Giu confidenze autoaccusatorie dell'imputato ad un collaboratore di giustizia - natura giuridica
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - 20 dicembre 2023 N. 50824
Massima
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che le confidenze autoaccusatorie dell'imputato ad un collaboratore di giustizia, che ne abbia successivamente riferito nelle proprie dichiarazioni, hanno natura confessoria, di talchè, una volta vagliata positivamente l'attendibilità del collaboratore ai sensi dell'art. 192 c.p.p., comma 3, dispiegano piena efficacia probatoria, alla sola condizione che se ne apprezzi la sincerità e la spontaneità, in modo da potersene escludere la riconducibilità a costrizioni esterne o a possibili intenti autocalunniatori.

E' stato precisato che i riscontri, dei quali la narrazione necessita, possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che esso sia indipendente; esso può consistere anche in altre chiamate in correità - purchè la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che occorre riscontrare, e deve avere valenza individualizzante, cioè deve riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilità dello stesso all'imputato; non è richiesto, invece, che i riscontri abbiano lo spessore di una prova "autosufficiente" perchè, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità.

Casus Decisus
1. Con sentenza emessa il 13 novembre 2020, il Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Caltanissetta, in esito a giudizio abbreviato, operata la riduzione per la scelta del rito, condannava A.A. alla pena di anni trenta di reclusione e al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili costituite, per il reato di strage commesso in Pizzolungo di Valderice il 2 aprile 1985. A.A. era accusato di aver fatto esplodere, in concorso con F.F., + Altri Omessi. In particolare, nel giorno e nel luogo predetti, era stata fatta esplodere un'autovettura carica di esplosivo parcheggiata a ridosso di un muretto e l'esplosione aveva coinvolto le auto della polizia di scorta al magistrato E.E. e l'autovettura che transitava vicino, occupata dalla signora I.I. e dai suoi figli. La deflagrazione era stata innescata mediante un telecomando, azionato da breve distanza. Nella stessa mattina era stata notata dal personale della polizia un'auto sospetta, ritrovata successivamente in stato di abbandono. Dopo un lungo periodo in carenza di informazioni sui responsabili, alcuni collaboratori di giustizia avevano offerto diverse notizie sulla strage, consentendo di individuare lo scopo dell'attentato nella dimostrazione della forza del sodalizio mafioso degli autori nei confronti delle istituzioni e ad impedire che l'attività investigativa del magistrato E.E., all'epoca Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani, potesse continuare nei confronti della stessa organizzazione criminosa. 2. Con sentenza emessa il 5 aprile 2022, la Corte di assise di appello di Caltanissetta, adita dall'imputato, confermava integralmente la sentenza di condanna di primo grado. 2.1. Il giudice di appello, prima di analizzare le doglianze difensive, ripercorreva sinteticamente le rilevanze processuali emerse nel giudizio di primo grado, come l'organigramma delle famiglie mafiose e il ruolo dei soggetti coinvolti nella strage. Veniva evidenziata la posizione di A.A., quale uomo di fiducia di L.L., già condannato per la strage di Pizzolungo. Dalle precedenti condanne riportate da A.A., quale rappresentante della famiglia mafiosa dell'Acquasanta e membro del mandamento di Resuttana, erano stati tratti dal giudice di primo grado taluni elementi di riscontro logico rispetto alle emergenze probatorie del presente giudizio, come il protagonismo di A.A. all'interno del sodalizio criminoso e, segnatamente, nell'organizzazione di riunioni strategiche nel c.d. fondo (Omissis) o A.A.. 2.2. Il giudice di appello richiamava i fatti ricostruiti dal giudice di primo grado, dai quali emergeva il rapporto gerarchicamente subalterno di A.A. rispetto a L.L., i quali erano stati già condannati, per diversi reati efferati commessi in concorso tra loro, sulla base delle dichiarazioni rese da diversi collaboratori di giustizia, tra cui M.M., esecutore materiale di crimini pianificati dall'organizzazione criminosa. Veniva riferito che la pianificazione di crimini eccellenti avveniva nel fondo (Omissis), appartenente a A.A., il quale partecipava attivamente alle riunioni e apportava rilevanti contributi operativi alle attività criminali programmate. Venivano sottolineate le similitudini delle modalità con le quali si erano svolti i fatti giudicati dalle precedenti pronunce di condanna, come l'utilizzo di esplosivi della medesima composizione. 3. La difesa di A.A. ha proposto ricorso per cassazione, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), con riguardo all'art. 42 c.p. e art. 192 c.p.p., comma 3. 3.1. In primo luogo, la difesa censura la motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice di appello avrebbe argomentato, circa la partecipazione di A.A. alla strage, sulla base delle dichiarazioni di N.N. e M.M., ritenute dal ricorrente prive del carattere di necessaria decisività. In particolare, la difesa osserva come il coinvolgimento nelle indagini di A.A. sia avvenuto dopo ben sedici anni dall'inizio della collaborazione di M.M., e ciò certamente indicherebbe la piena inattendibilità di quest'ultimo. La Corte di assise di appello ha giustificato la tardività del racconto unicamente per la vastità dei fatti di cui è a conoscenza M.M. ma, per la difesa, il giudice investito del gravame avrebbe dovuto analizzare specificamente la genesi della collaborazione del dichiarante e il rapporto intercorrente tra il dichiarante e l'accusato. 3.2. Quanto alle dichiarazioni di N.N., la difesa ne sostiene l'intrinseca inattendibilità e l'assenza di una specifica valutazione circa gli eventuali motivi di astio tra quest'ultima e l'imputato. Per il ricorrente, le dichiarazioni di N.N. sarebbero estremamente generiche e imprecise. A tale riguardo, nel ricorso viene richiamata una precedente sentenza della Corte di assise di appello di E.E. resa in altro processo, nella quale le dichiarazioni di N.N. furono reputate assolutamente false e calunniose. Nel presente processo, secondo il ricorrente, il giudice di appello avrebbe espresso la propria valutazione di attendibilità della testimone solo sulla base dell'esistenza di ulteriori riscontri esterni; avrebbe utilizzato le dichiarazioni stesse quale riscontro esterno a quelle rese da M.M.; avrebbe solo notato che il procedimento a carico di N.N. per calunnia nei confronti del fratello O.O. si era concluso con l'archiviazione. 3.3. Infine, la difesa censura la sentenza impugnata nella parte in cui conferma la responsabilità penale dell'imputato sulla base del ruolo rivestito all'interno dell'associazione criminosa di appartenenza e del luogo ove si svolgevano le sue riunioni. Ad avviso della difesa, il giudice del merito avrebbe individuato una sorta di "responsabilità di posizione", slegata dal necessario consenso che deve essere prestato per la commissione di uno specifico reato, allorchè possa configurarsi un rilevante contributo causale.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - 20 dicembre 2023 N. 50824

