Giu Le condizioni necessarie per la configurabilità del reato di circonvenzione di persone incapaci
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 21 dicembre 2023 N. 51247
Massima
Ai fini della configurabilità del reato di circonvenzione di persone incapaci sono necessarie le seguenti condizioni:
a) l'instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente, in cui quest'ultimo abbia la possibilità di manipolare la volontà della vittima, che, in ragione di specifiche situazioni concrete, sia incapace di opporre alcuna resistenza per l'assenza o la diminuzione della capacità critica;
b) l'induzione a compiere un atto che importi per il soggetto passivo o per altri qualsiasi effetto giuridico dannoso;
c) l'abuso dello stato di vulnerabilità che si verifica quando l'agente, consapevole di detto stato, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine e cioè quello di procurare a sè o ad altri un profitto;
d) la oggettiva riconoscibilità della minorata capacità, in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 21 dicembre 2023 N. 51247

Il ricorso è inammissibile perchè articolato su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.

1. La difesa ha dedotto, con i primi tre motivi di ricorso, vizio di motivazione sulla dichiarazione di responsabilità del ricorrente per il reato di cui all'art. 643 c.p. e violazione di legge con riguardo alla integrazione degli estremi della norma incriminatrice.

E, tuttavia, a ben guardare, sotto il profilo della violazione di legge sostanziale, la difesa finisce per contestare il giudizio di responsabilità, ovvero il risultato probatorio cui sono approdati i giudici di primo e secondo grado che, con valutazione conforme delle medesime emergenze istruttorie, sono stati concordi nel ravvisare tali elementi nella ricostruzione della concreta vicenda processuale; il vizio di violazione di legge va dedotto contestando la riconducibilità del fatto come ricostruito dai giudici di merito - nella fattispecie astratta delineata dal legislatore; altra cosa, invece, contestare o mettere in dubbio che le emergenze istruttorie acquisite consentano di ricostruire la condotta di cui si discute in termini idonei a ricondurla al paradigma legale, operazione, questa, che è, invece, propria del giudizio di merito essendo certamente preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata ovvero l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, anche qualora indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., Sez. 6 -, n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507; cfr., ancora, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148).

Con riguardo, poi, al vizio di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non è inutile ribadire che il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere mirato a verificare che quest'ultima: a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", perchè sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, Casula, Rv. 233708; Sez. 2, n. 36119 del 04/07/2017, Agati, Rv. 270801).

Non sono perciò deducibili, in sede di legittimità, censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua manifesta illogicità, la sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali per pervenire ad una diversa conclusione dei processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965; Sez. 2 -, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747).

Va ad ogni modo ribadito che, nel caso di specie, si è in molti casi in presenza di una "doppia conforme" di merito, ovvero di decisioni che, nei due gradi, giungono a conclusioni analoghe sulla scorta di una conforme valutazione delle medesime emergenze istruttorie, cosicchè vige il principio per cui la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia quando operi attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia quando, per l'appunto, adotti gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette in maniera congiunta e complessiva ben potendo integrarsi reciprocamente dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (cfr., Sez. 2 -, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, Valerio, 252615; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).

2.1 Tanto premesso, rileva il collegio che A.A. era stato chiamato a rispondere del delitto di cui all'art. 643 c.p. "... perchè... abusando dello stato di infermità o deficienza psichica di B.B., affetto da sindrome ansioso depressiva con quadro psicopatologico cronico da schizofrenia, con invalidità al 100%, lo induceva a compiere degli atti comportanti un effetto giuridico per lui dannoso, inducendolo a sottoscrivere: 1) un rogito notarile con il quale il secondo vendeva al primo la nuda proprietà del fabbricato ad uso civile abitazione ubicato in (Omissis) al prezzo di Euro 7.500 che, peraltro, l'acquirente ometteva di versare al venditore; 2) una scrittura privata, denominata contratto d'appalto e datata 18 luglio 2017 (...) con il quale B.B. s'impegnava ad affidare alla Pardo Srl di (Omissis), legalmente rappresentata dallo stesso A.A., la completa gestione dei lavori di messa in sicurezza e parziale ripristino dell'immobile di cui al n. 1), al prezzo di Euro 7.500, da corrispondersi in via anticipata rispetto all'inizio dei lavori che, peraltro, non venivano - neanche loro - mai iniziati ed eseguiti".

