1. C.C., A.A., B.B. e D.D. furono originariamente tratti a giudizio per rispondere di una pluralità di reati, tutti connessi al fallimento della Salus Srl (dichiarato con sentenza del 16 luglio 2015) e contestati, ai primi tre, nelle loro rispettive qualità di presidente (il primo) e componenti (gli altri) del collegio sindacale e al D.D.nella sua qualità di amministratore unico della predetta società.
Per quel che rileva in questa sede, le (residue) contestazioni attengono alla bancarotta semplice, contestata ai sindaci al capo C) (perché avrebbero aggravato il dissesto omettendo, nonostante il valore negativo del patrimonio societario, di esercitare i loro doveri di vigilanza e di procedere, segnatamente, alla convocazione dell'assemblea) e alla bancarotta fraudolenta patrimoniale, contestata al D.D. al capo D) (perché avrebbe distratto la somma di oltre 677.000 Euro omettendo di riscuotere il relativo credito vantato dalla Salus nei confronti della Casa di cura Villa Se. Spa, per canoni d'affitto non pagati).
Celebrato il giudizio di primo grado, il Tribunale di Ancona ha ritenuto gli imputati responsabili dei reati loro rispettivamente ascritti nei termini in precedenza evidenziati e la Corte d'appello, investita dell'impugnazione proposta nell'interesse degli imputati, ha confermato la condanna, riformandola solo in punto di trattamento sanzionatorio e di riconoscimento del beneficio della non menzione.
2. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione tutti i predetti imputati.
2.1. I ricorsi proposti nell'interesse dei sindaci (C.C., A.A. e B.B.), strutturati in termini tra loro sovrapponibili, si compongono di cinque motivi d'impugnazione, i primi quattro formulati in termini di violazione di legge e connesso vizio di motivazione e il quinto sotto il profilo dell'omessa assunzione di una prova decisiva.
Il primo attiene al profilo oggettivo del reato contestato e, segnatamente, alla sussistenza dei dedotti inadempimenti imputati ai sindaci. Rileva la difesa che le produzioni documentali offerte nel corso del dibattimento (segnatamente, i verbali di verifica trimestrali e le relazioni allegate ai bilanci) attesterebbero, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, la vigile attenzione dell'organo di controllo, concretizzatasi nel puntuale e costante richiamo degli amministratori all'adempimento dei propri doveri quanto, in particolare, alla necessaria tempestiva convocazione dell'assemblea, funzionale alla successiva eventuale ricapitalizzazione e alla connessa adozione dei provvedimenti indicati nell'art. 2447 del codice civile.
Il secondo, invece, attiene al profilo soggettivo e, quindi, alla sussistenza della colpa grave ipotizzata dai giudici di merito, in ipotesi, invece, da escludere in ragione della ragionevole aspettativa di uri risanamento, ritenuta da tutti i componenti dell'organo di controllo, conseguente alla puntuale soddisfazione dei crediti vantati nei confronti della Asur e delle numerose richieste di ricapitalizzazione prospettate all'organo amministrativo e all'assemblea. Circostanze, queste, dalle quali, all'evidenza, non si potrebbe ipotizzare un radicale disinteresse dell'organo di controllo per le sorti dell'impresa (unica circostanza fondante la misura della colpa richiesta), ma, al massimo, un'erronea valutazione di tali prospettive.
Il terzo e il quarto attengono al trattamento sanzionatorio e censurano, il terzo, la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. (immotivatamente esclusa dalla Corte territoriale, nonostante l'attenta vigilanza osservata dai sindaci e la rilevanza, alla luce della riforma introdotta con il D.Lgs. n. 150 del 2022, della condotta susseguente al reato) e il quarto la mancata conversione della pena detentiva in pena pecuniaria (incomprensibilmente esclusa nonostante l'indiscutibile sussistenza del presupposto di cui al primo comma dell'art. 53 della legge n. 689 del 1981).
