3. Il ricorso risulta fondato limitatamente al secondo motivo.
4. Con riguardo alla prima censura, in punto di responsabilità, il Collegio rileva che la questione posta dalla difesa si sviluppa esclusivamente su inammissibili termini di fatto, concentrandosi sul dedotto utilizzo di un canale ufficiale - un centro di assistenza fiscale - per l'inoltro all'INPS del modello Rdc/PdC-Com in forma ridotta, contenente la comunicazione dell'attività lavorativa intrapresa dal marito della ricorrente.
4.1. La medesima questione - si ribadisce, propria del solo giudizio di cognizione - risulta peraltro adeguatamente affrontata dalla Corte di appello, che ha evidenziato che la documentazione allegata al gravame non consentiva affatto di provare l'avvenuto inserimento del documento nel database dell'INPS. In particolare, il Collegio ha riscontrato soltanto "la presenza di una modulistica di dichiarazione, rinvenibile su Internet, precompilata, con inseriti i dati anagrafici e datata 4.11.2019, neppure sottoscritta dal marito dell'imputata, senza attestazione alcuna di presentazione alla competente sede INPS e priva di protocollazione, anche informatica, rilasciata dall'Organo di destinazione della stessa". Tale accertamento, di puro fatto, risulta dunque privo di manifesta illogicità e non censurabile in questa sede; il ricorso, del resto, non lamenta di aver offerto al Giudice elementi certi a riprova dell'inoltro della comunicazione tramite CAF, ma si limita a sostenere - in termini generici - che la presentazione del citato modello all'Istituto sarebbe potuta avvenire soltanto attraverso un centro di assistenza fiscale. In senso contrario, peraltro, non può certo essere qui esaminata la dichiarazione - apparentemente proveniente da un collaboratore di un CAF di Barcellona Pozzo di Gotto - prodotta dalla difesa il 4/9/2023, anche perchè recante una data - 24/2/2023 - addirittura successiva alla sentenza di appello.
Il primo motivo di ricorso, dunque, è palesemente infondato.
5. A conclusioni differenti, invece, il Collegio giunge quanto al secondo.
5.1. La sentenza di primo grado aveva riconosciuto la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, evidenziando la "non gravità del danno cagionato", le modalità dell'azione, la minima intensità dell'elemento psicologico, oltre all'incensuratezza dell'imputata. La Corte di appello ha ribaltato questa affermazione, sottolineando che l'offesa riscontrata in concreto non potrebbe ritenersi lieve, "tenuto conto dei beni giuridici tutelati dalla disposizione in esame, ossia fede pubblica, patrimonio pubblico e anche buon andamento e imparzialità della P.A. nella corretta erogazione delle risorse pubbliche".
5.2. Con questa motivazione, tuttavia, il Giudice del gravame ha precluso l'applicazione dell'istituto all'intera fattispecie contestata, in sè ed in ragione dei beni giuridici dei quali è posta a presidio, in tal modo introducendo una preclusione oggettiva ulteriore rispetto a quelle - tassative - di cui all'art. 131-bis c.p., comma 3 peraltro introdotte solo successivamente al fatto qui contestato.
5.3. La sentenza, pertanto, deve essere annullata con rinvio limitatamente alla applicabilità della causa di esclusione della punibilità in oggetto, per nuovo giudizio; nel resto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con dichiarazione di irrevocabilità della sentenza quanto all'affermazione di responsabilità penale.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Messina. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto. Visto l'art. 624 c.p.p. dichiara la irrevocabilità della sentenza in ordine all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2023