Giu In tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 13 ottobre 2023 N. 41719
Massima
In tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite. Inoltre il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all'entità degli stessi e deve essere tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall'art. 81 cod. pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 13 ottobre 2023 N. 41719

I ricorsi del Procuratore generale, di A.A. e di C.C. sono inammissibili. Il primo motivo di ricorso di B.B. è inammissibile; sono, invece, fondati - nei limiti di seguito esposti - il secondo motivo e il motivo nuovo articolati nel suo interesse, con assorbimento delle rimanenti censure.

1. I motivi di ricorso della Parte pubblica possono essere trattati congiuntamente.

In essi non possono ravvisarsi compiute censure di legittimità poichè hanno prospettato un'alternativa ricostruzione di fatto sulla scorta di un diverso apprezzamento del compendio probatorio, senza neppure effettivamente denunciarne il travisamento (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 - 01; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575 - 01), profilo rispetto al quale anzi l'impugnazione contiene asserti generici, segnatamente nella parte in cui ha fatto rimando alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia (per nulla specificate) che avrebbero corroborato le dichiarazioni accusatorie. Non occorre, poi, dilungarsi sull'erroneità della prospettazione del ricorso nella parte in cui ha inteso attribuire al dichiarante G.G., imputato in procedimento reato connesso, il cui narrato, come espressamente statuito dalla sentenza rescindente richiede una corroboration secondo il disposto dell'art. 192 c.p.p., comma 3, un ruolo sostanziale diverso - vale a dire quello di testimone.

2. Il primo motivo di ricorso di C.C. è inammissibile.

Le Sezioni Unite hanno chiarito che, "in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite"; hanno al contempo precisato che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all'entità degli stessi e deve essere tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall'art. 81 c.p. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269 - 01; cfr. pure condivisibilmente Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, Spampinato, Rv. 284005 - 01: "in tema di reato continuato, il giudice di merito, nel calcolare l'incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non è tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall'art. 132 c.p.").

Nel caso in esame la Corte distrettuale ha determinato in sei mesi di reclusione la pena irrogata per il reato di estorsione di cui al capo R., quale aumento ex art. 81 c.p., comma 2, (della pena irrogata per il delitto di associazione di tipo mafioso) ritenendo che l'esclusione della contestata aggravante abbia "ridimensionat(o) la gravità del fatto": tale motivazione è congrua poichè l'aumento - rispetto allo spazio edittale posto dall'art. 629 c.p., comma 1, (ossia, quanto alla pena detentiva che qui rileva, la reclusione da cinque a dieci anni), con evidenza esclude che abbia avuto luogo un cumulo materiale, ragion per cui la prospettazione difensiva (che non ha neppure assunto che si siano superati i limiti di cui all'art. 81 c.p.) è manifestamente infondata.

3. Il motivo nuovo presentato nell'interesse del Rutilo è inammissibile.

L'art. 20-bis c.p., come novellato dal D.Lgs. n. 159 del 2022, consente la sostituzione delle pene detentive brevi con quelle disciplinate dal Capo 3 della L. 24 novembre 1981, n. 689, qualora la durata della pena irrogata non sia superiore a quattro anni, per la semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva, a tre anni per il lavoro di pubblica utilità sostitutivo, a un anno per la pena pecuniaria sostitutiva. La L. n. 689, art. 53, u.c., cit., nel testo pure novellato dallo stesso decreto, prevede che "ai fini della determinazione dei limiti di pena detentiva, entro i quali possono essere applicate pene sostitutive, si tiene conto della pena aumentata ai sensi dell'art. 81 c.p.": come esplicitato nella Relazione illustrativa che accompagna il decreto n. 150 cit., tale ultima modifica è correlata all'aumento fino a quattro anni della pena detentiva passibile di sostituzione, che il Legislatore ha considerato il "limite massimo - cui corrisponde la massima estensione possibile del concetto di pena detentiva "breve" - (che) non potrà in ogni caso essere superato"; l'art. 53, comma 3, cit. è stato modificato (nei termini appena indicati) proprio perchè lo stesso limite non possa essere esorbitato nel caso di concorso di reati (nel quale, a fronte di una pena di quattro anni per il reato più grave, potrebbe irrogarsi una pena detentiva fino al triplo, ossia fino a dodici anni: cfr. art. 81 c.p., comma 1).

