Più in particolare, il legislatore ha preferito potenziare queste ultime, muovendosi nel solco della continuità con i principi e le linee operative essenziali del sistema da tempo delineato nella L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 53, e s.s..
Siffatta continuità è apprezzabile a partire dalla riaffermazione positiva del potere discrezionale insito nella valutazione del giudice: sia e dapprincipio sull'an della sostituzione; sia, in secondo luogo, sul quomodo (secondo la terminologia della Relazione illustrativa del decreto legislativo), e cioè sulla scelta della pena ritenuta in concreto più idonea.
Ferma la necessità di alcuni presupposti specificamente indicati, l'assetto legislativo prevede che la valutazione continui ad essere esercitata sulla scorta dei consolidati criteri di cui all'art. 133 c.p., che sia guidata da una prognosi di risocializzazione (in virtù del principio di rieducazione del condannato) e che si conformi alla direttiva - del pari espressione di un principio generale - del minor sacrificio possibile della libertà personale. Si è inoltre previsto che il giudice soggiaccia ad un onere motivazionale rinforzato, per il caso in cui decida di "non" provvedere alla sostituzione: innovando rispetto al previgente testo dell'art. 58, comma 2, legge cit., si vuole, infatti, che esponga i "fondati motivi" per cui ritiene che il condannato non adempirebbe alle prescrizioni afferenti alla pena sostitutiva.
Tutto ciò precisato, la valutazione del giudice rimane, tuttavia, pur sempre espressione di un potere discrezionale, senza che - si ribadisce - sia allo stato ipotizzabile un diritto dell'imputato alla sostituzione della pena (in tal senso v. Sez. 6, n. 33027 del 10/05/2023, Agostino, non mass.).
1. Si pone, in via preliminare, una questione attinente all'individuazione dell'oggetto del ricorso.
Sebbene il ricorrente abbia affermato, infatti, di impugnare la sentenza ex art. 444 c.p.p. (nel qual caso, incidentalmente, il ricorso dovrebbe ritenersi inammissibile perchè i motivi di impugnazione proposti non rientrano fra quelli tassativamente indicati dall'art. 448 c.p.p., comma 2-bis), egli ha tuttavia indirizzato le sue censure all'ordinanza contestualmente emessa dal Tribunale, eccependo che, dopo aver deciso, con sentenza, sulla richiesta di pena concordata con il pubblico ministero, e pur potendo deliberare immediatamente sulla pena sostitutiva, ha invece fissato una successiva udienza, peraltro oltre i termini di legge, paventando, in conseguenza, un pregiudizio per i suoi diritti.
Per tale ragione, al di là della formale indicazione contenuta nel ricorso, deve ritenersi che l'oggetto dell'atto di impugnazione sia da individuare nella richiamata ordinanza del 13/04/2023.
2. Ciò posto, il ricorrente omette di considerare che, nel caso concreto, pur essendo stata l'udienza originariamente fissata per il giorno 20/07/2023 - dunque, effettivamente al di là dei 60 giorni previsti dall'art. 448 c.p.p., comma 1-bis, -, con ordinanza del 05/05/2023, successiva alla presentazione del ricorso, la stessa era stata anticipata al giorno 18/05/2023 (data, quest'ultima, ampiamente rientrante nel suddetto termine di legge).
Al riguardo, tuttavia, deve rilevarsi come l'ordinanza con cui il giudice fissi apposita udienza ai fini della decisione sulla pena sostituiva non sia ricorribile in Cassazione, sicchè il ricorso deve ritenersi inammissibile.
2.1. In proposito, e su un piano generale, giova innanzitutto precisare che l'applicazione delle pene sostitutive non rappresenta un diritto dell'imputato.
Il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. riforma Cartabia) ha certamente espresso un orientamento di favore per il contenimento della pena detentiva, ma tale favore non si è spinto fino al punto di suggerire un ampliamento del catalogo delle pene principali (così da includervi ulteriori sanzioni, diverse da quelle limitative della libertà personale del condannato), nè di prevedere l'applicazione delle pene sostitutive a mera richiesta dell'interessato.
Più in particolare, il legislatore ha preferito potenziare queste ultime, muovendosi nel solco della continuità con i principi e le linee operative essenziali del sistema da tempo delineato nella L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 53, e s.s..
Siffatta continuità è apprezzabile a partire dalla riaffermazione positiva del potere discrezionale insito nella valutazione del giudice: sia e dapprincipio sull'an della sostituzione; sia, in secondo luogo, sul quomodo (secondo la terminologia della Relazione illustrativa del decreto legislativo), e cioè sulla scelta della pena ritenuta in concreto più idonea.
Ferma la necessità di alcuni presupposti specificamente indicati, l'assetto legislativo prevede che la valutazione continui ad essere esercitata sulla scorta dei consolidati criteri di cui all'art. 133 c.p., che sia guidata da una prognosi di risocializzazione (in virtù del principio di rieducazione del condannato) e che si conformi alla direttiva - del pari espressione di un principio generale - del minor sacrificio possibile della libertà personale. Si è inoltre previsto che il giudice soggiaccia ad un onere motivazionale rinforzato, per il caso in cui decida di "non" provvedere alla sostituzione: innovando rispetto al previgente testo dell'art. 58, comma 2, legge cit., si vuole, infatti, che esponga i "fondati motivi" per cui ritiene che il condannato non adempirebbe alle prescrizioni afferenti alla pena sostitutiva.
