1. I ricorsi, trattati cartolarmente ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020 e successive modifiche ed integrazioni, sono inammissibili.
2. I due motivi, attesa l'omogeneità e l'intima connessione dei profili di doglianza svolti, possono essere trattati congiuntamente.
2.1. Quanto al merito della vicenda, non vi è contestazione da parte dei ricorrenti, i quali contestano invece di essere destinatari degli obblighi di legge incombenti sull'azienda che ha immesso in commercio il prodotto e lo ha distribuito, atteso che, nella prospettazione difensiva, l'esecuzione di controlli, seppure a campione, sui prodotti alimentari sfusi venduti nel punto vendita di C. sarebbe stato oggetto di una mera facoltà -ove peraltro contemplata nella procedura di autocontrollo interna HACPP -e non di un obbligo giuridico, incombente invece al produttore dell'alimento vegetale, nella specie alla ditta salernitana che era il fornitore della lattuga "incriminata". L'unico obbligo, nella specie assolto, era stato infatti quello di assicurare la C.d. rintracciabilità di filiera, come confermato dalle dichiarazioni dei due testi che, a dire della difesa, sarebbero state oggetto di travisamento probatorio, e che il giudice avrebbe quindi erroneamente posto a base dell'affermazione di responsabilità, peraltro facendo applicazione di una giurisprudenza desueta in quanto superata dalla normativa sovranazionale integratrice del precetto penale in bianco di cui all'art. 5, l. n. 283 del 1962.
2.2. La tesi difensiva, pur suggestiva, non ha pregio.
Deve anzitutto evidenziarsi l'esatta individuazione da parte dell'accusa degli attuali ricorrenti quali destinatari della normativa in materia, non avendo peraltro nessuno dei due ricorrenti contestato l'individuazione uti singuli quali soggetti responsabili. Ed infatti, va innanzitutto ribadito che, secondo l'orientamento di questa Corte, in tema di disciplina degli alimenti, la responsabilità per i reati commessi nell'esercizio di un'attività d'impresa svolta da una società articolata in plurime unità territoriali autonome, ciascuna affidata ad un soggetto qualificato ed investito di mansioni direttive, va individuata all'interno della singola struttura aziendale, senza che sia necessariamente richiesta la prova dell'esistenza di una apposita delega in forma scritta (Sez. 3, n. 9406 del 09/02/2021, Arena, Rv. 281149). Con riguardo, poi, alla vendita di sostanze alimentari all'interno di un ipermercato -e la sentenza dà atto che si trattava del punto vendita "Famila" -si è più volte chiarito che destinatario delle disposizioni relative al controllo e alla vigilanza preliminari alla messa in vendita del prodotto è il responsabile del relativo reparto, su cui grava anche l'obbligo di sorvegliare i sottoposti circa l'osservanza delle disposizioni medesime (Sez. 3, n. 3107 del 02/10/2013, dep. 2014, Caruso, Rv. 259090; Sez. 3, n. 17084 del 09/09/2015, dep. 2016, Simonetti, Rv. 266578; Sez. 3, n. 22112 del 08/04/2008, Melidei, Rv. 240045).
Dunque, anzitutto è da identificarsi come soggetto responsabile, il B.B., quale direttore responsabile del punto vendita "Famila". Ciò posto, non può essere ovviamente esclusa una (eventualmente concorrente, come nel caso di specie) responsabilità dei soggetti apicali responsabili dell'unità aziendale con riguardo agli obblighi di garanzia sui medesimi gravanti, riconducibili alla figura dell'operatore sanitario alimentare, come nel caso di specie il ricorrente A.A., quale consigliere della società E.E. Spa
Al proposito va osservato che, in forza dell'art. 3, comma 1, n. 3 Reg. (CE) n. 178/2002 del 28 gennaio 2002, adottato dal Parlamento europeo e del Consiglio -che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare - l'operatore sanitario alimentare è la "persona fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto delle disposizioni della legislazione alimentare nell'impresa alimentare posta sotto il suo controllo". A norma del successivo art. 17, comma 1, tra l'altro, "spetta agli operatori del settore alimentare e dei mangimi garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti o i mangimi soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e verificare che tali disposizioni siano soddisfatte".
2.3. Nel nostro ordinamento, il D.lgs. n. 155/1997 (ormai abrogato dall'art. 3, D.lgs. 6 novembre 2007, n. 193, attuativo della direttiva 2004/41/CE relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti comunitari nel medesimo settore) aveva a suo tempo attuato le direttive n. 93/43/CEE e 96/3/CE in materia di igiene degli alimenti e introdotto, allo stesso tempo, nel sistema il così detto autocontrollo HACPP.
