Giu il valore probatorio delle dichiarazioni della persona offesa, costituitasi parte civile
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 24 gennaio 2024 N. 3114
Massima
In tema di testimonianza, le dichiarazioni della persona offesa, costituitasi parte civile, possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella richiesta per la valutazione delle dichiarazioni di altri testimoni, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto e, qualora risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 24 gennaio 2024 N. 3114

1. Il primo motivo è manifestamente infondato, perché generico, versato in fatto e reiterativo di doglianze disattese dalla Corte territoriale sulla base di una motivazione analitica, logicamente ben articolata e giuridicamente corretta, con cui la difesa omette di confrontarsi in maniera critica ed effettiva.

In ordine alle censure concernenti l'attendibilità del narrato della persona offesa, va ribadito il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui (cfr., ex plur., Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, Seccia, Rv. 275312-01; Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'arte, Rv. 253214 - 01), in tema di testimonianza, le dichiarazioni della persona offesa, costituitasi parte civile, possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella richiesta per la valutazione delle dichiarazioni di altri testimoni, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto e, qualora risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione.

Tali principi sono stati correttamente applicati dalla Corte territoriale, avendo quest'ultima compiuto un'attenta disamina del narrato della persona offesa, sia dal punto di vista della credibilità soggettiva e dell'attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni, sia confrontando queste ultime con quanto dichiarato dai numerosi testi a carico e a discarico.

I riscontri, di cui il ricorrente lamenta la mancanza o la fuorviante lettura, hanno invece corroborato la versione resa dalla persona offesa: sia sufficiente ricordare, a tal proposito, i passaggi riferiti alla versione dei fatti fornita dalle Forze dell'ordine (p. 11-12 della motivazione) e alle risultanze offerte dai certificati medici, (ivi, p. 12), che, per quanto non indispensabili ai fini della prova del reato di atti persecutori (Sez. 5, n. 7559 del 10/01/2022, B., Rv. 282866 - 01, in cui si ribadisce che la prova del grave e perdurante stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato puo essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante, ovvero aggravino una preesistente situazione di disagio psichico della persona offesa), sono stati in ogni caso considerati dai Giudici di merito.

Anche le ulteriori doglianze aventi a oggetto la valutazione delle condotte dell'imputato e della prova dell'evento del reato sono inammissibili, in quanto adducono ragioni prevalentemente di fatto, oltre che manifestamente infondate (come, ad esempio, il reiterato dubbio sul perché la persona offesa non abbia sporto denuncia prima del giorno dell'arresto in flagranza dell'imputato, al quale la Corte d'appello ha replicato in forma analitica: v. p. 15 della motivazione – oppure il dato delle risalenti patologie psichiatriche da cui la persona offesa e affetta), sulle quali e opinione consolidata che la Corte di legittimità non può pronunciarsi (ex multis, cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 16 del 19/6/1996, Di Francesco, Rv. 205621 e, tra le piu recenti, Sez. 4, n. 47891 del 28/9/2004, Mauro, Rv. 230568; nonché, vedi Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).

A tal proposito, le indicazioni contenute in ricorso aspirano ad una ricostruzione alternativa della vicenda rispetto a quanto proposto dai giudici di merito, ignorando la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, Casavola, Rv. 238215).

In disparte la dirimente rilevanza di quanto appena rimarcato, può ricordarsi che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte in tema di atti persecutori, la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui e stata consumata (Sez. 5, n. 17795 del 02/03/2017, S., Rv. 269621 - 01).

Ora, il ricorso aspira a mettere in discussione non soltanto la valutazione di credibilità della persona offesa, ma anche la prova dell'evento di danno, insistendo nel riproporre il dato dei pregressi disturbi d'origine psichiatrica della persona offesa, senza considerare che la razionale correlazione evidenziata dalla Corte d'appello tra lo stato di ansia (la cui verifica non richiede, come già ricordato, la necessità di un accertamento clinico o documentale: v., ad es., Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, C., Rv. 260412 - 01, secondo la quale ben puo il giudice argomentare la sussistenza degli effetti destabilizzanti della condotta dell'agente sull'equilibrio psichico della persona offesa, anche sulla base di massime di esperienza) e la condotta ossessiva dell'imputato, non e scardinata dall'esistenza di una patologia della vittima, alla luce del principio dell'equivalenza causale accolto dall'ordinamento italiano (per un'applicazione, v. Sez, 4, n. 49773 del 21/11/2019, Fioroni, Rv. 277436 - 01).

2. Dalle precedenti argomentazioni deriva altresì l'inammissibilità del secondo motivo, che, oltre a essere generico e aspecifico, evita, ex novo, di confrontarsi con la motivazione addotta dalla Corte territoriale, oltre che con la consolidata giurisprudenza di legittimità relativa alla differenza tra il reato di atti persecutori e quello di cui all'art. 660 cod. pen. Sul punto, si è chiarito che il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all'art. 660 cod. pen. consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, puo estrinsecarsi in varie forme di molestie, sicché si configura il delitto di cui all'art. 612-bis cod. pen. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all'art.660 cod. pen. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato (Sez. 6, n. 23375 del 10/07/2020, M., Rv. 279601 - 01; v. anche, più di recente, Sez. 5, n. 15625 del 09/02/2021, R., Rv. 281029 - 01).

Dall'argomentazione - v. parte conclusiva del precedente paragrafo - relativa all'inammissibilità delle doglianze con le quali il ricorrente critica la ritenuta sussistenza dell'evento di danno, deriva la qualificazione del fatto nella fattispecie di cui all'art. 612-bis cod. pen.

3. Il terzo motivo e manifestamente infondato, avendo il Giudice dell'appello adeguatamente illustrato le ragioni - già attentamente vagliate dal Giudice di primo grado - ostative al giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto all'aggravante. Va ribadito che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità quando, come nella specie, non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931).

4. L'originaria inammissibilità dei motivi determina l'inammissibilità dei motivi nuovi, ai sensi dell'art. 585, comma 4, secondo periodo, cod. proc. pen. (v, tra le altre, Sez. 5, n. 48044 del 02/07/2019, Di Giacinto, Rv. 277850 - 01, secondo cui l'inammissibilità dei motivi originari del ricorso per cassazione non può essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, atteso che si trasmette a questi ultimi il vizio radicale che inficia i motivi originari per l'imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi). In disparte tale superiore argomentazione, si osserva, in ogni caso, come i rilievi difensivi contenuti nei motivi nuovi mirino a introdurre un dato privo di qualsivoglia decisività nell'economia generale della sentenza. Di ciò è riprova l'assenza di riferimenti - non soltanto formali - alla nuova denuncia-querela del luglio 2022 nella parte motiva dell'impugnata sentenza. Anche dal punto di vista sostanziale, l'intera motivazione e riferita unicamente a fatti occorsi fino al 5 febbraio 2020 (data dell'arresto in flagranza dell'imputato).

5. Per le ragioni fin qui esposte, il Collegio dichiara inammissibile il ricorso. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. (come modificato ex I. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186). Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro tremila e settecento, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro tremilasettecento, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2024.