Il quinto, in ultimo, censura il rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento mediante nuova perizia contabile, rilevante, secondo la difesa, al fine di accertare l'indebito arricchimento della pubblica amministrazione in danno della società fallita quanto alle prestazioni eseguite, extra-budget, in regime di convenzione e all'effettivo valore dell'avviamento.
2.2. Il ricorso proposto nell'interesse del D.D.si compone di due motivi di censura, entrambi formulati in termini di violazione di legge e vizio di motivazione.
Il primo attiene al profilo della responsabilità e deduce, da un canto, che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto il D.D. amministratore, nel medesimo arco temporale, non solo della Salus Srl, ma anche dell'affittuaria, Villa Se.; dall'altro che non avrebbe valutato l'esistenza di una proposta vincolante di acquisto della Salus avanzata dalla Abano Terme Spa, successivamente perfezionatasi nel corso della procedura fallimentare. Analogamente non sarebbero state correttamente valutate le compensazioni tra le vicendevoli poste attive e passive esistenti tra la concedente (fallita) e l'affittuaria, illogicamente pretermesse dalla Corte territoriale sull'erroneo presupposto che esse sarebbero state operate solo all'esito di un conteggio postumo. Laddove, al contrario, nell'originario contratto di affitto era prevista una specifica clausola negoziale che autorizzava l'affittuaria ad effettuare una serie di lavori, puntualmente indicati in un documento allegato al contratto, senza necessità di uno specifico contraddittorio, perché già esauritosi, ex ante, con la stipula del contratto.
Il secondo motivo attiene alla quantificazione della somma liquidata a titolo di risarcimento e deduce, sotto tale profilo, l'omessa valutazione delle predette poste passive, afferenti, appunto, ai lavori svolti dall'affittuari, il cui importo, in ipotesi, si sarebbe dovuto dedurre dalle somme dovute da quest'ultima alla Salus.
3. Il 25 ottobre 2023, l'avv. Stortoni ha depositato una memoria scritta nell'interesse di C.C., con la quale insiste per l'accoglimento del ricorso chiedendo, comunque, la declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione.
Il 10 novembre 2023, l'avv. Jacopo Saccomanni ha depositato conclusioni scritte nell'interesse della curatela del fallimento Salus Srl, parte civile costituita, chiedendo il rigetto o la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con vittoria di spese competenze.
Il 13 novembre 2023, l'avv. Andrea Marini, nell'interesse di D.D., ha depositato una memoria difensiva con la quale ha articolato quattro motivi nuovi, a mezzo dei quali lamenta l'insussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi propri della fattispecie incriminatrice contestata (dovendosi la condotta asseritamente posta in essere dal D.D.al massimo qualificarsi in termini di bancarotta preferenziale) e ribadisce
- il vizio di motivazione quanto all'esistenza di proposte di acquisto della Salus (significative di una concreta e tangibile sussistenza di trattative in essere per la definitiva cessione del complesso aziendale e così per la tutela della garanzia patrimoniale dei creditori) e di un prospetto compensazioni operate dall'affittuaria (alla luce dello stesso contratto originario di affitto di azienda). Tutti elementi sufficienti ad escludere tanto la materiale condotta omissiva in contestazione, quanto il prescritto elemento psicologico di essa, in quanto comprovanti sia una effettiva attività soggettiva di 'contemplazione' e 'calcolo' delle vicendevoli partite di credito e debito, sia poi il dolo distrattivo in capo al soggetto agente (responsabile, semmai, di colpose omesse contabilizzazioni);
- il vizio motivazionale nel quale sarebbe incorsa la Corte territoriale nella parte in cui avrebbe dapprima riconosciuto una netta distinzione (anche temporale) di ruoli amministrativi ricoperti dal D.D.(dapprima in Salus e poi, solo in seguito, come liquidatore di Villa Se.) e, successivamente, una contemporanea "doppia qualifica" gestoria del ricorrente;
- il vizio motivazionale relativo alla ritenuta inconciliabilità logica tra la giudiziale presa d'atto della documentata sussistenza di partite a credito nei confronti della stessa Salus e quanto negativamente osservato poco oltre, in relazione all'esistenza di partite non giustificate;
- il vizio motivazionale (e la conseguente violazione di legge) relativo alla ritenuta inconciliabilità logica tra l'inconsapevolezza in capo alla curatela in ordine a una serie di imponenti interventi edilizi manutentivi posti in essere nel tempo da Villa Se. e la subitanea considerazione, meramente astratta ed ipotetica, secondo cui le corrispondenti "poste creditorie" avrebbero dovuto in ogni caso escludersi, alla luce della mancata attivazione del D.D.nell'esigere comunque il pagamento dei canoni di affitto;
- la violazione di legge conseguente alla ritenuta integrazione del reato contestato, e, per l'effetto, al riconoscimento in favore della costituita parte civile a titolo di risarcimento del danno di un importo in realtà insussistente, in quanto determinato senza tener conto delle già evidenziate reciproche poste passive.