1. Il ricorso è infondato, quindi deve essere rigettato.

2. L'adeguata valutazione dell'unico motivo di ricorso proposto rende necessaria la trattazione distinta dei profili in esso evidenziati, relativi: al giudizio di attendibilità del collaboratore di giustizia M.M.; alla valutazione di credibilità di N.N.; alla tesi difensiva secondo la quale la responsabilità dell'imputato sarebbe stata affermata come mera conseguenza della posizione rivestita nell'organizzazione criminosa di appartenenza.

3. In primo luogo, la difesa critica il giudizio di attendibilità di M.M. e la rilevanza del lasso temporale intercorso tra l'inizio della collaborazione e le dichiarazioni rese nel presente processo.

3.1. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che le confidenze autoaccusatorie dell'imputato ad un collaboratore di giustizia, che ne abbia successivamente riferito nelle proprie dichiarazioni, hanno natura confessoria, di talchè, una volta vagliata positivamente l'attendibilità del collaboratore ai sensi dell'art. 192 c.p.p., comma 3, dispiegano piena efficacia probatoria, alla sola condizione che se ne apprezzi la sincerità e la spontaneità, in modo da potersene escludere la riconducibilità a costrizioni esterne o a possibili intenti autocalunniatori. (Sez. 5, n. 27918 del 25/05/2021, Rv. 281603 - 02).