2.2 Dalla ricostruzione offerta dalle due sentenze di merito risulta che la persona offesa era un soggetto anziano, invalido al 100% ed assistito dal Comune di (Omissis) perchè affetto da "sindrome ansioso depressiva" con quadro psicopatologico cronico (schizofrenia), per questa ragione ricoverato dal 2013 presso al RSA dedicata a persone affette da problematiche mentali (cfr., pag. 6 della sentenza di primo grado e la relazione clinica psichiatrica a firma del Dott. C.C.).

Proprio in considerazione dello stato di salute del predetto, era stata la Dott.ssa D.D., nel 2011, a trattare con la famiglia A.A. la vendita del box di proprietà del medesimo che, nella occasione, era stato assistilo dai servizi sociali (cfr., ivi).

Il giudice di prime cure aveva inoltre valorizzato, a conforto delle condizioni di salute mentale dell'uomo, anche le dichiarazioni di E.E., responsabile della RSA e F.F., assistente domiciliare del predetto, di G.G. e della stessa Dott. D.D. cui la persona offesa, nel mese di agosto del 2017, aveva riferito che la sig.ra H.H., madre di A.A., sua vicina di casa, era andata a fargli visita per convincerlo a fargli vendere la casa.

Era emerso che il 20.7.2017 l'anziano era stato prelavato da persone a lui note per fargli firmare un atto notarile che la Dott.ssa D.D. aveva recuperato e dal quale era risultata la vendita della nuda proprietà della casa di abitazione della persona offesa per la somma di Euro 7.500 che, peraltro, non era stata mai versata.

La stessa Dott.ssa D.D. aveva convocato allora il E.E. per avere notizie della somma pattuita ed era stato in quella occasione che l'imputato le aveva spigato dell'esistenza di un connesso contratto di appalto per la ristrutturazione dell'immobile per il prezzo complessivo di Euro 15.000 a carico dello stesso venditore.

Gli elementi acquisiti, secondo il primo giudice, testimoniavano in definitiva non soltanto l'esistenza di una condizione di deficienza psichica in capo alla persona offesa, nota all'imputato alla luce delle trascorse vicende contrattuali in cui l'anziano era stato assistito ma, per altro verso, l'induzione a porre in essere un ulteriore atto di disposizione patrimoniale in forza del quale costui aveva finito per trasferire la proprietà della propria casa di abitazione senza ricevere alcun corrispettivo e, anzi, obbligandosi a corrispondere all'odierno ricorrente una somma superiore al prezzo di vendita.

2.3 La difesa aveva proposto appello affidandosi ad una serie di considerazioni sostanzialmente coincidenti con quelle ribadite in questa sede ed evidenziando la incongruità, inadeguatezza o lacunosità della risposta che ad essi è stata fornita dalla Corte territoriale.

Rileva il collegio che, al contrario, le considerazioni spese dai giudici di appello per replicare alle argomentazioni difensive non prestino il fianco ai rilievi di legittimità formulati dalla difesa sia sotto il profilo della violazione di legge che, in particolare, del vizio di motivazione.

La Corte, replicando al primo motivo di appello, ha infatti congruamente osservato che la circostanza secondo cui l'anziano era ricoverato in una RSA era ben nota al ricorrente, che lo conosceva da sempre, avendo la madre del medesimo acquistato da lui un box; non altrettanto potendosi dire per quanto concerne il notaio che con l'anziano aveva avuto un incontro del tutto episodico e legato esclusivamente alla stipula dell'atto.

Del pari, la Corte ha correttamente osservato che, per ritenere lo stato di infermità rilevante ai fini del delitto in esame, non è necessario che intervenga la interdizione o la inabilitazione, aggiungendo che, ad ogni modo, la persona offesa non era stato in grado di ricordare nè quale fosse stato l'importo della vendita nè dove fosse l'assegno utilizzato per il pagamento.

Per altro verso, e sotto altro profilo, ha fatto presente che era stato praticato "... un prezzo notevolmente inferiore rispetto al generico valore espresso dal perito I.I. di cui all'allegato E delle indagini di PG tale da creare un notevole danno economico al soggetto passivo" (cfr., pag. 9 della sentenza in verifica); a ciò, ha osservato la Corte, va aggiunto il prezzo non era stato affatto corrisposto, ulteriore elemento sintomatico di come fosse stata sfruttata la debolezza della persona offesa.

I giudici di secondo grado hanno poi ritenuto irrilevante che, anni dopo, la stessa persona offesa avesse ceduto al ricorrente anche l'usufrutto, non potendosi escludere che, anche in tal caso, egli avesse agito senza avere piena contezza della entità dell'affare.

