Giu Il principio di immutabilità del giudice NEL GIUDIZIO DI APPELLO
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 27 dicembre 2023 N. 51433
Massima
Il principio di immutabilità del giudice, fissato dall'art. 525 c.p.p., comma 2, sicuramente applicabile in appello (cfr., tra le tantissime, Sez. 6, n. 17982 del 21/11/2017, dep. 2018, Mancini, Rv. 273006-01), anche in forza del richiamo di cui all'art. 598 c.p.p., impone che alla deliberazione della sentenza concorrano, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento.

Detto principio, secondo l'interpretazione costante della giurisprudenza, si applica essenzialmente nelle ipotesi in cui vi sia stata l'emissione di una deliberazione in esito ad un dibattimento caratterizzato dallo svolgimento di attività istruttoria (cfr., per tutte, Sez. 4, n. 5273 del 21/09/2016, dep. 2017, Ferrentino, Rv. 270383-01, la quale, in motivazione, al p. 11, icasticamente precisa: "In sintesi, il principio di immutabilità del giudice ha riguardo alla identità fisica del giudice che assume la prova e decide").

Tuttavia, lo stesso principio, più in generale, si riferisce anche ai dibattimenti nei quali non sia svolta attività istruttoria, ed impone l'identità del Collegio con riguardo al compimento di tutte le attività proprie del dibattimento. In particolare, ad esempio, costante è l'affermazione per cui il principio di immutabilità del giudice, sancito dall'art. 525 c.p.p., comma 2, si applica anche nel caso in cui l'attività dibattimentale consista nella sola discussione, senza che vi sia l'acquisizione di prove (così, proprio in relazione a dibattimenti in grado di appello, Sez. 6, n. 17982 del 2018, Mancini, cit., e Sez. 5, n. 45649 del 25/09/2012, Scambia, Rv. 254004-01).

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 27 dicembre 2023 N. 51433

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.

2. Manifestamente infondate sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano la violazione del principio di immutabilità del giudice, deducendo che la sentenza impugnata è stata emessa da un collegio della Corte d'appello composto diversamente rispetto a quello che aveva pronunciato ordinanza nella quale era stata esclusa l'estinzione del reato per prescrizione, ed aveva poi rinviato il processo davanti ad altro collegio, il quale si era pronunciato anche sulla richiesta di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.

2.1. Il principio di immutabilità del giudice, fissato dall'art. 525 c.p.p., comma 2, sicuramente applicabile in appello (cfr., tra le tantissime, Sez. 6, n. 17982 del 21/11/2017, dep. 2018, Mancini, Rv. 273006-01), anche in forza del richiamo di cui all'art. 598 c.p.p., impone che alla deliberazione della sentenza concorrano, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento.

Detto principio, secondo l'interpretazione costante della giurisprudenza, si applica essenzialmente nelle ipotesi in cui vi sia stata l'emissione di una deliberazione in esito ad un dibattimento caratterizzato dallo svolgimento di attività istruttoria (cfr., per tutte, Sez. 4, n. 5273 del 21/09/2016, dep. 2017, Ferrentino, Rv. 270383-01, la quale, in motivazione, al p. 11, icasticamente precisa: "In sintesi, il principio di immutabilità del giudice ha riguardo alla identità fisica del giudice che assume la prova e decide").

Tuttavia, lo stesso principio, più in generale, si riferisce anche ai dibattimenti nei quali non sia svolta attività istruttoria, ed impone l'identità del Collegio con riguardo al compimento di tutte le attività proprie del dibattimento. In particolare, ad esempio, costante è l'affermazione per cui il principio di immutabilità del giudice, sancito dall'art. 525 c.p.p., comma 2, si applica anche nel caso in cui l'attività dibattimentale consista nella sola discussione, senza che vi sia l'acquisizione di prove (così, proprio in relazione a dibattimenti in grado di appello, Sez. 6, n. 17982 del 2018, Mancini, cit., e Sez. 5, n. 45649 del 25/09/2012, Scambia, Rv. 254004-01).

In coerenza con questo indirizzo ermeneutico, sono stati individuati anche i limiti di applicazione del principio di cui all'art. 525 c.p.p., comma 2.

