E' vero che, come anche rilevato dal Procuratore Generale nella requisitoria scritta, nella casistica giurisprudenziale - al cui interno si cala la sentenza richiamata dal ricorrente -, si dà sovrapponibilità tra l'appropriazione della cosa mobile altrui e la realizzazione del reato a cui tale appropriazione è funzionale, laddove, nel caso oggetto del presente giudizio, tale sovrapponibilità non sussiste, posto che i bollettari furono rinvenuti - ancora inutilizzati nell'abitazione dell'imputato a seguito di perquisizione.
Residua, tuttavia, ed assume nel caso di specie rilievo assorbente, la considerazione del minimo valore economico del bene (nemmeno per sua natura suscettibile di avere un valore morale o affettivo per altri). Tale dato, alla luce di una lettura non formalistica del dato testuale, preclude la possibilità di ritenere integrata la tipicità del delitto peculato (in tal senso, Sez. 6, n. 21867 del 22/03/2001, Ioia, Rv. 219021, relativo all'uso di modelli prestampati per i libretti di idoneità sanitaria. A tale precedente, richiamato dal ricorrente, si aggiungono quantomeno le più recenti Sez. 6, n. 44522 del 25/05/2018, P., Rv. 274150; Sez. 6, n. 42836 del 02/10/2013, Sgroi, Rv. 256686, relative all'appropriazione, rispettivamente, di tre tessere elettorali e di un pass per disabili).
1. Il ricorso è fondato in relazione alle parti e per i motivi di seguito indicati.
2. Fondato appare il primo motivo di ricorso, relativo al peculato avente ad oggetto i bollettari in possesso dell'imputato.
E' vero che, come anche rilevato dal Procuratore Generale nella requisitoria scritta, nella casistica giurisprudenziale - al cui interno si cala la sentenza richiamata dal ricorrente -, si dà sovrapponibilità tra l'appropriazione della cosa mobile altrui e la realizzazione del reato a cui tale appropriazione è funzionale, laddove, nel caso oggetto del presente giudizio, tale sovrapponibilità non sussiste, posto che i bollettari furono rinvenuti - ancora inutilizzati nell'abitazione dell'imputato a seguito di perquisizione.
Residua, tuttavia, ed assume nel caso di specie rilievo assorbente, la considerazione del minimo valore economico del bene (nemmeno per sua natura suscettibile di avere un valore morale o affettivo per altri). Tale dato, alla luce di una lettura non formalistica del dato testuale, preclude la possibilità di ritenere integrata la tipicità del delitto peculato (in tal senso, Sez. 6, n. 21867 del 22/03/2001, Ioia, Rv. 219021, relativo all'uso di modelli prestampati per i libretti di idoneità sanitaria. A tale precedente, richiamato dal ricorrente, si aggiungono quantomeno le più recenti Sez. 6, n. 44522 del 25/05/2018, P., Rv. 274150; Sez. 6, n. 42836 del 02/10/2013, Sgroi, Rv. 256686, relative all'appropriazione, rispettivamente, di tre tessere elettorali e di un pass per disabili).
La sentenza va, conseguentemente, annullata con riferimento alla condanna dell'imputato per il delitto di cui al capo B).
3. Considerazioni analoghe valgono in relazione alla condanna per il furto dei bollettari dei colleghi dell'imputato (capi C e D).
Coerente e motivata appare la ricostruzione dei giudici di merito, volta ad escludere l'ipotesi che i bollettari rinvenuti nella abitazione dell'imputato vi fossero detenuti per ragioni d'ufficio o vi si trovassero per mera dimenticanza.
Tuttavia, un'interpretazione tesa a valorizzare il bene oggetto di tutela da parte della fattispecie suggerisce, a monte, di escluderne l'integrazione quante volte - come nel caso di specie - la cosa si cui cade la condotta sottrattiva abbia un valore non intrinsecamente apprezzabile.
Di conseguenza, anche in questo caso, si impone l'annullamento della condanna dell'imputato, in rapporto ai suddetti capi, perchè il fatto non sussiste.
4. Diverso discorso vale per il terzo motivo di ricorso e il furto dell'auto Nissan Micra (capo E di imputazione), in relazione alla condanna per il quale l'imputato deduce la violazione dello standard probatorio della ragionevole certezza, ma tralascia di considerare che la prova del reato è stata coerentemente e compiutamente desunta dai giudici di merito.
