Giu il concetto di notizia destinata al segreto In tema di rivelazione di segreti scientifici o industriali
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 26 gennaio 2024 N. 3211
Massima
In tema di rivelazione di segreti scientifici o industriali, il concetto di notizia destinata al segreto va elaborato, sotto l'aspetto soggettivo, con riferimento all'avente diritto al mantenimento del segreto stesso (il titolare dell'azienda) e, sotto l'aspetto oggettivo, all'interesse a che non vengano divulgate notizie attinenti ai metodi (di progettazione, produzione e messa a punto dei beni prodotti) che caratterizzano la struttura industriale e, pertanto, il così detto know-how, vale a dire quel patrimonio cognitivo ed organizzativo necessario per la costruzione, l'esercizio, la manutenzione di un apparato industriale. Vi è dunque che oggetto della tutela penale del reato di rivelazione di segreti scientifici o commerciali deve ritenersi il segreto industriale in senso lato, intendendosi per tale quell'insieme di conoscenze riservate e di particolari modus operandi in grado di garantire la riduzione al minimo degli errori di progettazione e realizzazione e dunque la compressione dei tempi di produzione. Pertanto considerati i rilevanti e crescenti costi che si rendono necessari per la ricerca scientifica orientata allo sviluppo di tecnologie competitive su mercati ormai globali, il delitto di cui all'art. 623 cod. pen. deve ritenersi configurato tutte le volte che venga rivelato indebitamente un segreto che riguardi anche una sola parte del relativo processo produttivo, senza che sia dunque necessario che detta rivelazione attenga a tutte le componenti del prodotto medesimo. Ciò che assume rilievo nella delimitazione del concetto di notizia destinata al segreto e che vi siano comprese le operazioni fondamentali per la realizzazione dei prototipi di un determinato impianto, operazioni che costituiscano il "cuore" degli stessi e che siano il frutto della cognizione e della organizzazione della impresa.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 26 gennaio 2024 N. 3211

1.Partendo dall'esame dei motivi sottesi ai ricorsi degli imputati, il primo non è fondato.

Se è vero, infatti, che al fine di stabilire la tempestività di una consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero rispetto ai termini di indagine e la sua utilizzabilità ex art. 407 cod. proc. pen., trattandosi di un atto a formazione

progressiva, non rileva la data di conferimento dell'incarico bensì quella di deposito dell'elaborato (Sez. 5, n. 50970 del 12/11/2019, Barletta, Rv. 278298 -01), al contempo nella giurisprudenza di legittimità è stato chiarito che l'espletamento dell'attività di esame e di studio svolto dall'ausiliario oltre il termine di durata delle indagini preliminari sul materiale informatico tempestivamente posto in sequestro ed acquisito, pur impedendo l'acquisizione in via diretta al fascicolo del dibattimento dei risultati in tal modo ottenuti, non osta alla loro utilizzazione a seguito dell'esame dello stesso ausiliario effettuato nel contraddittorio delle parti (ex aliis, Sez. 3, n. 40774 del 06/06/2019, Rigano, Rv. 277164 - 02).

Pertanto, la Corte territoriale - pur avendo posto ad abundantiam a fondamento della motivazione anche l'ulteriore argomentazione, non corretta, per la quale il termine sarebbe stato prorogato dalla particolare complessità delle indagini che pure non era stata dedotta all'epoca dal Pubblico Ministero e dal GIP - ha poi legittimamente ritenuto superato, in applicazione del superiore principio, qualsivoglia problema derivante dall'inutilizzabilità della consulenza depositata dopo il decorso del termine di durata delle indagini preliminari per l'assorbente ragione dell'avvenuta conferma delle relative risultanze da parte del consulente nel corso del dibattimento nel contraddittorio tra le parti.

2. L'esame del secondo, del terzo e del quarto motivo dei ricorsi degli imputati, afferenti in modo specifico le posizioni di A.A. e C.C. con riferimento al capo A), deve essere preceduto da due premesse.

In primo luogo, poiché in relazione al predetto capo la Corte d'Appello ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione, al fine di superare tale statuizione per pervenire ad una pronuncia assolutoria nel merito, è necessario che la commissione del fatto da parte degli imputati e la sua rilevanza penale emergessero dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessita di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274 - 01).