L'autocontrollo consiste nell'obbligo imposto al responsabile dell'impresa alimentare di predisporre un piano a tutela della salute pubblica per prevenire tutti i rischi connessi al consumo degli alimenti e all'impresa stessa. Quindi l'autocontrollo da parte dell'imprenditore all'interno della propria azienda è obbligatorio per legge.
In quest'ottica, soprattutto al fine di meglio chiarire quanto, erroneamente, sostenuto dalla difesa, occorre a questo punto chiedersi come il piano di autocontrollo possa incidere sulla responsabilità penale dell'imprenditore che lo adotta. A tal fine, precisa il Collegio, la mera esistenza formale di un piano di autocontrollo di per sé non garantisce all'imprenditore in alcun modo un esonero della responsabilità penale. Questa Corte ha già avuto modo di occuparsi della questione, chiarendo (Sez. 3, n. 25122 del 02/04/2008, Patti, non massimata), che la mera esistenza di un piano HACCP ai sensi del D.lgs. n. 155/97 non è sufficiente a escludere la colpa del responsabile dell'impresa alimentare, affermando che proprio l'avere rinvenuto alimenti in cattivo stato di conservazione ovvero insudiciati o comunque in precarie condizioni igieniche è comprovante una cattiva osservanza del medesimo piano di autocontrollo facendo incorrere l'imprenditore la colpa e quindi la responsabilità penale ex art. 5 lett. D) l. n. 283/62. Infatti, scopo principale della predisposizione di un piano di autocontrollo è quello di prevenire il rischio di immettere sul mercato prodotti non sicuri igienicamente recando un conseguente e potenziale danno ai consumatori. L'imprenditore ha l'obbligo di garantire che la filiera alimentare si concluda con l'immissione in commercio di prodotti alimentari perfettamente igienici. Il piano di autocontrollo esiste se funziona e previene tempestivamente ed in concreto i rischi alimentari, altrimenti resta solo lettera morta.
Ritiene il Collegio di dover dare continuità al predetto principio, applicabile evidentemente anche ai casi, come quello sub iudice, in cui la contestazione mossa all'operatore del settore alimentare è quella di aver detenuto per la vendita alimenti "che contengano residui di prodotti, usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate, tossici per l'uomo" (art. 5, lett. I), l. 283 del 1962). Anzi, proprio lo stesso tenore del ricorso, rende evidente che l'esistenza del piano di autocontrollo -la cui osservanza, a detta della difesa, avrebbe esentato da responsabilità penale i due ricorrenti, avendo assolto all'obbligo di rintracciabilità di filiera -non si è dimostrata sufficiente ad escludere il rischio di immissione in commercio di prodotti alimentari non a norma, come avvenuto nella vicenda in esame, in cui presso il supermercato in questione era stato eseguito un campionamento sulla lattuga Trocadero, esposta per la vendita, emergendo dalle analisi la presenza di formetanate cloridrato in misura superiore ai limiti di legge, segnatamente 1.02, oscillazione 0,6.
Nella specie, si osserva, la linea difensiva, imperniata sull'inesistenza di alcun obbligo di controllo in capo alla società ed al responsabile del punto vendita del prodotto alimentare sfuso, salva la "possibilità" di eseguire controlli a campione ove previsti dal piano di autocontrollo, residuando a carico della società e del titolare del punto vendita solo l'obbligo di assicurare la rintracciabilità del prodotto così da consentire l'identificazione del produttore dell'alimento, non tiene conto della circostanza, ben evidenziata dalla citata giurisprudenza di questa Corte, che proprio l'avere rinvenuto alimenti contenenti "residui di prodotti, usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate, tossici per l'uomo" è comprovante una cattiva osservanza del medesimo piano di autocontrollo facendo incorrere l'imprenditore la colpa e quindi la responsabilità penale ex art. 5 lett. h) l. n. 283/62.
2.4. Ciò, del resto, consegue all'applicazione del generale principio dell'affidamento che, implicitamente, nell'ottica difensiva troverebbe applicazione nel sistema della sicurezza della catena alimentare, nel senso che essendo obbligo della società che immette in commercio il prodotto sfuso solo quello di assicurare la rintracciabilità di filiera, la responsabilità sostanzialmente retroagirebbe in capo al produttore dell'alimento, non essendovi un obbligo, ma solo una facoltà per l'imprenditore a valle, di eseguire controlli a campione sull'alimento fornitogli.
Pacifico è, infatti, nella giurisprudenza di questa Corte che il principio di affidamento, nel caso di ripartizione degli obblighi tra più soggetti, se da un lato implica che colui il quale si affida non possa essere automaticamente ritenuto responsabile delle autonome condotte del soggetto cui si è affidato, dall'altro lato comporta anche che - qualora l'affidante ponga in essere una condotta causalmente rilevante - la condotta colposa dell'affidato non vale di per sé ad escludere la responsabilità dell'affidante medesimo (Sez. 4, n. 25310 del 07/04/2004, Rv. 228954 - 01).