Motivi della decisione
1. Il ricorso dei sindaci.
1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Per come si è detto, ai sindaci è contestato di aver concorso nella causazione del dissesto della Salus Srl omettendo di esercitare i poteri di vigilanza e controllo loro riconosciuti in ragione delle funzioni svolte e, segnatamente, astenendosi gli amministratori dal richiedere il fallimento, di procedere alla convocazione dell'assemblea stante l'inerzia dell'organo gestorio.
Secondo la Corte territoriale, l'organo di controllo, pur riscontrando la sussistenza dei presupposti operativi indicati nell'art. 2447 cod. civ., si sarebbe limitato ad invitare gli amministratori ad eseguire l'aumento di capitale, senza rilevarne l'inadempimento e senza procedere alla diretta convocazione dell'assemblea e alla parallela segnalazione delle gravi irregolarità commesse dall'organo amministrativo. Omissioni che, permettendo la prosecuzione dell'attività economica pur in presenza di un patrimonio netto sensibilmente negativo, avrebbero contribuito ad aggravare il preesistente stato di dissesto.
Il presupposto giuridico dal quale muove la Corte territoriale è corretto. Il controllo sindacale, in quanto posto a tutela degli interessi dei soci e di quello (preminente) dei creditori e pur non potendo investire in forma diretta le scelte imprenditoriali, non si esaurisce in una mera verifica formale o in un riscontro contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori: deve necessariamente sostanziarsi nell'oggettivo riscontro tra la realtà e la sua rappresentazione ed estendersi al contenuto della gestione sociale e alla conseguente verifica di conformità delle scelte degli amministratori ai canoni d'una buona amministrazione e della loro compatibilità con i fini propri della società (cfr. Sez. 5, n. 28848 del 21/09/2020, Rv. 279599).
Cosicché, ove nell'esercizio dei suoi poteri di controllo e di vigilanza abbia conoscenza di condotte illecite degli amministratori, il sindaco ha il dovere di intervenire per impedirne la realizzazione. E la relativa omissione determina la sua responsabilità a titolo di concorso nel reato eventualmente commesso all'amministratore, ove l'esercizio dei poteri conoscitivi riconosciuti ai sindaci avrebbe condotto questi ultimi a conoscere delle irregolarità contabili e, conseguentemente, ad attivare le (doverose) procedure di segnalazione (esterna ed interna) e d'inibizione che il legislatore ha messo a disposizione.
In questo contesto si inseriscono gli specifici poteri-doveri d'iniziativa, riconosciuti ai sindaci in sostituzione dell'organo deliberativo (l'assemblea) o degli amministratori. Segnatamente: il dovere di convocare l'assemblea ed eseguire le pubblicazioni prescritte in caso di omissione da parte degli amministratori (art. 2406 cod. civ.); quello di chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale sociale obbligatoria per legge, ove l'assemblea non vi provveda e gli amministratori restino inerti (artt. 2357, 2359-ter e 2446 cod. civ.); quello di promuovere l'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori (2393 cod. civ.) e di sollecitare il controllo giudiziario sulla gestione (2409 cod. civ.); norme applicabili anche alla società a responsabilità limitata in virtù dell'esplicito richiamo contenuto nell'art. 2477 del codice civile.