E' stato precisato che i riscontri, dei quali la narrazione necessita, possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che esso sia indipendente; esso può consistere anche in altre chiamate in correità - purchè la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che occorre riscontrare, e deve avere valenza individualizzante, cioè deve riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilità dello stesso all'imputato; non è richiesto, invece, che i riscontri abbiano lo spessore di una prova "autosufficiente" perchè, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità. (Sez. 2, n. 35923 del 11/07/2019, Rv. 276744 - 01).

3.2. Nel caso concreto ora in esame, le doglianze difensive non colgono nel segno, poichè il giudice di appello, confermando le considerazioni del giudice di primo grado, senza incorrere in alcun errore di diritto, ha ritenuto attendibili le dichiarazioni rese da M.M., sia sotto il profilo soggettivo, di credibilità del dichiarante, sia sotto il profilo oggettivo, di stretta attendibilità delle dichiarazioni. In particolare, la Corte di assise di appello ha evidenziato come M.M. avesse riferito della partecipazione di L.L. e di A.A. ai fatti di Pizzolungo, avendone avuto conoscenza da costoro durante taluni periodi di detenzione che essi avevano condiviso all'interno del medesimo carcere; segnatamente, è stato sottolineato che A.A. aveva confidato a M.M. che il progetto dell'attentato al magistrato E.E. era stato elaborato nel fondo (Omissis).

Sul profilo temporale delle dichiarazioni rese da M.M., il giudice di appello ne ha affermato l'intrinseca attendibilità oggettiva, superando la contestazione della difesa sulla tardiva sopravvenienza di tali informazioni, perchè espresse molti anni dopo l'inizio della collaborazione del dichiarante. In particolare, la Corte di assise di appello ha ragionevolmente ritenuto che il ricordo fosse affiorato nella mente di M.M. solo in un momento lontano dai fatti, tenuto conto della vastità delle conoscenze di costui rispetto alle vicende coinvolgenti l'organizzazione mafiosa di appartenenza. Il giudice del gravame, plausibilmente, ha ritenuto attendibili tali dichiarazioni, in quanto avvalorate e corroborate dall'intimo rapporto intercorrente tra il collaboratore M.M. e A.A..

4. In secondo luogo, la difesa contesta il giudizio di credibilità di N.N. e la rilevanza di tali dichiarazioni, ritenute non decisive, quale riscontro esterno alle dichiarazioni di M.M..

4.1. In tema di valutazione della prova testimoniale, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, non essendo necessari elementi di riscontro esterni, il giudice deve limitarsi a verificare l'intrinseca attendibilità della testimonianza avuto riguardo alla logicità, coerenza e analiticità della deposizione, nonchè all'assenza di contraddizioni con altre deposizioni testimoniali o con elementi accertati con i caratteri della certezza - sulla base della presunzione che, fino a prova contraria, il teste, ove sia in posizione di terzietà rispetto alle parti, riferisce di solito fatti obiettivamente veri - principio di affidabilità - e mente solo in presenza di un sufficiente interesse a farlo - principio di normalità -, specialmente nel caso in cui dalla veridicità del dichiarato possano scaturire conseguenze pregiudizievoli per sè o per altri - principio di responsabilità. (Sez. 6, n. 3041 del 03/10/2017, dep. 2018, Rv. 272152 - 01).

E' necessario, peraltro, constatare come non sia sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e sull'attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti. (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623 - 01).

E' stato chiarito che, in tema di chiamata in correità, qualora i riscontri esterni siano costituiti da ulteriori dichiarazioni accusatorie, esse devono convergere in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione ed avere portata individualizzante, intesa quale riferibilità sia alla persona dell'incolpato che alle imputazioni a lui ascritte, senza che possa pretendersi la piena sovrapponibilità dei loro rispettivi contenuti narrativi, dovendosi piuttosto privilegiare l'aspetto sostanziale della concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere (Sez. 6, n. 47108, del 08/10/2019, Rv. 277393 - 01).

4.2. Tanto premesso in punto di diritto, occorre preliminarmente osservare come per il giudice di appello le dichiarazioni di M.M. abbiano trovato valido riscontro e sostegno probatorio nelle dichiarazioni di N.N., convergenti su talune circostanze, come sul luogo in cui venne organizzato l'agguato e sull'esistenza di un piano alternativo, voluto da L.L., ma poi disatteso. Sulla generica affidabilità delle donne della famiglia A.A., il giudice del merito, peraltro, ha tenuto conto delle dichiarazioni rese da P.P., da cui è emerso che le donne presenti nel fondo (Omissis), affaccendate nelle attività domestiche, erano ritenute dedite al silenzio, sebbene fossero a conoscenza dei contenuti delle riunioni.

