Giu L'ordine di demolizione dell'opera edilizia abusiva, presuppone comunque la pronuncia di una sentenza di condanna
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 01 dicembre 2023 N. 47909
Massima
L'ordine di demolizione dell'opera edilizia abusiva, previsto dall'art. 31, comma 9, D.P.R. n. 380 del 2001, presuppone comunque la pronuncia di una sentenza di condanna, non risultando sufficiente l'avvenuto accertamento della commissione dell'abuso, come nel caso di sentenza che rileva l'intervenuta prescrizione del reato.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 01 dicembre 2023 N. 47909

1. I ricorsi, trattati in presenza, sono fondati con riferimento all'intervenuta prescrizione dell'illecito edilizio di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), nonchè del delitto di cui all'art. 481, c.p., limitatamente alla contestazione relativa al fatto commesso in data (Omissis), con conseguente annullamento senza rinvio dei predetti reati per essere gli stessi estinti per prescrizione. Il ricorso di C.C. è parimenti fondato, quanto al delitto di cui all'art. 481 c.p., contestato come commesso in data 26.06.2015, con conseguente annullamento dell'impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano.

2. Procedendo, anzitutto, ad esaminare quello di A.A.FONTANIVE, rileva il Collegio l'infondatezza del primo motivo.

2.1. Va premesso che la questione relativa alla sussistenza dell'illecito urbanistico deve essere esaminata, nonostante l'accoglimento dell'eccezione di intervenuta prescrizione del reato (v. in fra), attesa la presenza delle parti civili costruite nei confronti degli attuali ricorrenti per l'illecito contravvenzionale urbanistico, conseguendone quindi la necessità di questa Corte di doversi pronunciare sulle doglianze mosse, da cui dipende ovviamente la permanenza o meno delle statuizioni civili di cui alla sentenza impugnata.

2.2. I giudici di appello, in particolare, esaminano il tema della configurabilità dell'illecito edilizio alle pagg. 34 della sentenza impugnata, fornendo una motivazione non manifestamente illogica nè affetta dai dedotti vizi di violazione di legge, laddove le censure del ricorrente (come quelle, sostanzialmente sovrapponibili, sollevate dai ricorrenti B.B., primo motivo, e C.C., quinto e sesto motivo), non sono meritevoli di accoglimento in quanto si limitano a riproporre, senza apprezzabili elementi di novità critica, le analoghe doglianze già sviluppate nei motivi di appello. Donde, a tali doglianze complessivamente considerate, verrà fornita risposta da questa Corte nella presente sede.

2.3. I giudici territoriali, infatti, come del resto già il primo giudice, operando una ricostruzione fattuale della vicenda, ricordano che il complesso residenziale I POGGI è stato realizzato a seguito della predisposizione in data 17.01.2017 di un piano di lottizzazione residenziale in variante al PRG vigente (PL 25), concordato tra i proprietari di un'area sita in (Omissis) e il comune di Lecco, in cui il progettista risulta essere il ricorrente C.C.. Richiamato l'art. 4 del PL, ricorda la sentenza d'appello come il 29.09.2008 in attuazione del predetto L 25, era stata presentata ex L.R. Lombardia n. 12 DEL 2005, art. 42, dal ricorrente A.A., amministratore unico e legale rappresentante della POGGI Srl , una d.i.a. in luogo di permesso di costruire con allegata relazione tecnica di asseverazione del progettista e direttore dei lavori, il ricorrente C.C.. Dalla lettura delle tavole allegate risulta evidente che i piani interrati lo sono sui quattro lati e che solo un piano oltre alla falda del tetto si trova sopra la superficie del terreno. Nel progetto di attuazione del gennaio 2010, redatto dal C.C., richiamato l'art. 21.1.1. del PRG vigente relativo agli insediamenti nel verde che prevede come l'altezza dei possibili volumi abitabili dovrà essere limitata ad un solo piano fuori terra, l'intervento edificatorio di attuazione al PL 25 viene descritto come fabbricati (villette) di piccole dimensioni con un solo piano abitabile, piano interrato e sottotetto con superficie non residenziale. Obiettivo principale dell'intervento edificatorio è quello di alterare il meno possibile la morfologia del terreno impattando il meno possibile sull'ambiente e sul paesaggio. Viene ribadito che la volumetria massima realizzabile, secondo le disposizioni urbanistiche, è pari a 3.730,68 mc (da cui vanno dedotti 420 mc. dovendosi sottrarre quelli assegnati al lotto di I.I., oggetto di altra pratica, ma del medesimo PL). Con riferimento tale intervento edilizio, peraltro, i giudici di appello ricordano come C.C. ha tentato di dimostrare la regolarità delle opere portando come prova la, simile per caratteristiche, villa di I.I., non oggetto di alcun rilievo da parte del Comune. La circostanza è stata correttamente ritenuta assolutamente irrilevante, atteso che la citata villa, pur parte del PL, era stata espressamente esclusa, quanto a volumetria, dai progetti presentati in comune da C.C..

La realizzazione di un'abitazione in area limitrofa (per la quale risultano destinati ben 420 mc a fronte dei restanti 3.300 mc circa per ben 16 unità abitative, come bene evidenzia la Corte d'appello, in nulla legittimava la costruzione di altre, a seguito di diverse pratiche edilizie, nè il dichiarato mancato intervento del comune poteva essere invocato a sicuro indice della sua regolarità Sovrapponibile alle precedenti, quanto a contenuto, si legge in sentenza, è la relazione tecnica di attuazione del PL 25 sempre a firma C.C. del 2012. La pratica edilizia in questione, prosegue la sentenza d'appello, è costellata di una serie di varianti, definite tutte come non essenziali, tra le quali la Corte d'appello evidenzia quella descritta nella relazione del settembre 2013, indicata come "Variante finale parziale" (limitata al fabbricato A).

Ricorda sul punto la Corte d'appello che lo stesso C.C. aveva precisato come del resto viene dedotto anche in questa sede di legittimità - che ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22 sono ammesse le varianti che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, e che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia e che non alterano la sagoma dell'edificio, qualora questo sia sottoposto a vincolo ambientale (osservandosi da parte della Corte d'appello, peraltro - in ciò destituendosi di fondamento quanto sostenuto nel quarto motivo di ricorso C.C., secondo cui i giudici territoriali avrebbero mutato la qualificazione giuridica del fatto - come nè in sede di indagini, nè nel dibattimento è stata approfondita la circostanza della dichiarata parziale sottoposizione dell'area a vincolo ambientale), l'imputato aveva comunicato, tra le altre modifiche, quella dell'inclinazione della copertura e lieve aumento dell'altezza media che passa da 1,0 m. a 1,88 m. senza aumento della superficie lorda di pavimento o di volume, premurandosi peraltro di ribadire che il piano sottotetto così come modificato non ha e non potrà avere, neanche in futuro, il requisito di abitabilità, nemmeno utilizzando la norma derogatoria del recupero ai sensi della L.R. n. 12 del 2005, art. 63. Richiamato l'art. 7 NTA che prevede che per il piano di lottizzazione n. 25 l'altezza dei singoli volumi dovrà essere limitata ad un piano fuori terra, il C.C. confermava che si tratta di un "fabbricato solo marginalmente emergente", tanto che nelle tavole allegate i locali destinati ad autorimesse risultano ancora interrati sui quattro lati. Sul punto, i giudici di appello osservano come il lieve aumento dell'altezza aveva in concreto comportato pressochè il raddoppio dell'altezza del tetto, con la conseguente significativa modifica dell'inclinazione e che, per uno scrupoloso controllore, avrebbe dovuto costituire un campanello d'allarme circa l'effettiva destinazione progettata per il piano sottotetto (per tacere, si legge in sentenza, della incompatibilità dell'espressione "solo marginalmente emergente" con i disegni delle tavole da cui si vede chiaramente come, fermo restando il totale interramento di un piano, quelli fuori terra risultano ben due, posto che la falda di copertura del tetto poggia su muri che superano significativamente l'altezza del piano "abitabile"). Nella relazione tecnica 2015, poi, si dà atto della modifica delle altezze di tutti i fabbricati, pur ribadendosi che l'impostazione generale e tipologica del piano di lottizzazione non ha subito alcuna variazione nello sviluppo dell'esecuzione dei singoli fabbricati che hanno mantenuto ogni tratto caratteristico originariamente previsto. La variante non comporta alcuna variazione dei parametri urbanistici che risultano inalterati quanto previsto, con eccezione dell'altezza dei fabbricati, dato non certo definibile di scarsa rilevanza, in ragione delle rigorosissime previsioni del PL25.

