Giu riciclaggio: quando si può applicare la circostanza attenuante di cui all'art. 648-bis, comma quarto, cod. pen.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 16 novembre 2023 N. 46211
Massima
L'attenuante di cui all'art. 648-bis, comma quarto, cod. pen., in considerazione della littera e della ratio legis, è applicabile nel solo caso in cui la pena prevista in astratto per il reato presupposto - comprensiva delle circostanze aggravanti che siano state riconosciute sussistenti, indipendentemente da un eventuale bilanciamento, all'esito di un giudizio conclusosi con sentenza passata in giudicato ovvero all'esito di un giudizio incidentale compiuto dal giudice del riciclaggio - sia inferiore nel massimo a cinque anni di reclusione.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 16 novembre 2023 N. 46211

1. Il ricorso è infondato, per cui va rigettato per i motivi che seguono.

1.1 Il primo motivo è manifestamente infondato.

Va, innanzitutto, premesso che la sentenza di appello oggetto di ricorso in relazione alla affermazione di responsabilità, alla qualificazione giuridica dei fatti, all'applicazione dell'aumento per la contestata recidiva ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d'appello a quella del Tribunale sia l'ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sezione 2, n. 6560 del 8/10/2020, Capozio, Rv. 280654 - 01).

Ciò posto, si osserva che, in tema di motivazione della sentenza, è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del proprio convincimento, sì da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata, essendo irrilevante il silenzio su una specifica deduzione prospettata dalla parte, ove essa sia disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, atteso che non è necessaria l'esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese, ma è sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione, senza lasciare spazio ad una valida alternativa (Sezione 3, n. 3239 del 4/10/2022, T., Rv. 284061 - 01). In altri termini, non è censurabile, in sede di legittimità, il provvedimento che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della decisione (Sezione 4, n. 5396 del 15/11/2022, Lakrafy, Rv. 284096 - 01). Nel caso di specie, i giudici di merito hanno implicitamente escluso la configurabilità del reato di ricettazione, dando compiutamente conto della sussistenza degli elementi costitutivi del riciclaggio; hanno escluso la configurabilità dell'ipotesi attenuata del riciclaggio, in considerazione della pena prevista per il reato presupposto; hanno specificamente motivato in ordine al profilo della ritenuta recidiva, circostanza questa ammessa anche dal difensore.

1.2 Il secondo ed il terzo motivo non sono consentiti dalla legge, in quanto costituiti da mere doglianze di fatto, tutte finalizzate a prefigurare una rivalutazione alternativa delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità, oltre che aspecifici.

Deve esser evidenziato, inoltre, che entrambi i motivi sono reiterativi di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti e all'interpretazione del materiale probatorio già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale, che con motivazione congrua, diffusa ed esaustiva, oltre che scevra da vizi logici, ha dato conto dei motivi per cui ha ritenuto di dover confermare il giudizio di penale responsabilità espresso dal Tribunale. Ebbene, il ricorrente non si confronta con le ampie ragioni esplicitate nella sentenza impugnata ed in particolare con le risultanze delle operazioni di captazione, da cui i giudici di merito hanno tratto il convincimento in ordine al ruolo di organizzatore dell'attività criminosa del sodalizio svolto dall'A.A., nè si confronta con la motivazione nella parte in cui ha dato conto degli elementi che depongono per la riferibilità all'odierno ricorrente di una delle utenze intercettate.

Orbene, come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sezione 6, n. 23014 del 29/4/2021, B., Rv. 281521 - 01; Sezione 3, n. 50750 del 15/6/2016, Dantese, Rv. 268385 - 01; Sezione 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sezione 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano Rv. 236945 - 01).

1.3 Il quarto motivo è manifestamente infondato. Ed invero, il ricorrente risulta condannato per il reato di cui all'art. 416 c.p., comma 1, con la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale, contestato fino al maggio 2009, di talchè il termine di prescrizione, comprese le interruzioni, è pari ad anni diciannove, mesi cinque e giorni dieci. Risulta, dunque, del tutto irrilevante allo stato, perchè ininfluente, il periodo di sospensione dal 26/6/2018 al 10/10/2018.

1.4 Il quinto motivo è inammissibile perchè generico, non risultando esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici, rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata. Nel caso di specie, invero, la doglianza, con la quale si lamenta la mancata sussunzione dei fatti contestati al capo D) nella fattispecie di ricettazione, si limita ad una mera asserzione, senza esplicitarne le ragioni sottese.

Orbene, la funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce, tale revisione critica si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità, debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta, anche al fine di delimitare con precisione l'oggetto del gravame ed evitare, di conseguenza, impugnazioni generiche o meramente dilatorie (Sezione 6, n. 39247 del 12/7/2013, Tartaglione, Rv. 257434 - 01; Sezione 6, n. 1770 del 18/12/2012, Lombardo, Rv. 254204 - 01). Contenuto essenziale del ricorso in cassazione è, pertanto, il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento oggetto di impugnazione (per tutte, Sezioni Unite, n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822 - 01). L'indeterminatezza e la genericità del motivo lo condannano di conseguenza alla inammissibilità.

