Giu la circostanza aggravante della disponibilità di armi nel reato di associazione per delinquere di stampo mafioso
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - 21 dicembre 2023 N. 51151
Massima
In tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, la circostanza aggravante della disponibilità di armi, prevista dall'art. 416-bis c.p., comma 4, è configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa, per l'accertamento della quale assume rilievo anche il fatto notorio della stabile detenzione di tali strumenti di offesa da parte del sodalizio mafioso.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - 21 dicembre 2023 N. 51151

0. I ricorsi sono complessivamente infondati, salva la necessità di operare una revisione del giudizio di responsabilità in relazione a specifiche imputazioni - quella associativa contestata a B.B., e quella di danneggiamento seguito da incendio per D.D. - come si specificherà nel prosieguo.

Va segnalato che in ordine all'impianto generale riguardante la ravvisata associazione di stampo mafioso, le sentenze di ambo i gradi costituiscono un corpo motivazionale integrato, dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218), che in tali termini deve essere assunto anche nella denuncia dei vizi di legittimità, nei limiti della loro rilevanza.

1. Posizione dell'imputato D.D..

1.1. Il ricorrente è attinto da propalazioni di vari collaboratori di giustizia intranei al clan dei (Omissis) - specificamente: H.H., I.I. e M.M. - che la difesa dell'imputato ha tacciato di falsità. Tale critica è però rimasta nel limbo della genericità, laddove ha contestato sterilmente l'affermazione di appartenenza del all'associazione in discorso per il mero dato di non avere mai riportato precedenti condanne per vicende di mafia e per la ritenuta derivazione della condanna a tale titolo dalla mera circostanza di essere il fratello del più noto "(Omissis)". Peraltro, nessuna incidenza in senso contrario alle argomentate indicazioni delle sentenze di merito deriva dall'annotazione per cui non vi è traccia di una formale affiliazione del D.D. nell'aprile 2011 e di un recesso dall'associazione nel maggio 2012, tali essendo i termini della contestazione associativa in esame.

E' evidente che l'imputazione n. 1 fotografa uno scorcio di vita associativa, non necessariamente coincidente con il primo ingresso del D.D. nella compagine, anche a tenore delle propalazioni del H.H., il quale aveva registrato un'attività del ricorrente in seno all'associazione fin dal 2007, allorchè i vertici del clan erano stati arrestati nell'ambito dell'operazione (Omissis) e dal carcere avevano designato D.D., rimasto libero, per la gestione delle estorsioni. Tale attività di cura del settore estorsivo è stata attestata tra il 2007 ed il 2012, rientrando dunque ampiamente nei margini temporali della contestazione associativa elevata nel processo in esame. Quanto alla data finale, neppure essa coincide con il recesso dell'imputato dall'attività associativa, sempre a tenore delle propalazioni del H.H., che aveva rilevato - una volta uscito dal carcere - che D.D. era ancora operativo nel periodo 2013/2017, nonostante avesse trattenuto per sè del denaro provento delle estorsioni. Informazioni convergenti erano state rese dal collaboratore L.L., sia in ordine alla partecipazione associativa del D.D. in qualità di esattore delle estorsioni, che con riguardo ai periodi di svolgimento di detta attività. Ulteriori conferme della partecipazione del ricorrente al gruppo dei (Omissis) sono pervenute dal collaboratore M.M., che aveva riconosciuto in fotografia D.D. quale associato dedito al monitoraggio del territorio di Tortorici per individuare imprese da sottoporre ad estorsione, attività condotta insieme al cugino P.P..

Pertanto, è evidente che la responsabilità per l'imputazione associativa poggia sulla convergente chiamata in reità dei citati collaboratori di giustizia, che hanno offerto sovrapponibili indicazioni in tema di partecipazione associativa e settore di attività affidato al ricorrente, individuando dunque quella stabilità del rapporto tra il singolo e la consorteria che a tenore dell'esegesi di legittimità si comprova, di regola, attraverso la fideliz2:azione dei comportamenti, il rispetto delle gerarchie e delle regole e il puntuale adempimento degli ordini ricevuti dal gruppo di appartenenza (così, in motivazione, Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889-01). Pertanto, nel caso del D.D. rileva il compimento di attività causalmente orientate a favore dell'associazione, elemento che non richiede ulteriori indici probatori in ragione della indubbia autoevidenza del ruolo di esattore delle estorsioni, concordemente evocato dai collaboratori di giustizia.

1.2. In ordine alle critiche rivolte all'affermazione di responsabilità per i reati sub n. 2 e n. 4, si osserva quanto segue.

