Giu Per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 22 gennaio 2024 N. 2557
Massima
Per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. Ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza non va esaurita nel pedissequo confronto, puramente letterale, fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie di difesa, la violazione è del tutto insussistente laddove l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. Occorre dunque verificare se l'imputato attraverso l'itinerario processuale esperito sia venuto a trovarsi nella concreta condizione di potersi difendere in ordine all'oggetto dell'imputazione. Il suddetto principio non impone, quindi, una conformità formale tra i termini in comparazione ma implica la necessità che il diritto di difesa dell'imputato abbia avuto modo di dispiegarsi effettivamente. Ne deriva che di violazione del principio in disamina può parlarsi solo nel caso in cui il mutamento della cornice accusatoria abbia effettivamente comportato una novazione dei termini dell'addebito tale da menomare il diritto di difesa proprio sui profili di novità che da quel mutamento sono scaturiti e da determinare un concreto regresso sul piano dei diritti difensivi.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 22 gennaio 2024 N. 2557

1.Il ricorso è infondato.

La prima e la seconda doglianza, per ragioni di comunanza tematica, possono essere trattate congiuntamente. Costituisce infatti ius receptum, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo il quale, anche alla luce della novella del 2006, il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l'oggettiva "tenuta" sotto il profilo logico-argomentativo e quindi l'accettabilità razionale (Sez. 3, n. 37006 del 27/09/2006, Piras, Rv. 235508; Sez. 6, n. 23528 del 6/06/2006, Bonifazi, Rv. 234155). Il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve pertanto essere volto a verificare che quest'ultima: a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria" ovvero sia esente da antinomie e da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo", indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente, nei motivi posti a sostegno del ricorso, in misura tale da risultare radicalmente inficiata sotto il profilo della razionalità (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/20Il, Rv. 251516).

Nel caso di specie, il giudice a quo ha richiamato, con riferimento al capo di imputazione sub A), quanto affermato dall'ispettore del lavoro dell'Azienda Sanitaria di T che, sopraggiunto presso il luogo di lavoro a seguito di un infortunio, ha rilevato che il D.V.R. non prevedeva alcuna specifica procedura volta a prevenire il rischio di caduta del carico da movimentare mediante trasportatori a rotaia. Il D.V.R., infatti non disciplinava nel dettaglio come orientare la scelta, da parte degli operai, del gancio da utilizzare in relazione al peso dei pezzi che dovevano essere agganciati, considerato che la tipologia di ganci e assai ampia e variabile in relazione al peso da sollevare. Ne segue che, rilevata l'assenza della valutazione di questo profilo di rischio "da caduta del carico", il datore di lavoro veniva invitato ad individuare la metodologia da applicare per rendere visibile chiaramente il peso del carico da lavorare e per selezionare il mezzo di sollevamento del carico più idoneo, anche utilizzando ganci, purché dotati di sicura e con forma tale da impedire lo sganciamento di funi o di catene.

In proposito, il giudice a quo ha affermato che, con riferimento a tale specifica fase della lavorazione (attività di imbragatura del carico anche detta attività di appesa materiali) il documento di valutazione rischi fosse inadeguato e generico, richiamando i rilievi effettuati dall'ispettore del Lavoro, che aveva evidenziato che, a fronte dell'elevato numero di articoli lavorati e della numerosa tipologia di ganci e sotto- ganci utilizzati in relazione al peso e alle dimensioni del carico da lavorare, occorreva individuare e descrivere una procedura operativa per la fase di carico dei pezzi da lavorare onde evitare lo specifico rischio relativo alla accidentale fuoriuscita delle funi e dei bilancieri dai ganci, che avrebbero dovuto, tra l'altro, essere forniti di linguetta a molla come sicura. Il giudice di merito ha quindi ritenuto che, a norma della lettera d) dell'art. 28 del D.Lgs. 81 del 2008, la previsione di tale procedura deve ritenersi sicuramente obbligatoria. Peraltro, il giudice di merito ha anche affermato che, non solo il D.V.R. non prevedeva alcuna specifica disciplina in relazione alla scelta del tipo di gancio da utilizzare (aperto o chiuso, di maggiore o minore resistenza in relazione al carico) in relazione al rischio di fuoriuscita del mezzo da lavorare dal gancio, ma anche che tale inesistenza di una simile procedura volta a mappare e disciplinare questo specifico rischio emerge da quanto riferito dagli stessi testi e consulenti indicati dalla difesa. Il teste B.B. aveva confermato che in azienda vi erano molteplici tipi di ganci e sotto ganci che variavano nella forma e nella misura; alla domanda se nel piano di sicurezza fosse individuato che tipo di gancio utilizzare in relazione alle forme e al peso dei pezzi da lavorare, il teste ha riferito che tale scelta era affidata all'esperienza del dipendente, considerato che occorreva scegliere il gancio che lasciasse il minor segno possibile sul pezzo dopo aver effettuato la verniciatura. Nella memoria difensiva, il ricorrente afferma che all'interno dell'azienda era a disposizione del personale un manuale d'uso e di manutenzione dei macchinari e che gli operai, adeguatamente formati in ordine a questa procedura e ad essa appositamente adibiti, erano perfettamente in grado di selezionare il gancio più idoneo da utilizzare per ogni singolo carico. Anche il consulente della difesa, ingegner C.C., ha confermato che tale procedura non era prevista nel DVR ma che gli operai erano stati formati adeguatamente in proposito. In ordine a tali risultanze, condivisibilmente, il giudice ha ritenuto che un'eventuale attività di formazione del lavoratore in ordine al suddetto specifico rischio, non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di prevedere, a monte, tale fonte di rischio e di disciplinare ogni singola attività lavorativa in modo da escludere il più possibile la discrezionalità del lavoratore. Infatti, e inconferente il richiamo alla formazione allo svolgimento delle mansioni concretamente affidate ai lavoratori, posto che la norma richiede che il documento contenente la valutazione dei rischi abbia ad oggetto tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori e che, in relazione alla inadeguatezza delle misure di protezione dei lavoratori, reato contestato nel capo di imputazione sub b), di cui all'art. 71, comma quarto, lettera a), punto 1), del d.l.n.81 del 2008, l'imputato è stato assolto.

