1.11 ricorso è infondato.
Occorre preliminarmente soffermarsi, innanzitutto, su quella che è la ratio della rinnovata disciplina delle sanzioni sostitutive brevi, ora denominate espressamente pene, tema che il ricorso in scrutinio, attraverso il motivo articolato, ha devoluto a questa Corte di legittimità. Occorre, in particolare, stabilire, ai fini che occupano, se la ‘rinnovatà prospettiva della rieducazione e del reinserimento sociale, come si assume in ricorso, permei le nuove disposizioni al punto da lasciare in secondo piano l'esigenza special preventiva - sempre presente nell'ambito del processo sanzionatorio, e da incidere - e in che termini - anche sull'impronta di tipo discrezionale del potere sanzionatorio del giudice.
Va subito detto che il nuovo art. 20-bis c.p. - introdotto dal D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150, attuativo dei principi enunciati con l'art. 1, comma 17 della L. 27 settembre 2021 n. 134, legge delega della cd. Riforma Cartabia - segna il formale ingresso nel Codice penale della categoria delle ‘pene detentive brevì - in ottemperanza alla riserva di codice - e che l'art. 71 del medesimo D.Lgs. n. 150/22 ha introdotto una riforma organica della L. 24 novembre 281 n. 689, ridisegnato anche il quadro generale delle cd. sanzioni sostitutive di pene detentive brevi (sanzioni sostitutive che già all'epoca furono dettate dall'intento di deflazionare la carcerazione breve, ritenuta inefficace, de-socializzante e persino criminogena, a fronte di pene detentive di breve durata, intento perseguito appunto sostituendole con una risposta sanzionatoria che, accanto alla portata special preventiva, avesse anche un intrinseco effetto risocializzante e riparativo in generale, come d'altronde impone l'art. 27 della Costituzione).
Vi è stata innanzitutto un'estensione della nozione di pena detentiva "breve" che prima della riforma comprendeva le pene detentive di durata non superiore ai due anni, mentre adesso le pene sostitutive si applicano alle pene di durata fino a quattro anni (il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna o di applicazione pena ex art. 444 c.p.p., quando ritiene di determinare la durata della pena detentiva entro il limite di quattro anni, può sostituire tale pena con quella della semilibertà o della detenzione domiciliare; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di tre anni, può sostituirla anche con il lavoro di pubblica utilità - sicchè nel caso di specie sussiste(va) il presupposto quantitativo della pena sostituibile; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di un anno, può sostituirla altresì con la pena pecuniaria della specie corrispondente, determinata ai sensi dell'art. 56-quater).
Prima della riforma la durata della pena detentiva breve era sostanzialmente pari a quella della pena suscettibile di essere condizionalmente sospesa e comunque i due benefici, la sospensione condizionale e la sostituzione della pena, erano cumulabili. Con la riforma, invece, i due istituti non possono trovare applicazione congiunta in quanto il beneficio della sospensione condizionale della pena esclude la possibilità di sostituire la pena detentiva, secondo quanto previsto dall'art. 61-bis della L. n. 689 del 1981, introdotto dall'art. 71, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n. 150 del 2022.
Anche da tale divieto di cumulo si evince che la riforma mira ad arginare il pericolo di recidiva soprattutto attraverso la finalità rieducativa e risocializzante cui devono tendere le pene sostitutive, corredate dal programma stilato dall'UEPE sulla base della situazione specifica del condannato e dalle prescrizioni imposte dal giudice, finalità che il beneficio della sospensione condizionale della pena non consente invece di realizzare nella sua pregnanza, fondandosi esso sul un mero obbligo di astensione incentivato dalla perdita del beneficio in caso di commissione di un nuovo reato (non essendo esso necessariamente ancorato - in special modo quando si versa nell'ipotesi della prima concessione - a prestazioni accessorie idonee ad incidere efficacemente sul processo di rieducazione).
1.a semilibertà, la detenzione domiciliare e il lavoro di pubblica utilità costituiscono, invece, delle vere e proprie pene-programma, imperniate non solo su obblighi di astensione e divieti, ma anche sul programma redatto da U.E.P.E. e sulle prescrizioni positive che il giudice, all'esito del contraddittorio e basandosi anche sul progetto di trattamento del'U.E.P.E., andrà ad individuare (art. 56-ter L. n. 689 del 1981).
Venendo quindi ai poteri discrezionali che il legislatore ha voluto attribuire al giudice in sede di applicazione e scelta delle pene sostitutive, si deve osservare che essi sono significativi e pienamente coerenti con la ratio generale di questa parte della riforma in vista di una deflazione delle pene detentive brevi, ma soprattutto di un senso rieducativo effettivo dato alle pene sostitutive: "il giudice tenuto conto dei criteri indicati nell'art. 133 c.p., se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato" (art. 58).
L'esigenza di rieducazione si compenetra con quella di tutela della collettività nel senso che questa si realizza essenzialmente anche tramite il processo di rieducazione, puntellato dalle prescrizioni imposte dal giudice.
