Ed ancora, ai reati di falso sono estranee le nozioni di danno e di profitto, essendo sufficiente, per il perfezionamento delle rispettive fattispecie, il mero pericolo che dalla contraffazione o dall'alterazione possa derivare alla fede pubblica, che è l'unico bene giuridico protetto dalle norme incriminatrici dettate in materia.
1. Il primo motivo è infondato.
L'innocuità del falso, che attiene alla tipicità del fatto materiale, non va confusa con la sua presunta inutilità, profilo che tutt'al più attinge l'ambito della prova del dolo del reato: l'innocuità del falso riguarda infatti, esclusivamente, l'inesistenza dell'oggetto tipico della falsità di modo che questa riguardi un atto assolutamente privo di valenza probatoria (Sez. 5, n. 28599 del 07/04/2017, Bautista, Rv. 270245) a prescindere dall'uso che dell'atto oggetto di falsificazione venga fatto (Sez. 3, n. 34901 del 19/07/2011, Testori, Rv. 250825).
Ed ancora, ai reati di falso sono estranee le nozioni di danno e di profitto, essendo sufficiente, per il perfezionamento delle rispettive fattispecie, il mero pericolo che dalla contraffazione o dall'alterazione possa derivare alla fede pubblica, che è l'unico bene giuridico protetto dalle norme incriminatrici dettate in materia.
Nel caso di specie nemmeno il ricorrente dubita della valenza probatoria della dichiarazione falsa di cui si discute e si intrattiene, non a caso, sull'assenza di danno: che l'atto falso abbia conseguito o meno gli effetti prefissati è, invece, del tutto irrilevante.
La motivazione resa dalla Corte di appello sui punti attinti dal primo motivo è corretta.
Essa infatti, a pagina 3, ha spiegato in modo tutt'altro che illogico come sia il precedente rilievo dell'abuso inerente i lampioni sia la dichiarazione di cui si discute dovessero ritenersi riferiti al fabbricato in senso ampio, posto che entrambe riguardavano lavori da eseguire in aree pertinenziali al fabbricato e non avrebbe dunque alcun senso limitare l'obbligo di corretta dichiarazione agli eventuali vizi del mero fabbricato, inteso in senso stretto.
Ancora, la Corte ha comunque evidenziato che l'amministratore era stato diffidato a rimuovere gli abusi e non aveva provveduto.
Rispetto a tale evidenza, significativa del dolo richiesto, il ricorrente introduce il rilievo secondo il quale egli avrebbe provveduto alla sola regolarizzazione di quella parte di attività compiuta sotto la sua amministrazione. Rilievo comunque inidoneo a scalfire la conclusione della Corte di appello secondo la quale, essendo stato l'imputato diffidato a rimediare integralmente all'abuso, egli vi ha provveduto solo parzialmente, circostanza significativa ai fini della prova del dolo del falso commesso nel successivo mese di settembre.
2. E' invece fondato il secondo motivo, perchè la motivazione resa dalla Corte di appello allorchè ha escluso la sussistenza della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p. è intrinsecamente contraddittoria. La Corte ha negato la causa di non punibilità, dopo aver reso una motivazione che di fatto ne riconosceva i presupposti.
Infatti, l'art. 131-bis c.p. è stato escluso con la medesima motivazione resa a sostegno del dolo (in estrema sintesi, non può dirsi che l'imputato fosse inconsapevole della falsità della dichiarazione proprio perchè era stato diffidato dalla pubblica amministrazione), e dopo aver ammesso l'assenza di qualsivoglia danno e della impossibilità per la dichiarazione falsa di incidere sulla possibilità di realizzare le opere programmate (pag. 3 della sentenza): la motivazione dà dunque atto della particolare tenuità dell'offesa, indiscussa essendo la non abitualità della condotta.
3. La sentenza va dunque annullata senza rinvio, dovendosi immediatamente riconoscere la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 131-bis c.p..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non è punibile ai sensi dell'art. 131 bis c.p..
Conclusione
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2023