Agli atti, ricorda la Corte d'appello, risultano i verbali dei primi sopralluoghi in cui viene dato atto di una realtà totalmente diversa da quella descritta negli atti depositati in Comune. Tra le altre, si riporta parte del verbale di sopralluogo del 12.4.2017: i piani terra degli edifici risultano a una quota mediamente di m. 2,00 più alta rispetto a quanto assentito. In ordine alla presente valutazione non risulta verificabile il rispetto dell'altezza di zona con riferimento sia al PRG PL 25 che al PGT. Nel piano sottotetto si rilevano camere e bagni. Nel piano interrato del fabbricato A una cucina abitabile. Quanto agli altri fabbricati, la Corte d'appello, riporta, a dimostrazione delle macroscopicità delle modifiche rispetto al vincolante piano di lottizzazione, i rilievi dei tecnici comunali, seguiti al sopralluogo del 9.3.2017 (cfr. pagg. 27/28 sentenza d'appello, da intendersi in questa sede integralmente richiamate). Concludevano i tecnici per l'avvenuta realizzazione di superficie utile e di volume di molto superiori rispetto a quanto consentito. Ne era seguito, ricorda la sentenza d'appello, inevitabilmente il "Diniego di sanatoria per il fabbricato B" del 20.10.2017: il piano sottotetto presenta n. 9 aperture superiore a quello ammesso all'art. 3 delle NTACM del PTG per il quale sono consentite esclusivamente quelle strettamente adibite all'ispezione della copertura. Stessi dinieghi per i fabbricati C) e D) E) F) G) per i quali viene ribadito l'aumento di volumetria per i piani semi interrati di altezza superiore a quanto indicato nel PRG e PL 25 e adibiti ad abitazione. A tal proposito viene richiamata, per un quadro completo delle opere in concreto realizzate, la descrizione di cui all'ordinanza di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi del 2.7.2018 (descrizione operata a pag. 28 e da intendersi in questa sede per economia motivazionale integralmente richiamata), evidenziandosi nella sentenza impugnata come le fotografie agli atti rendono un'immagine totalmente difforme dal concordato intervento edilizio "di minimo impatto ambientale", riproducendo palazzine di notevoli dimensioni con due piani fuori terra dal lato posteriore e ben tre dal lato anteriore.

La motivazione della sentenza d'appello prosegue poi con la sintesi ragionata della deposizione dell'arch. Todeschini, già dipendente dell'ufficio edilizia del comune di Lecco, che descrive analiticamente gli abusi edilizi accertati. Sul punto la sentenza d'appello coerentemente con le emergenze processuali rileva come le opere realizzate risultassero pertanto eseguite in totale difformità dal permesso di costruire ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31 che definisce, al comma 1, tali quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile. E la totale difformità, precisa la Corte d'appello, non si limitava al permesso di costruire, in quanto le nuove costruzioni risultavano realizzate anche in totale difformità del Piano di Lottizzazione 25, tanto che le richieste di sanatoria (giuridicamente ritenute non ammissibili) risultavano puntualmente rigettate dal comune (sotto la dirigenza dell'arch. Todeschini) in quanto non conformi agli strumenti urbanistici.

Sulla natura giuridica del piano di lottizzazione e sulla vincolatività delle prescrizioni contenute nella relativa relazione tecnica illustrativa, dettando le caratteristiche dell'urbanizzazione del sito, vincolanti in quanto hanno la funzione di pianificare l'uso del territorio, fornisce adeguata motivazione anche in diritto la Corte d'appello a pag. 29, richiamando opportunamente anche la giurisprudenza amministrativa a sostegno. Vincolatività, si puntualizza correttamente in sentenza, tanto immodificabile che lo stesso L. n. 1150 del 1942, art. 17 stabilisce, al comma 1, che decorso il termine stabilito per l'esecuzione del piano particolareggiato questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l'obbligo di osservare, nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso, richiamando coerentemente a sostegno la giurisprudenza amministrativa (il riferimento è a T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 01/04/2015, n. 4920; Cons. st., Sez. V, 30.04.2009, n. 2768; Sez. IV, 27.10.2009, n. 6572; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 01/04/2015, n. 4920). Pertanto, prosegue la Corte d'appello, poichè le opere realizzate in difformità del piano di lottizzazione sono senz'altro non conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione (tra cui lo stesso piano di lottizzazione), le stesse non sono sanabili, a tal proposito richiamando giurisprudenza di questa Sezione (Sez. 3, n. 44517 del 17/07/2019, Rv. 277261).

A tal proposito, i giudici territoriali richiamano il dettato del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36 ritenendolo inapplicabile alle opere realizzate in difformità di un piano di lottizzazione, osservando come, nel caso concreto, in luogo di "villette" sono state realizzate palazzine di tre piani, tutti adibiti a permanenza di persone, con innalzamento dell'altezza degli edifici di circa due metri, con realizzazione di porte finestre e balconi al posto di (pochi) velux, previsti sui tetti solo per accessi di natura manutentivi, con parziale emersione, su uno o due lati, del piano che avrebbe dovuto essere completamente interrato e realizzazione di porte finestre con accesso diretto ai giardini in luogo di bocche di lupo e intercapedini, con un rilevante impatto paesaggistico. Impatto che avrebbe dovuto essere assolutamente minimale, secondo la prospettazione del comune, tanto che, come lamentato dal ricorrente C.C. in occasione delle spontanee dichiarazioni, era stato chiesto perfino l'interramento dei camminamenti pedonali. La Corte territoriale ne ha dunque fatto conseguire l'irrilevanza - si legge in sentenza, per tacere della macroscopica illegittimità - del provvedimento di sanatoria rilasciato dall'attuale dirigente dell'ufficio tecnico del comune di Lecco il quale, in palese violazione D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36 che prevede una adeguata motivazione per i provvedimenti di sanatoria, avrebbe laconicamente, oltre che falsamente, indicato la dichiarazione di conformità dell'intervento realizzato alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momentoiesta "effettuato gli opportuni accertamenti d "ufficio...determina la sanzione pecuniaria ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 37, comma 4".

