Il ricorso, in ragione della inammissibilità o comunque della manifesta infondatezza dei numerosi motivi posti a suo sostegno, deve, a sua volta, essere dichiarato inammissibile.
Ad onta della sua distale collocazione topografica nell'ambito del ricorso ora in esame, mette conto esaminare prioritariamente, data la sua logica pregiudizialità, l'ultimo dei motivi di impugnazione presentati dalla ricorrente difesa, riguardante il vizio della sentenza impugnata per non essere stati, secondo la prospettazione difensiva, considerati i tempestivi motivi aggiunti e la documentazione prodotta in giudizio unitamente ad essi.
Si tratta di doglianza per più motivi inammissibile.
Andando con ordine: si rileva, in primo luogo, la irritualità dell'avvenuto deposito, in data 23 maggio 2022 nel corso della precedente fase del presente giudizio, secondo quanto risulta dalla, parziale, documentazione allegata al ricorso ora in esame, dell'atto contenente i motivi aggiunti di impugnazione ed i documenti ad essi allegati.
Invero, premesso che tale deposito è stato eseguito, per espressa affermazione della parte ricorrente e comunque per come risultante dalla citata documentazione, tramite invio degli atti in questione da un indirizzo di posta elettronica certificata, si rileva che siffatta modalità di trasmissione degli atti non è idonea allo stato a validamente arricchire il materiale processualmente rilevante.
Come, infatti, questa Corte ha segnalato è inammissibile la presentazione di un atto a contenuto impugnatorio (ed evidentemente il principio deve essere esteso anche agli atti integrativi della, precedentemente presentata, impugnazione) a mezzo posta elettronica certificata stante il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme per la presentazione delle impugnazioni, non essendo previsto in via ordinaria dalla legge processuale il deposito telematico degli atti salvo che nella fase di emergenza sanitaria da Covid-19 per effetto del D.L. n. 137 del 2020, art. 24, comma 4, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 176 del 2020 (Corte di cassazione, Sezione 3^ penale, 1 aprile 2021, n. 12456; nel medesimo senso, anche, con specifico riferimento alla presentazione tramite posta elettronica certificata dei motivi aggiunti in grado di appello: Corte di cassazione, Sezione 5^ penale, 24 aprile 2020, n. 12949).
Essendo stato celebrato il presente giudizio nelle forme ordinarie - tanto che lo stesso imputato era presente in occasione della celebrazione della sentenza di fronte alla Corte di appello, unitamente al suo difensore fiduciario, il quale, peraltro, per quanto emerge dalla non contestata ricostruzione delle conclusioni rassegnate in tale circostanza, si è allora limitato a chiedere l'accoglimento dei motivi di gravame, senza richiamare alcun motivo aggiunto - deve rilevarsi che la difettosa presentazione dei motivi aggiunti di appello ha legittimamente esentato la Corte di merito dal procedere al loro esame.
Ma, per completezza argomentativa, si osserva, altresì, come la presente doglianza sia, anche per altre ragioni, inammissibile; invero, premesso che la presentazione di motivi aggiunti di gravame è consentita solo in quanto gli stessi - laddove essi non traggano origine da una dato normativo sopravvenuto, del quale l'appellante non poteva, evidentemente tenere conto, stante la sua inesistenza, al momento della presentazione dell'atto di appello appaiano intimamente connessi quanto alla materia dagli stessi interessata con quelli precedentemente e tempestivamente formulati (posto che un diverso indirizzo comporterebbe, in sostanza, la vanificazione della disciplina sulla perentorietà del termine per la presentazione del gravame) tanto da costituire solo uno sviluppo logico ed un approfondimento di argomenti già precedentemente devoluti all'attenzione del giudice di secondo grado (per tutte: Corte di cassazione, Sezione 6^ penale, 10 febbraio 2015, n. 6075) sarebbe stato onere del ricorrente, attraverso una sommaria, ma esauriente, descrizione degli stessi, mettere questa Corte nella possibilità di verificare la soddisfazione di siffatta condizione incidente sull'astratta ammissibilità del motivo aggiunto di gravame; cosa che, invece, il ricorrente ha del tutto omesso di fare - in tale modo destinando alla inammissibilità per genericità in relazione alla sussistenza di un interesse alla doglianza - il motivo di censura.
