Giu Nel giudizio di appello è ammissibile la richiesta di rinnovazione del dibattimento per lo svolgimento di perizia psichiatrica in tema di capacità di intendere e volere dell'imputato
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 20 novembre 2023 N. 46486
Massima
Nel giudizio di appello è ammissibile la richiesta di rinnovazione del dibattimento per lo svolgimento di perizia psichiatrica in tema di capacità di intendere e volere dell'imputato, anche nel caso in cui la decisione di primo grado sul punto non abbia formato oggetto di specifico e tempestivo motivo di gravame; ciò in quanto l'accertamento dell'idoneità intellettiva e volitiva dell'imputato non necessita di richiesta di parte, potendo essere compiuto anche d'ufficio dal giudice di merito allorquando ci siano elementi per dubitare dell'imputabilità.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 20 novembre 2023 N. 46486

Il ricorso di A.A., è fondato, quanto al primo motivo, per le ragioni di seguito illustrate.

Va osservato come la difesa, con memoria redatta ai sensi dell'art. 121 c.p.p. - allegata al ricorso in ossequio al principio di autosufficienza - aveva richiesto l'acquisizione di una consulenza psichiatrica prodotta nell'ambito di altro procedimento penale, da cui emergevano condizioni patologiche da cui il ricorrente era affetto, chiedendo, alla luce di tale elaborato, lo svolgimento di una perizia sulla capacità di intendere e di volere del A.A., nonchè sulla sua capacità di partecipare consapevolmente al giudizio.

La Corte di merito, sul punto, ha osservato che la richiesta perizia non rivestisse carattere di necessità e di decisività, nè potesse considerarsi supportata da adeguata documentazione, in quanto la relazione di consulenza psichiatrica non proveniva da una struttura pubblica, trattandosi di un elaborato proveniente da uno specialista che aveva operato nel contesto di una struttura privata; tale consulenza, inoltre, risaliva agli anni 2017/2018 e non attestava una incapacità di intendere e di volere, bensì un disturbo bipolare in atto, dando conto del fatto che, all'epoca in cui era stata redatta, comunque le condizioni del A.A., all'atto delle dimissioni dalla casa di cura, risultavano migliorate.

Tale motivazione appare palesemente incongrua, contraddittoria ed illogica, oltre che priva di qualsiasi appiglio ai canoni individuati dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice in tema di perizia psichiatrica avente ad oggetto l'accertamento della capacità di intendere e di volere dell'imputato.

Come noto, infatti, del tutto pacificamente, nel giudizio di appello è ammissibile la richiesta di rinnovazione del dibattimento per lo svolgimento di perizia psichiatrica in tema di capacità di intendere e volere dell'imputato, anche nel caso in cui la decisione di primo grado sul punto non abbia formato oggetto di specifico e tempestivo motivo di gravame; ciò in quanto l'accertamento dell'idoneità intellettiva e volitiva dell'imputato non necessita di richiesta di parte, potendo essere compiuto anche d'ufficio dal giudice di merito allorquando ci siano elementi per dubitare dell'imputabilità (da ultimo, Sez. 5, n. 1372 del 26/10/2021, dep. 14/01/2022, Zafarana Gianlica, Rv. 282470).

L'accertamento della capacità di intendere e di volere dell'imputato, oltre che della sua capacità di partecipare consapevolmente al processo, costituisce uno snodo nevralgico della sequenza processuale, rispetto alla quale questa Corte, da tempo, ha ravvisato la necessità di disporre tutti gli approfondimenti necessari. Oltre al principio di diritto in precedenza enunciato, va ricordato, ad esempio, come, in caso di divergenti conclusioni degli esperti che hanno ricevuto incarico di eseguire perizia psichiatrica sull'imputato, anche in differenti gradi del giudizio, il controllo di legittimità sulla motivazione del provvedimento concernente la capacità di intendere e di volere deve necessariamente riguardare i criteri che hanno determinato la scelta tra le opposte tesi scientifiche; il che equivale a verificare se il giudice del merito abbia dato congrua ragione della scelta e si sia soffermato sulle tesi che ha creduto di non dovere seguire e se, nell'effettuare tale operazione, abbia tenuto costantemente presenti le altre risultanze processuali e abbia con queste confrontato le tesi recepite (Sez. 5, n. 686 del 03/12/2013, dep. 10/01/2014, De Marco, Rv. 257965; Sez. 1, n. 8076 del 24/05/2000, P.G. in proc. Stevanin, Rv. 216613).

In tale contesto ermeneutico, evidentemente ignorandolo del tutto, quindi, la Corte di merito ha affermato, senza fornire alcuna adeguata spiegazione, che la richiesta perizia non rivestiva "carattere di necessità e di decisività"; inoltre, ha aggiunto che la provenienza della consulenza - redatta da un medico operante in una struttura privata - possedeva valenza limitata, operando, in tal modo, una indebita e del tutto ingiustificata, oltre che illogica ed arbitraria, gradazione di validità dell'apporto tecnico fornito dallo specialista, in base al diverso inquadramento amministrativo delle prestazioni assistenziali erogate dalla struttura - in regime pubblicistico o privatistico - in cui aveva operato lo psichiatra autore della consulenza.

Si tratta di un criterio che non trova alcun appiglio nè in massime di esperienza consolidate nè, tanto meno, in principi giuridici, posto che il medico in questione risulta - fino a prova contraria - un soggetto munito di laurea in medicina e chirurgia, specializzato in psichiatria ed operante in una struttura specialistica, dove il ricorrente era stato ricoverato per il trattamento di un disturbo bipolare. Nè si comprende come possa essersi la Corte di merito - salvo il ricorso alla propria scienza privata, peraltro neanche esplicitato - spinta ad affermare che il citato disturbo del ricorrente non fosse dimostrativo di alcuna incapacità di intendere e di volere, essendo il disturbo bipolare, pacificamente, una malattia di natura psichiatrica e, come tale, astrattamente incidente sulla sfera cognitiva e volitiva del soggetto.

Sembra altresì sfuggire alla Corte di merito come l'evidenziato miglioramento del ricorrente, constatato dalla consulenza di parte, logicamente non poteva che essere la conseguenza del ricovero nella struttura specialistica, nulla potendo inferirsi circa le successive condizioni del A.A., mancando ogni riferimento alle ulteriori vicende evolutive della patologia dalla quale egli risulta affetto, sicchè ogni conclusione sul punto non può che essere del tutto arbitraria.

Alla luce di tali considerazioni, quindi, si impone l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Catania, con assorbimento degli ulteriori motivi. In caso di diffusione del presente provvedimento, andranno omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Catania. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2023