Inoltre, per quel che qui rileva, la pena detentiva non può essere sostituita nei confronti dell'imputato di uno dei reati di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis (L. n. 689, art. 59, comma 1, lett. d) cit.).

Ebbene, nel caso di specie, il ricorrente è stato condannato alla pena complessiva di sei anni e sei mesi di reclusione - che, dunque, esorbita il limite di anni quattro - per i delitti, commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso, di associazione di tipo mafioso, usura aggravata D.L. 13 maggio 1991, n. 152, ex art. 7 conv. dalla L. 12 luglio 1991, n. 203 (ora 416-bis.1, comma 1, c.p.), contemplati dall'art. 4-bis cit., oltre che per estorsione. Il che palesa la manifesta infondatezza del motivo in esame.

4. Il ricorso di A.A. è inammissibile.

La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche era stata oggetto di censura con l'impugnazione presentata nel suo interesse avverso la sentenza di appello annullata da questa Corte; e tale ordine di censure è stato ritenuto assorbito dalla sentenza rescindente. Pertanto, la decisione impugnata è erronea nella parte in cui ha assunto che l'esclusione delle attenuanti in discorso fosse una statuizione divenuta definitiva: invero, "in tema di giudizio di rinvio, la cognizione del giudice riguarda il nuovo esame non solo del profilo censurato, ma anche delle questioni discendenti dalla sua rivalutazione secondo un rapporto di interferenza progressiva e dichiarate assorbite nella pronuncia di annullamento" (Sez. 6, n. 49750 del 04/07/2019, Diotallevi, Rv. 277438 - 01, la quale ha precisato che l'accoglimento di motivi di ricorso, cui segua l'assorbimento di altre questioni controverse, implica la sospensione della loro valutazione da parte del giudice di legittimità, conseguente al rapporto di pregiudizialità logica del tema assorbente sul quale deve rinnovarsi l'esame, la cui definizione impone la progressiva verifica delle questioni dipendenti che da quella premessa traggono il proprio caposaldo argomentativo). Tuttavia, tale errore di diritto non ha avuto influenza decisiva sul dispositivo e va qui rettificato nei termini appena esposti (art. 619 c.p.p., comma 1). Difatti, la decisione impugnata ha pure affermato che le circostanze attenuanti generiche comunque non sarebbero concedibili al ricorrente in ragione della sua pericolosità sociale, rimarcando come egli sia inserito in posizione apicale in un contesto criminoso di elevato allarme sociale. E rispetto a tale argomentazione - con la quale pure la Corte distrettuale ha indicato l'elemento posto a sostegno della sua statuizione (cfr. Sez. 2, n. 237,73 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 - 01) - il ricorso è manifestamente infondato nella parte in cui ha assunto che in tal modo sarebbero stati pretermessi elementi indicati nella sentenza rescindente che, in ragione del già rilevato assorbimento non ha posto alcun dictum rilevante ex art. 627 c.p.p., comma 3 al riguardo; e del tutto generico nella parte in cui ha richiamato - a sostegno della censura qui mossa, quali elementi non considerati dal Giudice di secondo grado - i precedenti penali e il comportamento processuale di A.A., senza alcuna specificazione.

5. il primo motivo di B.B. è manifestamente infondato.