A chiusura dell'argomento ora in esame si rileva, da ultimo, che in ogni caso, sempre con riferimento al requisito della specificità della impugnazione, sarebbe stato onere del ricorrente porre in evidenza la rilevanza ai fini della decisione degli argomenti sviluppati in tali atti; infatti, come più volte ha Corte ha rilevato, l'omessa valutazione di una memoria difensiva (atto cui va equiparata, stante la impossibilità di introdurre tramite esso un effettivo novum essendo possibile, come detto, solo integrare sotto il profilo dell'approfondimento argomentativo, l'originario atto originario di appello, la presentazione dei motivi aggiunti), non determina alcuna nullità della sentenza in tale modo pronunziata, ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (Corte di cassazione, Sezione 1^ penale, 23 settembre 2020, n. 26536), essendo, pertanto, compito, ai fini della necessaria specificità del motivo di lagnanza, della ricorrente difesa mettere in luce, tramite l'illustrazione delle relative ragioni, la incongruità della motivazione della sentenza dovuta alla mancata considerazione degli argomenti introdotti in sede di integrazione impugnatoria.
Anche in questo caso nulla di tutto ciò è riscontrabile nel motivo di ricorso ora in esame, di tale che lo stesso deve, di conseguenza, essere dichiarato inammissibile.
L'esame del primo motivo di impugnazione non conduce ad esiti diversi rispetto a quelli cui si è sinora pervenuti; con esso il ricorrente lamenta, sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione l'avvenuto diniego alla ammissione della definizione del giudizio secondo le forme del rito abbreviato condizionato ad un mezzo istruttorio, costituito nella specie dall'espletamento di un perizia medica volta all'accertamento della capacità di intendere e di volere del prevenuto al momento dei fatti; si tratta di doglianza inammissibile in radice, posto che, una volta disattesa la richiesta di ammissione del procedimento speciale condizionato, il ricorrente ha, comunque, virato sulla richiesta di giudizio abbreviato semplice, in tale modo rendendo inammissibile ogni doglianza relativa alla mancata ammissione del abbreviato condizionato (in tale senso, fra le molte, per tutte: Corte di cassazione, Sezione 2^ penale, 30 aprile 2020, n. 13368).
Anche il secondo motivo di impugnazione è inammissibile, in quanto si tratta di doglianza manifestamente infondata; il ricorrente ha, in tale caso, censurato il fatto che i giudici del merito abbiano, erroneamente, considerato utilizzabili ai fini del decidere le dichiarazioni, riportate dalla stessa ricorrente difesa come, quanto meno, parzialmente confessorie, rese dall'imputato nel corso di una udienza tenutasi di fronte al Tribunale per i minorenni, operante quale giudice cautelare in materia civile, ma in un procedimento connesso, in quanto si tratterebbe di dichiarazioni da lui rilasciate, essendo già nota la sua posizione di soggetto indagato, in assenza di assistenza tecnica sebbene rese in sede giudiziale.
Si tratta di lagnanza manifestamente infondata, posto che, come questa Corte ha già in più di un'occasione osservato, peraltro in relazione proprio a dichiarazioni rese di fronte al giudice minorile in sede civile, le sanzioni contenute nell'art. 63 c.p.p., seppur attuative del principio del nemo tenetur se detegere, non possono essere estese al di fuori dei confini applicativi del processo penale, sino ad inficiare l'utilizzabilità di atti raccolti dinanzi al giudice civile (Corte di cassazione, Sezione 3^ penale, 28 aprile 2022, n. 16288; Corte di cassazione, Sezione 6^ penale, 11 giugno 2014, n. 24653).