In particolare, con riguardo ai giudizi di secondo grado, si è ritenuto, per un verso, che non viola il principio di immutabilità del giudice, e quindi non è causa di nullità, il mutamento del giudice di appello immediatamente dopo la verifica della regolare costituzione delle parti e la deliberazione dell'esclusione della già costituita parte civile (cfr., in particolare, Sez. 2, n. 11997 del 24/02/2010, Pietrolucci, Rv. 247273-01). E, sotto altro profilo, che non sussiste alcuna violazione del principio di immutabilità del giudice qualora, in grado d'appello, la sentenza venga deliberata da un giudice diverso da quello che, dopo l'accertamento della regolare costituzione delle parti, si sia limitato a respingere l'istanza di rinnovazione dell'istruttoria (così Sez. 2, n. 26135 del 25/03/2011, Lovato, Rv. 250550-01).

Di conseguenza, dal principio di immutabilità del giudice discende che un Collegio composto diversamente da quello che aveva iniziato la trattazione della regiudicanda può legittimamente emettere sentenza e definire il processo se (e solo se) tutte le attività "proprie" del dibattimento siano compiute davanti ad esso.

2.2. Perchè sia configurabile la violazione del principio di immutabilità del giudice, nel caso di ordinanza del precedente collegio di rigetto della richiesta di dichiarazione di estinzione del reato per cui si procede per prescrizione, quindi, quando non vi sia stata precedente attività istruttoria, occorre verificare, in particolare, se tale decisione costituisca un atto "proprio" del dibattimento e comunque non rinnovabile da parte di un nuovo Collegio.

Va rilevato, innanzitutto, che, a norma dell'art. 129 c.p.p., "(i)n ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce (...) che il reato è estinto (...), lo dichiara di ufficio con sentenza", e che la disposizione appena citata, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, deve ritenersi "espressiva di un obbligo per il giudice di pronunciare con immediatezza, nel momento di sua formazione ed indipendentemente da quello che sia "lo stato e il grado del processo" (clausola, questa, significativamente menzionata dalla norma), sentenza di proscioglimento" (così Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, Perroni, in motivazione, Considerato in Diritto, p. 7.2). Ora, se la dichiarazione di estinzione del reato può avvenire "in ogni stato e grado del processo", è ragionevole ritenere che la relativa richiesta possa essere formulata anche in via preliminare dalle parti e, quindi, che un eventuale rigetto di essa non costituisca necessariamente una pronuncia da riservare al momento della decisione finale sulla regiudicanda.

Va poi osservato che il provvedimento con il quale il giudice rigetta la richiesta di immediata declaratoria di estinzione del reato è correttamente adottato con ordinanza, perchè costituisce decisione su una questione pregiudiziale che non definisce il giudizio (cfr., in particolare, per la soluzione secondo cui il provvedimento di rigetto della richiesta di immediata declaratoria di estinzione del reato è fisiologicamente adottato con ordinanza, Sez. 1, n. 29562 del 29/05/2018, Taurino, Rv. 273347-01, ma anche Sez. 1, n. 1710 del 23/04/1993, Russo, Rv. 195645-01).

E le ordinanze, secondo un principio generale del sistema, sono di regola revocabili, salvo diversa disposizione contraria, o salvo che abbiano il carattere della definitività.

Ciò posto, non vi è nessuna disposizione che attribuisce carattere di definitività alle ordinanze di rigetto della richiesta di immediata declaratoria di estinzione del reato, nè tale conclusione può essere desunta dal sistema, anche perchè, altrimenti, le stesse assumerebbero la natura di "sentenze parziali", per di più non immediatamente impugnabili, così configurando una tipologia di decisione del tutto estranea alle regole del processo penale.

Appare ragionevole concludere, allora, che l'ordinanza di rigetto della richiesta di pronuncia di una sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p. non preclude al giudice di rideterminarsi sulla questione allorchè emette sentenza sulla regiudicanda, e che, quindi, la decisione su tale questione può essere legittimamente rinnovata, senza vincoli di sorta, anche in caso di mutamento della persona fisica del giudice.

2.3. Nella specie, sulla base di quanto appena rilevato, il principio dell'immutabilità del giudice non risulta violato dalla Corte d'appello.

Invero, la sentenza impugnata: a) è stata pronunciata solo dopo una nuova e completa discussione delle parti, nella quale entrambe hanno riproposto la richiesta di valutare se il reato in contestazione fosse da dichiarare estinto per prescrizione; b) ha motivatamente escluso che si sia verificata la prescrizione, sia indicando il termine dal quale deve ritenersi iniziata la decorrenza del relativo termine, sia indicando i periodi di sospensione rilevanti ai fini di tale giudizio.