1.2.1. Risulta fondata su solide basi la condanna a titolo di concorso nella tentata estorsione ai danni dell'impresa di F.F., i cui mezzi erano stati danneggiati per intimidazione finalizzata a trarre proventi estorsivi.

La prova della partecipazione del ricorrente a tale delitto risiede nella captazione ambientale della conversazione del (Omissis) tra gli imputati A.A. e B.B. nella vettura del primo; ad un certo punto si registrava l'arrivo del D.D., che si poneva alla guida del mezzo, edotto dal A.A. sull'uso del cambio automatico, indirizzandosi verso l'obiettivo dell'estorsione. Qui giunti, A.A. e B.B. scendevano dalla vettura, e D.D. si allontanava alla sua guida con l'intesa di tornare a riprenderli una volta operato il danneggiamento, ma in un posto diverso e con diversa vettura, cautele invocate dal A.A. che temeva l'individuazione della sua macchina. Invero, si constatava che nella tarda serata del 6 (Omissis), nel cantiere ove si trovava il Caterpillar 215 del F.F., era stato appiccato un incendio aula cabina di tale veicolo industriale, nella quale era stata anche rinvenuta una grossa pietra, elemento che era stato citato nella conversazione a proposito delle modalità con cui appiccare l'incendio.

Non osta alla configurabilità della tentata estorsione la mancata denuncia dell'estorto, trattandosi di un reato perseguibile d'ufficio, ed essendo nella specie chiaramente individuata la condotta materiale, l'intento perseguito dai concorrenti e le circostanze di tempo e di luogo del tentativo. Sotto il profilo giuridico, i giudici di merito hanno pure evidenziato la ricorrenza degli elementi dell'estorsione ambientale, ben nota nel contesto geografico della vicenda in esame, rilevando che ai fini della configurabilità del tentativo non sono necessarie nè esplicite richieste di pagamento, nè la denuncia di tali pratiche. Secondo l'insegnamento nomofilattico, "In tema di estorsione, la costrizione, che deve seguire alla violenza o minaccia, attiene all'evento del reato, mentre l'ingiusto profitto con altrui danno si atteggia a ulteriore evento, sicchè si configura il solo tentativo nel caso in cui la violenza o la minaccia non raggiungano il risultato di costringere una persona al facere ingiunto" (Sez. 2, n. 3934 del 12/01/2017, Liotta e altri, Rv. 269309; massime precedenti conformi: n. 11922 del 2013, Rv. 254798, n. 41167 del 2013, Rv. 256728).

1.2.2. Diversamente deve dirsi per il concorso del ricorrente nel reato di danneggiamento seguito da incendio contestato al n. 4 della rubrica.

Per tale imputazione, le critiche del ricorso non sono peregrine, laddove evidenziano la pochezza del sostrato probatorio a fondamento dell'affermazione di responsabilità del D.D., indicato come concorrente di A.A. e C.C. soltanto per la circostanza che, poco dopo le ore 18.00 del (Omissis), prima dell'incendio dei mezzi nel cantiere dell'impresa E.E., segnalato alle ore 21.00, costoro erano passati nei pressi del luogo di lavoro del ricorrente (vds. pag. 9, ultime righe, dell'impugnata sentenza).

Non soccorre la sentenza di primo grado a chiarire in qual modo la successiva scoperta della presenza di una microspia nella vettura del C.C. e la conversazione intercorsa tra costui e D.D.CONTI, denotante la preoccupazione dei due su quanto tale congegno potesse avere disvelato, abbiano offerto elementi di maggiore concretezza in ordine al concorso del ricorrente con gli altri imputati per il danneggiamento in discorso. Nella captazione si parla di una non meglio specificata sera, e il ragionamento deduttivo svolto dal teste di Polizia giudiziaria R.R , diretto ad individuare detta sera proprio in quella del danneggiamento, non esclude che i due si stessero riferendo ad altre occasioni.

Residuando una scarsa concludenza del compendio probatorio a carico del D.D. per tale titolo di reato, lo snodo dovrà essere chiarito in sede di rinvio, dovendosi sul punto operare l'annullamento dell'impugnata sentenza.

1.3. L'ultimo motivo di impugnazione, che contesta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, motivo comune agli altri ricorrenti, sarà trattato unitariamente in fra.

2. Posizioni degli imputati A.A. e C.C., che si esaminano congiuntamente attese le analoghe censure proposte dai ricorrenti.

