Giu Reato di peculato mediante appropriazione di "energie umane": non vi sono univoche interpretazioni giurisprudenziali
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 15 febbraio 2024 N. 6865
Massima
Il tema dell'inquadramento nel reato di peculato dell'appropriazione di "energie umane" non è oggetto di univoche interpretazioni giurisprudenziali.

Si è infatti affermato che integra il delitto di abuso di ufficio, e non quello di peculato, la condotta del pubblico ufficiale che si avvalga arbitrariamente, per finalità esclusivamente private, delle prestazioni lavorative dei dipendenti di un ente pubblico, atteso che le energie umane, non essendo cose mobili, non sono suscettibili di appropriazione (Sez. 6, n. 37074 del 01/10/2020, Passamonti, Rv. 280551 - 03; Sez, 6, n. 8494 del 13/05/1998, Agnello, Rv. 211313).

Tuttavia si registra anche una decisione secondo cui integra gli estremi del peculato (art. 314 cod. pen.) la condotta del pubblico ufficiale che, avvalendosi della propria funzione distolga i dipendenti dall'esecuzione delle attività inerenti al pubblico servizio cui siano adibiti, utilizzandoli a scopi privati (Sez. 6, n. 352 del 07/11/2000, dep. 2001, Cassetti, Rv. 219085 - 01).

Casus Decisus
1. A A.A. si contestava di essersi appropriato dei beni pubblici utili per gli interventi chirurgici prospettati come "necessari" per la cura della salute dei cittadini, ma invero diretti ad effettuare delle correzioni di pura rilevanza estetica. La Corte di appello di Napoli, decidendo il seguito ad annullamento con rinvio, dichiarava non doversi procedere per decorso del termine di prescrizione per i reati di peculato descritti ai capi D) ed U), limitatamente, quanto a quest'ultimo capo, agli interventi chirurgici effettuati nei confronti di "B.B. ed C.C.". Rideterminava la sanzione ritenendo più grave il reato di falso di cui al capo 5) ed infliggendo due aumenti per la continuazione relativamente alle residue condotte di peculato contestate al capo U), per una pena finale di anni tre, mesi tre di reclusione. Escludeva la concessione dell'indulto in ragione del fatto che i reati per i quali vi era stata condanna erano successivi alla entrata in vigore della I. n. 241 del 2006. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva: 2.1. violazione di legge (art. 649 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione per ritenere la sussistenza dei reati di peculato di cui ai capi D) ed U) la Corte di appello avrebbe rivalutato la responsabilità per i reati di falso in relazione alla quale si era formato il giudicato, con violazione dell'art. 649 cod. proc. pen.; 2.2. violazione di legge: sarebbero illegittima le revoche del beneficio dell'indulto e della sospensione condizionale della pena in assenza di impugnazione del pubblico ministero; 2.3. violazione di legge (art. 314 cod. pen.) e vizio di motivazione: per ritenere il delitto di peculato si sarebbe ritenuto che tra le "energie" delle quali il ricorrente si sarebbe appropriato vi fossero anche quelle umane, che non avrebbero potuto essere considerate come un bene di cui potersi impossessare, anche tenuto conto del "atto che le abilità in questione facevano capo a persone che erano state coimputate del ricorrente e che avevano fornito un espresso consenso alla attività illecita. 2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 9 novies del d. l. 162 del 2022 che prorogava il termine di entrata in vigore delle norme relative all'accesso alla giustizia riparativa. 2.5. Le ragioni del ricorrente venivano ribadite con memoria presentata dall'Avv. Massimo Motisi.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 15 febbraio 2024 N. 6865

Motivi della decisione

1.Il terzo motivo di ricorso non è manifestamente infondato in quanto il tema dell'inquadramento nel reato di peculato dell'appropriazione di "energie umane" non è oggetto di univoche interpretazioni giurisprudenziali