2.4. Come anticipato in sede di illustrazione dei motivi comuni a tutti i ricorrenti, le difese hanno contestato questo passaggio argomentativo della sentenza d'appello sostanzialmente tacciando la sentenza per aver travisato il senso della sanatoria postuma del Comune che, essendo stata rilasciata ai sensi dell'art. 37 TU edilizia sulla base di una complessiva riconsiderazione degli abusi operata dal Comune a seguito del contenzioso amministrativo, che aveva visto anche una pronuncia del TAR di cessazione della materia del contendere, avrebbe ritenuto che le difformità riscontrate in realtà fossero tali da non rivestire rilevanza penale, tanto da essere stata determinata la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall'art. 37 citato. Sul punto deve essere osservato che l'art. 37 citato, rubricato "Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità" è applicabile agli interventi edilizi di cui all'art. 22, commi 1 e 2, ossia "a) gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'art. 3, comma 1, lett. b), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio o i prospetti; b) gli interventi di restauro e di risanamento conservativo di cui all'art. 3, comma 1, lett. c), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, comma 1, lett. d), diversi da quelli indicati nell'art. 10, comma 1, lett. c" (comma 1), nonchè "le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire" (comma 2).

Se così è, allora è evidente che, a prescindere dai dedotti travisamenti sollevati dalle parti, peraltro smentiti dalla stessa lettura delle sentenze di merito, gli interventi edilizi in questione non avrebbero potuto essere assentiti mediante una SCIA a sanatoria, non rispondendo alle indicazioni normativamente previste, anche alla luce della novella legislativa introdotta dal D.Lgs. n. 222 del 2016.

In particolare, sono nettamente distinguibili nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia (d'ora in poi, TUE) due distinti regimi della segnalazione certificata di inizio d'attività, corrispondenti a due differenti tipologie: una Scia, cosiddetta "tipica" o "ordinaria", regolamentata dall'art. 22 comma 1, TUE ed una Scia, cosiddetta "atipica" o "speciale", alternativa al permesso di costruire, che trova la sua disciplina nell'art. 23 del TUE e che rivela la sua atipicità nel fatto di costituire una variante procedurale di quella ordinaria in ragione della tipologia degli interventi per la quale è preordinata, che sono di contenuto diverso e urbanisticamente più rilevanti, tanto da essere assoggettata al contributo di costruzione (al pari della Super Dia per la quale il contributo di costruzione era previsto dall'abrogato comma 5 dell'art. 22 TUE), nonchè in considerazione del contenuto e delle condizioni cui essa è soggetta, espressamente delineate nei commi 01 e seguenti dell'art. 23 TUE. La Scia "ordinaria" (sostitutiva nella disciplina previgente al D.Lgs. n. 222 del 2016, a condizioni esatte, all'abrogata Dia e giammai alla Super Dia) è invece congegnata quale titolo per l'esecuzione degli interventi di edilizia minore ed è soggetta al regime giuridico di cui alla alla L. n. 241 del 1990, art. 19, che l'art. 22 espressamente richiama, tant'è che l'attività oggetto della Scia cd. tipica può essere iniziata, anche nei casi di cui all'art. 19-bis, comma 2, dalla data della presentazione della segnalazione all'amministrazione competente (L. n. 241 del 1990, art. 19, comma 2), laddove per la "Super-Scia" ossia per la Scia alternativa al permesso di costruire i lavori possono essere iniziati solo se decorsi trenta giorni dalla presentazione allo sportello unico (art. 23, comma 1, TUE), trovando ciò spiegazione nel fatto che, entro il suddetto termine, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove riscontri l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza.

Non può essere pertanto condiviso l'approdo cui giungono le difese perchè, se anteriormente alla data del 11 dicembre 2016 occorreva il permesso di costruire (o un titolo abilitativo equipollente, costituito prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 222 del 2016, dalla Super Dia) per gli interventi edilizi contestati, non era certo il possesso di una Scia cd. tipica o ordinaria a rendere legittimo l'intervento, posto che la "Super Dia" e la "Super Scia", successivamente introdotta, differiscono per struttura, contenuti e forme procedurali dalla Scia ordinaria (si pensi, ad esempio, al contributo di costruzione richiesto per la Super Scia, ex Super Dia, e non invece per la Scia).

Nè può eccepirsi l'inapplicabilità dello ius superveniens, essendo i fatti anteriori al 2016. Ed infatti, osserva il Collegio come vi è piena continuità normativa tra la Super Dia, prevista dall'abrogato comma 3 dell'art. 22 TUE, e la Super Scia, prevista dal nuovo comma 01 dell'art. 23 TUE, quanto alla natura degli interventi, nonchè continuità normativa quanto alle modalità procedurali: l'abrogato comma 3 dell'art. 22 (Super Dia) è stato riprodotto nel comma 01 dell'art. 23 (Super Scia); l'abrogato comma 5 dell'art. 22 che prevedeva il contributo di costruzione per la Super Dia è stato riprodotto nell'ultima parte del comma 01 dell'art. 23 per la Super Scia; le parole "denuncia" previste per la Super Dia nel comma 2 dell'art. 23 sono state sostituite dalle parole "segnalazione" per indicare la Super Scia; la restante parte dell'art. 23 è rimasta del tutto immutata.

2.5. Ne consegue che la invocata sanatoria prevista dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 37 non era nè è applicabile, potendo essere richiesta unicamente per gli interventi edilizi, realizzati in assenza o in difformità della segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A.), previsti dall'art. 22, commi 1 e 2, del D.P.R. cit. e quindi non è estensibile anche agli interventi edilizi, di cui al comma 01 dell'art. 23 TUE, per i quali la S.C.I.A. si pone quale titolo abilitativo alternativo al permesso di costruire (c.d. Super Scia), applicandosi in tale ultima ipotesi la sanatoria mediante procedura di accertamento di conformità di cui all'art. 36 del medesimo D.P.R., come espressamente previsto dal comma 1 della predetta disposizione; ciò sia a regime e sia per i fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 222 del 2016 in ordine ai quali, per la realizzazione dell'intervento edilizio, era richiesto, come nel caso di specie, il permesso di costruire o la Super Dia, in alternativa a detto permesso, vuoi per la ricordata continuità normativa tra i predetti istituti e vuoi per la continuità normativa quanto alle procedure sananti di cui agli artt. 36 e 37 TUE (cfr., in termini: Sez. 3, n. 46480 del 13/07/2017, Rv. 270910).

Alla stregua di quanto sopra, perdono di spessore argomentativo tutte le doglianze svolte dai ricorrenti con riferimento all'applicabilità, al caso in esame, della disposizione di cui all'art. 37 TUE. 2.6. Che, del resto, corretto sia l'approdo cui sono pervenuti i giudici territoriali, emerge dalla stessa sentenza d'appello, ove si osserva come se le opere realizzate fossero state conformi agli strumenti urbanistici (al PL 25 per quel che qui rileva) non si vede per quale motivo gli imputati si fossero "presi la briga" di depositare progetti totalmente difformi da quelli realizzati e di depositare al comune false schede catastali nè si vede per quale motivo abbiano presentato dichiarazioni di sanatoria e abbiano realizzato opere, insufficienti e non essenziali, per ricondurre le altezze dei piani non più interrati ma semi interrati a quanto previsto dal PRG. I giudici territoriali puntualizzano come non risultano accertamenti del Comune volti a verificare la attuale destinazione del piano sottotetto, con riduzione delle altezze esterne e innesto della falda del tetto dall'altezza del piano intermedio - come identificato in sentenza - con sostituzione di tutte le porte finestre e delle finestre con i (pochissimi) velux consentiti, con eliminazione delle porte finestre al piano terra e interramento sui quattro lati. Accertamenti che, osserva la Corte d'appello, avrebbero mostrato come nulla è cambiato, al di là dell'alzamento delle solette, come ricavabile dalla stessa deposizione dell'arch. E.E. (con ciò smentendosi l'assunto difensivo secondo cui vi sarebbe stato un travisamento probatorio delle dichiarazioni del teste E.E., di cui viene trascritta nei ricorsi l'integrale deposizione). La mera riduzione delle altezze del piano interrato a m. 2.40 e la sistemazione di poche altre opere, in un'artificiosa parcellizzazione degli interventi che al contrario devono essere valutati nel loro insieme, in nulla sposta l'avvenuto aumento di volumetria, ottenuta con la realizzazione di opere chiaramente finalizzata alla stabile permanenza di persone su tre piani, nonchè l'aumento delle altezze degli edifici, con la conseguente edificazione di strutture devastanti sotto il profilo dell'impatto sul paesaggio. A tal proposito, correttamente i giudici di appello richiamano la giurisprudenza amministrativa, la quale ha più volte ribadito come la valutazione dell'abuso edilizio presuppone, tendenzialmente, una visione complessiva e non atomistica dell'intervento, giacchè il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio. Ne consegue che, nel rispetto del principio costituzionale di buon andamento, l'amministrazione comunale deve esaminare contestualmente l'intervento abusivamente realizzato, e ciò al fine precipuo di contrastare eventuali artificiose frammentazioni che, in luogo di una corretta qualificazione unitaria dell'abuso e di una conseguente identificazione unitaria del titolo edilizio che sarebbe stato necessario o che può, se del caso, essere rilasciato, prospettino una scomposizione virtuale dell'intervento finalizzata all'elusione dei presupposti e dei limiti di ammissibilità della sanatoria stessa (Cons. St., sez. VI, 30 giugno 2021, n. 4919; Tar Campania, Napoli, sez. VII, 01 agosto 2022, n. 5140; Tar Lazio, Roma, sez. Il, 06 giugno 2022, n. 7283; si noti, peraltro, che nello stesso senso è orientata la giurisprudenza di questa sezione, v. Sez. 3, n. 30147 del 19/04/2017, Rv. 270256; Sez. 3, n. 21192 del 04/04/2023, Rv. 284626 - 01).