Il giudice del gravame ha ritenuto attendibili le dichiarazioni di N.N., attraverso un meticoloso giudizio di affidabilità della testimone, superando così l'opposto giudizio mossole in una distinta sentenza emessa dalla Corte di appello di E.E., ove le indicazioni della predetta erano state ritenute imprecise e contrastanti con altri dati oggettivi acquisiti in quel diverso processo, tali da escluderne l'attendibilità. In particolare, la Corte di assise di appello di Caltanissetta ha precisato la differenza tra le dichiarazioni rese da N.N. nel processo svolto dinanzi alla Corte di appello di Palermo e quelle relative all'attuale processo, evidenziando come il successivo procedimento penale nei confronti di N.N. per l'ipotesi del reato di calunnia ai danni del fratello O.O. e del padre, attuale imputato, si fosse concluso con l'archiviazione, in quanto le accuse, rivelatesi false, mancavano di intenti calunniatori e, piuttosto, erano state il frutto delle strategiche confidenze rivoltele dallo stesso fratello con l'intento di ingannarla.

Inoltre, le informazioni sulla partecipazione di A.A. alla strage di Pizzolungo rese dalla figlia N.N., sono state ritenute dal giudice di appello puntuali e ricollegate a peculiari circostanze, come la reazione dei genitori della teste di fronte alla notizia sull'esito dell'attentato: A.A. aveva reagito in un modo violento al rimprovero mossogli dalla moglie circa il coinvolgimento di bambini nell'esplosione, tanto che era giunto a schiaffeggiare la donna e a minacciare di dar fuoco alla casa. Peraltro, il giudice di appello ha qualificato come un mero errore irrilevante la circostanza indicata dalla testimone circa la dichiarata presenza all'agguato dello zio H.H., che, invece, nel giorno dei fatti era ristretto presso una struttura detentiva. In tal senso, la Corte di assise di appello ha evidenziato il contesto nel quale aveva vissuto N.N., un ambiente intriso di mafiosità, poichè l'intera famiglia era coinvolta nelle vicende dell'organizzazione mafiosa e, peraltro, esisteva un profondo rapporto di fiducia e cooperazione tra i fratelli A.A., A.A. e H.H., tale da aver generato un errore di ricordo, ovvero la confusione con un'altra vicenda.

In definitiva, il giudice di appello ha coerentemente ritenuto genuine e affidabili le dichiarazioni di N.N., inerenti: alla descrizione di una fase di pianificazione dell'attentato; agli elementi da cui ricavare l'esistenza di un movente, quello di impedire ulteriori risvolti investigativi al magistrato E.E., aspramente criticato e minacciato di morte all'interno delle conversazioni familiari; all'azionamento del telecomando, cui era collegato l'ordigno esplosivo, da parte di L.L.; all'esistenza di un altro piano per compiere l'agguato ai danni del magistrato, piano poi scartato per gli eccessivi rischi che comportava; alla violenta reazione di A.A. alle critiche della moglie sul coinvolgimento di bambini.

Peraltro, lo stesso giudice di appello ha correttamente rammentato che N.N. era una testimone pura e non una correa; dunque, ai fini della valutazione di credibilità delle dichiarazioni rese, non occorrevano riscontri esterni, ma solo una coerenza interna e relativa alle emergenze processuali. Attraverso un logico percorso argomentativo, senza incorrere nei vizi lamentati dalla difesa, il giudice di appello ha correttamente affermato che le dichiarazioni di N.N., ancorchè valutabili in modo frazionato, convergevano con il nucleo essenziale di quelle rese da M.M., supportandole e corroborandole. In particolare, seppur invertendo l'ordine metodologico di valutazione delle fonti di prova utilizzate nella sentenza di primo grado, la Corte di assise di appello ha ritenuto le dichiarazioni rese dalla teste N.N. un riscontro idoneo e granitico alle dichiarazioni rese dal collaboratore M.M..