2.1. Quanto alle critiche, ribadite nei motivi aggiunti proposti dal A.A., che contestano la sufficienza del quadro probatorio riguardante la partecipazione associativa di detti ricorrenti, alla luce dell'esegesi di legittimità in tema di individuazione del minimum di contributo associativo, si osserva quanto segue.

La citata sentenza delle Sezioni Unite Modaffari, n. 36958 del 27/5/2021, ha individuato nel compimento di attività causalmente orientate a favore della associazione l'elemento sintomatico dell'appartenenza del singolo alla struttura collettiva, non richiedendosi in tali casi ulteriori indici probatori in ragione della loro indubbia autoevidenza (infatti, l'organicità del singolo può trarsi dalla mera reiterazione di condotte che, sebbene di semplice tenore esecutivo, siano però teleologicamente rivolte al perseguimento degli obiettivi dell'associazione, finendo per assumere inequivoca significazione); di contro, quando l'adesione al sodalizio risulti da mere forme rituali, potrebbe essere necessaria - a certe condizioni - la ricerca di ulteriori elementi comprovanti l'effettiva e stabile intraneità, in modo da rendere certa e potenzialmente duratura la "messa a disposizione" del soggetto in favore della compagine associativa.

Nelle sentenze in esame, è apprezzabile la prima ipotesi, cioè quella di adesione per fatta concludentia, e le prove dell'inserimento associativo di A.A. e C.C. sono state diffusamente citate e congruamente interpretate, in specie nella motivazione della sentenza di primo grado, con riferimento alla valutazione di attendibilità dei collaboratori di giustizia che avevano reso informazioni sul punto, tutti intranei alla cosca monitorata, sicchè il richiamo di tale snodo motivazionale ad opera della sentenza di appello, che si è specificamente soffermata a rispondere alle censure degli appellanti, è sufficiente a ritenere assolto l'onere giustificativo sul punto. Va dunque sgombrato il campo dalle generiche critiche di mancanza degli elementi strutturali dell'associazione, avanzate nel ricorso C.C., senza agganci a specifici passaggi delle sentenze integrate, e senza considerazione per l'impostazione fenomenica che si è seguita nella specie nell'individuazione dell'adesione associativa di A.A. e C.C..

Va in particolare escluso che i due imputati possano essere stati oggetto di una aprioristica presunzione di mafiosità, per la loro mera contiguità a soggetti appartenenti al clan dei (Omissis), al cospetto di precise indicazioni provenienti dal capoclan H.H., il quale aveva qualificato S.S "allevatore di (Omissis)", e "(Omissis)" abitante a (Omissis), riconosciuti in dibattimento dal collaboratore stesso, come coadiuvanti di D.D. nell'attività estorsiva condotta per conto del gruppo associato. In tali termini è stato indicato lo specifico ruolo svolto da detti imputati in ambito associativo, il che costituisce confutazione al motivo di impugnazione riportato al par. 7.3. della sintesi del ricorso dell'imputato C.C..

La circostanziata chiamata in correità del H.H. è stata riscontrata dal collaboratore I.I., per scienza diretta, supportata dalla rievocazione di varie vicende che avevano visto all'opera il trio nel settore delle estorsioni; anche il collaboratore M.M. ha attestato il ruolo svolto da A.A. e C.C. di affiancamento del D.D., dopo gli arresti che avevano decimato il clan dei (Omissis) nell'operazione (Omissis). Proprio per tale circostanza, risulta logica l'osservazione dei giudici di appello che hanno posto in luce che le cautele tenute dai ricorrenti nella frequentazione di persone del territorio già condannate per reati associativi rispondeva proprio all'esigenza di evitare vistosi coinvolgimenti durante il tempo delle indagini, dovendo gli adepti rimasti in libertà adoperarsi per il perseguimento degli scopi associativi.

Va qui trattata la censura di violazione di legge e vizio argomentativo avanzata dalla difesa del C.C. per l'omessa valorizzazione delle prove dichiarative degli ufficiali di Polizia giudiziaria in ordine agli esiti delle intercettazioni, il che costituirebbe travisamento per omissione della prova già acquisita, suscettibile di disarticolare il ragionamento probatorio della sentenza impugnata, che ha espressamente definito il compendio captativo come prova autonoma delle attività criminali riconducibili al programma dell'associazione mafiosa.

La confusa critica non spiega alcun rilievo nell'economia della decisione in ordine all'imputazione associativa, basata essenzialmente sugli apporti informativi dei collaboratori di giustizia, e sugli esiti delle attività di indagine svolte dalla Polizia giudiziaria sul territorio, anche tramite l'intrusione di microspie e GPS nelle vetture degli imputati.