Ebbene, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, il collegio sindacale si è limitato, per ben tre anni (dal 2007 al 2010), pur a fronte di un conclamato stato d'insolvenza (cristallizzatosi sin dal 2007), a sollecitare l'organo amministrativo all'adempimento di quanto necessario in ragione della rilevata situazione finanziaria (le necessarie ricapitalizzazioni e la convocazione dell'assemblea). E ciò senza provvedere agli ulteriori e più rilevanti obblighi in precedenza indicati. Tanto, all'evidenza, non può intendersi come diligente adempimento degli obblighi imposti all'organo di controllo e, in sé, non esclude la sussistenza della condotta materiale (omissiva) oggetto dell'imputazione.
1.2. Il secondo motivo è, invece, infondato.
La fattispecie incriminatrice contestata è quella descritta nell'art. 217, comma 1, n. 4, L. fall., nella parte in cui sanziona la condotta dell'imprenditore che, in violazione dell'obbligo (oggi esplicitato nell'art. 3 del codice della crisi) di rilevare tempestivamente la crisi, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento, ha contribuito ad aggravare lo squilibrio economico-patrimoniale della propria impresa.
E la cooperazione colposa contestata ai sindaci, per come si è detto, sarebbe consistita nell'aver omesso di esercitare i poteri di vigilanza e controllo loro riconosciuti in ragione delle funzioni svolte e, segnatamente, astenendosi gli amministratori dal richiedere il fallimento, di procedere, pur essendo pienamente consapevoli della reale situazione economica e finanziaria della società, alla convocazione dell'assemblea stante l'inerzia dell'organo gestorio, così concorrendo nella mancata richiesta di fallimento.
Quanto, in particolare, al profilo soggettivo, questa Corte ha ripetutamente ribadito come, nonostante le diverse possibili opzioni ermeneutiche, la colpa grave debba essere accertata anche nell'ipotesi del ritardato fallimento, in quanto decisione ricollegabile "ad una vasta gamma di dinamiche gestionali; che si estende dall'estremo dell'assoluta noncuranza per gli effetti del possibile aggravamento del dissesto a quello dell'opinabile valutazione sull'efficacia di mezzi ritenuti idonei a procurare nuove risorse. L'eterogeneità di queste situazioni rende improponibile una loro automatica sussunzione nella più intensa dimensione della colpa. Il dato oggettivo del ritardo nella dichiarazione di fallimento, in altre parole, è ancora troppo generico perché dallo stesso possa farsi derivare una presunzione assoluta di colpa grave; dipendendo tale carattere dalle scelte che lo hanno determinato" (Sez. 5, n. 43414 del 25/09/2013, Zille, Rv. 257533). Tanto più "alla luce dell'evoluzione della normativa fallimentare e del progressivo favore dimostrato dal legislatore verso soluzioni della crisi d'impresa che consentano la sopravvivenza di quest'ultima" (Sez. 5, n. 29866 del 04/06/2015, non massimata).
E il medesimo coefficiente soggettivo deve caratterizzare anche la colpa imputata ai sindaci, essendo irragionevole ritenere che l'imprenditore, dominus delle dinamiche gestionali, risponda a titolo di colpa grave e l'organo di controllo sia ritenuto responsabile anche per condotte colpose più lievi.
L'accertamento del grado di colpa, tuttavia, presuppone la verifica delle particolari condizioni in cui l'agente deve operare, che, in presenza di una regola cautelare cosiddetta "elastica" (come nel caso di specie), impongono un apprezzamento in fatto che, com'è noto, è riservato al giudice di merito e precluso al giudice della legittimità, chiamato a verificare, sotto questo profilo, la sola esistenza di un complessivo impianto motivazione, logico e coerente con i dati processuali richiamati.
