1. Con ordinanza del 29 maggio 2023, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Caltanissetta aveva respinto l'istanza di aggravamento degli arresti domiciliari, avanzata dal Pubblico ministero nei confronti di A.A. a norma dell'art. 276 c.p.p., per aver egli violato la prescrizione di non allontanarsi dall'abitazione ov'era ristretto.
Accogliendo l'appello avverso tale decisione avanzato dal Pubblico ministero, a norma dell'art. 310 c.p.p., il Tribunale di Caltanissetta ha sostituito, nei confronti del A.A., gli arresti domiciliari con la custodia cautelare in carcere.
2. Egli impugna tale decisione, con atto del proprio difensore, contestando anzitutto di aver commesso la violazione degli arresti domiciliari che gli sia addebita.
Essa - si sostiene - risulta dalle sole parole dei carabinieri intervenuti, che hanno riferito di averlo casualmente visto per strada e di aver tentato un infruttuoso inseguimento, nonchè di averlo subito dopo trovato in casa, con il respiro affannato, in mutande e con i vestiti, bagnati per la pioggia, nascosti sotto al letto. Ha obiettato il suo difensore al Tribunale, con allegazioni tratte da applicazioni informatiche, che a quel momento non v'erano precipitazioni in quella zona e che tra l'abitazione ed il luogo dell'ipotetico avvistamento intercorressero solo novanta metri, essendo perciò logicamente impossibile che il ricorrente non fosse stato raggiunto dagli inseguitori e che, comunque, avesse avuto il tempo di rientrare, svestirsi, nascondere gli indumenti ed aprire ai carabinieri. L'ordinanza si sarebbe limitata, in proposito, ad affermare l'assenza di elementi addotti dalla difesa per contestare il riconoscimento di costui da parte dei militari, quando invece è stato specificamente sostenuto che A.A. fosse in casa impegnato a far ginnastica e che i vestiti, bagnati dalla pioggia mentre erano stesi all'esterno e quindi ritirati, fossero finiti sotto al letto accidentalmente.
In secondo luogo, si lamenta l'assenza di motivazione per escludere la lieve entità della trasgressione, vista comunque la ridotta distanza tra il luogo di custodia e quello in cui quegli sarebbe stato, in ipotesi, avvistato.
Infine, mancherebbe la motivazione anche con riferimento all'esclusiva adeguatezza della custodia in carcere.
3. Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, concludendo per l'inammissibilità del ricorso.
4. Nessuna delle anzidette doglianze può essere ammessa.
4.1. La prima chiede alla Corte di cassazione un'indagine di merito, che non le è consentita, peraltro muovendo da presupposti di fatto semplicemente allegati ed ipotetici (assenza di pioggia, proprio in quei precisi istanti ed in quello spazio ristretto, visto che lo stesso difensore sostiene che poco prima fosse piovuto, essendo perciò i vestiti bagnati; distanza tra luogo di avvistamento e di custodia; svolgimento di attività ginnica in casa).
4.2. La seconda è manifestamente infondata, perchè il Tribunale ha motivatamente e persuasivamente escluso la lieve entità della trasgressione, ponendo in rilievo, oltre all'allontanamento dal luogo degli arresti, la fuga prontamente apprestata e l'atteggiamento minaccioso tenuto verso i carabinieri all'atto del controllo in casa (dato, quest'ultimo, incontroverso).
4.3. La terza, infine, è priva di qualsiasi fondamento giuridico.
La sostituzione della misura degli arresti domiciliari con quella della custodia cautelare in carcere, a seguito della violazione delle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione, disposta ai sensi dell'art. 276 c.p.p., comma 1-ter, è automatica, salvo che vi sia la prova della lieve entità del fatto, senza che al giudice sia riconosciuto un potere di rivalutazione delle esigenze cautelari (tra altre: Sez. 4, n. 32 del 21/11/2017, dep. 2018, Monno, Rv. 271690; Sez. 5, n. 15301 del 23/01/2017, Garofalo, Rv. 270075).
5. All'inammissibilità del ricorso consegue obbligatoriamente - ai sensi dell'art. 616 c.p.p. - la condanna del proponente alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d'inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta carenza di diligenza, va fissata in tremila Euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 28 reg. esec. c.p.p..
Conclusione
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2023