Nessun dubbio teorico, dunque, sul rilievo che le intercettazioni siano un mezzo di ricerca della prova i cui contenuti, in genere, costituiscono prova autonoma di fatti dalle stesse evidenziati, essendo idonee a ricostruire il fatto da accertare (Sez. 1, n. 2195 del 19/12/1983, dep. 1984, Nappi, Rv. 162737; Sez. 1, n. 5453 del 02/04/1992, Filice e altri, Rv. 190330). Purtuttavia, nella specie, la valorizzazione di altre prove - espressamente previste dalla legge - è del tutto legittima e sufficiente a fondare la responsabilità dei ricorrenti per i titoli di reato in esame.

Quanto alle censure relative al profilo cronologico dell'adesione associativa dei ricorrenti, si osserva che l'impugnata sentenza ha dato congrua risposta alle medesime critiche proposte nel gravame, evidenziando gli esordi dell'avvicinamento di entrambi al H.H., nell'anno 2000, ad iniziativa di T.T., che li aveva presentati al capoclan come "bravi ragazzi", a disposizione per qualsiasi cosa. Il collaboratore I.I. ha riferito che l'adesione del A.A. sarebbe avvenuta nel 2006/2007, dietro presentazione di N.N.: tale dato non esprime alcuna reale contraddizione con il ricordo del H.H., sia perchè costui ha indicato l'epoca della sua prima conoscenza con A.A. e C.C., in fase di avvicinamento al gruppo, e non quella di effettiva o formalizzata adesione associativa, che ben può essere avvenuta in un momento successivo; sia perchè - come ha rilevato correttamente l'impugnata sentenza - ai fini della contestazione ex art. 416 bis c.p. rileva soltanto il periodo tra aprile 2011 e maggio 2012, in cui si sono registrati gli specifici reati-fine addebitati ai due ricorrenti.

Pertanto, anche il rilievo della labilità delle tracce del A.A. nell'indagine Gamma Interferon non è di alcuna conducenza in senso assolutorio, potendo rispondere alla già rimarcata esigenza di non attirare le attenzioni investigative, e trattandosi comunque di un periodo esterno alla formale contestazione di reato.

In ordine all'aggravante del carattere armato dell'associazione, contestata da entrambi i ricorrenti, deve qui evidenziarsi che - ad onta delle generiche critiche difensive sulla mancanza di accertamenti definitivi in ordine al clan dei (Omissis) - vi sono varie sentenze che ne hanno attestato l'esistenza e l'operatività, a seguito dei procedimenti (Omissis)Montagna(Omissis).

L'asserita assenza di indicazioni sul periodo riguardante questo procedimento non è dirimente, trattandosi per l'appunto di individuare in questa sede gli sviluppi dell'azione di alcuni membri di tale clan. Orbene, da tali sentenze definitive è già emerso il carattere armato dell'associazione, ricavato anche dalle propalazioni del collaboratore H.H., che aveva affermato la disponibilità di pistole e fucili di precisione custoditi da alcuni membri del clan. Nell'impugnata sentenza si è poi rimarcato che non risultava affatto che la disponibilità di armi definitivamente sancita dalle indicate pronunce fosse venuta meno nel periodo qui esaminato.

Si è altresì evidenziato che tale aggravante è configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi o lo ignori colposamente, in tal senso potendo anche farsi ricorso al fatto notorio della stabile detenzione di armi da parte del sodalizio mafioso. In tali termini è stata giustificata l'estensione agli odierni ricorrenti dell'aggravante in discorso.

Ritiene questa Corte che il ragionamento seguito dai giudici di merito non sia illogico, bensì coerente con l'esegesi di legittimità che ha affermato che "In tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, la circostanza aggravante della disponibilità di armi, prevista dall'art. 416-bis c.p., comma 4, è configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa,, per l'accertamento della quale assume rilievo anche il fatto notorio della stabile detenzione di tali strumenti di offesa da parte del sodalizio mafioso" (Sez. 2, n. 50714 del 07/11/2019, Caputo, Rv. 278010).

In conclusione, i motivi di ricorso che attingono la prima imputazione di reato e la circostanza aggravante del carattere armato dell'associazione sono da respingere per entrambi gli imputati.

2.2. In ordine alle censure mosse avverso l'affermazione di responsabilità per le tentate estorsione rubricate ai nn. 2 e 3, si osserva quanto segue.

Le sentenze di merito hanno offerto ragionevole motivazione, alla stregua degli elementi probatori, delle condotte dei ricorrenti causalmente indirizzate ad operare danneggiamenti dei mezzi delle imprese di U.U. e F.F., tra l'altro secondo moduli operativi analoghi (incendio delle cabine di comando), al fine di estorcere denaro agli imprenditori presi di mira.