Questi, infatti, hanno argomentato, in modo diretto, dai chiari contenuti di una conversazione intercettata tra l'imputato e una collega, nel corso della quale A.A. si rallegrava per aver - peraltro eludendo l'attenzione di altra collega con la quale era in servizio - "preso" ad un rom (che si era dato alla fuga) un'auto proprio del modello che interessava all'interlocutrice, così da assicurarle i desiderati pezzi di ricambio e sollecitandola affinchè si recasse in tempi brevi a vederla, perchè presto la avrebbe dovuta "gettare".
Hanno inoltre argomentato, indirettamente e ricorrendo a non meno stringenti inferenze logiche, dalla considerazione che l'imputato - il quale aveva cercato di difendersi sostenendo che la res fosse derelicta in quanto priva delle targhe - ben avrebbe potuto, tuttavia, risalire al proprietario dell'auto dal numero del telaio: soluzione, peraltro, vieppiù intuitiva ed anche agevole in considerazione della professione di A.A., che era luogotenente della polizia municipale. Nè sembra sul punto il caso di ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di reati contro il patrimonio, affinchè una cosa possa considerarsi abbandonata dal proprietario è necessario che, per le condizioni o per il luogo in cui essa si trova, risulti chiaramente la volontà dell'avente diritto di disfarsene definitivamente (per tutte, sez. 4, n. 3910 del 17/12/2020, dep. 2021, Degli Innocenti, Rv. 280380; sez. 5, n. 11107 del 26/02/2015, Di Benedetto, Rv. 263105, in cui è stato escluso fossero res derelictae, rispettivamente, quattro condotti ondulati in acciaio, ordinatamente collocati su un terreno privato, non recintato e ben tenuto, e un tubo di rame inserito all'interno di un pozzetto posto sotto un capannone privo di recinzione, adibito a fungaia).
Alla luce di tali considerazioni, il motivo va rigettato.
La condanna dell'imputato in relazione al capo E) è, dunque, confermata, divenendo, pertanto, definitiva.
5. Quanto alla condotta tenuta da A.A. ai danni di B.B., si condividono le deduzioni contenute nel quarto motivo di ricorso, nella parte in cui revocano in dubbio la configurabilità del delitto di concussione (art. 317 c.p.) di cui al capo F).
5.1. Sul punto, si premette, tuttavia, come la seconda parte del motivo appaia non pertinente e dunque generica là dove fa riferimento a tale C.C., che non compare nel capo di imputazione G) - bensì in quello I), per cui non si procede nella presente sede - e il cui ruolo nella vicenda ai danni di B.B. non è, d'altronde, chiarito dal ricorrente.
Nè avrebbe potuto essere diversamente, posto che C.C. - in relazione alla cui concussione A.A. risulta condannato in distinto procedimento - viene menzionato dai giudici dell'appello al solo scopo di evidenziare il carattere "seriale" delle condotte di A.A., che i giudici del merito dimostrano aduso a raggirare/compulsare stranieri, approfittando delle difficoltà di comunicazione e dalla scarsa conoscenza del sistema normativo, allo scopo di ottenere personali vantaggi illeciti.
5.2. Un diverso discorso vale quanto alle condotte specificamente poste ai danni di B.B.. Dalla ricostruzione del fatto operata nelle sentenze emerge che, nel verbale, l'imputato (che, per questa condotta risponde anche del falso ideologico di cui all'art. 479 c.p.: capo G di imputazione) attestava che l'autovettura era posta in sequestro ed affidata alla proprietaria la quale, con mezzi propri, la conduceva al deposito, laddove, invece, l'auto era fatta prelevare dal carroattrezzi. Risulta, inoltre, che l'imputato annullava successivamente tale verbale, affermando che B.B. esibiva la polizza assicurativa: circostanza non vera, dal momento la donna stipulava la polizza soltanto in un momento successivo.
In altri termini, nel caso di specie, sussisteva effettivamente la violazione dell'art. 193 C.d.S., per la quale è previsto il sequestro del mezzo. Inoltre, il pubblico ufficiale A.A. redigeva verbale, così come era tenuto a fare, sebbene attestandovi cose non vere e con la riserva mentale di annullarlo, dopo aver ricevuto il denaro.