Tutto ciò precisato, la valutazione del giudice rimane, tuttavia, pur sempre espressione di un potere discrezionale, senza che - si ribadisce - sia allo stato ipotizzabile un diritto dell'imputato alla sostituzione della pena (in tal senso v. Sez. 6, n. 33027 del 10/05/2023, Agostino, non mass.).
2.2. Ai fini della decisione del caso concreto va inoltre ricordato che alla disciplina sostanziale, le cui linee portanti sono state sommariamente riassunte, fanno da riscontro, sul piano processuale ed operativo, l'art. 545-bis c.p.p. cit., in via generale, e, per quel che interessa in questa sede da vicino, l'art. 448 c.p.p., comma 1-bis, cit., in materia di c.d. patteggiamento.
La prima disposizione prevede la possibilità per il giudice di decidere immediatamente la sostituzione ovvero di fissare un'apposita udienza, non oltre 60 giorni, ove ritenga di dover assumere le informazioni necessarie alla decisione (comma 1). E, con riferimento ad essa, si è già avuto occasione di chiarire che, ferma la possibilità per l'imputato di sollecitare la valutazione del giudice formulando apposita istanza (nel qual caso, la risposta dovrà essere logicamente e compiutamente motivata), ove quest'ultimo non ritenga sussistenti i presupposti per la sostituzione della pena, può addirittura omettere di darne avviso alle parti (v. Sez. 6, n. 33027 del 10/05/2023, cit.): ulteriore conferma, questa, dei margini di discrezionalità entro cui si muove la valutazione del giudice.
La disciplina dell'art. 545-bis c.p.p. cit. è poi richiamata, "in quanto compatibile", anche in tema di patteggiamento, che peraltro rappresenta, come rilevato anche in dottrina, la sede privilegiata della sostituzione.
Qui il legislatore ha articolato una scansione per larga parte analoga a quella di cui si è detto. Ma, in sintonia con le caratteristiche del rito speciale, ha ascritto l'iniziativa sulla sostituzione della pena detentiva all'imputato, previo accordo con il pubblico ministero: fermo restando, tuttavia, anche in questo caso, l'ineludibile controllo del giudice sulla congruità della pena da sostituire.
Dispone, infatti, l'art. 448 c.p.p., comma 1-bis, cit. che, "quando l'imputato e il pubblico ministero concordano l'applicazione di una pena sostitutiva di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 54, il giudice, se non è possibile decidere immediatamente, sospende il processo e fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all'ufficio di esecuzione".
3. Ebbene, tanto è accaduto nella vicenda in esame, ove il giudice dell'udienza preliminare - facendo uso del suo potere nei termini precisati - ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per decidere nell'immediatezza l'applicazione della pena sostitutiva concordata tra le parti ed ha, pertanto, legittimamente disposto la fissazione di una nuova udienza con ordinanza che, ai sensi dell'art. 586 c.p.p., comma 1, non è autonomamente impugnabile.
Sul punto, va precisato che il Tribunale ha, dapprima, applicato la pena principale pronunciando la sentenza ex art. 444 cit. con contestuale motivazione e, successivamente, emesso ordinanza di fissazione di nuova udienza per l'applicazione delle sanzioni sostitutive (dal verbale di udienza, infatti, risulta che la richiesta delle parti è pervenuta dopo la lettura del dispositivo): nella normalità dei casi, peraltro, è prevedibile che la richiesta delle parti in ordine alla sostituzione della pena sia formalizzata in anticipo (quest'ultima è, d'altronde, la situazione definita, nella già citata Relazione illustrativa al testo della riforma, "fisiologica" e verso di essa sembra spingere la prassi in via di recente formazione).
In disparte, dunque, ogni considerazione sulla ritualità della procedura osservata nel caso concreto - profilo che, peraltro, non è stato dedotto nel ricorso e che involgerebbe una delicata riflessione sui possibili contenuti della negoziazione nel suo rapporto con i confini del potere giurisdizionale in materia di pena -, sia sufficiente in questa sede rilevare che la situazione verificatasi nel caso in esame non si pone in contrasto con il dato letterale della recente riforma legislativa.
Tantomeno, il provvedimento impugnato, che ha natura meramente interlocutoria, potrebbe essere ritenuto abnorme e, pertanto, ricorribile in cassazione, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte (consolidatasi quantomeno a partire da Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590). Lungi dall'essere avulso dal sistema, esso rappresenta, infatti, per le ragioni dianzi esposte, espressione dei poteri riconosciuti al giudice dall'ordinamento, nè determina alcuna stasi del procedimento.
4. Con riguardo all'ultimo profilo ora esaminato, pur prescindendo da quanto già rilevato in ordine alla successiva nuova fissazione dell'udienza nel rispetto del termine (60 giorni) indicato dall'art. 448 c.p.p., comma 1-bis, cit., anche in assenza di tale ultimo provvedimento, nel caso sottoposto all'attenzione di questa Corte, non si sarebbe comunque configurato alcun vizio processuale.
A tal proposito, infatti, è appena il caso di richiamare l'attenzione sul disposto legislativo dell'art. 448 c.p.p., comma 1-bis, cit. (che trova corrispondenza nella disciplina di cui all'art. 545-bis c.p.p. cit.), a mente del quale, nelle more dell'udienza disposta dal giudice a seguito della pronuncia del dispositivo della sentenza, il processo risulta sospeso. Nessun effetto negativo avrebbe potuto, dunque, prodursi, ove fossero scaduti i termini (peraltro ordinatori) nei confronti dell'imputato: tantomeno la definitività/esecutività - erroneamente eccepita dal ricorrente - della sentenza di applicazione concordata della pena che preveda una pena non sostituita.
5. Alla valutazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell'art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2023