Sotto altro e concorrente profilo, occorre rilevare che i tre motivi, pur formalmente deducendo anche la violazione dell'art. 615-ter cod. pen. (e, quanto al terzo, altresì degli artt. 192 e 533 cod. proc. pen.), in realtà veicolano censure che si sostanziano nella denuncia di un travisamento probatorio nell'accertamento del fatto di reato sanzionato dalla predetta norma incriminatrice.

Orbene, a riguardo va considerato che il vizio di "contraddittorietà processuale" (o "travisamento della prova") vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (ex ceteris, Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos Silva Welton, Rv. 283370 - 01), che si tradurrebbe, altrimenti, in un travisamento del fatto, ossia in un'inammissibile rivisitazione delle risultanze processuali in sede di legittimità (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099 - 01).

2.1. Quanto, più in particolare, al secondo motivo, la doglianza di A.A. e C.C. per la quale la pronuncia impugnata avrebbe erroneamente ritenuto la loro condotta riconducibile ad un accesso abusivo al sistema informatico della ICOS, sebbene la stessa si era concretizzata nell'utilizzo di pc e di supporti di USB contenenti back-up personali per lavorare fuori dall'ufficio, e inammissibile poiché neppure si confronta con la motivazione sottesa alla decisione della Corte territoriale che ha fatto riferimento, a riguardo, alle sole risultanze della perizia del E.E. dalle quali e emerso che, in un periodo di pochi mesi, dal novembre 2013 al febbraio 2014, erano stati compiuti una serie di accessi non già allo scopo di svolgere attività in favore della ICOS bensì per operare sul server ICOS su progetti riferibili alla LAST, al punto da pervenire a redigere un'offerta (poi veicolata dal B.B.) da parte di tale società concorrente ad un cliente della ICOS, nonché al fatto che erano stati scaricati negli ultimi giorni di servizio del A.A. presso questa società una serie di file compatibili solo con una copiatura massiva.

Almeno il secondo motivo di ricorso, con questo apparato argomentativo, che non appare peraltro viziato da irragionevolezza manifesta, neppure si confronta, con conseguente inammissibilità dello stesso per carenza di specificità (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelii, Rv. 268822 - 01).

2.2. Il terzo motivo - con il quale si assume un travisamento probatorio poiché il consulente E.E. si era limitato ad ipotizzare, e non già ad affermare con certezza, la copiatura da parte del A.A. di n. 500 file nei giorni tra il 27 e il 28 febbraio 2014, evidenziando che erano stati solo aperti perché non vi sarebbe stata alcuna possibilità di leggerli considerato il limitato lasso temporale - e parimenti inammissibile.

Mediante tale motivo si mira, infatti, ad ottenere, a fronte peraltro di una c.d. doppia conforme, una rivalutazione delle risultanze processuali su profili valutativi rimessi, come si è già ricordato, all'apprezzamento dei giudici di merito e dai quali gli stessi hanno desunto conseguenze non manifestamente illogiche.

In sostanza, a fronte del rilievo del perito E.E., la pronuncia impugnata è giunta alla plausibile conclusione, anche tenendo conto del complessivo contesto e della imminente fuoriuscita del A.A. da ICOS, nonché della circostanza che la sua difesa nel senso che l'apertura dei file era servita per il passaggio di consegne era stata smentita dai testi esaminati nell'istruttoria dibattimentale, che i numerosi file in questione erano stati copiati per poi essere utilizzati nella nuova società.

Su questo è stata dunque operata una non incongrua valutazione che non costituisce certo travisamento probatorio nel senso che si è indicato.

Né, del resto, dalla doglianza emerge una evidenza della non colpevolezza dell'imputato che potrebbe, essa sola, come si è già osservato nel par. 2, superare la pronuncia che ha rilevato la causa estintiva dell'intervenuta prescrizione per pervenire a un proscioglimento nel merito.

2.3. Il quarto motivo e, parimenti, inammissibile poiché, oltre a reiterare censure già vagliate nei precedenti motivi di ricorso, fa valere un travisamento per omissione da parte della Corte territoriale di una serie di dati dai quali si sarebbe dovuta desumere la non colpevolezza di A.A. e C.C. per il delitto di cui all'art. 615-ter cod. pen. che non sono decisivi per ribaltare - specie con la necessaria evidenza rinveniente dal principio espresso dalle Sezioni Unite nella richiamata sentenza c.d. Tettamanti - il giudizio di colpevolezza.