Il terzo motivo, attinente alla violazione di legge ed al vizio di motivazione per essere stata valorizzata un prova di responsabilità contraddittoria od insufficiente, è inammissibile; si rileva, infatti, quanto alla doglianza avente ad oggetto la circostanza che non sia stata eseguita alcuna perizia volta a verificare la idoneità della persona offesa a svolgere il compito attribuito al testimone, si rileva che una tale operazione non è assolutamente imposta, spettando al giudice procedente valutarne la opportunità, potendo, semmai, essere oggetto di doglianza le ragioni che hanno indotto il giudicante a ritenere non necessaria tale verifica di carattere tecnico, cosa che, tuttavia, non risulta essere avvenuta, non avendo, in sede di gravame, la difesa dell'imputato, specificamente sollevato tale profilo, che, pertanto, al di là della genericità della doglianza, non è deducibile ora per la prima volta di fronte a questo giudice della legittimità; quanto all'aspetto riguardante la valutazione della attendibilità delle dichiarazioni delle giovane persona offesa, non può non rilevarsi che le stesse siano state avvalorate dalle stesse dichiarazioni rese dall'imputato nella dianzi ricordata sede processuale oltre che da taluni dati materiali (l'acquisto di oggetti aventi una chiara destinazione alla stimolazione erotica, simili a quelli segnalati nelle sue dichiarazioni dalla minore; la disponibilità in capo al ricorrente di filmati pornografici, circostanza questa anch'essa coerente con le dichiarazioni accusatorie della minore la quale dichiara che materiale di tale genere le era stato mostrato dal padre), mentre l'esistenza di una certa reticenza della minore a ripetere gli aspetti morfologici di taluni degli episodi di violenza sessuale dalla medesima subiti è adeguatamente spiegato dalla Corte di merito attraverso il richiamo alla volontà di quella di "rimuovere", per quanto possibile, taluni ricordi, nella stessa, peraltro, ancora ben dolorosamente presenti in lei, laddove la medesima dichiara che non intende rievocare taluni fatti "neanche se mi pagate", onde non rinnovare il dolore, e l'umiliazione, da essi generato.
Passando al successivo quarto motivo di censura, riferito alla mancata qualificazione delle condotte delittuose nell'ambito delle ipotesi di minore gravità di cui all'art. 609-quater c.p., comma 4, rileva il Collegio che risponde al vero la circostanza che gli elementi rivelatori di tale elemento circostanziale non sono dissimili sia che si tratti di violazione dell'art. 609-bis c.p. sia che si tratti di art. 609-quater c.p. - con la dovuta precisazione che, tuttavia, nella seconda ipotesi non può essere considerato quale elemento operante a favore dell'imputato il fatto di avere acquisito il consenso della persona offesa alle pratiche sessuali, posto che una tale condizione, ove mancante, più che incidere sulla gravità del reato in contestazione, si sarebbe palesata quale elemento necessario per la espressione della diagnosi differenziale fra le due figure criminose, rientrando, in tale caso, la condotta, quale che fosse l'età anagrafica della persona offesa, nell'ambito della violenza sessuale ai sensi dell'art. 609-bis c.p. (cfr. in tale senso: Corte di cassazione, Sezione 3^ penale, 3 febbraio 2020, n. 4395); rileva, altresì, il Collegio come sarebbe operazione non corretta quella di escludere dal novero delle ipotesi caratterizzate dalla minore gravità una determinata condotta sol perchè posta in essere nei confronti di soggetto avente un'età anagrafica inferiore alla maggiore età, posto che un tale dato costituisce una degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 609-quater c.p. (si veda, infatti, in tale senso: Corte di cassazione, Sezione 4^ penale, 23 gennaio 2015, n. 3284, nella quale si rileva come l'attenuante speciale prevista dall'art. 609-quater c.p., comma 4, non può essere esclusa sulla scorta della valutazione dei medesimi elementi costitutivi della fattispecie criminosa fra i quali vi è l'età della vittima).