1.5 Il sesto motivo è infondato.

Ritiene il Collegio che la Corte territoriale abbia correttamente escluso la sussistenza dell'ipotesi attenuata prevista dall'art. 648-bis c.p., comma 4, in considerazione del fatto che il reato presupposto, individuato nel furto aggravato ai sensi dell'art. 625 c.p., n. 7, è punito con pena superiore a cinque anni. Non può, invero, essere condiviso il percorso logico-argomentativo seguito dalla difesa, che - mutuando le argomentazioni della sentenza delle Sezioni Unite n. 36272 del 31/3/2016, Sorcinelli, Rv. 267238 - 01 - ritiene che il richiamo contenuto nell'art. 648-bis c.p., comma 4, alla pena detentiva inferiore nel massimo a cinque anni debba essere riferito alla pena massima prevista per la fattispecie-base, non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese quelle ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato.

In proposito, rileva in linea generale il Collegio che le Sezioni Unite invocate dal ricorrente, in realtà, hanno affermato che "i criteri per la selezione dei reati attraverso il riferimento alla quantità di pena sono influenzati dagli istituti a cui si riferiscono e sono utilizzati, di volta in volta, in base a valutazioni discrezionali del legislatore", sicchè ""ogni tentativo di ricercare una rigorosa e indefettibile coerenza del sistema in materia è destinato all'insuccesso". Ed, infatti, il principio di diritto enunciato nell'arresto in discorso ("Ai fini dell'individuazione dei reati ai quali è astrattamente applicabile la disciplina dell'istituto della sospensione con messa alla prova, il richiamo contenuto nell'art. 168-bis c.p., alla pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni va riferito alla pena massima prevista per la fattispecie-base, non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato"), non ha valenza generale proprio perchè è limitato all'istituto della messa alla prova di cui all'art. 168-bis c.p., come risulta evidente dalla motivazione, che è tutta incentrata sull'analisi storica e sistematica dell'art. 168-bis c.p..

Escluso, quindi, che il suddetto principio possa essere applicato sia pure in via analogica alla fattispecie in esame, non resta che procedere all'interpretazione della norma per verificare se, per l'applicazione dell'attenuante, debba tenersi conto della pena stabilita dal reato presupposto base ovvero dalla pena stabilita dal reato presupposto aggravato. Del resto, anche se la maggior parte delle disposizioni del codice tengono conto, per la determinazione della pena ai più diversi fini, delle circostanze aggravanti per le quali è stabilita una pena di specie diversa e di quelle ad effetto speciale, non per questo deve ritenersi che da esse emerga una regola generale e, soprattutto, che tale regola non sia derogabile dal legislatore. In realtà, si tratta semplicemente di una "linea di tendenza", che non assurge a criterio generale.

Orbene, come hanno osservato le Sezioni Unite cit. "(...) il riferimento alla lettera della legge costituisce la prima regola interpretativa (art. 12 preleggi) e, allo stesso tempo, il limite di ogni altro criterio ermeneutico cui ricorrere solo quando il testo risulti poco chiaro o di significato non univoco".

L'art. 648-bis c.p., comma 4, dispone che la pena per il delitto di riciclaggio è diminuita solo quando per il reato presupposto "è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni". Tuttavia, poichè la legge è silente sul criterio da seguire per calcolare la pena stabilita per il reato presupposto, non vi è alcun motivo per cui debba privilegiarsi la pena stabilita per il reato base e non anche quella stabilita dal reato base aggravato, tanto più ove si consideri che "la fattispecie circostanziata è dotata di una sua autonoma cornice edittale (...)" (Sezioni Unite cit.).

Risulta, dunque, determinante, a giudizio del Collegio, l'interpretazione sistematica della norma.

Sul punto, occorre prender le mosse da un dato fondamentale: la circostanza attenuante di cui all'art. 648-bis c.p., comma 4 si giustifica e trova la sua ragion d'essere nel minor disvalore del reato presupposto, al quale è in modo indissolubilmente subordinata: se la pena (edittale) prevista per il reato presupposto - comprese le circostanze aggravanti - è inferiore nel massimo a cinque anni, il giudice che giudica il reato a valle (rectius: riciclaggio) deve riconoscere la sussistenza dell'attenuante di cui all'art. 648-bis c.p., comma 4; se, invece, la pena (edittale) prevista per il reato presupposto comprese le circostanze aggravanti - è superiore nel massimo a cinque anni, il giudice che giudica il reato a valle (rectius: riciclaggio) non può riconoscere la sussistenza dell'attenuante di cui all'art. 648-bis c.p., comma 4.

E' chiaro, a questo punto, che diventa fondamentale accertare quale sia la pena del reato presupposto.

Ove il reato presupposto sia stato oggetto di un separato giudizio con sentenza passata in giudicato, il giudice che giudica il riciclaggio non può che prendere atto della decisione del giudice del reato presupposto e ad essa adeguarsi. Quindi, riterrà o meno la sussistenza dell'attenuante a seconda che la pena edittale del reato presupposto (comprese le aggravanti, ove siano state ritenute se pure in astratto e, quindi, indipendentemente da eventuali bilanciamenti) superi o meno nel massimo la pena di anni cinque.