Giova ricordare, invero, che, in tema di ricorso per cassazione, ai fini della deducibilità del vizio di "travisamento della prova", che si risolve nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nella omessa valutazione della prova esistente agli atti, è necessario che il ricorrente prospetti la decisività del travisamento o dell'omissione nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica (ex aliis, Sez. 6, n. 36512 del 16/10/2020, Villari, Rv. 280117 - 01; Sez. 2, n. 19848 del 24/05/2006, PM in proc. Todisco, Rv. 234162 - 01). Non si comprende, infatti, a fronte di un accertamento della responsabilità penale degli imputati fondata sull'utilizzo del PC della ICOS per svolgere attività relative a LAST TECHNOLOGY come lo stesso possa essere rivisitato dalla tipologia di attività svolta dagli imputati.

3. All'esame degli altri motivi che investono i capi B) e C) dell'imputazione, occorre premettere che, poiché gli stessi, come si dirà (v. par. 4 e 5), non sono manifestamente infondati deve essere dichiarata la prescrizione dei relativi fatti di reato, maturata dopo la pubblicazione della sentenza impugnata nella data del 21 ottobre 2022.

4. Il quinto motivo di ricorso, in particolare, non è fondato.

La sentenza impugnata ha ritenuto configurabile, in primis, il reato di cui all'art. 623 cod.pen. con riguardo alla rivelazione di segreti commerciali poiché nei gradi di merito e emerso, anche dalle dichiarazioni degli imputati, che gli stessi utilizzavano informazioni commerciali di ICOS per predisporre le proprie offerte. Emblematica, a riguardo, e la vicenda dell'offerta alla società ACTION TECNOLOGY di una nuova macchina lavatappi rispetto a quella già in possesso di tale cliente della ICOS ad un prezzo più vantaggioso.

A fronte di tali dati la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio per il quale, in tema di rivelazione di segreti scientifici o commerciali, la nozione di "segreti commerciali", oggetto del reato di cui all'art. 623 cod. pen., come modificato dall'art. 9, comma 2, D.Lgs. 11 maggio 2018, n. 63, non è assimilabile a quella, pur avente medesima denominazione, di cui all'art 98 del D.Lgs. 10 febbraio 2005 n. 30 (codice della proprietà industriale), che richiede, ai fini della tutela, che le informazioni aziendali e commerciali ed esperienze sulle applicazioni tecnico industriali debbano avere i requisiti di segretezza e rilevanza economica ed essere soggette, da parte del legittimo detentore, a misure di protezione ragionevolmente adeguate, ma comprende, estendendo l'ambito di tutela penale, anche tutte quelle ulteriori informazioni su produzioni industriali e programmi commerciali, pur non rispondenti ai suddetti requisiti normativi, per le quali sia individuabile un interesse giuridicamente apprezzabile al mantenimento del segreto (Sez. 5, n. 16975 del 11/02/2020, Tinti, Rv. 279342 -01).

Pertanto dinanzi ad elementi decisivi come quelli evidenziati nella pronuncia impugnata le deduzioni difensive non colgono nel segno laddove reiterano l'esistenza di un travisamento probatorio poiché, seppure i file rinvenuti sui PC di LAST non erano una parte numericamente rilevante rispetto a quelli totali di ICOS e in alcuni casi si trattava di documenti risalenti, l'utilizzo che ne e stato fatto dai ricorrenti dimostra che essi erano quelli aventi uno specifico valore strategico per veicolare in favore della nuova società il know-how commerciale della ICOS.

Vi è, del resto, che, stante lo svolgimento da parte del A.A. del ruolo di direttore commerciale della ICOS, egli era ben consapevole, tra i molteplici file dell'azienda, di quelli aventi un valore commerciale più significativo, che, peraltro, non sono necessariamente i più recenti.

5. Il sesto, il settimo e l'ottavo motivo dei ricorsi degli imputati, suscettibili di valutazione unitaria, non sono fondati, anch'essi, per le ragioni di seguito indicate.

La sentenza impugnata ha ritenuto gli stessi responsabili del delitto di cui all'art. 623 cod. pen. anche per l'impiego di segreti industriali, per aver utilizzato le informazioni progettuali necessarie alla realizzazione de! modello di macchina lavatappi offerto dalla LAST alla ACTION TECNOLOGY da analoga macchina della ICOS.