Tanto considerato, deve tuttavia, rilevarsi, quanto al caso di specie, che la Corte giuliana, lungi dall'escludere la ricorrenza della ipotesi attenuata di reato solo in funzione del dato anagrafico, ha segnalato come la condotta del A.A. si palesasse non connotata dalla minore gravità non tanto in ragione della circostanza che i fatti avessero riguardato in soggetto minorenne, quanto in ragione: del fatto che l'agente fosse il genitore della persona offesa (fattore che svolge un ruolo non indifferente ai fini della qualificazione del fatto in questione, cfr.: Corte di cassazione, Sezione 3^ penale, 14 giugno 2022, n. 23078); del fatto che le condotte non siano state isolate ma hanno avuto una loro ripetitività (sulla rilevanza del dato: Corte di cassazione, Sezione 3^ penale, 14 dicembre 2020, n. 35695; Corte di cassazione, sezione 3^ penale, 1 febbraio 2019, n. 4960); del fatto che gli stessi avessero avuto una apprezzabile dolorosa incidenza sullo sviluppo psichico della persona offesa, la quale, oltre ad avere palesato, come la Corte di merito ha segnalato, una precoce erotizzazione, per il dolore che il ricordo di essi le cagionava, non intendeva rievocarli; del fatto che, ancora, gli stessi si inquadravano in un malsano rapporto genitoriale, testimoniato, fra le altre cose, anche dalla visione di immagini pornografiche che il A.A. somministrava alla figlia.
Nessun rilievo ha, ai fini della qualificazione del reato come espressivo di una minore gravità la circostanza, che è stata, invece, segnalata in sede di impugnazione, secondo la quale, al momento del verificarsi degli episodi di abuso sessuale, la minore non avesse avuto la capacità di apprezzarne l'effettiva gravità.
Deve, infatti, precisarsi che il requisito della maggiore o minore gravità dei fatti costituisce un predicato di carattere obbiettivo degli stessi, che prescinde dalla valutazione che ne sia stata fatta dalla persona offesa, posto che, una diversa considerazione di tale elemento potrebbe condurre a risultati manifestamente illogici, quali, ad esempio, l'esclusione della gravità del fatto nel caso in cui, stante particolari caratteristiche della persona offesa (età particolarmente immatura ovvero patologie incidenti sulla sua attitudine a valutare congruamente i dati di fatto), la stessa non ne possa effettivamente percepire la reale gravità, ovvero, a ritenere la non minore gravità laddove una esasperata sensibilità della medesima persona possa, in ipotesi, indurre quest'ultima a ritenere rivestite da particolare gravità, ed a riportarne, pertanto, un profondo turbamento emotivo, condotte che, pur costituenti reato, abbiano, invece, una non spiccata offensività.
Fattori tutti questi che, correttamente, la Corte di merito ha esaminato, nella complessiva valutazione dei dati di fatto, e che hanno concorso nell'indurre questa a plausibilmente escludere la ricorrenza della ipotesi di minore gravità (sulla valutazione complessiva che i giudici del merito debbono compiere onde rilevare l'esistenza o meno della ipotesi di minore gravità: Corte di cassazione, Sezione 3^ penale, 2 luglio 2018, n. 29618).
Venendo, a questo punto, al quinto motivo di ricorso, il cui oggetto è il mancato riconoscimento del beneficio derivante dalle circostanze attenuanti generiche, si rileva che lo stesso ha fondato il proprio assunto, cioè di essere meritevole di esse e che illegittimamente la Corte di Trieste ha negato tale riconoscimento, sulla base di dati del tutto irrilevanti a sovvertire il giudizio operato in sede di merito.
