1. Il ricorso è nel suo complesso infondato e deve essere perciò rigettato.
2. Con riferimento ai primi tre motivi di ricorso, che riguardano la condanna per il delitto di maltrattamenti e che possono essere trattati congiuntamente, è opportuno prendere le mosse dalla consolidata elaborazione giurisprudenziale secondo cui, per un verso, "in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili I tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle . che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento" (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747 -01). Altrettanto consolidato, per altro verso, è il principio secondo cui "ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. "doppia conforme" quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale" (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 -01).
In tale condivisibile prospettiva ermeneutica, i motivi di ricorso non superano lo scrutinio di ammissibilità, risolvendosi nella censura del merito delle valutazioni espresse dalla Corte territoriale (in piena sintonia con il primo giudice), e nella riproposizione di una diversa lettura delle risultanze acquisite, il cui apprezzamento è evidentemente precluso in questa sede.
2.1. D'altra parte, il compendio argomentativo emergente dalla valutazione coordinata e congiunta delle sentenze di merito consente di ritenere adeguatamente motivata la decisione di condanna per il reato di cui all'art. 572 cod. pen.
2.1.1. In primo luogo, la prospettazione difensiva volta a derubricare la convivenza a mera relazione sentimentale tra giovani immaturi, come tale irrilevante per la configurabilità del reato, sottende una inammissibile richiesta di rivalutazione del merito delle valutazioni espresse dai giudici di merito: dovendo le sintetiche indicazioni contenute nella sentenza impugnata essere lette congiuntamente alla motivazione resa sul punto dal primo giudice, che ha richiamato diversi periodi di convivenza della vittima con il A.A.(cfr. pag. V segg., in cui si fa dettagliato riferimento alla convivenza avviata nel marzo 2019, agli episodi di violenza verificatisi in aprile, alla successiva convivenza in C, alla nuova convivenza a R a partire dall'ottobre 2019, connotata da ulteriori violenze).
Si tratta di un contesto certamente idoneo ai fini che qui specificamente rilevano, avuto riguardo all'insegnamento di questa Suprema Corte, espressamente richiamato anche nella sentenza impugnata, secondo cui "è configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia anche in presenza di un rapporto di convivenza di breve durata, instabile e anomalo, purché sia sorta una prospettiva di stabilità e un'attesa di reciproca solidarietà" (Sez. 6, n. 17888 del 11/02/2021, O., Rv. 281092 -01).
2.1.2. Con riferimento alla attendibilità della persona offesa, deve osservarsi che i giudici di merito hanno concordemente ritenuto integrati i presupposti di abitualità della condotta vessatoria, sulla scorta delle dichiarazioni rese dalla B.B., la cui credibilità è stata desunta anche dalla espressa ammissione di aver cercato di riannodare i fili della relazione nonostante gli abusi e le lesioni subiti (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata, in cui la Corte d'Appello sottolinea che la presenza di "sentimenti ambivalenti" della vittima, nei confronti del compagno maltrattante, costituisca evenienza tutt'altro che eccezionale).
Occorre poi sottolineare che la difesa ricorrente evita di confrontarsi adeguatamente con le ulteriori risultanze valorizzate dai giudici di merito. Si allude non solo agli elementi di riscontro costituiti dai referti medici e dalle deposizioni degli operanti intervenuti nell'abitazione familiare a seguito delle richieste della vittima, ma anche - ed anzi soprattutto - alle dichiarazioni del padre e dello zio della persona offesa, che hanno concordemente inserito gli episodi più gravi in un contesto di continue sopraffazioni (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata, in cui si precisa che i predetti testi avevano dichiarato di non aver presentato denuncia, nei confronti del compagno della B.B.,"temendo che la stessa potesse subire conseguenze ulteriori e violenze irreparabili rispetto a quelle che B.B. aveva già vissuto ad opera del convivente nel corso del ménage familiare"). V. anche le più diffuse considerazioni svolte dal Tribunale, che tra l'altro riporta la deposizione di C.C. (padre della persona offesa) nella parte in cui precisa che "c'era un rapporto tra vittima e carnefice, nel senso che lei non si riusciva a distaccare, nonostante che si rendeva conto che c'era questo atteggiamento, come dire, violento" (cfr. pag. VIII), e richiama le dichiarazioni dello zio D.D., il quale aveva dichiarato di essere a conoscenza non solo delle violenze patite dalla B.B., ma anche del fatto che "il A.A.non la lasciava uscire di casa e quando ciò accadeva è come "se le avesse dato un orario"" (cfr. pag. IX).
Appare superfluo sottolineare l'intrinseca valenza accusatoria di tali contributi dichiarativi, ben superiore a quella di un mero riscontro alle dichiarazioni della persona offesa. Il mancato confronto critico con tali risultanze rende il ricorso, sul punto, inammissibile per genericità.