A riguardo, nella giurisprudenza di legittimità è stato da tempo chiarito che, in tema di rivelazione di segreti scientifici o industriali, il concetto di notizia destinata al segreto va elaborato, sotto l'aspetto soggettivo, con riferimento all'avente diritto al mantenimento del segreto stesso (il titolare dell'azienda) e, sotto l'aspetto oggettivo, all'interesse a che non vengano divulgate notizie attinenti ai metodi (di progettazione, produzione e messa a punto dei beni prodotti) che caratterizzano la struttura industriale e, pertanto, il così detto know-how, vale a dire quel patrimonio cognitivo ed organizzativo necessario per la costruzione, l'esercizio, la manutenzione di un apparato industriale. Vi è dunque che oggetto della tutela penale del reato in questione deve ritenersi il segreto industriale in senso lato, intendendosi per tale quell'insieme di conoscenze riservate e di particolari modus operandi in grado di garantire la riduzione al minimo degli errori di progettazione e realizzazione e dunque la compressione dei tempi di produzione (ex ceteris, Sez. 5, n. 25008 del 18/05/2001, PG e PC in proc. Pipino M. ed altri, Rv. 219471 - 01).

Il collegio ritiene che questi concetti debbano essere ulteriormente puntualizzati nel senso che, considerati i rilevanti e crescenti costi che si rendono necessari per la ricerca scientifica orientata allo sviluppo di tecnologie competitive su mercati ormai globali, il delitto di cui all'art. 623 cod. pen. debba ritenersi configurato tutte le volte che venga rivelato indebitamente un segreto che riguardi anche una sola parte del relativo processo produttivo, senza che sia dunque necessario che detta rivelazione attenga a tutte le componenti del prodotto medesimo.

Ciò che assume rilievo nella delimitazione del concetto di notizia destinata al segreto e che vi siano comprese le operazioni fondamentali per la realizzazione dei prototipi di un determinato impianto, operazioni che costituiscano il "cuore" degli stessi e che siano il frutto della cognizione e della organizzazione della impresa (Sez. 5, n. 25174 del 07/06/2005, Monge, Rv. 231913 - 01).

Di questi principi interpretativi la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione ritenendo gli imputati responsabili del delitto di rivelazione di segreti industriali a fronte di un'analogia rilevante tra le due macchine lavatappi, pure non risultate identiche in tutte le componenti, ferma la derivazione certa di quella della LAST da quella della ICOS, come accertato dalla consulenza dell'Ing. D.D..

Con riferimento alle doglienze relative alla possibilità di produrre la macchina lavatappi facendo ricorso alla tecnica del "reverse engineering", sulla quale pure insistono i motivi in esame, occorre poi osservare quanto segue.

Con l'espressione corrente "reverse engineering", niente altro che ingegneria inversa, si intende un processo che trasforma oggetti reali in modelli informatici per mezzo di sistemi di acquisizione di forme che sono in grado di riprodurre la geometria di un oggetto complesso con grande precisione. Questo comporta, con riferimento alle applicazioni nella materia industriale, che partendo dai rilievi e dalla digitalizzazione del prototipo fisico di un prodotto si possa risalire alle singole componenti per la realizzazione dello stesso.

Ebbene, a differenza di quanto reiteratamente dedotto dalla difesa del ricorrente, la tecnica del "reverse engineering" che, mediante l'esame di un macchinario o di un prototipo di esso lo ricostituisce, e un'attività rientrante nel novero dell'impiego di segreti industriali penalmente sanzionato dall'art. 623 cod. pen., in quanto sarebbe altrimenti facilmente elusa la tutela del segreto industriale riproducendo, anche ripetutamente, il prodotto di un'impresa che ha sviluppato per l'ideazione dello stesso complessi progetti di ricerca. Invero, la tecnica in questione non è che una sofisticata modalità di copia di un prodotto.

Dal principio ora affermato deriva l'infondatezza del settimo e dell'ottavo motivo di ricorso poiché, anche se fosse stato dimostrato in giudizio che la macchina lavatappi era stata costruita dalla LAST attraverso l'ingegneria inversa, non sarebbe venuto meno il disvalore penale della condotta.