Trattasi, come si vede, di una motivazione precisa, fondata su specifiche risultanze processuali e del tutto idonea a illustrare l'itinerario concettuale esperito dal giudice di merito. D'altronde, il vizio di manifesta illogicità che, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., legittima il ricorso per cassazione implica che il ricorrente dimostri che l'iter argomentativo seguito dal giudice e assolutamente carente sul piano logico e, per altro verso, che questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro percorso concettuale, in tesi egualmente corretti, sotto il profilo della razionalità. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato in maniera logica gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di razionalità (Sez. U, 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903). La verifica che la Corte di cassazione e abilitata a compiere sulla completezza e correttezza della motivazione di una sentenza non può infatti essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze disponibili, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito, con la conseguenza che le determinazioni di quest'ultimo, se coerenti, sul piano della razionalità, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie agli atti, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che, come nel caso in disamina, il processo formativo del libero convincimento del giudice non abbia subito il condizionamento derivante da una riduttiva indagine conoscitiva (Sez. U, 25/Il/1995, Facchini, Rv. 203767). Dedurre infatti vizio di motivazione della sentenza significa dimostrare che essa e manifestamente carente di logica e non già opporre alla ponderata ed argomentata valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa prospettazione, asserendone la maggiore ragionevolezza (Sez. U, 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621).

2. In ordine alla terza doglianza, si osserva che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta, si fa pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. Ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza non va esaurita nel pedissequo confronto, puramente letterale, fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie di difesa, la violazione e del tutto insussistente laddove l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 16 del 19/6/1996, Di Francesco; Sez. U, n. 36551 del 15/7/2010, Carelli, Rv. 248051). Occorre dunque verificare se l'imputato attraverso l'itinerario processuale esperito sia venuto a trovarsi nella concreta condizione di potersi difendere in ordine all'oggetto dell'imputazione. Il suddetto principio non impone, quindi, una conformità formale tra i termini in comparazione ma implica la necessita che il diritto di difesa dell'imputato abbia avuto modo di dispiegarsi effettivamente. Ne deriva che di violazione del principio in disamina può parlarsi solo nel caso in cui il mutamento della cornice accusatoria abbia effettivamente comportato una novazione dei termini dell'addebito tale da menomare il diritto di difesa proprio sui profili di novità che da quel mutamento sono scaturiti e da determinare un concreto regresso sul piano dei diritti difensivi (Sez. 4, n. 22214 del 12 aprile 2019).

2.1. Nel caso di specie, i lineamenti fattuali della condotta sono chiaramente scolpiti nell'imputazione, ragion per cui l'imputato e stato senz'altro posto in condizioni di rendersi ampiamente conto della sostanza dell'addebito mossogli e di elaborare ogni più opportuna strategia difensiva. Nell'imputazione e, infatti, enunciata, con precisione, la contestazione relativa alla violazione dell'art. 17, comma primo, lettera a), art. 28, comma secondo, lettera d) e art. 55, comma terzo, del d.l.n.81 del 2008 per aver omesso di indicare una procedura operativa che consenta ai lavoratori di svolgere in sicurezza le attività di imbracatura del carico e aver omesso di indicare i ruoli dell'organizzazione aziendale che debbono provvedere per l'attuazione delle misure da realizzare. Ed è proprio questo l'addebito che è stato confermato nella sentenza impugnata, dalla motivazione della quale emerge come il giudice a quo abbia posto in rilievo che il DVR deve individuare le procedure per l'attuazione delle misure da realizzare, tra cui, sicuramente, rientrano le procedure operative relative al carico dei pezzi da lavorare, che erano invece assenti. Non può pertanto ravvisarsi alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.

3. Infine, in relazione alla doglianza concernente l'elemento psicologico nelle contravvenzioni, si ricorda che, nei reati contravvenzionali, l'imputato deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per osservare la norma violata senza che ciò integri alcuna inversione dell'onere della prova, a lui spettando provare il contenuto dell'eccezione difensiva rispetto alla prova della colpa fornita dall'accusa (Sez. 1, n. 13365 del 19/02/2013 Ud. (dep. 21/03/2013) Rv. 255178). Pertanto, alla luce delle argomentazioni sopra esposte, anche tale doglianza e infondata, posto che nulla ha dedotto il ricorrente in ordine all'assenza di colpa, per cui nessun rimprovero, neppure di semplice leggerezza, può essere mosso all'agente (Sez. 3, n. 5168 del 23/03/1983, Rv. 159335).

4. Il ricorso, dunque, deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Conclusione

Così deciso all'udienza del 18 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2024.