Gli stessi giudici di appello, traggono del resto elementi a sostegno della palese illegittimità del provvedimento di sanatoria leggendo la deposizione del teste E.E. (pag. 101), di cui richiamano il relativo passaggio (Giudice:.. "cioè a seguito dell'ordinanza di demolizione, proponete lo stesso tipo di intervento che era stato negato con le SCIA, sotto quale veste? E.E.: sotto una veste di ottemperanza... Avv. Ambrosini: parziale ottemperanza...). Ed ancora, riportando quanto affermato a pag. 113 della deposizione (il sottotetto va visto un attimino con il comune...l'unica cosa che nel sottotetto non è realizzabile è il bagno. I locali... chiaramente non devono essere arredati), arrivando a prospettarne il recupero con la legge regionale, la cui applicabilità era stata espressamente esclusa nelle relazioni tecniche dello stesso C.C..

Sul punto, la Corte d'appello richiama la definizione indicata dalle Norme Tecniche di Attuazione del comune di Lecco, per il quale è superficie utile la somma di tutte le superfici di ciascun piano (anche interrato o seminterrato) o soppalco, misurate al netto delle murature perimetrali esterne ed al netto: a) della superficie dei vani completamente interrati o seminterrati e compresi nel sedime dell'edificio, destinati a funzioni accessorie o di servizio alle abitazioni (quali cantine, immondezzai, centrali termiche e di condizionamento) e purchè con altezza interna, misurata dal piano del pavimento finito all'intradosso del solaio di copertura finito, non superiore a 2,40 m; omissis; b) delle superfici dei vani sottotetto se aventi altezza media interna (senza considerare eventuali controsoffitti) non superiore a m 2,40 considerando I intero sottotetto sino all'intradosso della copertura; i sottotetti non debbono presentare aperture finestrate e/o luci se non quelle strettamente adibite all'ispezione della copertura. L'altezza massima, osserva correttamente la Corte territoriale, è dunque solo uno dei parametri idonei ad escludere la superficie utile e conseguente volumetria, unitamente alla destinazione dei locali alla non permanenza di persone e all'assenza di aperture finestrate nei sottotetti, sicchè conclude logicamente come non fosse dato di intendere pertanto sotto quale profilo le opere sarebbero conformi al PL e alla normativa vigente. In definitiva, gli appelli degli imputati, afferma correttamente la Corte d'appello, lungi dall'affrontare la vera natura degli abusi effettuati, si sarebbero limitati a invocare la intervenuta (illegittima) sanatoria, peraltro ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 37, parcellizzando alcuni degli abusi e tacendo gli altri, omettendo di confrontarsi con il tipo di opere realizzate nel loro complesso e disciplinate dal PL 25, nonchè con le corrette valutazioni riassunte nell'ordinanza di demolizione del 2018 e nei conseguenti divieti di SCIA. Nè, correttamente, si è escluso possano porsi a conferma della regolarità delle opere i mancati interventi del Comune prima del 2016 e il silenzio assenso formatosi in tema di agibilità (peraltro esclusivamente finalizzata al controllo della sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità degli immobili).

2.7. Nè, infine, si noti, può censurarsi l'asserita violazione del diritto di difesa sotto il profilo del diritto al contraddittorio, per avere i giudici territoriali, sostanzialmente con atto "a sorpresa", ritenuto illegittima la sanatoria rilasciata, senza provvedere alla segnalazione del funzionario comunale alla locale Procura della Repubblica. Ed invero - in disparte la questione che la eventuale segnalazione alla Procura competente ben potrebbe essere stata operata separatamente, non essendovi alcun obbligo per il giudice di provvedere in sentenza alla eventuale trasmissione degli atti all'Autorità inquirente competente - non può certo essere censurato l'operato dei giudici territoriali che, in sede di valutazione della sanatoria ex art. 37 TUE, hanno ritenuto la stessa non applicabile agli interventi edilizi come accertati. Ed invero, pacifico è nella giurisprudenza di questa Corte, estensibile per identità di ratio anche alla sanatoria ex art. 37 TUE, che, in tema di reati edilizi, il giudice penale può verificare in via incidentale l'illegittimità del permesso di costruire in sanatoria che lo rende privo di validi effetti, in quanto contrastante con le previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, dovendosi escludere che il mero dato formale dell'esistenza di tale permesso precluda al giudice ogni valutazione in ordine alla sussistenza del reato (Sez. 3, n. 12389 del 21/02/2017, Rv. 271170 - 01).

Nessuna violazione del diritto di difesa si è pertanto verificata nel caso in esame.

3. Il secondo motivo di ricorso del A.A. è inammissibile perchè generico.

I giudici territoriali, a pag. 35 della sentenza, rispondono a identica censura evidenziando come il giudice di primo grado avesse già affrontato la questione dell'elemento soggettivo, unico profilo oggetto di contestazione, riproposta senza alcun apprezzabile elemento di novità critica in questa sede di legittimità. Ricordano come il ricorrente fosse l'amministratore della POGGI Srl , ed in quanto tale aveva sottoscritto i progetti iniziali presentati al Comune, aggiungendo pertanto come egli era a conoscenza della macroscopica difformità tra i progetti da lui stesso presentati e le opere realizzate, macroscopicità che non richiedeva le competenze di un tecnico per essere rilevata. Il primo giudice ha poi ulteriormente aggiunto (v. pag. 25) che il reato ascritto al A.A. era a questi ascrivibile a titolo di dolo eventuale, allorchè egli, avendo sottoscritto delle dichiarazioni formali, aveva evidentemente accettato concretamente il rischio che esse non consentissero asserzioni corrispondenti al vero. Accettazione, questa, discendente invero dalla sua consapevole estraneità alla concreta attività dell'impresa da egli formalmente amministrata. Ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 483, c.p., la falsa attestazione dei fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità può infatti anche non essere oggetto di un dolo diretto da parte dall'autore della condotta, essendo sufficiente che egli ne abbia previsto ed accettato l'eventualità.

