Giu Riesame, contestazione a catena e retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - 15 dicembre 2023 N. 50246
Massima
Le Sezioni unite di questa Corte, chiamate a dirimere il contrasto, hanno statuito che, in tema di contestazione a catena, la questione relativa alla retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare può essere dedotta anche nel procedimento di riesame solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:
a) termine interamente scaduto, per effetto della retrodatazione, al momento del secondo provvedimento cautelare;
b) desumibilità dall'ordinanza applicativa della misura coercitiva di tutti gli elementi idonei a giustificare l'ordinanza successiva (Sez. U, n. 45246 del 19/07/2012, Polcino, Rv. 253549 - 01; conf. Sez. U, n. 45247 del 17/07/2012, Asllani, non massimata).

Le Sezioni unite, dunque, in linea con il carattere impugnatorio del mezzo di impugnazione del riesame, hanno circoscritto la cognizione del giudice del riesame all'ipotesi in cui la retrodatazione implichi un "vizio" originario del titolo coercitivo, a fronte del quale la misura da esso disposta non avrebbe dovuto essere applicata fin dall'inizio; in questa sentenza la Corte di cassazione ha, inoltre, precisato che "soltanto nel caso in cui dalla stessa ordinanza impugnata emergano in modo incontrovertibile e completo gli elementi utili e necessari per la decisione è possibile dare spazio ai principi di economia processuale e di rapida definizione del giudizio in vista della più ampia tutela del bene primario della libertà personale".

Tale ultima condizione è, tuttavia, stata eliminata dalla Corte costituzionale, che, nella sentenza n. 293 del 6 dicembre 2013, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 309 c.p.p., in quanto interpretato nel senso che la deducibilità, nel procedimento di riesame, della retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure cautelari, prevista dall'art. 297, comma 3, del medesimo codice, sia subordinata - oltre che alla condizione che, per effetto della retrodatazione, il termine sia già scaduto al momento dell'emissione dell'ordinanza cautelare impugnata - anche a quella che tutti gli elementi per la retrodatazione risultino da detta ordinanza.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - 15 dicembre 2023 N. 50246

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto il motivo proposto è manifestamente infondato.

2. Con unico motivo il difensore censura, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), la violazione dell'art. 297 c.p.p., comma 3 e del divieto di contestazione a catena.

3. Il motivo è manifestamente infondato, in quanto, essendo stata proposta la questione della violazione del disposto dell'art. 297 c.p.p., nel giudizio di riesame, il ricorrente non ha dedotto, nè tanto meno dimostrato, che, per effetto della retrodatazione, al momento dell'emissione della ordinanza cautelare oggetto di riesame il termine di fase fosse già integralmente scaduto.

4. Nella giurisprudenza di legittimità si è registrato un contrasto interpretativo in ordine alla possibilità di dedurre nel procedimento di riesame la questione relativa all'inefficacia sopravvenuta dell'ordinanza di custodia cautelare per decorrenza dei termini di fase, in relazione all'asserita contestazione a catena, in quanto si tratta di vizio che non intacca l'intrinseca legittimità dell'ordinanza, ma agisce sul piano dell'efficacia della misura cautelare.

Le Sezioni unite di questa Corte, chiamate a dirimere il contrasto, hanno statuito che, in tema di contestazione a catena, la questione relativa alla retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare può essere dedotta anche nel procedimento di riesame solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) termine interamente scaduto, per effetto della retrodatazione, al momento del secondo provvedimento cautelare; b) desumibilità dall'ordinanza applicativa della misura coercitiva di tutti gli elementi idonei a giustificare l'ordinanza successiva (Sez. U, n. 45246 del 19/07/2012, Polcino, Rv. 253549 - 01; conf. Sez. U, n. 45247 del 17/07/2012, Asllani, non massimata).

Le Sezioni unite, dunque, in linea con il carattere impugnatorio del mezzo di impugnazione del riesame, hanno circoscritto la cognizione del giudice del riesame all'ipotesi in cui la retrodatazione implichi un "vizio" originario del titolo coercitivo, a fronte del quale la misura da esso disposta non avrebbe dovuto essere applicata fin dall'inizio; in questa sentenza la Corte di cassazione ha, inoltre, precisato che "soltanto nel caso in cui dalla stessa ordinanza impugnata emergano in modo incontrovertibile e completo gli elementi utili e necessari per la decisione è possibile dare spazio ai principi di economia processuale e di rapida definizione del giudizio in vista della più ampia tutela del bene primario della libertà personale".

Tale ultima condizione è, tuttavia, stata eliminata dalla Corte costituzionale, che, nella sentenza n. 293 del 6 dicembre 2013, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 309 c.p.p., in quanto interpretato nel senso che la deducibilità, nel procedimento di riesame, della retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure cautelari, prevista dall'art. 297, comma 3, del medesimo codice, sia subordinata - oltre che alla condizione che, per effetto della retrodatazione, il termine sia già scaduto al momento dell'emissione dell'ordinanza cautelare impugnata - anche a quella che tutti gli elementi per la retrodatazione risultino da detta ordinanza.

La Corte costituzionale ha, infatti, rilevato che subordinare la deducibilità in sede di riesame della violazione della c.d. contestazione a catena alla "desumibilità dall'ordinanza applicativa della misura coercitiva di tutti gli elementi idonei a giustificare l'ordinanza successiva" determinava disparità di trattamento tra soggetti che versano in situazioni identiche in correlazione a fattori puramente accidentali, avulsi dalla ratio degli istituti che vengono in rilievo.

A parità di situazione, infatti, la fruibilità del riesame ai fini considerati finisce per dipendere dall'ampiezza e dalla puntualità delle indicazioni contenute nella motivazione del provvedimento coercitivo che il soggetto in vinculis intende contestare. Il livello della tutela sarebbe, infatti, stato determinato dal maggiore o minore scrupolo con il quale il giudice della cautela assolve all'onere di motivare l'ordinanza restrittiva e, prima ancora, dal fatto che egli sia o non sia a conoscenza degli elementi che impongono la retrodatazione.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità successivo alla sentenza n. 293 del 2013 della Corte costituzionale, dunque, la questione della retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare può essere dedotta anche nel procedimento di riesame a condizione che, per effetto della retrodatazione, al momento dell'emissione della successiva ordinanza cautelare il termine di durata complessivo sia già scaduto (ex plurimis: Sez. 2, n. 37879 del 05/05/2023, Macrì, Rv. 285027 - 01; Sez. 2, n. 13021 del 10/03/2015, Belgio, Rv. 262933 - 01).

Il ricorrente, tuttavia, non ha fornito alcuna dimostrazione di questo presupposto necessario e preliminare per verificare la fondatezza delle censure mosse avverso l'ordinanza impugnata.

5. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., comma 1, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila Euro in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2023