L'applicazione delle pene sostitutive non solo non è incompatibile con il pericolo di recidiva, ma costituisce la specifica modalità prescelta dal legislatore per arginarlo ai meglio, sia pure in un'ottica che si proietta necessariamente dopo il completamento del percorso rieducativo conseguente all'applicazione; essa è quindi, in definitiva, incompatibile solo con quel tasso di recidiva che il giudice non reputa di poter azzerare o ridurre attraverso l'adozione di quelle particolari prescrizioni che accompagnano la pena sostitutiva nella fase di esecuzione della stessa, la quale in quanto di tipo non restrittivo, o del tutto restrittivo, necessita di adeguati controlli e prescrizioni.
Sicchè, sebbene la decisione di applicare la pena sostitutiva si muova, in coerenza con ia ratio sopra delineata, nell'ottica di individuare una pena che sia - la - più idonea alla rieducazione del condannato, nell'ambito di tale valutazione trova posto - e non potrebbe essere altrimenti trattandosi di contemperare interessi di pari rango - in una posizione di uguale grado, anche la necessità che essa - corredata dalle indispensabili prescrizioni che vanno a bilanciare i margini di libertà che tali misure in maniera più o meno intensa, a seconda del tipo, lasciano al condannato - scongiuri, medio tempore, la commissione di altri reati.
Risulta evidente allora che il presupposto da cui deve muovere il giudice al fine di verificare dell'applicazione della pena sostitutiva breve è quello della valutazione della sussistenza o meno di fondati motivi che inducano a ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute perchè la prospettiva della rieducazione non può prevalere sull'esigenza di neutralizzazione del pericolo di recidiva che necessita di essere soddisfatta anche durante l'esecuzione della pena.
Quanto alla motivazione, l'art. 58 si limita a prevedere che il giudice deve indicare i motivi che giustificano l'applicazione della pena sostitutiva, diffondendosi, piuttosto, sulla struttura argomentativa che il provvedimento deve avere quanto alla scelta del tipo (essedo chiaramente da privilegiare la pena non detentiva nell'impostazione che risulta dalle disposizioni in argomento); è soprattutto in tale fase di selezione della pena che entra in gioco la specifica esigenza rieducativa dovendo il giudice - per espressa previsione contenuta nell'art. 58 - scegliere quella più idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato con il minor sacrificio della libertà personale (e quando applica la semilibertà o la detenzione domiciliare, il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonei nel caso concreto il lavoro di pubblica utilità o la pena pecuniaria).
Nel caso di specie, il giudice - la Corte di appello chiamata a decidere su sollecitazione della difesa che ha inteso avvalersi delle nuove previsioni medio tempore entrate in vigore - ha a monte reputato non sostituibile la pena detentiva inflitta indicando i fondati motivi - richiesti nella valutazione preliminare dall'art. 58 - per i quali ritenere che le prescrizioni non sarebbero state adempiute dall'imputato (evidente è il mero errore materiale in cui è incorsa nell'anteporre un "non" alla frase "sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato").
In particolare, la Corte di appello ha richiamato i numerosi precedenti penali risultanti a carico dell'imputato, molti dei quali per delitti contro il patrimonio, e ha ritenuto che non si potesse formulare un giudizio positivo in termini di affidabilità del condannato per il futuro, tenuto anche conto che nel presente procedimento l'imputato era stato, tra l'altro, di recente sottoposto a misura cautelare a seguito di convalida dell'arresto per il furto in chiesa di vari oggetti sacri ed ex voto in argento, perpetrato nel 2022, dopo, appunto, una lunga serie di reati contro il patrimonio già commessi.
Il ricorso, dal canto suo, non ha neppure evidenziato se l'attività lavorativa dell'imputato elemento che, genericamente, la difesa adduce ai fini della valutazione in argomento - abbia avuto inizio prima o dopo il furto oggetto del presente giudizio, specificazione, questa, non del tutto irrilevante al fine di valutare il ruolo del lavoro nelle dinamiche criminali dell'imputato.
Ebbene, tenuto conto che la valutazione circa l'an dell'applicazione della pena sostitutiva che compete al giudice è di tipo discrezionale, prevedendo l'art. 58 che " Il giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell'art. 133 del codice penale, se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva, si deve ritenere sufficientemente congrua la motivazione resa dalla corte territoriale nel caso di specie, per avere essa espresso, sia pure in maniera sintetica, quelle ragioni ostative alla prognosi favorevole circa l'adempimento delle prescrizioni - e quindi la commissione di ulteriori reati - che l'art. 58 impone di formulare in via preliminare sulla base di elementi concreti (laddove la rieducazione, legata alla puntuale esecuzione della pena sostitutiva, non potrà che costituire la prospettiva in cui si muove l'applicazione della pena sostitutiva, applicazione che rimane in ogni caso subordinata al giudizio di idoneità della pena sostitutiva a scongiurare il pericolo di recidiva anche medio tempore).
In altri termini, si ritiene che il controllo di questa Corte rispetto alla decisione del giudice di merito di non farsi luogo alla sostituzione della pena detentiva non possa che fermarsi secondo i principi generali che regolano il giudizio di legittimità e quelli specificamente affermati in tema di trattamento sanzionatorio - alla verifica della sussistenza di una congrua motivazione che dia conto della esistenza di quei fondati motivi ostativi ad una prognosi favorevole in ordine al futuro comportamento del condannato che involge il rispetto delle prescrizioni (e non solo quelle imposte dal giudice ma anche quelle insite nelle stesse pene sostitutive che tendenzialmente impongono adempimenti comportamentali specifici).
2 Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2023