Giu Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i "disturbi della personalità" possono rientrare nel concetto di "infermità"
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 09 febbraio 2024 N. 5958
Massima
Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i "disturbi della personalità", che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di "infermità", purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell'imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di "infermità". Ciò considerato, sotto il profilo processuale, la regola compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio" riguarda tutte le componenti del giudizio e, con esse, quindi, anche la capacità di intendere e di volere dell'imputato. Per cui, il relativo onere probatorio non può essere attribuito all'imputato, quale prova di un'eccezione, ma incombe sulla pubblica accusa.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 09 febbraio 2024 N. 5958

1. Con sentenza dell'8 febbraio 2023, la Corte d'appello di Palermo, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto A.A. responsabile, nella sua qualità di amministratore di fatto della B.B. Srl (dichiarata fallita il 9 gennaio 2013), dei reati di bancarotta fraudolenta documentale (per aver tenuto la documentazione contabile in modo tale da non permettere la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio societario) e bancarotta fraudolenta patrimoniale (per aver dissipato le rimanenze di magazzino e gli acquisti, che venivano ceduti ad altra società, costituita dai figli, al prezzo di costo, con conseguenti guadagni irrisori).

2. Ricorre per cassazione l'imputato formulando tre motivi di censura.

2.1. Il primo deduce violazione di legge (in relazione agli artt. 223 e 216 L. fall., nonché 42,85 e 88 cod. pen.) con riguardo alla supposta capacità d'intendere e volere dell'imputato all'epoca della commissione del fatto.

Sostiene la difesa, infatti, che nel corso dell'istruttoria di primo grado sarebbero emersi elementi univoci alla luce dei quali si sarebbe dovuto dedurre l'insussistenza della pur ritenuta capacità. In questa direzione condurrebbero le dichiarazioni rese dal teste della difesa C.C. e dal dott. D.D., che avrebbero concordemente riferito di una "sindrome ipocondriaca depressiva" incidente in modo significativo sulla volontà del predetto. Circostanze tali che, facendo sorgere un ragionevole dubbio in ordine ad un presupposto necessario ai fini della dichiarazione di responsabilità, avrebbero dovuto condurre all'assoluzione del A.A.

2.2. Il secondo deduce, nuovamente, violazione di legge, in relazione agli artt. 216 e 223 L. fall., contestando la sussistenza di una effettiva condotta distrattiva o dissipativa. Secondo la difesa, infatti, la stessa formulazione del capo d'imputazione riconoscerebbe pacificamente il pagamento del corrispettivo della vendita in favore della nuova società e il parallelo, seppur limitato, guadagno; e tanto, all'evidenza, impedirebbe di configurare l'elemento oggettivo del reato oggetto di contestazione.

2.3. Il terzo, in ultimo, deduce vizio di motivazione, nella parte in cui la Corte territoriale avrebbe travisato un dato probatorio di eccezionale rilevanza, rappresentato dalle dichiarazioni rese dal consulente tecnico d'ufficio nominato nel parallelo giudizio civile. Dichiarazioni che avrebbero dato conto dell'impossibilità di ritenere sussistente un'effettiva traslazione degli utili d'impresa in favore della nuova società, costituita dai figli, cessionaria dei beni e delle rimanenze di magazzino.

3. Il 24 novembre 2023, l'avv. Salvatore Priola, nell'interesse del ricorrente, ha depositato memoria difensiva con la quale ha articolato un ulteriore motivo di censura, formulato sotto il profilo della violazione di legge, afferente, anch'esso, al profilo soggettivo del reato contestato. La difesa lamenta che la ricostruzione del passivo fallimentare sarebbe stata effettuata dal curatore sulla scorta del libro degli inventari, peraltro privo delle necessarie sottoscrizioni di cui all'art. 2217 cod. civ., consegnatogli dall'imputato. Ebbene, la Corte d'appello avrebbe ricostruito il dolo specifico del reato in capo all'imputato solo sulla scorta di tale analisi contabile, senza svolgere alcuna ulteriore indagine necessaria per ricondurre la mancanza dei documenti contabili ad una volontaria e diretta scelta dolosa dell'amministratore. E tanto, quindi, in violazione del chiaro disposto normativo di cui all'art. 216 della legge fallimentare.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo è infondato.

