Giu L'innocuità del falso, che attiene alla tipicità del fatto materiale, non va confusa con la sua presunta inutilità, profilo che tutt'al più attinge l'ambito della prova del dolo del reato
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 07 dicembre 2023 N. 48828
Massima
L'innocuità del falso, che attiene alla tipicità del fatto materiale, non va confusa con la sua presunta inutilità, profilo che tutt'al più attinge l'ambito della prova del dolo del reato: l'innocuità del falso riguarda infatti, esclusivamente, l'inesistenza dell'oggetto tipico della falsità di modo che questa riguardi un atto assolutamente privo di valenza probatoria (Sez. 5, n. 28599 del 07/04/2017, Bautista, Rv. 270245) a prescindere dall'uso che dell'atto oggetto di falsificazione venga fatto (Sez. 3, n. 34901 del 19/07/2011, Testori, Rv. 250825).

Ed ancora, ai reati di falso sono estranee le nozioni di danno e di profitto, essendo sufficiente, per il perfezionamento delle rispettive fattispecie, il mero pericolo che dalla contraffazione o dall'alterazione possa derivare alla fede pubblica, che è l'unico bene giuridico protetto dalle norme incriminatrici dettate in materia.

Casus Decisus
1. Con sentenza del 17 febbraio 2023 la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata che aveva condannato A.A. per il delitto di cui all'art. 483 c.p. perchè, nella qualità di amministratore di un condominio, dichiarava falsamente in una C.I.L.A. che il fabbricato cui i lavori indicati nell'atto si riferivano non erano interessati da opere realizzate in assenza di titolo abilitativo idoneo. I giudici di merito hanno ritenuto provato che nel mese di maggio 2016, e dunque quattro mesi prima della dichiarazione falsa, vi era stato un accertamento dell'ufficio comunale competente che aveva ravvisato un abuso, consistente nell'installazione di cinque lampioni non autorizzati nell'area circostante il fabbricato, e che l'amministratore era stato diffidato a provvedere ma non aveva adempiuto alla prescrizione. Di qui anche la prova del dolo e l'impossibilità di riconoscere la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., profili interessati dall'atto di appello. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del fatto e del prescritto elemento soggettivo. Deduce il ricorrente come sia stato provato che la CILA in questione sia stata presentata in pendenza dell'accertamento amministrativo seguito ai controlli dei mesi di maggio e giugno 2016 e che gli uffici comunali siano incorsi in errore nell'interpretare documentazione fotografica e grafici progettuali rilevanti ai fini dell'individuazione del momento in cui i lampioni asseritamente abusivi erano stati installati. In sostanza, l'adempimento dell'imputato rispetto alle prescrizioni degli uffici comunali era da intendersi totale, in quanto riferito ai lampioni oggetto di intervento più recente. L'imputato avrebbe dunque ripristinato i luoghi rispetto a quanto era a propria conoscenza e, da un diverso punto di vista, l'eventuale falsità sarebbe inidonea ad ingannare l'amministrazione proprio perchè questa era ben consapevole del ritenuto abuso da diversi anni. Si verterebbe dunque in un caso di falso innocuo. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge con riferimento alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p.. La motivazione resa sul punto dalla Corte di appello sarebbe illogica, non avendo considerato l'incensuratezza dell'imputato quale sintomo della non abitualità della condotta e non avendo i giudici rivolto la propria attenzione alla positiva condotta di vita dell'imputato, successiva al fatto. Inoltre, non sarebbe stata tenuta in debita considerazione l'assenza di danno alla pubblica amministrazione, nè la circostanza che il pubblico ministero abbia chiesto l'archiviazione nel procedimento penale relativo all'installazione dei lampioni. 3. Si è proceduto a trattazione orale. Il Procuratore generale si è riportato alla requisitoria scritta nella quale ha chiesto il rigetto del ricorso. L'avvocato Lauro Massimo per il ricorrente si è riportato al ricorso.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 07 dicembre 2023 N. 48828

1. Il primo motivo è infondato.

L'innocuità del falso, che attiene alla tipicità del fatto materiale, non va confusa con la sua presunta inutilità, profilo che tutt'al più attinge l'ambito della prova del dolo del reato: l'innocuità del falso riguarda infatti, esclusivamente, l'inesistenza dell'oggetto tipico della falsità di modo che questa riguardi un atto assolutamente privo di valenza probatoria (Sez. 5, n. 28599 del 07/04/2017, Bautista, Rv. 270245) a prescindere dall'uso che dell'atto oggetto di falsificazione venga fatto (Sez. 3, n. 34901 del 19/07/2011, Testori, Rv. 250825).

Ed ancora, ai reati di falso sono estranee le nozioni di danno e di profitto, essendo sufficiente, per il perfezionamento delle rispettive fattispecie, il mero pericolo che dalla contraffazione o dall'alterazione possa derivare alla fede pubblica, che è l'unico bene giuridico protetto dalle norme incriminatrici dettate in materia.

Nel caso di specie nemmeno il ricorrente dubita della valenza probatoria della dichiarazione falsa di cui si discute e si intrattiene, non a caso, sull'assenza di danno: che l'atto falso abbia conseguito o meno gli effetti prefissati è, invece, del tutto irrilevante.

La motivazione resa dalla Corte di appello sui punti attinti dal primo motivo è corretta.

Essa infatti, a pagina 3, ha spiegato in modo tutt'altro che illogico come sia il precedente rilievo dell'abuso inerente i lampioni sia la dichiarazione di cui si discute dovessero ritenersi riferiti al fabbricato in senso ampio, posto che entrambe riguardavano lavori da eseguire in aree pertinenziali al fabbricato e non avrebbe dunque alcun senso limitare l'obbligo di corretta dichiarazione agli eventuali vizi del mero fabbricato, inteso in senso stretto.

Ancora, la Corte ha comunque evidenziato che l'amministratore era stato diffidato a rimuovere gli abusi e non aveva provveduto.

Rispetto a tale evidenza, significativa del dolo richiesto, il ricorrente introduce il rilievo secondo il quale egli avrebbe provveduto alla sola regolarizzazione di quella parte di attività compiuta sotto la sua amministrazione. Rilievo comunque inidoneo a scalfire la conclusione della Corte di appello secondo la quale, essendo stato l'imputato diffidato a rimediare integralmente all'abuso, egli vi ha provveduto solo parzialmente, circostanza significativa ai fini della prova del dolo del falso commesso nel successivo mese di settembre.

2. E' invece fondato il secondo motivo, perchè la motivazione resa dalla Corte di appello allorchè ha escluso la sussistenza della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p. è intrinsecamente contraddittoria. La Corte ha negato la causa di non punibilità, dopo aver reso una motivazione che di fatto ne riconosceva i presupposti.

Infatti, l'art. 131-bis c.p. è stato escluso con la medesima motivazione resa a sostegno del dolo (in estrema sintesi, non può dirsi che l'imputato fosse inconsapevole della falsità della dichiarazione proprio perchè era stato diffidato dalla pubblica amministrazione), e dopo aver ammesso l'assenza di qualsivoglia danno e della impossibilità per la dichiarazione falsa di incidere sulla possibilità di realizzare le opere programmate (pag. 3 della sentenza): la motivazione dà dunque atto della particolare tenuità dell'offesa, indiscussa essendo la non abitualità della condotta.

3. La sentenza va dunque annullata senza rinvio, dovendosi immediatamente riconoscere la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 131-bis c.p..

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non è punibile ai sensi dell'art. 131 bis c.p..

Conclusione

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2023