1. Il ricorso è complessivamente infondato.
1. Il primo motivo di censura deve essere rigettato in quanto privo di pregio.
La Corte di secondo grado ha già messo in risalto, nel rispondere all'analogo motivo d'appello, che non vi è stata alcuna modifica dell'imputazione dopo l'ammissione del rito abbreviato, poichè l'aggravante prevista dall'art. 612-bis c.p., comma 2, è stata sempre considerata come contestata "in fatto", senza bisogno di modifiche al capo d'imputazione relativo al delitto di stalking. L'aggravante in esame, infatti, così come la circostanza di aver diretto gli atti persecutori in danno di un minore, non ha contenuto "valutativo" (a differenza di quelle aggravanti che, secondo Sez. U, n. 24906 del 18/4/2019, Sorge, Rv. 275436, necessitano di una esplicita indicazione nell'imputazione, o attraverso il richiamo diretto ovvero mediante il riferimento normativo specifico); essa presuppone soltanto che siano chiaramente evidenziati nella contestazione i comportamenti dell'agente che hanno coinvolto una determinata persona offesa e sono stati commessi in suo danno" (cfr. Sez. 5, n. 28668 del 09/06/2022, M., Rv. 283540-01, in tema di atti persecutori diretti in danno di un minore).
La pronuncia Sez. U, n. 24906 del 18/4/2019, Sorge, citata, ha distinto tra aggravanti che abbiano o meno un contenuto "valutativo", collegando solo alle prime la necessità di una formale contestazione, completa del richiamo normativo al nomen iuris, sicchè, per le aggravanti prive di un contenuto valutativo, si è legittimamente potuto riaffermare l'ammissibilità della c.d. contestazione in fatto quando vengano valorizzati comportamenti individuati nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o ad oggetti determinati nelle loro caratteristiche, idonei a riportare nell'imputazione tutti gli elementi costitutivi della fattispecie aggravatrice, rendendo così possibile l'adeguato esercizio del diritto di difesa (così, condivisibilmente, Sez. 2, n. 15999 del 18/12/2019, dep. 2020, Saracino, Rv. 279335, in una fattispecie di truffa aggravata ai sensi dell'art. 61 c.p., comma 1, n. 7; vedi anche Sez. 3, n. 28483 del 10/9/2020, D., Rv. 280013 e Sez. 5, n. 1104 del 11/11/2021, dep. 2022, F., Rv. 282864).
Ebbene, anche per l'aggravante prevista dall'art. 612-bis c.p., comma 2, che non ha contenuto valutativo, è ammissibile la sua contestazione "in fatto", quando nell'imputazione vengano valorizzati comportamenti individuati nella loro materialità, riferiti all'ex coniuge ovvero a persona legata sentimentalmente all'autore della condotta, coinvolti direttamente nella campagna persecutoria, ed idonei a riportare nell'imputazione tutti gli elementi costitutivi della fattispecie aggravatrice, rendendo così possibile l'adeguato esercizio del diritto di difesa (così Sez. 5, n. 28668 del 2022, cit.).
E difatti, detta aggravante non implica alcun tipo di valutazione giuridica da parte della pubblica accusa, essendo collegata semplicemente alla constatazione dell'aver diretto gli atti persecutori nei confronti di un determinato soggetto, chiaramente individuabile nella sua qualità, circostanza di fatto perfettamente leggibile nella complessiva imputazione formulata a carico dell'imputato, sin dall'inizio del procedimento (come chiarito dalla Corte d'Appello e come immediatamente leggibile dall'imputazione, che richiama la qualità della persona offesa di "ex compagna" di vita dell'imputato e si riferisce espressamente al loro periodo di convivenza).
In sintesi, anche in relazione all'aggravante di cui all'art. 612-bis c.p., comma 2, basata sul rapporto sentimentale e sul legame affettivo già intercorrente tra l'autore del reato e la persona offesa, può affermarsi il medesimo principio di diritto: l'aggravante di aver commesso il reato di stalking ai danni dell'ex coniuge (come anche di persona che è stata legata all'autore del delitto da relazione affettiva) non ha contenuto valutativo e presuppone soltanto che siano chiaramente evidenziati nella contestazione i comportamenti dell'agente che hanno coinvolto (o sono stati commessi in danno di) una determinata persona offesa, avente la qualità di coniuge, anche separato o divorziato, oppure di persona che all'autore della condotta sia stata legata da relazione affettiva.
2. Il secondo motivo è inammissibile perchè manifestamente infondato.
Il ricorso sbaglia a ritenere che non vi sia stato, nelle sentenze di merito, alcun approfondimento motivazionale circa la realizzazione di uno dei tre eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice.
In realtà, i Giudici di merito hanno evidenziato lo stato d'ansia e paura insorto nella vittima del reato, a causa delle condotte del ricorrente e della loro capacità di destabilizzazione della persona offesa, intimidita ed addirittura inibita dal far uso del telefono, per timore di imbattersi nel suo persecutore.
In tale contesto, la sentenza impugnata ha correttamente evidenziato che, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente (tra le più recenti sentenze massimate, cfr. Sez. 5, n. 57704 del 14/09/2017, P., Rv. 272086-01), senza tuttavia sottrarsi all'individuazione dell'evento verificato a seguito delle condotte persecutorie, ritenendo accertata, appunto, l'avvenuta destabilizzazione della vita della persona offesa.
3. Infine, quanto all'ultimo motivo di ricorso, si rileva che si tratta di un'obiezione manifestamente infondata.
La disposizione di cui all'art. 165 c.p., comma 5, è stata introdotta dalla L. 19 luglio 2019, n. 69, in vigore dal 9.8.2019.
Le condotte persecutorie, come indicato in contestazione, sono riferibile al periodo (Omissis).
In altre parole, la condotta di reato si estende al luglio 2020 e dunque, trattandosi di reato abituale, abbraccia periodi temporali successivi all'entrata in vigore della nuova formulazione dell'art. 165 c.p..
Appare applicabile il seguente principio: "In tema di sospensione condizionale della pena, la previsione di cui all'art. 165 c.p., comma 5, introdotto dalla L. 19 luglio 2019 n. 69, art. 6, comma 1, che subordina il beneficio alla partecipazione del condannato a specifici percorsi di recupero, pur avendo natura sostanziale, si applica anche a fatti di maltrattamenti in famiglia perfezionatisi prima dell'entrata in vigore della indicata novella, ma protrattisi - senza significative cesure temporali - in epoca successiva, stante l'unitarietà strutturale del reato (Sez. 6, n. 32577 del 16/06/2022, P., Rv. 283617 -01).
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali.
4.1. Deve essere disposto, altresì, che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 13 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2023