L'art. 85 cod. pen., dopo aver premesso al comma l, che "nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui l'ha commesso, non era imputabile", stabilisce al secondo comma che "è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere".

Il codice prevede talune situazioni tipiche (ma non tassative) di difetto della capacità di intendere e di volere idonee a escludere l'imputabilità.

Tra queste rientrano, esplicitamente, le patologie rilevanti ai fini del riconoscimento di un vizio totale di mente ("non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità d'intendere o di volere": art. 88 cod. pen.). Sicché qualsiasi infermità, anche fisica, può risultare idonea a escludere l'imputabilità, ove determini un'incapacità d'intendere o di volere, essendo sufficiente la menomazione anche di una soltanto delle due facoltà.

Viceversa, non hanno rilevanza, a norma dello stesso articolo, quelle anomalie della personalità o del carattere o dei sentimenti che non danno luogo a un'infermità, in quanto non idonee ad alterare nel soggetto le capacità di rappresentazione o di autodeterminazione. Del pari e per lo stesso motivo le manifestazioni di tipo nevrotico, le "personalità psicotiche o psicopatiche", le alterazioni comportamentali prive di substrato organico, ancor più se a carattere episodico o sporadico.

Le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito, sotto tale profilo, che "ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i "disturbi della personalità", che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di "infermità", purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell'imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di "infermità" (Sez. U, n. 9163 del 25-01-2005, (Omissis), Rv. 230317).

Ciò considerato, sotto il profilo processuale, effettivamente, la regola compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio" riguarda tutte le componenti del giudizio e, con esse, quindi, anche la capacità di intendere e di volere dell'imputato. Per cui, il relativo onere probatorio non può essere attribuito all'imputato, quale prova di un'eccezione, ma incombe sulla pubblica accusa (Sez. l, n. 9638 del 25-05-2016, dep. 2017, (Omissis), Rv. 269416).

Ciononostante, l'accertamento dell'effettiva capacità d'intendere e volere costituisce una questione di fatto la cui valutazione, riservata al giudice di merito, si sottrae al sindacato di legittimità ove risulti essere esaurientemente motivato, immune da vizi logici di ragionamento, e conforme a corretti criteri scientifici di esame clinico e di valutazione (Sez. l, n. 2883 del 24-1-1989, (Omissis), Rv. 180615; Sez. l, n. 32373 del 17-01-2014, (Omissis), Rv. 261410; Sez. l, n. 11897 del 18-05-2018, dep. 18-03-2019, P., Rv. 276170). Sicché, questa Corte non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta o meno, ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica: non è giudice del sapere scientifico, ma è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile, verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto (Sez. 5, n. 6754 del 07-10-2014, dep. 2015, c., Rv. 262722).

Tanto premesso, la Corte territoriale ha ritenuto l'imputato capace di intendere e volere, ritenendo che la documentazione medica prodotta dall'imputato certificasse un disturbo depressivo, ma non uno stato patologico permanente e che, alla luce di quanto prodotto, non avesse inciso sulla sua capacità di autodeterminazione e, in considerazione dell'epoca d'insorgenza, non fosse ipotizzabile alcun nesso causale rispetto alla realizzazione della condotta.

A fronte di ciò, la difesa si limita a ribadire l'incidenza dello stato depressivo dell'imputato sulla sua capacità d'intendere e volere. La deduzione è inidonea ad incidere sul percorso argomentativo indicato dalla Corte territoriale. E tanto rende il motivo infondato.