5. In terzo luogo, la difesa sostiene che la responsabilità di A.A. sia stata affermata in violazione del principio di personalità della responsabilità penale, sul fondamento logico della posizione rivestita dall'imputato all'interno dell'organizzazione mafiosa di appartenenza.

5.1. La giurisprudenza di legittimità, in tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, ha affermato che non sussiste la responsabilità del cosiddetto "capo famiglia" a titolo di concorso nel reato-fine "eccellente" (nella specie omicidio e delitti ad esso strumentali), qualora questi, ancorchè a conoscenza dei progetti in corso e del coinvolgimento operativo di "suoi" uomini, non abbia prestato fattiva e concreta collaborazione nella organizzazione e gestione del reato, decisa dalla struttura di vertice del sodalizio criminale, in quanto l'omissione di attivazione di ipotetici provvedimenti interdittivi non potrebbe comunque essere considerata equivalente ad una prestazione di consenso o addirittura alla formulazione di un ordine nei confronti dei propri uomini (Sez. 5, n. 390 del 24/06/2019, dep. 2020, Rv. 278550 - 01).

5.2. Nel caso ora in esame, la responsabilità penale di A.A., a titolo di concorso nel reato-fine, non è stata ricavata dalla mera considerazione che costui era un partecipante di vertice dell'associazione mafiosa ("capo famiglia") che non aveva prestato alcun consenso o alcuna collaborazione alla realizzazione del reato consumato; piuttosto, i giudici del merito, attraverso un'attenta rappresentazione di tutte le risultanze processuali, sono giunti ad affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, il pieno coinvolgimento dell'imputato ai fatti di Pizzolungo.

In particolare, la Corte di assise di appello ha valorizzato il rapporto intercorrente tra A.A. e L.L., nonchè la rilevanza delle precedenti condanne risultanti a carico dell'attuale imputato; tali elementi sono stati ritenuti un idoneo sostegno, quali ulteriori riscontri esterni, anche di valenza logica, con cui leggere unitariamente gli elementi del reato contestato alla luce delle dichiarazioni acquisite nel processo. Per il giudice del gravame, tali elementi costituiscono il collante dei fatti contestati, potendosi così giungere alla descrizione delle logiche dell'organizzazione, delle modalità di ideazione e di esecuzione del reato. Dai riscontri di natura logica pertinenti al fatto, si ricava, per il giudice di appello, il coinvolgimento dell'imputato alla strage di (Omissis), avuto riguardo anche alle dichiarazioni rese da Q.Q. e R.R l'incarico di partecipazione all'attentato come riferito da F.F. ad L.L., nonchè alla similare composizione dell'esplosivo utilizzato nella strage di (Omissis) con quello dell'attentato compiuto all'Addaura in danno di S.S , fato per il quale A.A. ha riportato sentenza di condanna.

Le doglianze difensive non possono trovare accoglimento, poichè le dichiarazioni di M.M., sorrette da quelle rese da N.N., unitamente ai riscontri di natura logica emersi nel corso del processo, hanno condotto il giudice di appello a confermare la responsabilità penale di A.A. per il reato a lui ascritto, non solo basandosi sulla mera posizione rivestita dall'imputato all'interno dell'organizzazione mafiosa.

6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e, in favore delle parti civili che hanno concluso nel presente giudizio, alla rifusione delle relative spese, che si reputa giusto liquidare nelle misure indicate nel seguente dispositivo in considerazione dell'attività svolta.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle seguenti parti civili: Comune di Trapani, spese che liquida in complessivi Euro 3.686,00 oltre accessori di legge; Comune di Valderice, spese che liquida in complessivi Euro 3.686,00 oltre accessori di legge; Comune di Erice, spese che liquida in complessivi Euro 3.686,00 oltre accessori di legge; Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero dell'Interno, spese che liquida in complessivi Euro 4.792,00 oltre accessori di legge; B.B., + Altri Omessi, spese che liquida in complessivi Euro 5.898,00 oltre accessori di legge; Z.Z., spese che liquida in complessivi Euro 3.686,00 oltre accessori di legge; E.E., spese che liquida in complessivi Euro 3.686,00 oltre accessori di legge; C.C., Z.Z. e W.W., spese che liquida in complessivi Euro 5.898,00 oltre accessori di legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2023