Le censure avanzate dalla difesa dei A.A. in ordine alla sussistenza di detti reati sul piano soggettivo, per difetto di prova della condotta minacciosa ed estorsiva, sono infondate: invero, non apporta alcun contribuito sul tema il rilievo che le persone offese non abbiano sporto denuncia, addirittura ritenendo che potesse trattarsi di un incendio accidentale (tesi difensiva).

Si è infatti già ricordato che le sentenze di merito hanno richiamato il concetto di estorsione ambientale, da attribuirsi a condotte formalmente prive di esplicito contributo minatorio, ma pregne di energica carica intimidatoria e come tali percepite dalle vittime, consapevoli di operare in un tessuto socio-economico infiltrato da consorterie di tipo mafioso. A tali condizioni, risulta comprensibile che non si sia sporta denuncia da parte delle imprese interessate dagli "avvisi"; ma altrettanto evidente è che la paternità di tali azioni sia stata rivendicata dagli odierni ricorrenti nelle captazioni riportate nelle sentenze di merito, laddove dapprima A.A., conversando nella sua vettura con B.B., passava in rassegna alcuni cantieri del territorio quali possibili obiettivi di danneggiamento, soffermandosi in particolare - come ricostruito dalle indagini, che avevano individuato il tragitto della vettura tramite i tracciati del GPS in essa collocato su quello dell'impresa di , all'epoca incaricato dei lavori di ristrutturazione del campo sportivo di (Omissis), nonchè su quello della ditta aggiudicataria dell'appalto per il consolidamento della strada provinciale 157, i cui lavori erano condotti con i mezzi industriali dell'impresa di F.F..

Le conversazioni riportate in specie nella prima sentenza (pag. 37-39) sono indicative della progettazione degli attentati a tali imprese, e al contempo della preoccupazione manifestata dal A.A. che qualcuno di passaggio potesse riconoscere la sua macchina, oltre a riportare la illustrazione delle modalità che D.D. aveva dettato al A.A. per appiccare il fuoco ai mezzi da danneggiare, tramite il lancio nelle cabine di una pietra avvolta da carta incendiata, elemento riscontrato dal rinvenimento di pietre in entrambi i mezzi danneggiati.

Nella prima sentenza sono state riportate anche le conversazioni tra A.A. e B.B. (pag. 40-41) in cui questi si rammaricavano che i giornali non avessero pubblicato notizie degli atti intimidatori da loro compiuti e non si capacitavano che nessuno si fosse fatto vivo, neanche con l'intermediazione di gente del posto. In particolare, era illuminante la conversazione del 10/10/2011 intercorsa tra A.A., B.B. e C.C., del medesimo tenore, in quanto imperniata sullo stupore per la mancata diffusione della notizia delle azioni intimidatorie di quattro giorni prima: i conversanti convenivano sull'osservazione del V.V. di essere arrivati troppo tardi, a lavori quasi ultimati.

Trattandosi di conversazioni intercorse dopo alcuni giorni dagli attentati, con riferimenti cronologici coincidenti con le date dei commessi reati, se ne è logicamente ricavata la correlazione con i medesimi, anche alla stregua delle modalità operative utilizzate in ambo i casi e con il riscontro derivante dai tracciati GPS delle vetture utilizzate.

Va ancora precisato che il ruolo del C.C. non può essere declassato a mera adesione post-factum all'altrui condotta criminosa, e dunque irrilevante, essendovi invece chiara evidenza del suo concorso nelle vicende estorsive tratta dalle conversazioni in cui egli interloquisce con piena cognizione di causa degli operati danneggiamenti e sollecita B.B. ad avere pazienza in ordine agli esiti delle estorsioni, perchè "quando una cosa è cominciata, ci vogliono tempi, modi, discussioni" - come emerge dalla captazione del 17/10/2011, riportata a pag. 42 della prima sentenza - così palesando il suo contributo costituito dal seguire gli sviluppi dei danneggiamenti e dal tirarne le fila onde condurli a buon fine.

