avv. Pompei), laddove l'imputato aveva eletto domicilio il 21/11/2010, con dichiarazione mai revocata. Ne era seguito il nuovo giudizio di appello, alla presenza del medesimo difensore fiduciario, concluso con la sentenza qui impugnata.

5.5. La sequela appena richiamata - che questa Corte ha legittimamente tratto dal fascicolo processuale - attesta, dunque, in modo non controvertibile, che il ricorrente aveva avuto piena conoscenza della pendenza del processo, ossia del giudizio di primo grado, così come del giudizio di appello e del primo giudizio di legittimità. Non può rilevare, pertanto, l'affermazione contenuta nelle citate note dell'11/5/2023, peraltro palesemente generica, che sostiene - a supporto della richiesta di sentenza ai sensi dell'art. 420-quater cod. proc. pen. - che "il sottoscritto difensore da molti anni ormai non ha avuto più alcun contatto con il proprio cliente, né familiari o amici hanno potuto indicare un ultimo domicilio noto"; questa circostanza, quand'anche riscontrata, non potrebbe infatti elidere un dato di merito certo, ossia - si ribadisce - la piena conoscenza, in capo al ricorrente, della celebrazione di un processo a suo carico, sin dal primo grado e fino al secondo giudizio di appello.

5.6. La manifesta infondatezza della richiesta contenuta nelle note dell'11/5/2023, inoltre, emerge dalla fase processuale in cui l'applicazione della norma in esame è stata sollecitata, ossia il giudizio di appello.

5.7. L'art. 420-quater, infatti, è collocato nel Titolo IX del Libro V, in tema di udienza preliminare; è in quella prima fase processuale, dunque, che il giudice è tenuto a verificare se l'imputato deve essere dichiarato assente, se è legittimamente impedito a comparire e se ha avuto effettiva conoscenza del processo, al fine di evitare chi il giudizio si instauri con un evidente vizio che potrebbe minarne la tenuta fino alla sede di legittimità. Che un accertamento di tal genere debba essere eseguito a processo appena intrapreso, trova poi conferma nell'art. 484, comma 3, cod. proc. pen., in tema di atti introduttivi del dibattimento, nel quale si prevede che "si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 420, comma 2-ter, primo periodo, e 420-ter, nonché, nei casi in cui manca l'udienza preliminare, anche le disposizioni di cui agli articoli 420, 420-bis, 420-quater, 420-quinquies e 420-sexies"; solo la mancata celebrazione dell'udienza preliminare, pertanto, giustifica l'applicazione della norma in sede dibattimentale. Analogamente, l'art. 554-bis, comma 2, cod. proc. pen., stabilisce - per il giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica, dunque ancora in assenza di udienza preliminare - che "Il giudice procede agli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, ordinando la rinnovazione degli avvisi, delle citazioni, delle comunicazioni e delle notificazioni di cui dichiara la nullità. Se l'imputato non è presente si applicano le disposizioni di cui agli articoli 420, 420-bis, 420-ter, 420-quater, 420-quinquies e 420-sexies."

5.8. La norma in esame, per contro, non trova applicazione nel giudizio di appello introdotto dall'imputato, come nel caso di specie.

5.8.1. In forza della disciplina introdotta dallo stesso D.Lgs. n. 150 del 2022 che ha previsto l'art. 420-quater nell'attuale formulazione, infatti, qualora l'imputato sia appellante interviene l'art. 598-ter, comma 1, cod. proc. pen., per il quale, in caso di regolarità delle notificazioni, lo stesso imputato non presente all'udienza di cui agli articoli 599 e 602 "è sempre giudicato in assenza anche fuori dei casi di cui all'articolo 420-bis"; ebbene, il A.A. era stato citato per il secondo giudizio di appello ai sensi dell'art. 159 cod. proc. pen. (in quanto dichiarato irreperibile dalla Corte di merito con decreto del 5/4/2023) e sulla regolarità di tale notifica - o delle previe ricerche compiute al riguardo - il ricorso non spende alcuna considerazione.