L'assenza di qualsiasi elemento di novità critica rispetto alle argomentazioni già svolte con riferimento alla sentenza d'appello, la cui motivazione è scevra da illogicità manifeste o da vizi motivazionali, in uno alla mancata emergenza di elementi che consentano a questa Corte di giustificare l'applicazione dell'art. 129 c.p.p., comma 2, escludendo la sussistenza dell'elemento psicologico del reato in capo al ricorrente, espone il motivo al giudizio di inammissibilità.

4. Per ragioni di priorità logica, corre l'obbligo adesso di esaminare il quarto motivo, con cui il ricorrente A.A. deduce vizio di violazione di legge e correlato vizio di motivazione, per non aver i giudici di appello correttamente calcolato il termine di prescrizione del reato edilizio.

4.1. Il motivo è fondato nei limiti in cui si dirà oltre.

I giudici di appello ritengono non ancora prescritta la contravvenzione edilizia sub 1) in quanto dall'istruttoria dibattimentale sarebbe emerso che l'intervento edilizio non fosse ancora ultimato nel 2018 e che la teste H.H. avrebbe riferito che il cantiere era ancora aperto, ritenendo pertanto di versare nell'ipotesi di reato progressivo nell'evento poichè l'intervento edilizio deve essere valutato nel suo complesso, in quanto realizzazione di un piano di lottizzazione il cui progetto è stato presentato globalmente al Comune.

L'affermazione - al netto dei contestati travisamenti probatori dei dati processuali e, segnatamente delle deposizioni E.E. e H.H., sollevati nell'autonomo ma collegato motivo di ricorso C.C. che, peraltro, essendo comune alle posizioni di tutti i ricorrenti si estende anche a coloro che non lo hanno dedotto specificamente (Sez. 2, n. 189 del 21/11/2019, dep. 2020, Rv. 277814) - è palesemente erronea non tenendo conto della struttura della contestazione mossa al capo 1), in cui il PM ha individuato la data del fatto "dal 26.06.2015 fino al (Omissis)".

Sul punto deve, anzitutto, essere ricordato che il reato edilizio contestato è un reato permanente. Questa Corte ha già affermato che la permanenza del reato di edificazione abusiva termina, con conseguente consumazione della fattispecie, o nel momento in cui, per qualsiasi causa volontaria o imposta, cessano o vengono sospesi i lavori abusivi, ovvero, se i lavori sono proseguiti anche dopo l'accertamento e fino alla data del giudizio, in quello della emissione della sentenza di primo grado (Sez. 3, n. 29974 del 06/05/2014, Rv. 260498 - 01).

Nella specie è pacifico che la permanenza è cessata con l'esecuzione del sequestro, intervenuto nel febbraio 2016. Lo stesso tribunale, del resto, nell'affermare che l'intervento edilizio, pur con le plurime difformità riscontrate, riguardanti ciascuna delle singole unità abitative inserite nel complesso immobiliare, fosse da considerarsi unico, riguardando un unico complesso immobiliare, ha individuato la data di cessazione della permanenza proprio nel febbraio 2016 (pag. 23 sentenza primo grado).

Se dunque, il termine di cessazione della permanenza è quello indicato nell'imputazione ((Omissis)), l'utilizzo della contestazione "chiusa" impediva al giudice di postergare il termine finale di consumazione dell'illecito edilizio. E' pacifico infatti nella giurisprudenza di questa Corte che, nel caso in cui l'imputazione relativa ad un reato permanente indichi il "tempus commissi delicti" con "formula chiusa", e cioè con la precisazione della data di cessazione della condotta illecita, il termine di prescrizione decorre dalla data indicata nell'imputazione e non dalla data di emissione della sentenza di primo grado, potendo le eventuali condotte successive, incidenti sul mantenimento della situazione antigiuridica, essere contestate in altro procedimento (Sez. 2, n. 55164 del 18/09/2018, Rv. 274298 01). Ne consegue, pertanto, la fondatezza delle doglianze difensive sul punto, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata essendo il reato estinto per prescrizione alla data odierna, considerati i periodi di sospensione ricalcolati dalla Corte (gg. 644: gg. 60 e non gg. 141 per termine a difesa dal 7.05.2018 al 25.09.2018; 25.09.2018, gg. 60 per impedimento difensore C.C., estensibili ai coimputati nella non opposizione da parte delle rispettive difese nè essendo stata chiesta la separazione del processo; 16.04.2019, gg. 60 per impedimento difensore B.B., estensibili ai coimputati nella non opposizione da parte delle rispettive difese nè essendo stata chiesta la separazione del processo; sospensione Covid-19, gg. 64; 14.10.2021 - 24.02.2021, gg. 133 per termine a difesa; 20.04.2021 - 15.09.2021, gg. 148 per termine a difesa; 15.09.2021 15.12.2021, gg. 91 per termine a difesa; 15.12.2021, gg. 28 per impedimento imputato C.C., estensibili ai coimputati nella non opposizione da parte delle rispettive difese nè essendo stata chiesta la separazione del processo), essendosi maturata la prescrizione alla data del 7.11.2022, ossia antecedentemente alla pronuncia della sentenza d'appello.

4.2. L'annullamento senza rinvio della sentenza determina, peraltro, la revoca dell'ordine di demolizione impartito con la sentenza di merito. Pacifico infatti è l'orientamento di questa Corte secondo cui l'ordine di demolizione dell'opera edilizia abusiva, previsto D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9, presuppone comunque la pronuncia di una sentenza di condanna, non risultando sufficiente l'avvenuto accertamento della commissione dell'abuso, come nel caso di sentenza che rileva l'intervenuta prescrizione del reato (Sez. 3, n. 37836 del 29/03/2017, Rv. 270907 - 01).

4.3. Le emergenze processuali, peraltro, non consentono di dar seguito alle doglianze proposte dalle difese che, quantomeno con riferimento alle ultime villette vendute e realizzate ai testi F.F., G.G. e H.H. (che, sentiti in dibattimento, avevano tutti affermato che dopo la stipula del rogito del 2013, non erano stati fatti lavori aggiuntivi e che l'immobile era completo), hanno sostenuto la necessità di retrodatare il termine di prescrizione all'anno 2013. Trattasi, infatti, di indicazione temporale frutto di una ricostruzione fattuale difensiva rispetto alla quale il presunto travisamento probatorio operato dai giudici di merito, pur essendo ritualmente sostenuto documentalmente (avendo provveduto le difese ad allegare le relative deposizioni rese all'ud. 26.02.2020, al fine di consentire a questa Corte di apprezzare direttamente il dedotto travisamento), non rispetta tuttavia le condizioni più volte affermate da questa Corte per la sua rilevabilità in sede di legittimità. Ed invero, il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l'omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l'inammissibilità, ad addurre l'esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece: a) identificare l'atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonchè della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (in termini: Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Rv. 249035 - 01). E, nella specie, pur avendo documentato l'effettiva esistenza dell'atto processuale su cui la "prova" si fonda, difettano elementi certi per poter affermare con certezza la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, non essendo sufficiente, per pacifica giurisprudenza, le sole dichiarazioni testimoniali secondo le quali dal 2013 alcuni degli immobili fossero abitati per poter ritenere ultimati gli interventi edilizi, posto che per pacifica giurisprudenza di questa Corte la permanenza del reato urbanistico cessa con l'ultimazione dei lavori del manufatto, in essa comprese le rifiniture, ovvero al momento della desistenza definitiva dagli stessi, da dimostrare in base a dati obiettivi ed univoci, nella specie mancanti (Sez. 3, n. 13607 del 08/02/2019, Rv. 275900 - 01).