2.1.3. Quanto alla censura relativa all'elemento soggettivo, deve anche qui osservarsi che la difesa ricorrente reitera una proposta di lettura minimizzante delle risultanze acquisite, volta a ricondurre le condotte del A.A. a mere reazioni poste in essere nell'ambito di "fisiologiche" discussioni di coppia.
L'apprezzamento di tale prospettazione è peraltro inammissibile in questa sede, per le ragioni già in precedenza illustrate, ed avendo i giudici di merito (cfr. pag. XI della sentenza di primo grado) correttamente inquadrato la fattispecie anche per ciò che riguarda l'elemento soggettivo (cfr. sul punto Sez. 6, n. 27048 del 18/03/2008, D.S., Rv. 240879 -01, secondo cui "ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti, l'art. 572 cod. pen. richiede il dolo generico, consistente nella coscienza e nella volontà di sottoporre la vittima ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo abituale, instaurando un sistema di sopraffazioni e di vessazioni che ne avviliscono la personalità". In senso conforme, v. anche Sez. 6, n. 15680 del 28/03/2012, F., Rv. 252586 -01, secondo la quale "il delitto di maltrattamenti richiede il dolo generico consistente nella coscienza e nella volontà di sottoporre la persona di famiglia ad un'abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza").
3. Considerazioni sostanzialmente analoghe devono essere svolte con riferimento al delitto continuato di violenza sessuale. Si è dinanzi ad una "doppia conforme" in cui viene valorizzata (pag. 6 della sentenza impugnata, pagg. VI e XI della sentenza di primo grado) la ricostruzione dei fatti operata dalla B.B., secondo cui ella aveva provato a respingere il A.A.ma subendo colpi al braccio e all'anca: ricostruzione ampiamente riscontrata dalla documentazione medica in atti (cfr. pag. 4), che rende pacificamente configurabile il reato, avendo la B.B. ampiamente manifestato il proprio dissenso (dinamica riferita anche ai sanitari). Anche in questo caso, le censure difensive appaiono riferirsi al merito delle valutazioni concordemente operate nei due gradi di giudizio: dovendo solo aggiungersi, con riferimento alla pretesa valenza liberatoria delle dichiarazioni dibattimentali, che la B.B. ha in una seconda escussione chiarito il senso di proprie conversazioni (registrate a sua insaputa) nelle quali aveva fatto riferimento a pressioni subite per denunciare l'accaduto.
Al riguardo, la persona offesa ha inteso ribadire la veridicità integrale delle sue accuse, chiarendo che quelle conversazioni si riferivano ad un momento in cui ella credeva ancora di poter riallacciare i rapporti con il A.A.,ridimensionando l'accaduto (aveva anche pensato di ritirare la querela: "stavo volendo fare queste cose perché volevo riallacciare i rapporti con lui semplicemente, però questo non cancella quello che lui abbia fatto a me, questo non cancella questo, nel senso che comunque le cose che ho detto sono accadute realmente" (cfr. pag. VII della sentenza di primo grado).
Ritiene il Collegio che la concorde valorizzazione di tali passaggi motivazionali, chiaramente indicativi di una marcata sofferenza della persona offesa nel rievocare i vari altalenanti segmenti della vicenda (cfr. sul punto anche pag. 6 della sentenza impugnata), costituisca valutazione di merito incensurabile in questa sede.
4. Anche il motivo concernente la mancata applicazione dell'ipotesi di minore gravità è infondato.
Sia pure in termini estremamente sintetici, la Corte d'Appello ha motivato la propria decisione valorizzando il complessivo contesto di particolare violenza che aveva connotato la condotta delittuosa, che del resto aveva trovato specifica conferma nelle lesioni refertate in ospedale (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata). Si tratta di un percorso argomentativo immune da censure qui deducibili, non potendo conferirsi - per le ragioni qui poc'anzi illustrate - l'auspicata valenza minimizzante alle dichiarazioni rese dalla B.B. quando era animata dall'intento di riallacciare la relazione con l'odierno ricorrente.
5. Privo di qualsiasi autonoma consistenza appare l'ultimo motivo veicolato con il ricorso, risultando adeguatamente motivata - alla luce di quanto precede la decisione di conferma della condanna inflitta in primo grado.
6. Per ciò che riguarda, infine, la doglianza dedotta con i motivi aggiunti, risulta assorbente il rilievo della mancata deduzione in appello, sede in cui la difesa non ha mai neppure implicitamente sfiorato il tema della incapacità di intendere e di volere del A.A. all'epoca dei fatti, e la sua capacità di stare in giudizio: problematiche che, del resto, non sono minimamente emerse neanche all'interno percorso argomentativo tracciato dai giudici di merito.
D'altra parte, nessun particolare rilievo può evidentemente conferirsi all'argomento - evidentemente sviluppato per giustificare la tardività della censura, ma di palese inconsistenza - secondo cui il A.A. aveva fino a quel momento "rifiutato ogni possibilità di confronto con uno specialista" (cfr. pag. 2 dei motivi aggiunti).
7. Le considerazioni fin qui svolte impongono il rigetto del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.
Conclusione
Così deciso l'8 novembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2024.