Ed invero, ricordata la natura eminentemente discrezionale del riconoscimento del beneficio in questione (così, fra le altre: Corte di cassazione, Sezione 6^ penale, 17 settembre 2012, n. 35544), si osserva che l'esclusione del beneficio è stata dettata, secondo i termini della sentenza impugnata, dalla circostanza che nessuno degli elementi che erano stati sottoposti all'esame dei giudici del gravame era espressivo di fattori tali da rendere inappropriata la sanzione che, in linea astratta, il legislatore ha comminato per condotte del tipo di quelle contestate al ricorrente; al riguardo rileva il Collegio che, considerato che i fattori sottoposti all'esame della Corte territoriale, e da questa esaminati, sono gli stessi che adesso il ricorrente ha rassegnato all'attenzione della Corte di legittimità, non appare indubbiamente segnato da alcuna manifesta irragionevolezza il giudizio da quella Corte espresso nel senso della irrilevanza di tali fattori ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
A tale conclusione di giunge ove si rifletta sul fatto che la circostanza che l'imputato sia uomo "relativamente giovane" è dato privo di qualsivoglia consistenza; è infatti, ben vero che, ai fini del riconoscimento del beneficio in questione la giovane età del prevenuto è fattore che più volte è stato valorizzato in sede giurisdizionale, ma ciò vale in quanto siffatta caratteristica anagrafica abbia influito sulla personalità del soggetto determinandone una non completa maturità e capacità di valutare il proprio comportamento secondo le norme del buon vivere civile (Corte di cassazione, Sezione 2^ penale, 10 aprile 2020, n. 11985), cosa che appare essere del tutto estranea al caso che interessa, sia perchè l'imputato aveva al momento dei fatti un'età, circa 35 anni, che può essere definita giovanile solo applicando i criteri, evidentemente non più attuali, che a tale proposito erano propri dell'antica Roma, sia perchè non vi è alcun elemento che possa far ritenere che lo stesso, per l'inesperienza di vita ovvero per l'immaturità caratteriale dovuta all'età anagrafica, non fosse in grado di valutare il significato dei propri gesti; anche la circostanza che svolgesse con regolarità un'attività lavorativa non è fattore che, caratterizzando in termini di favorevole singolarità l'individuo in questione, possa giustificare un suo personalizzato trattamento sanzionatorio, tale da giustificare una maggiore mitezza della pena di quella di cui ordinariamente sarebbe stato meritevole; il fatto che le condotte, pur ripetute, si siano svolte in un breve lasso di tempo è elemento da valutarsi, semmai, in sede di determinazione dell'aumento di pena ai sensi dell'art. 81 cpv c.p.; mentre, infine, la circostanza che non abbia subito nel corso del presente giudizio alcuna istanza risarcitoria parrebbe ascrivibile - senza che peraltro si sia determinata una qualche preclusione ad una sua ancora attuale attivazione nella sede propriamente civile - ad una certa probità della persona offesa, o comunque ad una scelta di quest'ultima, ma non è sicuramente espressiva di una qualche meritevolezza comportamentale del prevenuto; nello stesso modo la persistenza di rapporti personali fra lui e la figlia, cioè la persona offesa, non parrebbe mitigare la gravità della condotta da quello posta in essere, essendo, semmai, indice della inesistenza di atteggiamenti ritorsivi e rivendicativi da parte di quest'ultima.
La assenza di elementi di manifesta illogicità nella motivazione della sentenza impugnata sul punto rende il motivo di ricorso chiaramente inammissibile.
Rapidamente esaminando il sesto motivo della impugnazione presentata dalla difesa del A.A. - la quale con esso lamenta la illegittimità della esclusione del beneficio dianzi esaminato in ragione del silenzio serbato dal ricorrente nel corso del giudizio, fattore che ad avviso del ricorrente farebbe gravare in senso negativo sull'imputato una modalità di esercizio del diritto di difesa - è sufficiente osservare che, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, la esclusione del beneficio non è stata giustificata dal fatto che il A.A. abbia taciuto sulle proprie condotte, comportamento rispondente ad una legittima strategia processuale, quanto dal fatto che, col proprio tacere, il A.A. ha omesso di segnalare, al di là degli irrilevanti profili dianzi discussi, l'esistenza di altri eventuali fattori che, consentendo una ricostruzione dei fatti alternativa a quella propugnata dalla pubblica accusa ovvero dimostrando una presa di distanza da parte dell'imputato rispetto alle sue precedenti condotte, avrebbero evidenziato la sussistenza di elementi tali da permettere il riconoscimento del beneficio in questione.