Ciò premesso, la Corte territoriale, contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa, argomenta analiticamente sia in ordine al momento in cui poteva ritenersi cristallizzato lo stato d'insolvenza, sia in ordine alla misura della colpa addebitata ai sindaci, seppur non esplicitamente qualificata in termini coerenti con la previsione normativa.
La Corte ha evidenziato, infatti, come, sin dal 2003, il capitale era sceso al sotto dei limiti legali e al 31 dicembre 2007 la società non era in grado di adempiere alle proprie obbligazioni, conclamandosi, in quel momento, lo stato d'insolvenza.
Una situazione, rileva ancora la Corte, che, palesatasi sin dal 2003, era comodamente verificabile attraverso una semplice operazione algebrica. E, a fronte di ciò, il collegio sindacale, pur pienamente consapevole delle criticità evidenziate, non ha provveduto al proprio obbligo di richiesta di convocazione dell'assemblea, né ha sollecitato l'organo gestorio alla redazione della relativa situazione economico-patrimoniale, né, tanto meno, alla denuncia di gravi irregolarità ai sensi dell'art. 2409 del codice civile. Anzi, continua la Corte, sollecitando l'immissione di ulteriore capitale senza fornire all'assemblea l'informativa richiesta dall'art. 2447 cod. civ., avrebbe posto in essere una condotta persino commissiva volta a fornire una indicazione non corretta, incompleta e persino fuorviante.
La motivazione è logica e, in assenza di contrarie deduzioni, coerente con i dati processuali richiamati, essendo state evidenziate con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la valutazione prospettata. Né si può addurre, a giustificazione della condotta omissiva contestata, l'esistenza di una, pur invocata, prospettiva di continuità, attesa l'ontologica estraneità di tali valutazioni rispetto alla posizione propria del sindaco. Tanto più alla luce dei perduranti inadempimenti dell'organo gestorio.
Tanto dà conto, nonostante l'assenza di una esplicitazione nei termini prospettati dalla difesa, dell'infondatezza della censura.
1.3. L'infondatezza del predetto motivo di ricorso impone, tuttavia, di rilevare, in relazione alla posizione dei sindaci, l'intervenuta prescrizione del reato loro contestato, maturata, in assenza di rilevate sospensioni, il 16 gennaio 2023, con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi di censura.
2. Il ricorso proposto nell'interesse dell'amministratore.
2.1. All'imputato è contestato di aver distratto o dissipato 677.997,40 Euro, pari al credito vantato nei confronti della Casa di Cura Villa Se. (di cui lui stesso era divenuto liquidatore dal 5 novembre 2015) a titolo di canoni di affitto mai corrisposti.
2.2. Per come si è detto, la difesa deduce:
- l'erronea attribuzione delle funzioni gestorie al D.D., nel medesimo arco temporale, non solo in relazione alla Salus Srl (dichiarata fallita), ma anche dell'affittuaria, Villa Se.;
- l'omessa valutazione di una proposta vincolante di acquisto di acquisto avanzata dalla Abano Terme s.p.a, successivamente perfezionatasi nel corso della procedura fallimentare;
- l'esistenza di vicendevoli poste attive e passive tra la concedente (fallita) e l'affittuaria (con conseguente reciproca compensazione) e di una specifica clausola negoziale che autorizzava l'affittuaria ad effettuare lavori di manutenzione senza necessità di uno specifico contraddittorio;
- la conseguente erronea quantificazione della somma liquidata a titolo di risarcimento.
Le censure sono in parte inammissibili, sotto plurimi profili, e, in parte, infondate.
2.3. Va premesso, quanto alle prime due censure, che nella configurazione del vizio di contraddittorietà processuale della motivazione assume rilievo centrale la decisività del dato probatorio travisato: intanto il travisamento del "significante" può integrare il vizio motivazionale, in quanto tale vizio disarticoli effettivamente l'intero ragionamento probatorio e renda illogica la motivazione per l'essenziale forza dimostrativa del dato in ipotesi travisato. Decisività, peraltro, che dovrà essere valutata non in astratto, ma all'interno dello stesso contesto motivazionale posto a base della decisione impugnata, rilevando l'incidenza dell'elemento viziato alla luce del complessivo ragionamento probatorio sotteso alla ratio decidendi della pronuncia impugnata.