6. Occorre affrontare, a questo punto, la questione, sollevata nella memoria della difesa degli imputati, afferente la revoca della costituzione di parte civile poiché, dopo la pronuncia della sentenza impugnata, la ICOS ha proposto azione in sede civile.

A riguardo giova ricordare che, ai fini della revoca implicita della costituzione di parte civile nel processo penale, e necessaria un'identità almeno sostanziale tra il petitum e la causa petendi sottesi alla domanda risarcitoria (ex multis, Sez. 5, n. 21672 del 16/02/2018, Di Ciano, Rv. 273027 - 01), nonché tra i soggetti nei confronti dei quali detta domanda e proposta (Sez. 4, n. 21588 del 23/03/2007, P.G. in proc. Margani e altri, Rv. 236722 - 01), ossia una coincidenza tra gli elementi oggettivi e soggettivi della domanda giudiziale che, in tema di diritti eterodeterminati come quelli volti ad ottenere il risarcimento del danno, si identifica anche avendo riguardo ai fatti costitutivi della pretesa. Infatti, il principio di autonomia e di separazione del giudizio civile da quello penale, sancito dall'art. 75 cod. proc. pen., comporta che, qualora un medesimo fatto illecito produca diversi tipi di danno, il danneggiato possa pretendere il risarcimento di ciascuno di essi separatamente dagli altri, agendo in sede civile per un tipo e poi costituendosi parte civile nel giudizio penale per l'altro (cfr. Sez. 2, n. 5801 del 08/11/2013, dep. 2014, Montalti e altro, Rv. 258201 - 01).

Ciò posto, nella fattispecie in esame, detta sostanziale identità tra le domande sussiste poiché nell'atto di citazione della ICOS si afferma espressamente che l'azione è proposta in relazione a fatti di reato integranti anche illeciti concorrenziali sul piano civile e che la proposizione dell'azione civile si è resa necessaria per non attendere l'ulteriore tempo necessario per l'irrevocabilità della pronuncia penale di condanna.

Talché non solo con la domanda risarcitoria proposta nel giudizio civile e stato invocato nuovamente l'accertamento della responsabilità per i fatti già oggetto del processo penale (cfr. Sez. 4, n. 3454 del 19/12/2014, dep. 2015, Rv. 261950-01) nei confronti dei medesimi soggetti già coinvolti nello stesso come imputati, ma è stato espressamente evidenziato il disinteresse della ICOS a proseguire l'azione civile incardinata all'interno del processo penale.

L'avvenuto trasferimento dell'azione civile comporta la revoca della costituzione di parte civile e l'estinzione del rapporto processuale civile nel processo penale con conseguente annullamento senza rinvio della pronuncia impugnata in ordine alle statuizioni civili (Sez. 6, n. 12447 del 15/05/1990, Scalo, Rv. 185345 - 01).

7. Il primo motivo proposto dalla LAST TECHNOLOGY è fondato - al di la delle deduzioni svolte quanto alla possibilità di ritenere formalizzata la costituzione di parte civile anche nei confronti di tale ricorrente - perché, come si è già affermato nella giurisprudenza di legittimità, con un principio che il collegio intende ribadire, nel processo instaurato per l'accertamento della responsabilità da reato dell'ente non è ammissibile la costituzione di parte civile, atteso che l'istituto non è previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2001 che in ogni sua parte non fa mai riferimento alla parte civile o alla persona offesa, ciò che induce a ritenere che non si sia trattato di una lacuna normativa, quanto piuttosto di una scelta consapevole del legislatore, che ha voluto operare, intenzionalmente, una deroga rispetto alla regolamentazione codicistica. Questa conclusione si accompagna all'ulteriore considerazione, sul piano sistematico, che l'illecito amministrativo

ascrivibile all'ente non coincide con il reato, ma costituisce qualcosa di diverso, che addirittura lo ricomprende, sicché deve escludersi che possa farsi un'applicazione degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p., che invece contengono un espresso ed esclusivo riferimento al "reato" in senso tecnico (Sez. 6, n. 2251 del 05/10/2010, dep. 2011, Fenu, Rv. 248791 - 01).