Riguardo al settimo motivo, attinente alla determinazione della pena base in misura superiore al minimo edittale, va detto che, essendo stata la stessa ampiamente contenute ben al di sotto del medio edittale, pari all'epoca dei fatti ad anni 7 e mesi 6 di reclusione, l'onere motivazionale deve intendersi assolto anche solamente attraverso il riferimento alla congruità della pena sulla base dei criteri di determinazione della stessa fissati dall'art. 133 c.p., e segg., operazione questa che, nel caso di specie, è stata puntualmente ed esaurientemente compiuta dal giudice del gravame.
L'ottavo motivo di ricorso, riguardante il mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, è palesemente inammissibile atteso che, stante l'entità della sanzione penale irrogata, la sospensione condizionale della pena non è neppure ipotizzabile.
Venendo, a questo punto, al nono motivo di impugnazione - ultimo fra quelli ancora da esaminare, essendo già stato preliminarmente scrutinata l'inammissibilità del decimo motivo di ricorso - il quale riguarda l'irrogazione della pena accessoria della perdita della potestà (recte: responsabilità) genitoriale, rileva il Collegio che anche questo è manifestamente infondato.
Si osserva, infatti, che la previsione normativa prevede l'irrogazione, da ritenersi obbligatoria ricorrendone le condizioni formali (a tale proposito si veda, infatti: Corte di cassazione, Sezione 3^ penale, 6 febbraio 2019, n. 5807), della sanzione accessoria, per quanto ora interessa, della revoca della responsabilità genitoriale nelle ipotesi in cui vi sia stata condanna o applicazione della pena per alcuni dei delitti previsti dagli artt. 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 609-undecies c.p. quando la qualità di genitore sia elemento costitutivo o circostanza aggravante del reato; sostiene la ricorrente difesa che nel caso che ora interessa siffatta condizione non ricorra in quanto, per un verso, il reato è un reato comune che non richiede quale suo elemento costitutivo la qualifica di genitore in capo al soggetto agente ed in quanto, per altro verso, la qualità di genitore non era stata contestata al prevenuto neppure come elemento circostanziale aggravante del reato commesso; d'altra parte, aggiunge il ricorrente, l'inapplicabilità dell'elemento derivante dal rapporto di filiazione esistente fra imputato e persona offesa in guisa di circostanza aggravante del reato deriverebbe, oltre che dal profilo processuale della omessa sua contestazione nel capo di imputazione, anche dal fatto che siffatta relazione avrebbe determinato l'applicazione della disposizione incriminatrice prevista dall'art. 609-quater c.p., comma 1, n. 2) per cui non sarebbe possibile fare valere siffatta condizione due volte a carico dell'imputato.
Si tratta di argomentazioni prive di pregio.
Partendo da quest'ultima, deve rilevarsi (a prescindere dalla sua inconciliabilità logica con l'argomento dianzi svolto dalla difesa del ricorrente in ordine alla insussistenza fra gli elementi costitutivi del reato a lui contestato della qualità di genitore, atteso che siffatta qualifica costituisce uno degli elementi costitutivi dell'ipotesi delittuosa di cui all'invocato art. 609-quater c.p., comma 1, n. 2, e, se questa fosse l'ipotesi contestata al A.A., l'irrogazione della pena accessoria ora messa in discussione sarebbe giustificata essendo, appunto, la qualità di genitore elemento costitutivo del reato per cui è intervenuta condanna) che, diversamente da quanto pare ritenere il ricorrente, a suo carico è stata emessa sentenza di condanna ai sensi dell'art. 609-quater c.p., comma 1, n. 1), cioè avere intrattenuto rapporti sessuali con persona che al momento dei fatti non aveva compiuto gli anni 14; si tratta effettivamente di reato comune che prescinde da una qualche qualifica soggettiva in capo al soggetto agente, di tal che la questione adombrata dalla ricorrente difesa e relativa alla possibile presenza di una ipotesi di bis in idem sostanziale, stante la pretesa duplice valutazione a carico del prevenuto della qualità di genitore della persona offesa, non ha alcun albergo nella presente fattispecie.