Va altresì affermata l'infondatezza delle critiche rivolte alla impossibilità di configurare il tentativo di estorsione nelle vicende in esame, ovvero la pretesa ricorrenza di una desistenza volontaria. Quest'ultimo profilo è decisamente escluso dalle captazioni fin qui richiamate, dalle quali emerge proprio la contraria intenzione degli imputati - e con nitida evidenza, del C.C. - di non tralasciare l'opera ormai avviata, ma di pazientare per giungere ad esiti positivi, nonostante il silenzio registrato sia da parte degli organi di stampa, sia da parte degli obiettivi delle estorsioni. Non vi è stata dunque alcuna volontaria desistenza, ma un tentativo compiuto, come si è illustrato nell'esame della posizione del D.D., e si ribadisce in questa sede. Invero, ai fini della configurabilità del tentativo non sono necessarie nè esplicite richieste di pagamento, nè la denuncia di tali pratiche, in quanto, secondo l‘esegesi di legittimità, "In tema di estorsione, la costrizione, che deve seguire alla violenza o minaccia, attiene all'evento del reato, mentre l'ingiusto profitto con altrui danno si atteggia a ulteriore evento, sicchè si configura il solo tentativo nel caso in cui la violenza o la minaccia non raggiungano il risultato di costringere una persona al facere ingiunto" (Sez. 2, n. 3934 del 12/01/2017, Liotta e altri, Rv. 269309; massime precedenti conformi: n. 11922 del 2013, Rv. 254798; n. 41167 del 2013, Rv. 256728).

2.3. La difesa del A.A. ha contestato l'affermazione di responsabilità per il delitto sub n. 4, riqualificato come danneggiamento seguito da incendio, ex art. 424 c.p. La censura deve essere respinta, essendovi evidenze del concorso di tale imputato, come lumeggiate nelle sentenze di merito.

Va subito smentito che non vi siano prove tecniche in ordine a tale delitto, al contrario sulla vettura del C.C. erano stati installati - dal 15/10/2011 - un GPS ed un microfono per intercettazioni ambientali, e soltanto quest'ultimo aveva smesso di funzionare negli ultimi giorni di novembre 2011, mentre il GPS era rimasto in piena efficienza.

L'individuazione degli imputati A.A., C.C. e D.D. è stata ricostruita con pienezza probatoria grazie al teste di Polizia giudiziaria Z.Z., il quale ha dato conto - come riportano le impugnate sentenze - degli esiti investigativi complessivi. Rilevano in tal senso le captazioni riportate alle pag. 44/45 della prima sentenza: quella ambientale del 29/11/2011 tra A.A. e C.C. intenti al sopralluogo del sito di (Omissis) - individuato tramite GPS - e all'accurata scelta del migliore tragitto di avvicinamento, e quella telefonica del 2/12/2011 in cui i due si davano appuntamento al bar del bivio del paese, dove veniva monitorata la vettura del C.C. dopo pochi minuti, con tragitto verso (Omissis). Alle 18.56 del 2/12/2011 vi era un'altra breve conversazione tra A.A. e C.C., in cui quest'ultimo chiedeva al primo di essere preso nel punto in cui era stato lasciato, e la vettura del C.C. si avviava ripercorrendo la stessa strada fatta in precedenza. Il giorno successivo, gli investigatori avevano ripercorso il tragitto indicato dal GPS, avvedendosi che allo svincolo di (Omissis) era ben visibile l'area di una ex cava della ditta E.E., il cui spiazzo era adibito a ricovero dei mezzi d'opera, tra cui due mezzi cingolati ed un autocarro Volvo, di cui all'imputazione de qua.

Nel pomeriggio del (Omissis), alle 18.51, il GPS segnalava che la vettura del C.C. ripeteva il tragitto del giorno precedente, fermandosi alla medesima curva, corrispondente al sito della ex cava, ed infine rientrava a (Omissis). La presenza del A.A. era certificata dall'aggancio ad opera del cellulare di detto imputato della cella corrispondente alla posizione della vettura del C.C.: alle ore 18.37 su tale cellulare qualcuno chiamava il A.A., e costui lo congedava frettolosamente dicendo di essere impegnato. Il C.C., a sua volta, era immortalato dalle immagini estrapolate dall'impianto di videosorveglianza del distributore IP di Torrenova, ove l'imputato si era fermato a fare rifornimento di carburante alle ore 19.12 del (Omissis). Quella stessa sera si era verificato il danneggiamento dei mezzi indicati nell'imputazione 4, segnalato alle ore 21.00 alla centrale operativa delle forze dell'ordine. Anche stavolta, all'interno della cabina di un caterpillar, si rinveniva una pietra di grosse dimensioni, e sul terreno in prossimità dei tre mezzi, scatole di cartone di materiale combustibile.

2.4. Le censure in ordine all'aggravante di cui all'art. 416 bis.1 c.p., contestata in relazione ai reati-fine sub capi 2, 3, 4, risultano infondate.