5.8.2. Anche qualora, poi, l'imputato non fosse stato appellante, la Corte di appello non avrebbe potuto comunque emettere sentenza di proscioglimento per mancata conoscenza della pendenza del processo, come invece sollecitato con le note dell'11/5/2023. Il comma 2 dell'art. 598-ter cod. proc. pen., infatti, stabilisce che "in caso di regolarità delle notificazioni, se l'imputato non appellante non è presente all'udienza di cui agli articoli 599 e 602 e le condizioni per procedere in assenza, ai sensi dell'articolo 420-bis, commi 1, 2 e 3, non risultano soddisfatte, la corte (di appello, n.d.e.) dispone, con ordinanza, la sospensione del processo e ordina le ricerche dell'imputato ai fini della notificazione del decreto di citazione. L'ordinanza contiene gli avvisi di cui all'articolo 420-quater, comma 4, lettere b), c) e d). Non si applicano le ulteriori disposizioni di cui all'articolo 420-quater, nonché gli articoli 420-quinquies e 420-sexies". Per espressa previsione normativa, dunque, nel giudizio di appello non è comunque prevista la pronuncia della sentenza in questione, in quanto - presupposta la conoscenza della pendenza del processo, già accertata in udienza preliminare o, qualora non celebrata, negli atti introduttivi del giudizio di primo grado - l'imputato non presente è sempre giudicato in assenza (se appellante ed in presenza di regolare notifica del decreto di citazione), oppure il processo viene sospeso e vengono ordinate le ricerche dell'imputato (se non appellante ed in mancanza delle condizioni per procedere in assenza ai sensi dell'art. 420-ter cod. proc. pen.).

Il primo motivo di ricorso, pertanto, è infondato.

6. Alle medesime conclusioni, poi, il Collegio giunge sul secondo motivo, con il quale si contesta la mancata rideterminazione della pena sul capo A), tanto nel dispositivo quanto nella motivazione, dopo la pronuncia di proscioglimento sui capi B) e C). Contrariamente a quanto dedotto, infatti, la Corte di appello ha individuato il più mite trattamento sanzionatorio, ridotto da 4 anni e 3 mesi di reclusione a 4 anni di reclusione (è stato tolto l'aumento a titolo di continuazione), dandone conto nella motivazione; la pena inflitta, peraltro, costituisce il minimo edittale, in quanto determinata sulla misura minima del reato, con massima riduzione per le circostanze attenuanti generiche.

6.1. Non costituisce causa di nullità della sentenza, dunque, l'erronea indicazione del dispositivo, nel quale la rideterminazione della pena non è stata indicata (e, anzi, prosciolto il ricorrente dai capi B e C, la prima sentenza è stata confermata "nel resto"). A tale riguardo, peraltro, deve essere ribadito che in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo può essere derogata a condizione che questo sia viziato da un errore materiale obiettivamente rilevabile e che da esso, quale espressione della volontà decisoria del giudice, non derivi un risultato più favorevole per l'imputato (tra le altre, Sez. 3, n. 2351 del 18/11/2022, Almanza, Rv. 284057); esattamente quel che si riscontra nel caso di specie, nel quale - con ogni evidenza - il trattamento sanzionatorio fissato in primo grado non poteva esser confermato in appello, stante il proscioglimento per i due capi citati.

7. Il ricorso, infine, risulta manifestamente infondato in punto di responsabilità: in particolare, non si riscontra affatto una totale carenza motivazionale circa la conferma della condanna (che si vorrebbe limitata a sole 4 righe), che, invece, la Corte di appello ha sostenuto con una motivazione del tutto adeguata, solida e fondata su concreti elementi istruttori, come tale non censurabile. La sentenza, infatti, ha richiamato le dichiarazioni del teste B.B., quelle ex art. 197-bis di C.C., oltre che gli esiti degli accertamenti genetici, già diffusamente trattati nella pronuncia di primo grado: quest'ultima, infatti, aveva affermato che negli slip della persona offesa era stata trovata una formazione pilifera su cui era stata riscontrata la presenza del profilo genetico proprio - e solo - del ricorrente, così come negli "imbrattamenti presenti sullo slip e su un indumento indossato dalla ragazza". Negativo, per contro, era risultato il riscontro quanto agli altri imputati. Ebbene, a fronte di questi elementi il ricorso ipotizza che lo stesso profilo genetico potesse appartenere al fratello dell'imputato (profilo che, dunque, si vorrebbe "simile"), anch'esso presente sul luogo; una tesi meramente congetturale, dunque, una mera illazione di fronte ad un accertamento scientifico condotto con particolare cura e precisione, oltre che, ancora, un argomento di puro merito non ammesso in sede di legittimità.

8. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria il 07 marzo 2024.