Ma altrettanto infondata è la questione avente ad oggetto la mancata contestazione della qualità di genitore come circostanza aggravante della condotta delittuosa; come è, infatti, noto il testo vigente al momento dei fatti contestati dell'art. 609-ter c.p., comma 1 n. 5), prevedeva quale circostanza aggravante la commissione della condotta delittuosa in danno di persona che non aveva compiuto i 18 anni ove l'agente fosse stato, fra l'altro, il genitore.
Premessa la evidente irrilevanza della mancata indicazione fra le disposizioni in ipotesi violate del citato art. 609-ter c.p., comma 1, n. 5), nel testo vigente al momento del fatto (disposizione da ritenersi astrattamente preferibile e quindi applicabile al caso ora in esame, in quanto più mite, rispetto all'ora vigente art. 609-ter c.p., comma 1, n. 1, il quale non prevede la limitazione ai soli fatti commessi in danno di soggetto minorenne), della qualifica soggettiva rivestita dal ricorrente, trattandosi di elemento fattuale chiaramente formante l'oggetto della contestazione in quanto puntualmente richiamato nella descrizione del fatto (si veda, a tale proposito, ai fini della validità di tale modalità di contestazione, per tutte: Corte di cassazione, Sezione 2^ penale, 27 maggio 2020, n. 15999), ed essendo altresì irrilevante che lo stesso non abbia determinato - per un verosimile errore del giudice di primo grado rilevato dalla Corte di merito, senza che su di esso fosse possibile porvi rimedio in sede di gravame in assenza di impugnazione di parte pubblica, stante il divieto di reformatio in pejus - alcun aggravamento della pena irrogata, deve ora considerarsi - pur nella consapevolezza della esistenza di un'indicazione giurisprudenziale opposta (Corte di cassazione, Sezione 3^ penale, 22 ottobre 2019, n. 43244) - che le aggravanti previste dall'art. 609-ter c.p. debbono intendersi applicabili anche alle ipotesi di cui all'art. 609-quater c.p..
Ritiene, infatti, che debba essere valorizzato in tale senso il disposto normativo (oltre al dato logico che, diversamente opinando, rimarrebbero singolarmente escluse dal novero delle ipotesi aggravate, le ipotesi di atti sessuali commessi con soggetti minore, al di fuori dei casi di violenza sessuale, commessi da persona che versi in una delle condizioni di cui all'art. 609-ter c.p., n. 3 ed ancora al n. 5-bis, 5-ter, 5-quinquies, 5-sexies seconda ipotesi e 5-septies della medesima disposizione), il quale prevede che, alle condotte di cui all'art. 609-quater c.p. sia applicabile il medesimo trattamento sanzionatorio previsto per l'art. 609-bis c.p.; in tale previsione deve ritenersi ricompreso anche l'aumento espressamente previsto quanto alle pene stabilite, appunto, per l'art. 609-bis c.p. laddove ricorrano le circostanze aggravanti indicate, appunto, nell'art. 609-ter c.p..
Tanto considerato, rilevato che nella ipotesi in questione deve ritenersi sussistente, come dianzi ricordato, l'ipotesi aggravata derivante dal combinato disposto dell'art. 609-quater c.p., comma 1, n. 1), e art. 609-ter c.p., comma 1, n. 5, nel testo vigente anteriormente alla novella derivante dalla entrata in vigore della L. n. 69 del 2019, correttamente la Corte di appello di Trieste ha ritenuto legittimamente irrogata a carico dell'imputato anche la sanzione accessoria della revoca della responsabilità genitoriale.
Derivando da tale rilievo la manifesta infondatezza anche del nono motivo di impugnazione, il ricorso deve essere dichiarato nel suo complesso inammissibile ed il ricorrente, visto l'art. 616 c.p.p., va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento, si dispone che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle persone, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 16 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2023