Giu minaccia di prospettare azioni giudiziarie al fine di ottenere somme di denaro non dovute o manifestamente sproporzionate rispetto a quelle dovute: è ESTORSIONE
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 19 dicembre 2023 N. 50652
Massima
Integra gli estremi del reato di estorsione e non quello di truffa la minaccia di prospettare azioni giudiziarie al fine di ottenere somme di denaro non dovute o manifestamente sproporzionate rispetto a quelle dovute, qualora l'agente ne sia consapevole, potendosi individuare il male ingiusto, ai fini dell'integrazione del più grave delitto, nella pretestuosità della richiesta.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 19 dicembre 2023 N. 50652

1.II ricorso è fondato.

La Corte di appello ha riformato la sentenza di assoluzione ritenendo che A.A., attivando una serie di procedure giudiziarie con decreto ingiuntivo, avrebbe cercato di ottenere somme maggiori rispetto a quelle dovute mettendole in stato di intimidazione con continue azioni legali.

1.1.II collegio non intende contrastare, ma anzi ribadire, la giurisprudenza secondo cui integra gli estremi del reato di estorsione e non quello di truffa la minaccia di prospettare azioni giudiziarie - nella specie decreti ingiuntivi e pignoramenti - al fine di ottenere somme di denaro non dovute o manifestamente sproporzionate rispetto a quelle dovute, qualora l'agente ne sia consapevole, potendosi individuare il male ingiusto ai fini dell'integrazione del più grave delitto nella pretestuosità della richiesta (Sez. 2, n. 48733 del 29/11/2012, Parvez, Rv. 253844 - 01).

Si riafferma, inoltre, che in tema di estorsione, la minaccia di adire le vie legali, pur avendo un'esteriore apparenza di legalità, può integrare l'elemento costitutivo del delitto di cui all'art. 629 c.p. quando sia formulata non con l'intenzione di esercitare un diritto, ma con lo scopo di coartare l'altrui volontà e conseguire risultati non conformi a giustizia. (il principio è stato espresso in un caso in cui gli imputati avevano evocato vicende "inconfessabili" che sarebbero emerse nel corso di un instaurando processo civile, reclamando la corresponsione di un compenso non dovuto in cambio della mancata instaurazione di esso: Sez. 2, n. 36365 del 07/05/2013, Braccini, Rv. 256874 - 01).

1.2. Nel caso di specie, tuttavia, l'inquadramento della condotta di A.A. nel reato di estorsione si profila illegittimo, sia nella forma tentata, che in quella consumata, dato che l'azione "costrittiva" non è stata identifica nella minaccia di fare ricorso all'autorità giudiziaria per ottenere somme non dovute, ma nel concreto ottenimento, attraverso la mediazione del giudice civile, di atti di decreto ingiuntivo e precetto, oltre che nelle successive azioni di pignoramento (si legge nel capo di imputazione "costringendo B.B. e D.D. a difendersi nelle varie sedi giudiziali ed a subire i pignoramenti).

Si tratta di condotte che non possono essere inquadrate come estorsione perchè l'intervento del giudice esclude la sussistenza sia di una "illecita costrizione", che di un "profitto ingiusto".

In linea con tali argomentazioni la Corte di appello, rilevando la carenza di profitto ingiusto confermava la assoluzione per l'estorsione "consumata (pag. 13 della sentanza impugnata).

1.3. La condanna - inflitta riformando radicalmente la sentenza di primo grado riguarda, tuttavia, l'estorsione nella forma "tentata".

Nel capo di imputazione elevato nei confronti di A.A., il tentativo di estorsione è stato identificato nell'attività diretta a percepire la somma derivante dalla differenza tra quella indicata nei cinque atti di precetto (Euro 191, 138, 25) e quella già ottenuta attraverso i pignoramenti (Euro 24.377, 78).

Nel valutare la sussistenza di tale delitto la Corte di appello ha affermato che se la vittima, per evitare le spese di lite, soggiace alla minaccia "giudiziaria" e paga la somma "indebita" si integrava l'estorsione; diversamente in caso di opposizione al decreto ingiuntivo il reato rimarrebbe a livello di tentativo (pag. 8 della sentenza impugnata). Più precisamente la Corte di merito ha ritenuto che la sequela di decreti ingiuntivi di A.A., fosse stata attivata per coinvolgere gli offesi nel maggior numero di cause, alcune delle quali, anche a prescindere dagli acconti versate, infondate; ed ha affermato che "anche se il debitore riesce a ridurre la pretesa avversaria, il solo parziale accoglimento delle difese si traduce spesso in un danno economico maggiore di quanto risparmiato, poichè una parziale soccombenza può portare a retribuire parte delle spese legali dell'attore di integralmente le proprie" (pag. 9).

Tali affermazioni, fondate sulla indiscussa rilevazione dell'accesa controversia tra A.A. e B.B. in ordine alla definizione di quanto dovuto per le prestazioni professionali del ricorrente, non risolvono l'ontologica incompatibilità tra l'attivazione di cause civili, che implica la mediazione giudiziale, e l'azione estorsiva.

Si tratta di una incompatibilità che mina l'intero impianto accusatorio e si riverbera sulla condanna per la condotta di estorsione tentata. La Corte territoriale, ha ritenuto infatti che il tentativo di estorsione si sarebbe inverato nella attivazione di molteplici azioni giudiziarie, che sarebbero idonee ad esercitare una costrizione funzionale ad ottenere ulteriori somme non dovute, nonostante tale tentativo - come sopra rilevato - non fosse così contestato nel capo di imputazione.

1.4. Dalla analisi della motivazione delle sentenze di merito risulta evidente la sussistenza di un aspro conflitto tra B.B. ed il ricorrente relativo alla definizione degli importi professionali dovuti ed allo scomputo degli acconti già versati.La fondatezza delle ragioni del B.B., ha trovato parziale conferma nella decisione del giudice civile che ha attestato il versamento di acconti per Euro 18.620 non dichiarati da A.A. nelle sue richieste di decreto ingiuntivo (pag. 12 della sentenza impugnata). Il versamento degli acconti è alla base della ipotetica azione illecita, tuttavia l'ammontare complessivo di tali acconti non risulta definito con certezza, anche a causa della ritenuta criticità della testimonianza di B.B. (pag. 11 della sentenza impugnata).

Ciò detto, il fatto che siano stati pagati degli acconti ha una rilevanza civilistica indiscussa, ma tenuto conto della contestazione elevata non è sufficiente a consentire l'inquadramento dell'azione giudiziaria di A.A., come dirette ad ottenere un "ulteriore profitto", in ipotesi ingiusto, anche perchè tale condotta non è descritta nel capo di imputazione.

In sintesi, si ritiene che la controversia tra B.B. e A.A., non possa essere inquadrata in una fattispecie penalmente rilevante, ma piuttosto come una controversia civilistica inerente la quantificazione degli importi dovuti per la prestazione d'opera professionale. Il fatto che il A.A. abbia fatto ricorso al giudice e non si sia limitato a paventare di attivare azioni giudiziarie esclude la sussistenza del delitto sia nella forma consumata che in quella tentata, come descritta nel capo di imputazione, che identifica il tentativo nella attività funzionale ad ottenere piena soddisfazione del credito già riconosciuto attraverso le procedure esecutive.

1.5. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata perchè il fatto non sussiste.

La domanda ex art. 612 c.p.p. deve ritenersi assorbita.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste. Così deciso in Roma, il 10 novembre 2023.

Conclusione

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2023???????