Si è infatti affermato che integra il delitto di abuso di ufficio, e non quello di peculato, la condotta del pubblico ufficiale che si avvalga arbitrariamente, per finalità esclusivamente private, delle prestazioni lavorative dei dipendenti di un ente pubblico, atteso che le energie umane, non essendo cose mobili, non sono suscettibili di appropriazione (Sez. 6, n. 37074 del 01/10/2020, Passamonti, Rv. 280551 - 03; Sez, 6, n. 8494 del 13/05/1998, Agnello, Rv. 211313). Tuttavia si registra anche una decisione secondo cui integra gli estremi del

peculato (art. 314 cod. pen.) la condotta del pubblico ufficiale che, avvalendosi della propria funzione distolga i dipendenti dall'esecuzione delle attività inerenti al pubblico servizio cui siano adibiti, utilizzandoli a scopi privati (Sez. 6, n. 352 del 07/11/2000, dep. 2001, Cassetti, Rv. 219085 - 01).

La non manifesta infondatezza della questione consente di ritenere incardinato il rapporto processuale in sede di legittimità ed impone di dichiarare l'estinzione dei reati contestati al capo U) per decorso del termine massimo di prescrizione.

Deve pertanto essere eliminata la pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione inflitta in relazione ai reati dichiarati estinti.

2. Gli altri motivi di ricorso non sono ammissibili.

2.1. Il primo motivo non è sorretto da alcun interesse dato che si contesta il percorso motivazione posto a sostegno della conferma di responsabilità per reati che risultano prescritti.

2.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.

Si riafferma infatti quanto reiteratamente ritenuto dalla Corte di legittimità, ovvero che il divieto della reformatio in peius, riguarda l'entità complessiva della pena ed i benefici la cui applicazione consegue ad una valutazione critica delle singole emergenze di causa, ma non si estende a meccanismi "automatici", come quello che presiede all'applicazione dell'indulto, astrattamente fissati dalla legge sulla base di parametri soggettivi ed oggettivi predeterminati. Pertanto il giudice dell'impugnazione ben può d'ufficio anche in mancanza di gravame, ridurre o revocare l'indulto concesso in primo grado, se rileva l'assenza dei presupposti che ne legittimano la concessione (Sez. 2, n. 26031 del 10/06/2014, Hokja, Rv. 261850; Sez. 2, n. 48584 del 14/12/2011, Vciza, Rv. 251757; Sez. 1, n. 3821 del 01/02/1989, dep. 1990, Gemasoni, Rv. 183744 - 01).

2.3. Il quarto motivo di ricorso con il quale si contesta la valutazione di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 9 novies, d. l. n. 162 del 2022 non supera la soglia di ammissibilità in quanto generico.

Secondo l'orientamento della Corte di cassazione, che il collegio condivide, per l'appello, come per ogni altro gravame, il combinato disposto degli art. 581 comma primo lett. c) e 591 comma primo lett. c) del codice di rito comporta la inammissibilità dell'impugnazione in caso di genericità dei relativi motivi. Per escludere tale patologia è necessario che l'atto individui il "punto" che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con puntuale riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, e specificando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l'oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame (Sez. 6, n. 13261 del 6.2.2003, Valle, rv 227195; Sez. 4, n. 40243 del 30/09/2008, Falcioni, Rv. 241477; Sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, T. Rv. 248037, Sez. 6, n. 800 06/12/2011, dep. 2012,

Bidognetti, Rv. 251528). Peraltro, in materia, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno stabilito che l'appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. un n. 8825 del 27/10/2016, Gattelli, Rv. 268822).

Nel caso in esame il ricorrente si limitava ad allegare che le ragioni poste a fondamento della dichiarazione di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale presentate fossero illogiche ed infondate, senza confrontarsi specificamente con gli argomenti posti a fondamento della decisone censurata.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto ai reati di cui al capo U) per essere gli stessi estinti per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto

Conclusione

Così deciso in Roma, il giorno 23 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2024.