Giu detenzione domiciliare per il condannato ultrasessantenne e inabile
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - 07 dicembre 2023 N. 48862
Massima
L'art. 47-ter ord. pen., comma 1, due ipotesi, rispettivamente disciplinate dalle lett. c) e d), che ricorrono nel caso "di condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali" ovvero di "persona di età superiore a sessanta anni, se inabile anche parzialmente". Secondo la giurisprudenza di legittimità, mentre il rinvio dell'esecuzione della pena per grave infermità fisica presuppone che, a causa della natura dell'infermità e della prognosi infausta quoad vitam a breve scadenza, l'espiazione della pena appaia contraria al senso d'umanità per le eccessive sofferenze da essa derivanti o appaia priva di significato rieducativo in conseguenza dell'impossibilità di proiettare in un futuro gli effetti della sanzione sul condannato, viceversa, nel caso in cui le condizioni di salute, pur particolarmente gravi, non presentino le suddette caratteristiche di sofferenza o di prognosi infausta e richiedano i contatti con i presidi sanitari territoriali, può essere disposta la detenzione domiciliare ai sensi dell'art. 47-ter ord. pen., comma 1, lett. c), (Sez. 1, n. 28555 del 18/6/2008, Graziano, Rv. 240602 - 01; Sez. 1, n. 45758 del 14/11/2007, De Witt, Rv. 238140 - 01; Sez. 1, n. 5715 del 19/10/1999, Di Girolamo, Rv. 214419 - 01).

Tale misura, quindi, può essere disposta, in favore del condannato che versa in condizioni di salute che non devono necessariamente consistere in patologie incompatibili con lo stato di detenzione o comunque dalla prognosi infausta, ben potendo essere ravvisate in una o più alterazioni della funzionalità fisico-psichica del condannato, caratterizzate da un elevato grado di intensità e idonee a rendere ancora più afflittiva l'espiazione della pena in Istituto (Sez. 1, n. 1989 del 13/7/1990, Bonifazi, Rv. 184904), sempre che il condannato, malgrado il suo stato di salute, sia in grado di partecipare consapevolmente a un processo rieducativo, che si attua attraverso i previsti interventi obbligatori del servizio sociale, e presenti un livello di pericolosità sociale che faccia ritenere ancora necessario un controllo da parte dello Stato (tra le altre, Sez. 1, n. 4750 del 14/1/2011, Tinelli, Rv. 249794).

La misura contemplata dalla lett. d) dell'art. 47-ter ord. pen., comma 1, presuppone, invece, la sussistenza di un duplice requisito: da un lato, la situazione di soggetto ultrasessantenne del condannato; dall'altro, la condizione di "inabilità" anche solo parziale.

Quest'ultima nozione - si è condivisibilmente chiarito - dev'essere riferita non già all'eventuale inattitudine allo svolgimento di attività lavorative, bensì a una condizione di decadimento delle condizioni psico-fisiche della persona di carattere non temporaneo, tale da incidere sulla concreta possibilità di svolgere le ordinarie azioni della vita quotidiana, limitando apprezzabilmente la vita sociale e di relazione (Sez. 1, n. 16183 del 12/2/2001, Sez. 1, n. 16183 del 12/2/2001, Passafini, Rv. 218640 - 01), con esclusione dei casi in cui il soggetto sia affetto soltanto da patologie psichiatriche (Sez. 1, n. 4406 del 21/11/1991, dep. 1992, Bellitto, in motivazione).

Dunque, deve escludersi che tale condizione postuli una situazione di incompatibilità assoluta con la detenzione (Corte Cost., 16 maggio 1996, n. 165) e, al contempo, renda necessario che il condannato abbia bisogno di un rapporto costante con i presidi sanitari territoriali. Invero, la ratio della disposizione è quella di favorire la de-carcerazione dei condannati a pene di durata ancora contenuta, che non presentino rilevanti profili di pericolosità residua e le cui condizioni di salute, senza raggiungere soglie di particolare gravità, appaiano compromesse in funzione appunto del progredire della loro età (in termini anche Sez. 1, n. 4406 del 21/11/1991, dep. 1992, Bellitto, citato).

Casus Decisus
1. Con l'ordinanza in preambolo il Tribunale di sorveglianza di Brescia rigettava l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale terapeutico, D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 94, e ordinario, L. 26 luglio 1975, n. 354, ex art. 47 (ord. pen.), formulate da A.A. in relazione alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione, inflitta per il reato di ricettazione. Il Tribunale richiamava, a sostegno della decisione, i precedenti penali del condannato (ivi compresa la condanna per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti) e il recente arresto, per fatto successivo alla condanna da espiare, per la detenzione di oltre 500,00 grammi di marjuana. Osservava che il recentissimo episodio, occorso il (Omissis), posto in essere dopo la fruizione dell'affidamento terapeutico (dal (Omissis)), era sintomatico di un rilevante profilo di pericolosità sociale del condannato che dimostrava di non aver maturato alcuna revisione critica del proprio passato criminale. Rilevava, infine, quanto alle condizioni di salute del condannato (affetto da diabete mellito, pregresso carcinoma vestitale e ipertensione arteriosa) che dalla documentazione medica versata in atti non emergeva alcuna situazione tale da riverberarsi sulla permanenza in carcere. 2. A.A. propone ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, affidato ad un unico motivo con il quale lamenta la manifesta illogicità della motivazione di rigetto, poichè il Tribunale avrebbe omesso di valutare la concedibilità della detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1, lett. d), "avendo il condannato superato i sessanta anni ed essendo affetto da diverse patologie tali da renderlo inabile". 3. Il Sostituto Procuratore generale, Francesca Costantini, con conclusioni scritte pervenute il 15 giugno 2023, ha prospettato la declaratoria d'inammissibilità del ricorso.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - 07 dicembre 2023 N. 48862

1. Il ricorso - che è limitato alla mancata valutazione della possibilità di riconoscere la detenzione domiciliare per il condannato ultrasessantenne e inabile - deduce censure non consentite e, comunque, manifestamente infondate.