8. La società LAST TECHNLOGY con il secondo motivo lamenta, inoltre, inosservanza o erronea applicazione dell'art. 5 del D.Lgs. n. 231 del 2001 nonché vizio di motivazione in relazione a tale norma in quanto i fatti di reato sarebbero stati commessi dagli imputati C.C. e A.A. quando erano ancora alle dipendenze della ICOS, né essi avrebbero, in quel periodo, potuto essere considerati soggetti addetti contemporaneamente alla gestione e al controllo della LAST TECHNOLOGY onde giustificarne la responsabilità amministrativa da reato.

Il motivo è fondato atteso che, effettivamente, nelle decisioni di merito, considerato che la responsabilità della società ricorrente e correlata a condotte poste in essere dai predetti imputati prima che entrassero a far parte della compagine sociale avrebbe dovuto essere compiuto un accertamento, con esiti compiutamente motivati, sulla possibilità di considerare gli stessi, in virtù dell'art. 5, lett. a), ultima parte, del D.Lgs. n. 231 del 2001, "persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso". Sul punto, pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame sulla base dei principi di seguito esposti.

A tal proposito, ai fini delle valutazioni che dovranno a riguardo essere compiute dal giudice del rinvio, viene innanzitutto in rilievo, nella fattispecie in esame, il significato da attribuire, ai fini della configurabilità della responsabilità amministrativa da reato dell'ente, alla suddetta espressione, essendo evidente che l'ambito di tale responsabilità può essere più o meno esteso a seconda dell'interpretazione che venga data alla relativa locuzione.

Il collegio e consapevole dell'ampio dibattito che su di essa si è sviluppato. Se invero non può dubitarsi della circostanza che il legislatore abbia voluto limitare la possibilità di attribuire all'ente la responsabilità anche per le attività commesse da soggetti che non rivestono incarichi formali apicali all'interno di esso alle ipotesi nelle quali detti soggetti esercitino tanto la gestione quanto il controllo della società, nei sensi che saranno di seguito precisati, come e evidente dall'utilizzo della locuzione congiuntiva "e", resta di contro aperto il problema dell'individuazione dei presupposti in presenza dei quali specie un controllo di fatto possa ritenersi esercitato.

In effetti, rispetto alla gestione di fatto della società soccorrono gli indici presuntivi enucleati dall'art. 2639 cod. civ. ai fini della perimetrazione della categoria dell'amministratore di fatto, indici sui quali si è espressa ripetutamente la giurisprudenza di legittimità, tanto delle Sezioni civili che di quelle penali. E' stato in particolare affermato a più riprese che, ai fini dell'attribuzione della qualifica di amministratore di fatto, può essere valorizzato l'esercizio, in modo continuativo e significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione o anche soltanto di alcuni di essi (ex multis, Sez. 2, n. 36556 del 24/05/2022, Desiata, Rv. 283850 - 01; Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 256534 - 01).

Più complessa e l'individuazione delle situazioni nelle quali si può affermare che un soggetto il quale pure non riveste una carica formale nell'ente societario eserciti sullo stesso un controllo in via di fatto.

Secondo una prima interpretazione, di tenore restrittivo, il controllo cui fa riferimento l'art. 5, primo comma, lett. a), ultimo periodo, del D.Lgs. n. 231 del 2001, non potrebbe essere quello del collegio sindacale, dovendo invece lo stesso essere inteso esclusivamente come dominio sulla società secondo il paradigma dell'art. 2359 cod. civ.

Nell'indicata prospettiva, poiché deve trattarsi di un controllo esercitato "di fatto" a venire in rilievo sarebbero i reati commessi da soggetti che non abbiano la maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria della società ma che possano, nondimeno, esercitarvi un'influenza dominante anche in virtù di rapporti contrattuali. Talché, valorizzando la connessione richiesta dalla norma tra controllo e gestione, si ritiene che il riferimento e alla figura del c.d. "socio tiranno" il quale non solo condiziona in modo decisivo la volontà assembleare, ma gestisce anche di fatto in prima persona la società medesima. Di qui si assume, in sostanza, che il riferimento letterale, contenuto nell'art. 5 D.Lgs. n. 231 del 2001, ai soggetti che esercitano di fatto "la gestione e il controllo" degli enti, deve essere interpretato come riferito non alla funzione di vigilanza ma ad un ruolo di governo e di "penetrante dominio" sulla società.