2. Il secondo e il terzo motivo, invece, sono fondati.

Le censure attengono all'imputazione di cui al capo b) della rubrica, nella quale si contesta al ricorrente il reato di bancarotta fraudolenta, per aver distratto e dissipato, nell'anno 2011 (l'altra contestazione, relativa alla distrazione degli utili negli anni dal 2008 al 2010 è caduta già in primo grado), rimanenze di magazzino (pari a 602.570,00) ed acquisti (pari a 52.093 euro) cedendoli alla E.E. Pesca Srl al prezzo di costo (per un corrispettivo di euro 690.000).

Secondo la concorde valutazione dei giudici di merito, il carattere peculiare della vicenda sarebbe dato dal fatto che la descritta distrazione di beni sia stata posta in essere dalla B.B. Srl in favore della E.E. Pesca Srl, società avente la medesima sede legale della prima, costituita, nell'anno 2010, dai figli dei coniugi A.A. - F.F. ed avente anch'essa ad oggetto il commercio all'ingrosso e al dettaglio di prodotti ittici, e avvenuta quasi al prezzo di costo, ossia con un ricarico di circa il 2%, e quindi irrisorio, soprattutto se paragonato ai ricarichi dei costi sulla merce effettuati negli anni precedenti, pari addirittura al 50%.

Tale vicenda dimostrerebbe la sostanziale continuità aziendale tra le due società, secondo un tipico schema fraudolento volto a sottrarre ai creditori ogni forma di garanzia patrimoniale.

La motivazione è manifestamente illogica.

La circostanza per cui il corrispettivo della cessione sia stato interamente corrisposto non è revocata in dubbio. Cosicché, all'esito dell'operazione, l'attivo patrimoniale rappresentato dalle merci di magazzino e dai beni ceduti risulta, in concreto, sostituito con il relativo prezzo (in astratto maggiormente idoneo a garantire la soddisfazione delle pretese creditorie).

Parallelamente, per come esplicitamente riconosciuto nella sentenza impugnata, l'operazione è stata spiegata in ragione delle difficoltà connesse allo stato in cui versava la società (priva di DURC) di accedere al mercato ordinario e alla conseguente necessità di liquidare la merce, intrinsecamente deperibile (seppur in tempi non immediati, trattandosi di pesce surgelato o essiccato).

Cosicché, non si può ipotizzare alcuna distrazione (essendo la garanzia patrimoniale rimasta intatta, seppur modificata nella sua qualità, peraltro in termini più favorevoli per i creditori), né alcuna dissipazione del patrimonio societario (non essendosi trattato di un'operazione stravagante, priva di giustificazione economica o, comunque, depauperativa del patrimonio societario).

Viceversa, si è trattato di un'operazione economica che, rientrando nelle libere scelte imprenditoriali, rimane oggettivamente insindacabile, anche nella scelta del soggetto cessionario, del tutto estranea (nonostante la costituzione, ad hoc, di una nuova struttura societaria) al pur invocato fenomeno della bad company-new company. Operazione che, logicamente, presuppone il trasferimento in favore della beneficiaria di tutti gli elementi attivi della società in dissesto, che rimasta priva di mezzi, di dipendenti e dell'avviamento e dell'intero passivo fino a quel momento accumulato, è nell'impossibilità di proseguire l'attività. Laddove, in concreto, si è assistito solo ad una liquidazione dell'attivo con regolare incasso del corrispettivo, la cui determinazione (in termini oggettivamente inferiori rispetto al passato) appare ampiamente giustificata dalle ragioni economiche prospettate dalla difesa.

Si impone, quindi, l'annullamento della sentenza impugnata, in relazione a tale capo d'imputazione, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo, affinché gli evidenziati vizi motivazionali vengano sanati ed evidenziati i profili che rendono la descritta operazione distrattiva.

3. In ultimo, il motivo introdotto con la memoria depositata il 24 novembre 2023 è inammissibile in quanto non pertinente con le precedenti censure sollevate con il ricorso (Sez. l, n. 30240 del 25-01-2016, Rv. 268100).

4. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente alla bancarotta fraudolenta patrimoniale, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo.

Il ricorso, nel resto, deve essere rigettato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo b) e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo.

Rigetta nel resto il ricorso.

Conclusione

Così deciso il 12 dicembre 2023

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2024.