Inoltre, nel corso del giudizio di appello davanti al precedente Collegio non risultano compiute altre attività appartenenti alla fase del dibattimento, in particolare attività istruttoria, nè vi sono allegazioni in proposito nel ricorso.

3. Manifestamente infondate sono le censure formulate nel secondo motivo, che contestano la configurabilità del reato, il mancato rilievo della prescrizione, ed il mancato rilievo della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p.p..

3.1. Per quanto riguarda la configurabilità del reato, la decisione della Corte d'appello è correttamente motivata.

Invero, la sentenza impugnata ha accertato in modo immune da vizi che, nella struttura di proprietà dell'imputato, adibita a bed and breakfast, vi erano stati molteplici interventi edilizi non autorizzati, tra i quali lo spianamento di terreno e la realizzazione di una strada in ghiaia, l'installazione di due containers e il mutamento di destinazione d'uso di due garages, trasformati in due appartamentini per il bed and breakfast.

Ora, secondo un principio assolutamente consolidato in giurisprudenza, e condiviso dal collegio, in tema di reati urbanistici, le opere di scavo, di sbancamento e di livellamento del terreno, finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli, in quanto incidono sul tessuto urbanistico del territorio, sono assoggettate a titolo abilitativo edilizio (così Sez. 3, n. 4916 del 13/11/2014, dep. 2015, Agostini, Rv. 262475-01, nonchè Sez. 3, n. 30594 del 30/06/2004, relativa alla realizzazione di una pista in terra battuta".

Allo stesso modo, sin dalla vigenza della L. n. 10 del 1977, la trasformazione di autorimesse in mini-appartamentini, compiuta in contrasto con il titolo edilizio rilasciato, integra un abuso penalmente rilevante anche quando sia realizzata senza l'esecuzione di opere, perchè incide sul carico urbanistico, e, quindi, sulle esigenze di disciplina e governo del territorio (cfr., ad esempio, Sez. 3, n. 9855 del 24/09/1984, Carrer, Rv. 166591-01).

3.2. Anche con riferimento alla maturazione della prescrizione, invocata perchè sarebbe stata erroneamente individuata la data di realizzazione delle opere ritenute abusive, la decisione della Corte d'appello è correttamente motivata.

Costituisce principio ampiamente consolidato quello secondo cui, in tema di reati edilizi, l'assoluta incertezza sulla data di commissione del fatto o, comunque, sulla decorrenza del termine di prescrizione del reato, che consente l'applicazione del principio del favor rei, deve risultare da dati obiettivi, non ammettendo alcun automatismo, sicchè il giudice è tenuto all'indicazione delle ragioni per le quali non è possibile pervenire, anche in base a deduzioni logiche, a una più puntuale collocazione temporale dell'intervento abusivo (cfr., tra le tantissime, Sez. 3, n. 20795 del 18/03/2021, Secci, Rv. 281343-01, e Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, dep. 2008, Cilia, Rv. 238850-01).

E, nella specie, la sentenza impugnata fornisce un preciso elemento logico in ordine al momento della realizzazione delle opere abusive, collocandolo comunque in prossimità del momento dell'accertamento, avvenuto il 5 aprile 2016.

Precisamente, la pronuncia della Corte d'appello, anche richiamando quella di primo grado, ritiene ragionevole che queste opere siano state realizzate dopo l'emissione del certificato di agibilità, rilasciato il 20 gennaio 2016.

La sentenza impugnata, inoltre, osserva che le dichiarazioni dei testi indicati dalla difesa, B.B. e C.C., evocate per proporre una diversa ed anteriore datazione di tali opere, costituiscono "generiche indicazioni in termini di datazione delle opere abusive".

Ciò posto, considerando i periodi di sospensione della prescrizione puntualmente indicati dalla Corte d'appello, pari a un anno, cinque mesi e quattro giorni, e non contestati nel ricorso, deve escludersi che, alla data della pronuncia della sentenza impugnata, emessa il 16 maggio 2022, si fosse verificata l'estinzione del reato per prescrizione.

3.3. Immune da vizi, infine, è pure la decisione in ordine al diniego della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p..

La sentenza impugnata, infatti, ha correttamente ed incensurabilmente valorizzato "il consistente numero di abusi edilizi riscontrati" (la sentenza riferisce di ben trentadue abusi rilevati in sede di sopralluogo da parte della polizia municipale, tra i quali quelli indicati in precedenza al p. 3.1), siccome elemento indicativo della non trascurabile intensità del dolo e della non esiguità del danno.

4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al versamento a favore della Cassa delle Ammende dalla somma di Euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi addotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2023