5. Proseguendo l'esame dei residui motivi del ricorso A.A., può quindi procedersi all'esame del terzo motivo, con cui si deduce il vizio di violazione di legge in relazione al reato edilizio ed agli artt. 81, 483 e 133 c.p. e correlato vizio di motivazione per non avere la Corte d'appello ridotto la pena inflitta in termini corretti, considerata l'intervenuta prescrizione del delitto di cui all'art. 483, c.p., e la conseguente riduzione proporzionale, tenuto conto della sproporzione del trattamento sanzionatorio tra il A.A. ed il B.B., cui è stato ascritto il medesimo reato.

5.1. Il Collegio rileva che l'intervenuto annullamento senza rinvio della sentenza a carico del A.A. per l'unico reato edilizio residuo attesa l'intervenuta estinzione per prescrizione (v. supra quarto motivo), rende superfluo l'esame del motivo con cui questi si duole del trattamento sanzionatorio, esimendo pertanto questa Corte dall'esaminarlo.

6. Analogamente deve dirsi in relazione al quinto motivo, con cui si deduce il vizio di violazione di legge e correlato vizio di motivazione in relazione all'art. 131-bis, c.p., per aver i giudici territoriali escluso l'applicabilità della causa - di non punibilità.

6.1. Ed invero, l'intervenuto annullamento senza rinvio della sentenza a carico del A.A. per l'unico reato edilizio residuo, attesa l'intervenuta estinzione per prescrizione, rende superfluo l'esame del motivo con cui questi si duole della mancata applicazione dell'art. 131-bis, c.p., esimendo pertanto questa Corte dall'esaminarlo.

Va aggiunto, peraltro, che la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sulla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p., in quanto essa, estinguendo il reato, rappresenta un esito più favorevole per l'imputato, mentre la seconda lascia inalterato l'illecito penale nella sua materialità storica e giuridica (giurisprudenza costante: Sez. 1, n. 43700 del 28/09/2021, Rv. 282214 - 01).

7. Infine, ad analogo approdo deve pervenirsi per il sesto motivo, con cui si è dedotto vizio di violazione di legge in relazione all'art. 597 c.p.p., comma 3, artt. 31 e 41 TU edilizia, per aver la sentenza ordinato la demolizione delle opere abusive.

7.1. Ed invero, l'intervenuto annullamento senza rinvio della sentenza a carico del A.A. per l'unico reato edilizio residuo attesa l'intervenuta estinzione per prescrizione, con conseguente revoca dell'ordine di demolizione, rende superfluo l'esame del motivo, esimendo pertanto questa Corte dall'esaminarlo.

8. Proseguendo nell'esame dei ricorsi, può essere esaminato quello proposto dal ricorrente B.B.. 8.1. Il primo motivo, con cui si deduce il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 598 in relazione all'art. 517 e 178 c.p.p. e art. 24, comma 2 e art. 11, comma 2, Cost. per non avere la Corte consentito il contraddittorio con la difesa sostenendo l'illiceità penale e quindi il falso della sanatoria senza rinviare gli atti alla Procura e correlato vizio di motivazione quanto agli effetti giuridici della sanatoria edilizia ex art. 37, Tu edilizia e alla valutazione della deposizione dell'arch. E.E. e della sua relazione tecnica, è stato già affrontato in sede di esame del primo motivo di ricorso A.A.. Si è già detto della sua infondatezza. Può pertanto rinviarsi alle argomentazioni già svolte da questa Corte a tal proposito, da intendersi in questa sede integralmente richiamate e trascritte per ragioni di economia motivazionale.

- 9. Il secondo motivo, con cui si deduce il vizio di violazione di legge in relazione al reato edilizio ed al delitto di cui all'art. 483 c.p. nonchè in relazione all'art. 521 c.p.p., comma 2 e art. 522 c.p.p., art. 178 c.p.p. e art. 24 Cost., comma 2 e art. 11 Cost., comma 2, pur dichiarandosi anche per il B.B. l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione del reato edilizio, è comunque inammissibile in quanto generico per aspecificità.

9.1. La Corte d'appello ha infatti esaminato puntualmente la questione a pag. 23 della sentenza impugnata, sottolineando come l'imputazione riguardi le nove villette difformi dalla DIA in luogo del permesso di costruire. Il fatto peraltro è stato descritto come unico intervento edilizio essendo lo stesso tale, in quanto attuazione di un unico piano di lottizzazione ed in quanto interamente compreso nella prima DIA. Deve a tal proposito essere ribadito che la nozione di "fatto" di cui agli artt. 521 e 522 c.p.p. va intesa quale accadimento di ordine naturale, nelle sue connotazioni oggettive e soggettive; ne consegue che, per aversi "mutamento del fatto", occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta, che non consenta di rinvenire, tra il fatto contestato e quello accertato, un nucleo comune identificativo della condotta, riscontrandosi invece un rapporto di incompatibilità ed eterogeneità che si risolve in un vero e proprio stravolgimento dei termini dell'accusa a fronte del quale si verifica un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. 2, n. 45993 del 16/10/2007, Rv. 239320 01): situazione, questa, non ravvisabile nel caso di specie per le ragioni evidenziate dalla Corte territoriale.

10. Quanto, infine, al terzo motivo di ricorso, con cui si deduce il vizio di violazione di legge in riferimento al reato edilizio, al delitto di cui all'art. 483 c.p. e con riferimento alle norme in tema di prescrizione del reato, si tratta di motivo di ricorso affrontato in sede di esame del quarto motivo di ricorso A.A.. Si è già detto della fondatezza di tale motivo, nei limiti indicati in precedenza. Può pertanto rinviarsi alle argomentazioni già svolte da questa Corte a tal proposito, da intendersi in questa sede integralmente richiamate e trascritte per ragioni di economia motivazionale.

11. Deve, infine, essere esaminato il ricorso C.C..

11.1. Il primo motivo, con cui si deduce il vizio di violazione di legge in relazione all'art. 481 c.p. commesso dal ricorrente, che si sarebbe estinto per prescrizione alla data del 17.03.2023, è fondato.

Va premesso che errata è la lettura offerta dal Procuratore Generale di udienza che, indotto in errore dal dispositivo della sentenza impugnata (in cui si legge che il C.C. è stato prosciolto per prescrizione dal reato di cui al capo "2"), ha ritenuto che, in realtà, i giudici di appello avrebbero dichiarato estinto per prescrizione l'intero capo 2, ossia quello con cui veniva contestato il delitto, continuato, di cui all'art. 481 c.p., con riferimento sia alla attestazione del (Omissis) che con riferimento all'attestazione del 26.06.2015. Ed invero, leggendo attentamente la motivazione della sentenza impugnata si comprende l'evidente refuso contenuto nel dispositivo della sentenza d'appello, che intendeva riferire la formula di proscioglimento per prescrizione al capo "3", ossia il delitto di truffa, come risulta dalla lettura delle pagg. 35/36.

11.2. Tanto premesso, il reato, con riferimento alla certificazione del (Omissis) che le opere realizzate sul map. 6768 fossero conformi agli atti pro-gettuali depositati con DIA del 29.09.2008 e successive varianti, si è estinto per prescrizione in data antecedente alla sentenza d'appello, segnatamente in data 31.12.2022 ((Omissis) + anni 7 e mesi 6 = 27.03.2021 + gg. 644 di sospensione ricalcolati da questo Ufficio).

In applicazione della giurisprudenza di questa Corte, nella sua più autorevole composizione (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818 - 01), l'intervenuta eccezione di prescrizione, comporta l'annullamento parziale della sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui all'art. 481 c.p., per essere intervenuta l'estinzione per prescrizione del reato antecedentemente alla sentenza impugnata.