3. In definitiva, quindi, i giudici milanesi, sia pure in termini sintetici, hanno replicato compiutamente e congruamente alle doglianze difensive fornendo delle risposte esaustive in punto di fatto e, nel contempo, corrette in punto di diritto in quanto coerenti con i consolidati principi elaborati e costantemente ribaditi da questa Corte quanto al delitto di cui all'art. 643 c.p.; è appena il caso di ricordare che, ai fini della configurabilità del reato di circonvenzione di persone incapaci sono necessarie le seguenti condizioni: a) l'instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente, in cui quest'ultimo abbia la possibilità di manipolare la volontà della vittima, che, in ragione di specifiche situazioni concrete, sia incapace di opporre alcuna resistenza per l'assenza o la diminuzione della capacità critica; b) l'induzione a compiere un atto che importi per il soggetto passivo o per altri qualsiasi effetto giuridico dannoso; c) l'abuso dello stato di vulnerabilità che si verifica quando l'agente, consapevole di detto stato, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine e cioè quello di procurare a sè o ad altri un profitto; d) la oggettiva riconoscibilità della minorata capacità, in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti (cfr., Sez. 5, n. 29003 del 16.4.2012, Strino; Sez. 2, n. 39144 del 20.6.2013, Alfaro Yepez; Sez. 2, n. 28080 del 12.6.2015, Benucci).

Quanto al primo dei sopra richiamati presupposti, è pacifico che il delitto in esame non esige che il soggetto passivo versi in stato di incapacità di intendere e di volere, essendo sufficiente anche una minorata capacità psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l'altrui opera di suggestione e pressione (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 3209 del 20.12.2013, Di Mauro; Sez. 2, n. 24192 del 2, 5.3.2010, Conte; Sez. 2, n. 19834 dell'1.3.2019).

In merito alla condotta descritta dalla norma incriminatrice, questa Corte ha inoltre più volte ribadito che l'"induzione" implica il compimento di attività di sollecitazione e suggestione capaci di far sì che il soggetto passivo presti il suo consenso al compimento dell'atto dannoso, con la conseguenza che, ai fini dell'integrazione del reato, non è sufficiente che l'agente si limiti a trarre giovamento dalle menomate condizioni psichiche del soggetto passivo (cfr., Sez. 2, n. 1419 del 13.12.2013, Pollastrini) e che deve sussistere correlazione tra l'azione subdola dell'agente e la ridotta capacità di autodeterminarsi della vittima a causa della mancata o diminuita capacità critica (cfr., Sez. 2, n. 9358 del 12.2.2015, Renna).

Altrettanto consolidata è la affermazione secondo cui la prova dell'induzione non deve necessariamente essere raggiunta attraverso episodi specifici, ben potendo risultare anche in via indiretta, indiziaria e presuntiva, ovvero desunta sulla scorta di elementi gravi, precisi e concordanti, come anche sul piano logico, avuto riguardo, in particolare, alla natura degli atti compiuti, alla mancanza di ogni loro plausibile giustificazione ed all'incontestabile pregiudizio da essi derivato nel patrimonio della parte offesa (cfr., Sez. 2, n. 48302 del 15.10.2004, Derosas; Sez. 6, n. 266 del 29.10.1996, Bullaro; Sez. 1, n. 16575 del 31.3.2005, Siciliano, Sez. 2, n. 6078 del 9.1.2009, Tripodi).

In ordine, infine, alla riconoscibilità dello stato di deficienza psichica, è utile ancora una volta richiamare la giurisprudenza di questa Corte e, segnatamente, di questa Sezione, che ha avuto modo di chiarire che "se è vero che lo stesso deve essere oggettivo, non è tuttavia necessario che tutti ne siano consapevoli, essendo richiesta la relativa consapevolezza solo in capo all'autore del reato desumibile anche dalla arrendevolezza del soggetto" (cfr., Sez. 2, n. 19739 del 21.3.2018, Romeo, non massimata).

L'oggettiva riconoscibilità tale che "chiunque" possa abusarne (cfr., Sez. 2, n. 19843 dell'1.3.2019, A.; Sez. 5, n. 2003 del 16.4.2012., Strino), deve essere intesa nel senso che il "chiunque" va identificato non già con qualunque persona che entri in contatto in maniera occasionale e fugace con l'interessato ma con "chiunque" intrattenga con costui un rapporto tale da consentire di rendersi conto della facilità con cui la vittima è suscettibile di essere condizionata e influenzata nelle sue scelte con specifico e particolare riferimento a quelle relative ai propri interessi patrimoniali.

4. L'inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., della somma - che si stima equa - di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragione alcuna d'esonero.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Dispone, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, che sia apposta, a cura della cancelleria, sull'originale del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2023