D'altronde, scrivono testualmente i giudici dell'appello: "la donna (...) si è limitata ad eseguire le indicazioni fornitele da un agente di Polizia Municipale, legittimato in quanto tale ad elevare una contravvenzione e a sequestrare un'autovettura. La donna, infatti, ha provveduto (...) a pagare la somma che il pubblico ufficiale le aveva detto di corrispondere per le spese di trasporto del veicolo".
Ancora, nella motivazione si legge che "B.B., provvedendo immediatamente (...) al versamento della somma corrispondente alle spese di trasporto, ha subito la sanzione stabilita per la sua violazione, nell'erronea convinzione di stare adempiendo alla prestazione collegata alla sanzione amministrativa derivante dall'illecito commesso".
Dalla descrizione della vicenda contenuta in sentenza non si evince, dunque, alcun elemento da cui inferire l'avvenuta "costrizione", costitutiva della condotta di cui all'art. 317 c.p., non configurandosi quell'annullamento della volizione - per effetto di minaccia e, tantomeno, di violenza - che è proprio della concussione.
Neppure sussistono, invero, i presupposti della meno grave "induzione" di cui all'art. 319-quater c.p., come pure ipotizzato dal ricorrente.
Sul punto, preliminarmente, è infatti il caso di precisare che, se prima della riforma della L. 6 novembre 2012, n. 190, la condotta induttiva - la quale integrava il tipo dell'art. 317 c.p. in alternativa alla "costrizione" - si prestava a comprendere anche le condotte decettive, altrettanto non può dirsi dopo la novella normativa.
Il legislatore, nell'estrapolare l'"induzione" e farne la condotta costitutiva del delitto di cui all'art. 319-quater c.p., ha disposto la punibilità anche della persona indotta, sulla base del presupposto che questa sia rimproverabile per non aver opposto resistenza alla condotta del pubblico ufficiale: presupposto ovviamente nemmeno astrattamente ipotizzabile là dove la persona offesa abbia, invece, eseguito un pagamento in quanto erroneamente convinta di esservi obbligata.
Ebbene, dai passaggi citati della sentenza di merito risulta appunto che B.B. ha pagato perchè credeva, per errore, di doverlo fare e non perchè avesse ceduto alle prevaricazioni del pubblico ufficiale.
La donna, cioè, ha erogato una somma di denaro sì dovuta, ma finalizzata per iniziativa del solo agente (iniziativa non condivisa con la persona offesa), ad una destinazione - di appropriazione personale - diversa da quella istituzionale. Ciò pare aver fatto a causa del falso convincimento nella stessa indotto dall'inganno operato dall'imputato, approfittando della poca conoscenza che B.B. aveva della lingua e della normativa italiane.
In definitiva, pare delinearsi, nel caso di specie, il tipico schema della truffa (aggravata ovviamente dalla violazione dei doveri del pubblico ufficio: art. 61 c.p., n. 9), il che impone di annullare la sentenza con riferimento al capo F), e di rinviare al giudice di merito affinchè verifichi la sussistenza degli estremi del delitto di cui all'art. 640 c.p., compresa la necessaria condizione di procedibilità.
5.3. Sempre con riferimento al quarto motivo di ricorso, è infine il caso di precisare che, seppur menzionato nell'intitolazione, nessuna deduzione è sviluppata dalla difesa in ordine al capo G) di imputazione (relativo al falso ideologico nella stesura del verbale di contestazione), in rapporto al quale la condanna dell'imputato è confermata e diviene, dunque, irrevocabile.
6. Resta assorbito il quinto motivo di ricorso, inerente al trattamento sanzionatorio e, nella specie, alla riduzione della pena per effetto del rito prescelto in primo grado, nonchè al computo degli aumenti per i reati in continuazione, prospettandosi la necessità, all'esito del giudizio di rinvio, di ricalcolare la pena per i delitti contestati ai capi E) e G), nonchè al capo F), previa riqualificazione del fatto in truffa, ove tale delitto sia ritenuto sussistente.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento ai reati contestati ai capi B), C) e D) perchè il fatto non sussiste; annulla, altresì, la medesima sentenza in relazione al reato contestato al capo F) e rinvia per nuovo giudizio su tale capo ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli; rigetta nel resto il ricorso.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 22 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2023