12. Il secondo motivo, con cui si deduce il vizio di violazione di legge e correlato vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta permanenza del reato edilizio e del dies a quo per maturazione della prescrizione, è fondato.

12.1. Si è già invero detto della fondatezza di tale motivo, nei limiti indicati in precedenza (v. supra quarto motivo di ricorso A.A.). Può pertanto rinviarsi alle argomentazioni già svolte da questa Corte a tal proposito, da intendersi in questa sede integralmente richiamate e trascritte per ragioni di economia motivazionale.

13. Il terzo motivo di ricorso, con cui si deduce il vizio di violazione di legge in relazione all'art. 159 c.p., comma 1, n. 3, e art. 44, TU edilizia, è fondato.

Erroneo è in particolare il calcolo della sospensione dei termini di prescrizione operato dalla Corte d'appello quanto alla sospensione di 141 gg. calcolata dalla Corte d'appello dal 7.05.2018 al 25.09.2018 per il rinvio differito dal giudice sulla rappresentata esistenza da parte della difesa A.A. delle pratiche di sanatoria presentate al Comune. Il calcolo del predetto termine, diversamente, come sostenuto dalla difesa, deve essere contenuto in gg. 60, come del resto affermato dalla sentenza delle Sezioni Unite penali di questa Corte "Cavallo" (Sez. U, n. 15427 del 31/03/2016, Rv. 267041). Diversamente è a dirsi invece per gli altri periodi di sospensione che, come risulta dal ricalcolo effettuato da questa Corte sono corretti nei termini e per le ragioni indicate al paragrafo 4.1..

14. Il quarto motivo, con cui si deduce il vizio di violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 42 del 2004 in relazione all'art. 44, lett. C) Tu edilizia e correlato vizio di manifesta illogicità della motivazione con rifermento alla sussistenza di un vincolo paesistico mai contestato, è manifestamente infondato.

14.1. Trattasi di motivo che è stato già esaminato in sede di esame del correlato primo motivo del ricorso A.A.. Può pertanto rinviarsi alle argomentazioni già svolte da questa Corte a tal proposito, da intendersi in questa sede integralmente richiamate e trascritte per ragioni di economia motivazionale.

15. Ad analogo approdo deve pervenirsi quanto al quinto ed al tztessio motivo, congiuntamente trattati attesa l'intima connessione dei profili di doglianza svolti, con cui si è dedotto il vizio di violazione di legge con riferimento agli artt. 22 e 23-ter, TU edilizia, artt. 31 e 32 Tu edilizia, artt. 36 e 37, Tu Edilizia, nonchè delle norme extra-penali richiamate nel motivo di ricorso, e correlato vizio di motivazione.

15.1. I motivi, ambedue infondati, sono stati già esaminati in sede di disamina del primo motivo di ricorso A.A.. Può pertanto rinviarsi alle argomentazioni già svolte da questa Corte a tal proposito, da intendersi in questa sede integralmente richiamate e trascritte per ragioni di economia motivazionale.

16. Il settimo ed ultimo motivo, con cui si deduce il vizio di violazione di legge e correlato vizio di motivazione in ordine al delitto di cui all'art. 481 c.p., è fondato.

16.1. Alla doglianza difensiva, così replicano il primo giudice ed i giudici di appello.

Si legge, in particolare, nella sentenza di primo grado che dall'accertata sussistenza delle descritte difformità tra quanto contenuto nei progetti edilizi del complesso immobiliare e quanto effettivamente realizzato nell'ambito del complesso stesso, discende all'evidenza la sussistenza del substrato materiale dei falsi contestati, segnatamente di quello ascritto al C.C.. In particolare, a pag. 24 della sentenza di primo grado, il tribunale evidenzia come, nel caso in esame, non si verte in tema di omessa produzione documentale degli allegati obbligatori ma di mancata corrispondenza al vero dell'asserzione relativa alla conformità delle opere realizzate ai progetti edilizi in precedenza depositati, anche alla luce di tutte le modifiche intervenute nel tempo. Tale asserzione, precisa il primo giudice, non solo è pacificamente falsa, ma proviene altresì da un incaricato di servizio di pubblica necessità, posto che tale dichiarazione non può essere resa da chiunque, ma provenire da un tecnico o da colui che, in quanto tecnico, abbia in precedenza rivestito anche la qualifica di progettista.

16.2. Ancora più evidente è la configurabilità dell'illecito secondo l'impostazione della Corte d'appello.

Premesso che qui si discute, in esito all'accoglimento del primo motivo C.C., della sola certificazione depositata al comune di Lecco in data 26.6.2015 relativamente al map. 6768 e al map. 6767, con cui egli, in qualità di tecnico collaudatore, certificava che le opere realizzate erano conformi agli atti progettuali depositati, ricordano i giudici di appello come la necessità di una certificazione di collaudo è prevista in primo luogo dalla legge statale che, al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 20, prescrive che ultimato l'intervento, il progettista o un tecnico abilitato rilascia un certificato di collaudo finale, che va presentato allo sportello unico, con il quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato con la segnalazione certificata di inizio attività. L'obbligo è ripreso dall'art. 42 della L.R. Lombardia che prevede all'u.c. che "Ultimato l'intervento, il progettista o un tecnico abilitato rilascia un certificato di collaudo finale, che va presentato allo sportello unico per l'edilizia, con il quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato con la segnalazione certificata di inizio attività". Anche l'art. 13 dello stesso PL 25 recita che il collaudo dovrà eseguirsi "...a seguito della presentazione del Certificato di Regolare Esecuzione a firma del Direttore dei lavori attestante: la regolarità delle costruzioni alle previsioni del Piano di Lottizzazione, nonchè la conformità delle opere ai relativi permessi a costruire".

Il progettista, nel caso di specie C.C., ribadiscono i giudici di appello, assume nel caso di SCICA (già DIA) la qualifica di esercentèi pubblica necessità (cfr. D.P.R. n. 380 del 2001, art. 20) ai sensi degli artt. 359 e 481 c.p. La ratio della norma è evidente. Non essendo previsti controlli preventivi e conseguenti permessi del comune a garanzia della regolarità delle opere, viene individuato un soggetto che di fatto si sostituisca ai funzionari, adempiendo al pubblico servizio di garantire il rispetto della normativa urbanistica. L'attestazione di conformità, puntualizzano i giudici di appello, è tutt'altro che una valutazione, trattandosi della certificazione che le opere realizzate sono conformi ai progetti depositati. Infine, si conclude affermando quanto già detto a proposito della sussistenza della contravvenzione edilizia di cui al capo a), ossia della totale difformità rilevata in occasione dei sopralluoghi da parte dei tecnici comunali, successivi al deposito dei certificati di collaudo, in quanto al posto di villette ad un solo piano fuori terra sono state rilevate palazzine di tre piani, tutti destinati a permanenza di persone.

16.3. Tale apparato argomentativo, si noti, non può considerarsi del tutto sufficiente a fronte, delle censure che erano state sollevate nell'atto di appello che la parte ricorrente ripropone in questa sede al fine evidenziare il sostanziale silenzio motivazionale sulle questioni proposte.

Va, in particolare, premesso che si discute della dichiarazione di conformità ex art. 25, lett. b), TUE, diretta al comune di Lecco, redatta in data 26.06.2015 ed allegata alla pratica per l'agibilità dell'edificio di tale L.L., che sottoscriveva la richiesta insieme al A.A. di POGGI Srl . La difesa, già davanti ai giudici di appello, aveva sollevato una serie di questioni in diritto che, tuttavia, sono rimaste in parte senza adeguata risposta.