Questa impostazione interpretativa non è tuttavia condivisibile dal collegio in quanto non chiarisce perché il termine controllo di cui al richiamato art. 5 debba essere riferito in via esclusiva alla nozione di controllo della società delineata dall'art. 2359 cod. civ. e non ricomprendere anche un'attività di "controllo" e di vigilanza o, comunque, di verifica ed incidenza nella realtà economico patrimoniale della società, sovrapponibile a quella dei sindaci o degli altri soggetti formalmente deputati a tali attività.

Tale interpretazione più ampia appare preferibile, non solo nella misura in cui e maggiormente fedele alla formulazione letterale dell'art. 5 del D.Lgs. n. 231 del 2001, ma in quanto è coerente con le finalità sottese all'introduzione nel nostro ordinamento della responsabilità amministrativa delle società per i reati commessi nell'interesse e a vantaggio di esse.

L'obiettivo del legislatore, infatti, è stato quello di colpire con sanzioni amministrative di carattere economico ed interdittivo l'attività sempre più insidiosa anche dal punto di vista criminale posta in essere dalla società mediante soggetti che a vario titolo operano per raggiungere le finalità, talora illecite, che essa si propone.

Sotto altro e concorrente profilo, occorre puntualizzare che il legislatore richiede, rispetto alla connessione tra gestione e controllo, evidenziata come già rilevato dall'utilizzo della congiunzione "e", che almeno una di queste funzioni (e dunque non necessariamente entrambe) sia esercitata in via di mero fatto da parte del soggetto che ha commesso il reato all'interno della compagine sociale. Ne deriva che, ad esempio, la società può essere chiamata a rispondere - ove, beninteso, il reato sia stato commesso nel suo interesse o vantaggio (cfr. sull'alternatività di detti criteri: Sez. 5, n. 10265 del 28/11/2013, dep. 2014, Banca Italease Spa, Rv. 258575 - 01; Sez. 6, n. 15543 del 19/01/2021, 2L Ecologia Servizi Srl, Rv. 281052 - 01) - anche per i reati commessi dai componenti formali del collegio sindacale i quali in concreto svolgano, come attestato dalla ricorrenza degli indici disvelatori della qualifica ex art. 2639 cod. civ., anche il ruolo di amministratori di fatto dell'ente.

Deve essere inoltre ulteriormente precisato che, a fronte della commissione di reati nell'interesse o a vantaggio dell'ente da parte di soggetti che nei termini sinora delineati rivestano all'interno di esso in via di fatto ruoli di gestione e controllo, non può operare, per elidere la responsabilità dell'ente medesimo, la previsione dettata dall'art. 6 del D.Lgs. n. 231 del 2001, poiché, se la società è gestita e controllata in modo occulto, ciò significa che la stessa non si è dotata, se non sul piano meramente formale, di assetti organizzativi per la prevenzione dei reati, che dunque non possono considerarsi adeguati, anche ove gli stessi siano conformi ai codici di comportamento approvati dal Ministero della giustizia ex art. 6, comma 3, del detto decreto.

9. In conclusione, essendo i ricorsi degli imputati complessivamente infondati agli effetti penali, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti dei predetti per i reati di cui ai capi B) e C), in quanto ormai estinti per prescrizione, maturata alla data del 21 ottobre 2022, laddove tali ricorsi vanno respinti nel resto.

Sempre con riferimento al ricorso degli imputati B.B., A.A. e C.C. la pronuncia impugnata deve inoltre essere annullata senza rinvio agli effetti civili, per le ragioni indicate nel par. 5.

10. L'accoglimento di entrambi i motivi del ricorso proposto dalla società LAST TECHNOLOGY Srl comporta, per un verso, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla condanna di detta società al risarcimento del danno e al pagamento delle spese e, per un altro, in relazione all'illecito amministrativo di cui al capo D), rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d'Appello di Trieste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali nei confronti di A.A., B.B. e C.C. perché i reati di cui ai capi B) e C) sono estinti per prescrizione nonché agli effetti civili nei confronti dei predetti;

Rigetta nel resto i ricorsi degli stessi;

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna di Last Technology Srl al risarcimento del danno e al pagamento delle spese nei confronti di Icos Pharma Spa che elimina;

Annulla la sentenza impugnata in relazione all'illecito amministrativo di cui al capo D) e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra Sezione della Corte d'appello di Trieste.

Conclusione

Così deciso in Roma il 20 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2024.