Quanto al profilo del metodo mafioso, i giudici di merito hanno evidenziato che - anche alla stregua del contesto territoriale in cui si inserivano le vicende estorsive, dominato dall'associazione dei "(Omissis)" - le modalità della condotta sono state certamente idonee a creare nelle vittime, individuate per la loro specifica qualità imprenditoriale, quella condizione di assoggettamento e di omertà richiesta dall'aggravante in questione: non a caso, non vi sono state denunce da parte degli estorti. La decisione è in linea con l'insegnamento per cui "Nel reato di estorsione, integra la circostanza aggravante del metodo mafioso l'utilizzo di un messaggio intimidatorio anche "silente", cioè privo di una esplicita richiesta, qualora l'associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l'avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia" (Sez. 2, n. 26002 del 24/05/2018, Pizzimenti e altri, Rv. 272884).

Anche l'agevolazione è stata palpabile, essendosi correttamente rilevato che le estorsioni erano gestite da associati a detto clan e servivano ad alimentare la cassa comune. Sul punto, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia intranei al gruppo hanno reso indicazioni convergenti e coerenti con i margini cronologici delle contestazioni di reato. In particolare, come è emerso dalle propalazioni di H.H., D.D. era coadiuvato nella conduzione delle estorsioni da A.A. nella zona di (Omissis), e da (Omissis), cioè C.C., nella zona di (Omissis).

2.5. Infine, le censure attinenti al trattamento sanzionatorio e al diniego delle circostanze attenuanti generiche saranno trattate in seguito, in unico paragrafo comune ai ricorrenti.

3. Posizione dell'imputato B.B..

3.1. In ordine alle critiche che detto ricorrente ha avanzato in merito alla contestazione sub 1, ferme restando le osservazioni svolte in precedenza quanto alla configurabilità di un contributo associativo desunto in termini di causalità efficiente derivata dalla commissione di reati-fine, si osserva tuttavia che, allo stato, la prova di affiliazione del B.B. risulta frammentaria e incompleta: infatti, essa è attestata soltanto dal collaboratore di giustizia I.I., ed in forma de relato da informazioni apprese da A.A. che nel 2014 si era lamentato con lui perchè D.D. e Z.Z. "davano confidenza" ad un tale W.W., dedito ad incendi boschivi. Dunque, anche prescindendo dall'eccentricità cronologica rispetto ai tempi della contestazione associativa attestati tra aprile 2011 e maggio 2012, si osserva che l'unica fonte collaborativa non basta a costituire prova dell'inserimento di detto ricorrente nell'associazione, e peraltro l'informazione veicolata dal A.A., in sè, non è conducente ad attestare un'adesione del B.B. al clan dei (Omissis) quanto una sua mera vicinanza a Z.Z. e a D.D..

E' necessario, dunque, rinviare l'esame del punto in questione ad una nuova valutazione di merito, previo annullamento di tale capo della sentenza, onde verificare l'esistenza in atti di più pregnanti indici di partecipazione associativa dell'imputato B.B.. Tale esito assorbe l'esame del motivo di ricorso che ha contestato l'aggravante dell'associazione armata.

3.2. Resta invece conclamata l'affermazione di responsabilità del ricorrente per i residui reati a suo carico, ossia le tentate estorsioni sub 2 e 3.

Nell'esaminare la sussistenza di tali imputazioni a carico dei coimputati A.A. e C.C., si è già enucleato il sostrato probatorio che ha consentito ai giudici di merito di riconoscere il contributo concorsuale del B.B., interlocutore diretto del A.A. nelle fasi preparatorie dell'attentato ai mezzi della ditta di F.F., quando il primo ripeteva le istruzioni date da D.D. per appiccare l'incendio ai mezzi d'opera senza rischiare di rimanere ustionati, e B.B. assentiva ed imparava il metodo della pietra avvolta nella carta incendiata, che poi i due mettevano in atto nel cantiere della ditta F.F., ove li aveva lasciati il D.D.. Si rammenta altresì il contenuto delle captazioni intercorse tra A.A. e B.B. aventi ad oggetto il rammarico dei due per la mancata pubblicazione sugli organi di stampa delle loro gesta, che dai riferimenti cronologici si era accertato essere quelle delle tentate estorsioni sub 2 e 3.

Anche per la trattazione del tema relativo all'aggravante ex art. 416 bis.1 c.p. si fa rinvio alle osservazioni svolte nel paragrafo 2.4. in ordine ai coimputati A.A. e C.C., trattandosi di censure analoghe a quelle svolte sul punto da detti ricorrenti.