16.4. Anzitutto, va affrontato il tema dell'inutilità del falso e della rilevanza penalistica del falso circa l'agibilità, su cui la Corte non si pronuncia.

Il silenzio motivazionale sul punto, ritiene il Collegio, non inficia la sentenza impugnata, atteso che si tratta di censura manifestamente infondata (Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, dep. 2015, Rv. 263157), posto che per pacifica giurisprudenza, ricorre il cosiddetto "falso innocuo" nei casi in cui, come quello in esame, l'infedele attestazione (nel falso ideologico) sia del tutto irrilevante ai fini del significato dell'atto e non esplichi effetti sulla sua funzione documentale, non dovendo l'innocuità essere valutata con riferimento all'uso che dell'atto falso venga fatto (tra le tante: Sez. 5, n. 5896 del 29/10/2020, dep. 2021, Rv. 280453 - 01).

Nel caso in esame, la dichiarazione di conformità ex art. 25, lett. b), TUE, era diretta al comune di Lecco ed era allegata alla pratica per l'agibilità: deve quindi essere esclusa la ricorrenza del "falso innocuo", invocata dal ricorrente, in quanto la stessa era preordinata, nell'impostazione accusatoria, a non rendere evidente la reale destinazione d'uso quali vani accessori dei locali sottotetto ed interrato.

16.5. Analogamente non rileva il fatto che sia rimasta senza risposta la doglianza difensiva secondo cui i fatti, a seguito dell'abrogazione dell'art. 25 TUE, non rivestirebbero più alcuna rilevanza penale a far data dal 2016, data di entrata in vigore della novella attuata con il D.Lgs. 25 novembre 2016, n. 222, recante "Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi della L. 7 agosto 2015, n. 124, art. 5", posto che - nella prospettazione difensiva - la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonchè la conformità dell'opera al progetto presentato e la sua agibilità sono attestati mediante segnalazione certificata, la cui mancanza comporta l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 77 a Euro 464.

Nel caso di specie, infatti, rileva il Collegio, non si discute di mancanza di segnalazione certificata, ma, nella prospettiva accusatoria, di infedele attestazione in ordine alla sussistenza delle predette condizioni ed alla conformità dell'opera al progetto presentato e alla sua agibilità, donde non vi è dubbio in ordine alla persistente rilevanza penale di tali dichiarazioni.

16.6. Diversamente, sono tuttavia rimasti senza risposta ulteriori profili di doglianza sollevati dalla difesa del C.C., con cui venivano sollevate censure di particolare rilievo, come: a) il tema della falsità dell'atto che sarebbe stata legata, nella prospettazione difensiva, al giudizio di conformità su un dato vero (rilevandosi che la schede catastali erano state ritenute rispondenti alle pratiche edilizie, donde il contenuto della dichiarazione attinente la rispondenza conforme dei lavori ai titoli edilizi, ovvero alle modifiche della DIA in variante e SCIA del 2015 non sarebbe per la difesa penalmente rilevante); b) laddove contestava che il falso sarebbe consistito in un giudizio di conformità tra realizzato e pratiche edilizie, che non rileverebbe penalmente secondo la giurisprudenza richiamata; c) l'esistenza - di una possibile confusione tra l'art. 481 c.p. e le disposizioni riguardanti le - norme sulle asseverazioni di cui all'art. 20, comma 13, e art. 23 TUE (ciò, aggiunge il Collegio, soprattutto alla luce della giurisprudenza la quale ritiene che il reato di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 20, comma 13, introdotto dalla L. 12 luglio 2011, n. 106, che punisce le false dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni circa l'esistenza dei requisiti e Presupposti per il rilascio del permesso di costruire, ha un ambito applicativo che si sovrappone interamente alla fattispecie di falso ideologico in certificati commesso da persone esercenti un servizio di pubblica necessità (art. 481 c.p.) e di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.), di cui assorbe il disvalore, e si consuma quando oggetto di asseverazione non siano esclusivamente fatti che cadono sotto la percezione materiale dell'autore della dichiarazione, ma giudizi (Sez. 3, n. 29251 del 05/05/2017, Rv. 270432 - 01); d) ancora, il giudice di appello non ha fornito risposta alla censura difensiva che contestava l'assenza di prova dell'elemento psicologico del reato, atteso che la dichiarazione diò cui si discute era stata redatta sulla base di un dato di fatto rappresentato fotograficamente, donde non sarebbe stato possibile intervenire con contrarie false attestazioni; e) ulteriore censura, di particolare rilievo, atteneva ancora alla considerazione per la quale il falso si sarebbe posto in relazione alla futura utilizzazione dei vani accessori, successivamente all'acquisto ed utilizzazione dei proprietari, come vani totalmente abitati, donde la contestazione mossa al C.C. non sarebbe stata al medesimo ascrivibile, non spettando al medesimo valutare potenziali usi futuri dei locali quali i vani accessori dei locali sottotetto ed interrato (e, sul punto, non può non rilevarsi che la responsabilità penale quale persona esercente un servizio di pubblica necessità per il reato di falsità ideologica in certificati che renda false attestazioni, è subordinata alla condizione che le stesse riguardino lo stato dei luoghi e la conformità delle opere realizzande agli strumenti urbanistici e non anche la mera intenzione del committente o la futura eventuale difformità di quest'ultima rispetto a quanto poi in concreto realizzato: tra le tante: Sez. 3, n. 27699 del 20/05/2010, Rv. 247927 - 01).

16.7. In applicazione del principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui è affetta da nullità per difetto di motivazione la sentenza di appello che, a fronte di motivi specifici di impugnazione con cui si propongono argomentate critiche alla ricostruzione del giudice di primo grado, si limiti a "ripetere" la motivazione di condanna senza rispondere a ciascuna delle contestazioni adeguatamente mosse dalla difesa con l'atto di appello (tra le tante: Sez. 2, n. 56395 del 23/11/2017, Rv. 271700 - 01), l'impugnata sentenza dev'essere, conclusivamente, annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano perchè colmi il deficit motivazionale relativo al delitto di cui all'art. 481 c.p. ascritto al ricorrente C.C., il cui termine di prescrizione maturerà in data 30.09.2024 (26.06.2015 + anni 7 e mesi 6 = 26.12.2022 + gg. 644 di sospensione ricalcolati da questo Ufficio).

17. Segue, infine, la conferma delle statuizioni civili (salvo che con riferimento alla posizione di H.H., demandando alla Corte d'appello in sede di rinvio la relativa liquidazione anche in punto di spese sostenute nel giudizio di legittimità), nonchè la condanna degli imputati indicati in dispositivo alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, liquidate in base ai criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014, aggiornati al D.M. n. 147 del 2022.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in rèlazione agli imputati A.A., B.B. E C.C., limitatamente al reato di cui agli artt. 110 e 113 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b), rubricato al capo 1, perchè estinto per prescrizione.

Annulla altresì la medesima sentenza in relazione all'imputato C.C., senza rinvio, limitatamente al reato di cui all'art. 481 c.p., commesso il (Omissis), perchè estinto per prescrizione, e, con rinvio, quanto al reato di cui all'art. 481 c.p. commesso il 26/06/2015 ad altra Sezione della Corte di appello di Milano anche per le statuizioni civili a favore di H.H..

Revoca l'ordine di demolizione.

Conferma le statuizioni civili di condanna a favore di F.F., M.M., L.L., G.G., N.N..

Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili F.F., M.M., L.L., G.G., N.N., che liquida in complessivi Euro 8.100,00, oltre accessori di legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2023