Ebbene, a prescindere dalla considerazione per cui lo stesso ricorrente non evidenzia in che termini l'asserito travisamento possa essere rilevante, nell'economia complessiva dell'impianto motivazionale sotteso alla decisione resa dalla Corte territoriale, la (asserita) erronea valutazione delle funzioni gestorie attribuite al D.D.(in relazione all'amministrazione dell'affittuaria) o della proposta vincolante formulata nell'interesse della Abano Terme Spa rivestono un ruolo evidentemente non decisivo, in quanto incidentalmente richiamate dalla Corte territoriale al solo fine descrittivo (nell'un caso) o per ribadirne l'irrilevanza (nell'altro).
In questi termini, quindi, quand'anche il travisamento ci fosse stato (e, sotto tale profilo, il ricorrente, per come si è detto, si limita a riportare il dato senza indicare ed allegare compiutamente la fonte travisata, circostanza che rende in sé la censura inammissibile), esso sarebbe stato, all'evidenza, assolutamente non decisivo in quanto inidoneo disarticolare il ragionamento probatorio posto a base della decisione impugnata, fondato su altri e decisivi elementi probatori.
2.4. Ad identiche conclusioni anche con riferimento all'ulteriore censura sollevata dalla difesa.
La Corte d'appello, invero, fonda il giudizio di responsabilità su una pluralità di dati fattuali e logici autonomamente significativi, dando conto anche delle invocate compensazioni.
Segnatamente:
- la piena cointeressenza tra la compagine Salus e quella di Villa Se., inizialmente partecipata integralmente dalla stessa Salus (che deteneva il 100% delle quote) e poi direttamente dai soci di quest'ultima;
- il precedente amministratore della Salus era stato sostituito proprio pochi giorni dopo aver messo in mora Villa Se. sul pagamento dei canoni contrattuali (circostanza significativa, secondo i giudici di merito, del fatto che la compagine societaria evidentemente non aveva gradito la diffida di pagamento);
- l'ampio lasso di tempo (dall'1 ottobre 2014 al 22 giugno 2015) durante il quale non sono state prese iniziative tendenti al recupero delle somme;
- gli importi relativi agli asseriti crediti vantati dall'affittuaria non risultavano nei mastrini rinvenuti tra le scritture contabili della Salus;
- la stessa proposta di concordato era fondato sull'unica fonte di reddito costituita dai canoni di locazione e affitto d'azienda.
Ebbene, la difesa da un canto non si confronta con le argomentazioni offerte dalla Corte territoriale, dall'altro si limita a prospettare una diversa valutazione del dato probatorio, senza dedurre specifici profili di manifesta illogicità o contraddittorietà, riproponendo le medesime censure già ampiamente vagliate (e disattese) dalla Corte territoriale. E tanto rende anche questa censura inammissibile.
2.5. Le precedenti osservazioni danno conto anche della conseguente infondatezza di quella residua: il danno è stato liquidato alla luce degli analitici conteggi prodotti dall'organo requirente e, quindi, tenendo conto dell'ammontare dei canoni non pagati, oltre interessi e rivalutazione. Liquidazione a fronte della quale la difesa si limita a contestarne la correttezza (in ragione delle già valutate asserite compensazioni) senza tener conto di tutti i già evidenziati profili di criticità.
2.6. In conclusione, il ricorso proposto nell'interesse dell'amministratore deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di A.A., B.B. e C.C., perché il reato è estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso proposto di D.D.e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l'imputato, D.D., alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, fallimento Salus Srl, che liquida in complessivi Euro 3.600,00 oltre accessori di legge.
Conclusione
Così deciso il 29 novembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2024.