Ove il reato presupposto non sia stato oggetto di alcun giudizio, spetta al giudice che giudica del riciclaggio, verificarne - sia pure in via incidentale - la sussistenza. In tal senso è la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale "in tema di riciclaggio ed autoriciclaggio, non è necessario che la sussistenza del delitto presupposto sia stata accertata da una sentenza di condanna passata in giudicato, essendo sufficiente che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente per il riciclaggio o autoriciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza, in mancanza imponendosi l'assoluzione dell'imputato perchè il fatto non sussiste" (Sezione 2, n. 42052 del 19/6/2019, Moretti Cuseri, Rv. 277609 - 02; Sezione 2, n. 28272 del 31/5/2023, Santaniello; Sezione 2, n. 16764 del 19/1/2023, Carabetta; Sezione 5, n. 17747 del 17/1/2022, Allievi).

Si ripropone, quindi, anche per il giudizio incidentale, mutatis mutandis, la stessa situazione illustrata in relazione alla sentenza passata in giudicato sul reato presupposto.

In proposito, invero, questa Corte ha rilevato che "è poi innegabile che il giudizio prognostico circa l'applicabilità o meno dell'attenuante di cui all'art. 648-bis c.p., comma 3 e - in caso affermativo - circa la misura della riduzione di pena derivantene, per i fini di cui all'art. 280 c.p.p., appartiene al merito e non può formare oggetto di ricorso per cassazione, una volta che il giudice abbia motivato il proprio convincimento: il che si riscontra nel caso di specie, in cui il Tribunale ha valorizzato la gravità dei fatti contestati e l'applicabilità ai reati presupposti dell'aggravante di cui al D.L. 13 maggio, n. 152, art. 7" (Sezione 5, n. 36940 del 21/5/2008, Magnera).

Come risulta da quanto finora illustrato, è evidente che il trattamento sanzionatorio più mite per il reato di riciclaggio trova la sua ratio legis nel minor disvalore del reato presupposto. E così - per fare un esempio - una cosa è un furto semplice, commesso con modalità che non destano particolare allarme sociale e cosa ben diversa è un furto pluriaggravato ai sensi dell'art. 625 c.p., che, com'è noto, prevede plurime circostanze ad effetto speciale che determinano la pena in misura indipendente (fino a dieci anni di reclusione) da quella del reato base (si pensi ad un furto ad una banca con la tecnica cosiddetta del "buco", per mezzo del quale gli agenti penetrano di notte all'interno dei locali dell'istituto di credito e saccheggiano le cassette di sicurezza): il disvalore all'evidenza è del tutto diverso, di talchè non sarebbe razionale applicare la circostanza attenuante di cui all'art. 648-bis c.p., comma 4 (per effetto di una sterilizzazione artificiosa della pena del reato presupposto derivante dall'eliminazione delle aggravanti) a fronte di un reato presupposto che finirebbe per essere punito più severamente del riciclaggio (il che contrasterebbe con l'intento legislativo che, in situazioni analoghe, proprio al fine di sterilizzare gli effetti del reato presupposto, tende a punire più gravemente i reati a valle, come ad es. nella ricettazione).

In conclusione, in ordine alla questione dedotta dal ricorrente, dev'essere enunciato il seguente principio di diritto: "L'attenuante di cui all'art. 648-bis c.p., comma 4, in considerazione della littera e della ratio legis, è applicabile nel solo caso in cui la pena prevista in astratto per il reato presupposto - comprensiva delle circostanze aggravanti che siano state riconosciute sussistenti, indipendentemente da un eventuale bilanciamento, all'esito di un giudizio conclusosi con sentenza passata in giudicato ovvero all'esito di un giudizio incidentale compiuto dal giudice del riciclaggio - sia inferiore nel massimo a cinque anni di reclusione".

Di conseguenza, la contestazione in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante dell'esposizione alla pubblica fede effettuata dal giudice del riciclaggio con accertamento incidentale, dev'essere disattesa in quanto si tratta di censura in fatto, inammissibile in sede di legittimità.

1.6 Inammissibili sono, infine, il settimo e l'ottavo motivo, essendo la motivazione in punto di recidiva e di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche esente da manifesta illogicità, con la conseguenza che è insindacabile in cassazione. Ed invero, la Corte territoriale ha giustificato l'aumento per la recidiva alla luce dei plurimi precedenti penali specifici risultanti dal certificato del casellario giudiziale ed ha respinto la richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, evidenziando la negativa personalità dell'imputato ed i precedenti penali da cui risulta gravato. Trattasi di motivazione congrua ed esaustiva, oltre che scevra da vizi logici, per cui non è censurabile in questa sede. Del resto, è ormai pacifico il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sezione 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 02; Sezione 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 - 01; Sezione 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899 - 01; Sezione 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244 - 01).

2. Al rigetto del ricorso segue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2023