2. Appare utile premettere che l'art. 47-ter ord. pen., comma 1, contempla, per quanto di interesse in questa sede, due ipotesi, rispettivamente disciplinate dalle lett. c) e d), che ricorrono nel caso "di condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali" ovvero di "persona di età superiore a sessanta anni, se inabile anche parzialmente". Secondo la giurisprudenza di legittimità, mentre il rinvio dell'esecuzione della pena per grave infermità fisica presuppone che, a causa della natura dell'infermità e della prognosi infausta quoad vitam a breve scadenza, l'espiazione della pena appaia contraria al senso d'umanità per le eccessive sofferenze da essa derivanti o appaia priva di significato rieducativo in conseguenza dell'impossibilità di proiettare in un futuro gli effetti della sanzione sul condannato, viceversa, nel caso in cui le condizioni di salute, pur particolarmente gravi, non presentino le suddette caratteristiche di sofferenza o di prognosi infausta e richiedano i contatti con i presidi sanitari territoriali, può essere disposta la detenzione domiciliare ai sensi dell'art. 47-ter ord. pen., comma 1, lett. c), (Sez. 1, n. 28555 del 18/6/2008, Graziano, Rv. 240602 - 01; Sez. 1, n. 45758 del 14/11/2007, De Witt, Rv. 238140 - 01; Sez. 1, n. 5715 del 19/10/1999, Di Girolamo, Rv. 214419 - 01). Tale misura, quindi, può essere disposta, in favore del condannato che versa in condizioni di salute che non devono necessariamente consistere in patologie incompatibili con lo stato di detenzione o comunque dalla prognosi infausta, ben potendo essere ravvisate in una o più alterazioni della funzionalità fisico-psichica del condannato, caratterizzate da un elevato grado di intensità e idonee a rendere ancora più afflittiva l'espiazione della pena in Istituto (Sez. 1, n. 1989 del 13/7/1990, Bonifazi, Rv. 184904), sempre che il condannato, malgrado il suo stato di salute, sia in grado di partecipare consapevolmente a un processo rieducativo, che si attua attraverso i previsti interventi obbligatori del servizio sociale, e presenti un livello di pericolosità sociale che faccia ritenere ancora necessario un controllo da parte dello Stato (tra le altre, Sez. 1, n. 4750 del 14/1/2011, Tinelli, Rv. 249794).

La misura contemplata dalla lett. d) dell'art. 47-ter ord. pen., comma 1, presuppone, invece, la sussistenza di un duplice requisito: da un lato, la situazione di soggetto ultrasessantenne del condannato; dall'altro, la condizione di "inabilità" anche solo parziale.

Quest'ultima nozione - si è condivisibilmente chiarito - dev'essere riferita non già all'eventuale inattitudine allo svolgimento di attività lavorative, bensì a una condizione di decadimento delle condizioni psico-fisiche della persona di carattere non temporaneo, tale da incidere sulla concreta possibilità di svolgere le ordinarie azioni della vita quotidiana, limitando apprezzabilmente la vita sociale e di relazione (Sez. 1, n. 16183 del 12/2/2001, Sez. 1, n. 16183 del 12/2/2001, Passafini, Rv. 218640 - 01), con esclusione dei casi in cui il soggetto sia affetto soltanto da patologie psichiatriche (Sez. 1, n. 4406 del 21/11/1991, dep. 1992, Bellitto, in motivazione).

Dunque, deve escludersi che tale condizione postuli una situazione di incompatibilità assoluta con la detenzione (Corte Cost., 16 maggio 1996, n. 165) e, al contempo, renda necessario che il condannato abbia bisogno di un rapporto costante con i presidi sanitari territoriali. Invero, la ratio della disposizione è quella di favorire la de-carcerazione dei condannati a pene di durata ancora contenuta, che non presentino rilevanti profili di pericolosità residua e le cui condizioni di salute, senza raggiungere soglie di particolare gravità, appaiano compromesse in funzione appunto del progredire della loro età (in termini anche Sez. 1, n. 4406 del 21/11/1991, dep. 1992, Bellitto, citato).

3. Tanto premesso in diritto, osserva il Collegio in primo luogo come la richiesta la misura della detenzione domiciliare a norma della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-ter, comma 1, lett. d), non avesse costituto oggetto dell'originaria richiesta del condannato. In secondo luogo la stessa è stata invocata nel ricorso sulla scorta di non meglio precisate "diverse patologie tali da renderlo inabile". Il motivo di ricorso si profila, pertanto, non consentito e del tutto a-specifico, al cospetto della motivazione del Giudice specializzato che, sulla scorta delle risultanze in atti, ha indicato le patologie di cui A.A. risulta affetto e, per tale via, ne ha evidenziato la difformità da quella condizione di decadimento psico-fisico che costituisce il presupposto della richiesta misura.

3. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, per i profili di colpa connessi all'irritualità dell'impugnazione (Corte Cost. n. 186 del 2000), al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in Euro tremila.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2023