Dunque, facendo coerente applicazione di tale principio anche nel campo della sicurezza alimentare, poiché, per legge (art. 17, comma l, Reg. CE n. 178/2002) "spetta agli operatori del settore alimentare e dei mangimi garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti o i mangimi soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e verificare che tali disposizioni siano soddisfatte", è evidente che quella facoltà di eseguire i controlli a campione sugli alimenti sfusi lungi dall'essere interpretata come esercizio di un potere discrezionale ove prevista dal piano di autocontrollo, costituisce, in sé, la regola cautelare da osservarsi al fine di evitare di incorrere in responsabilità penale del tipo di quella ascritta ai due ricorrenti.
L'omesso svolgimento, dunque, di qualsivoglia accertamento analitico, pur facoltativo, dimostra, dunque, come evidenziato dalla citata giurisprudenza, che la mera esistenza del piano HACCP non si è dimostrata sufficiente a escludere la colpa del responsabile dell'impresa alimentare, dovendosi ribadire, infatti, che scopo principale della predisposizione di un piano di autocontrollo è quello di prevenire il rischio di immettere sul mercato prodotti non sicuri igienicamente recando un conseguente e potenziale danno ai consumatori: l'imprenditore ha dunque l'obbligo di garantire che la filiera alimentare si concluda con l'immissione in commercio di prodotti alimentari perfettamente igienici ed a norma. Il piano di autocontrollo esiste se funziona e previene tempestivamente ed in concreto i rischi alimentari, altrimenti - come testimonia quanto avvenuto nel caso di specie - resta solo lettera morta.
2.5. Conserva, pertanto, ancora attualità il principio, già affermato da questa Corte - pur contestato impropriamente dalla difesa dei ricorrenti, ma che deve essere ribadito - secondo cui risponde del reato di cui all'art. 5 L. 30 aprile 1962, n. 283, il commerciante di prodotti alimentari sfusi non regolamentari, anche se estraneo al processo produttivo, che li immette sul mercato senza effettuare preventivamente controlli a campione, idonei ad evitarne la loro commercializzazione (Sez. 3, n. 44016 del 06/10/2009, Rv. 245264 -01; conformi, Sez. 3, n. 43829 del 16/10/2007, Rv. 238263 -01; Sez. 3, n. 37835 del 19/09/2001, Rv. 220347 -01), principio che deve essere ulteriormente precisato nei seguenti termini:" La mera esistenza di un piano di autocontrollo HACCP non è sufficiente a escludere la colpa dell'operatore del settore alimentare. Ne consegue che l'omesso svolgimento di qualsivoglia accertamento analitico sul prodotto alimentare sfuso non regolamentare, previsto come facoltativo dal piano di autocontrollo, integra il reato di cui all'art. 5, L. 30 aprile 1962, n. 283, non valendo ad esonerare l'O.S.A. dalla sua responsabilità l'assolvimento dell'obbligo di tracciabilità, atteso che, scopo principale della predisposizione di un piano di autocontrollo è quello di prevenire il rischio di immettere sul mercato prodotti non sicuri igienicamente recando un conseguente e potenziale danno ai consumatori, cui consegue l'obbligo di garantire che la filiera alimentare si concluda con l'immissione in commercio di prodotti alimentari perfettamente igienici ed a norma".
3. Quanto al dedotto travisamento probatorio, lo stesso si appalesa assolutamente inammissibile. Ciò che in realtà contestano i ricorrenti è l'interpretazione giuridica che del narrato dei verbalizzanti è stata operata, in base all'assunto che se il Tribunale avesse bene inteso quanto da essi riferito (a proposito dell'assolvimento dell'unico onere che, in base alla respinta deduzione difensiva, si riteneva su di essi incombere, ossia quello di garantire la tracciabilità di filiera), avrebbe dovuto mandarli assolti. Si tratta, all'evidenza, di un tentativo di introdurre nel giudizio di legittimità l'asserito vizio di contraddittorietà della sentenza impugnata sotto il profilo del travisamento della prova dichiarativa che non può essere ritenuto ammissibile. Deve, inveri, sul punto essere ribadito che in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di "contraddittorietà processuale" (o "travisamento della prova") vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e avalutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di reinterpretazione nel merito dell'elemento di prova (da ultimo: Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370 -01). A ciò, peraltro, va aggiunto, tenuto conto del tenore del motivo di ricorso proposto, che non dà luogo al vizio di travisamento della prova la scelta, ad opera del giudice, di un'interpretazione delle dichiarazioni testimoniali, giustificata peraltro da massime di esperienza, in luogo di altra e diversa interpretazione (Sez. 3, n. 46451 del 07/10/2009, Rv. 245611 01).
4. I ricorsi devono essere pertanto dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Conclusione
Così deciso, il 14 dicembre 2023
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2024