4. Infine, si trattano di seguito le censure attinenti alla negazione delle circostanze attenuanti generiche, invocate da tutti i ricorrenti, e alla dosimetria delle sanzioni.

Il primo punto deve essere respinto, in base alla constatazione della sufficienza e logicità della motivazione che ha negato agli imputati le attenuanti ex art. 62 bis c.p., osservando che a tal fine non è più dirimente la condizione di incensuratezza degli imputati D.D., A.A. e C.C. (mentre B.B. presenta vari precedenti penali), e che i fatti sono di intrinseca gravità, in quanto commessi in ambito associativo - salva, per B.B., la verifica che si dovrà compiere al riguardo - e in un prolungato periodo di tempo; si è aggiunto che non risultano elementi positivamente valutabili a favore degli imputati. Trattandosi di motivazione congrua e non affetta da elementi di manifesta illogicità, essa non è intaccata dalle critiche difensive qui illustrate.

Il ricorrente B.B. ha lamentato l'assenza di specifica motivazione in ordine all'entità della pena base, ossia quella per il reato associativo, nonchè a quella per i reati satellite. Si osserva che, in considerazione dell'annullamento sul punto del delitto associativo, il concreto trattamento sanzionatorio è ancora sub iudice, sicchè eventuali conferme o riforme comporteranno anche la necessaria revisione del trattamento sanzionatorio, così da specificare le ragioni della dosimetria delle pene per il reato base e per quelli satellite, come richiede l‘esegesi di legittimità, da ultimo con la sentenza delle Sezioni Unite n. 47127 del 24/6/2021, Pizzone, Rv. 282269.

Il ricorrente C.C. ha censurato il meccanismo di determinazione del trattamento sanzionatorio, lamentando la scarsa riduzione della pena a seguito dell'esclusione dell'aggravante della molteplicità di persone riunite e l'indifferenziato aumento di un mese per i reati satellite sub 2, 3, 4, profili che determinerebbero la violazione del divieto di reformatio in peius.

La censura è infondata alla stregua dell'orientamento esegetico per cui "Non viola il divieto di reformatio in peius previsto dall'art. 597 c.p.p. il giudice dell'impugnazione o del rinvio che, per effetto del mutamento della struttura del reato continuato per essere la regiudicanda satellite divenuta la più grave, apporti per uno dei fatti unificati dalla identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore" (Sez. 3, n. 1957 del 22/06/2017, dep. 2018, Vallozzi e altri, Rv. 272072; Sez. 1, n. 26645 del 10/04/2019, Jerevija, Rv. 276196; Sez. 2, n. 48538 del 21/10/2022, Tiscione, Rv. 284214).

5. Restano da enunciare le statuizioni riguardanti le parti civili costituite per le spese difensive sostenute in questo grado di legittimità.

Gli imputati A.A., C.C. e B.B., già assoggettati senza contestazioni alla condanna risarcitoria generica - con riferimento al reato sub 4 - in favore di E.E., devono essere condannati alla rifusione delle spese sostenute di questa parte civile nella misura determinata in dispositivo.

Tutti i ricorrenti sono tenuti a mantenere indenne dalle spese di costituzione e difesa in giudizio la parte civile F.F., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, con liquidazione da effettuarsi dalla Corte di appello di Messina con separato decreto di pagamento, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

Parimenti, tutti gli imputati dovranno rifondere le spese di costituzione e difesa sopportate dalle seguenti associazioni costituitesi parte civile: (Omissis) Messina, FAI Antiracket S. Agata Militello "(Omissis)", Centro studi e iniziative culturali "(Omissis)" e (Omissis), spese che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi di A.A. e di C.C., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Annulla la sentenza impugnata da D.D., limitatamente al reato sub 4, e da B.B., limitatamente al reato sub 1, con rinvio per nuovo giudizio su tali capi ad altra sezione della Corte di appello di Messina. Rigetta i ricorsi di D.D. e di B.B. nel resto.

Condanna A.A., C.C. e B.B. alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile E.E., che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre accessori di legge.

Condanna, inoltre, tutti gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile F.F., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Messina con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

Condanna, infine, tutti gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (Omissis) Messina, FAI Antiracket S. Agata Militello "(Omissis)", Centro studi e iniziative culturali "(Omissis)" e (Omissis), spese che liquida, per il Comitato (Omissis) i in complessivi Euro 3.510,00, oltre accessori di legge, e, per le altre parti civili, in complessivi Euro 5.000,00, oltre accessori di legge, per ciascuna parte civile.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2023