La sentenza rescindente ha disatteso le "questioni processuali relative alla pluralità di procedimenti iscritti", ivi comprese quelle sollevate da B.B. (cfr. p. 88 s.), richiamando le censure già riportate nel corpo della decisione (che ha fatto espresso riferimento pure alla mancanza (o alla mancata dimostrazione dell'emanazione) di un formale e specifico provvedimento di riunione (del procedimento n. 5993/2017 R.G.N. R. a quello n. 47412/2015 R.G.N. R.; cfr. p. 27 s.; cfr. p.45 s., sub 8.18). In particolare, la detta pronuncia di legittimità:

- ha dato conto - per quel che qui interessa - del fatto che i Giudici di appello avessero ritenuto che il procedimento n. 5993/2017 R.G.N. R., a seguito della riapertura delle indagini, era "stato certamente riunito a quello n. 47412/2015 R.G.N. R." (nel quale è stata resa la sentenza impugnata), "con provvedimento sussistente e documentato dall'annotazione sul frontespizio del fascicolo n. 5993/17, atto sicuramente efficace, seppur privo di data" (ivi, p. 92);

- e ha ritenuto che le doglianze difensive non fossero atte "a vulnerare i passaggi essenziali" dell'appena esposta argomentazione esposta dalla Corte di secondo grado.

Ciò posto, la giurisprudenza ha già chiarito che:

- può ricorrere un errore di fatto, nella forma dell'omissione, "quando sia omessa la considerazione di uno o più motivi del ricorso per cassazione, nel senso che le doglianze riguardanti un capo o punto della decisione siano totalmente pretermesse" (Sez. 5, n. 25239 del 13/07/2020, Furnari, Rv. 279466 - 01), e ciò "sia dipeso da una vera e propria svista materiale, cioè da una disattenzione di ordine meramente percettivo che abbia causato l'erronea supposizione dell'inesistenza della censura, la cui presenza sia immediatamente e oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso", vale a dire quando l'omesso esame di essa "conseguenza di un sicuro errore di percezione" (Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, Macrì, Rv. 268982 - 01, che richiama ex plurimis Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221283 - 01, e Sez. 6, n. 16287 del 10/02/2015, Manfredi, Rv. 263113 - 01);

- viceversa, "l'omessa motivazione in ordine ad uno o più motivi di ricorso per cassazione non dà luogo ad errore di fatto rilevante a norma dell'art. 625-bis c.p.p., allorchè il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso" (Sez. 2, n. 53657/2016, cit.).

Ne deriva che:

- la sentenza rescindente non è incorsa in alcun errore di fatto, avendo ritenuto infondata la censura de qua, espressamente condividendo l'iter argomentativo esposto al riguardo nella sentenza di secondo grado (che ha annullato sotto un diverso profilo);

- e la sentenza rescissoria qui impugnata correttamente ha ritenuto precluso l'ordine di doglianze in parola.

Il che rende superflua ogni ulteriore considerazione.

6. Il secondo motivo di ricorso e il motivo nuovo articolati nell'interesse di B.B. sono fondati, nei limiti di seguito esposti.

La sentenza rescindente aveva annullato l'affermazione di responsabilità dell'imputato per i delitti di cui ai capi B. e C., pur ritenendo che la valutazione di attendibilità e credibilità dell'imputato in procedimento connesso G.G., compiuta dalla Corte territoriale, resistesse alle censure difensive, poichè aveva ritenuto che queste ultime fossero fondate in relazione alla necessità di riscontri esterni al suo narrato, imposta dall'art. 192 c.p.p., comma 3.

A tale ultimo riguardo la pronuncia di annullamento aveva evidenziato un vizio motivazione con precipuo riferimento alla identificazione dell'autovettura impiegata dai sicari (segnatamente, in relazione all'utilizzazione di una Opel di proprietà di Z.Z., rispetto al quale la narrazione del G.G. non poteva dirsi corroborata da dichiarazioni di V.V.), alla sommaria valutazione dei tabulati telefonici, alla necessità di affrontare compiutamente il tema del contrasto tra il narrato del G.G. e quello dell'altro collaboratore P.P. (che ha individuato uno degli esecutori materiali in M.M. e non in B.B.).

Ad avviso del Collegio è dirimente osservare che il Giudice del rinvio non si è uniformato a tale dictum. Difatti, la sentenza impugnata:

- ha riportato taluni elementi relativi all'antefatto dell'azione omicidiaria, non riconducibili direttamente alla partecipazione di B.B. ai delitti, secondo quanto esposto nel medesimo provvedimento (ciò è a dirsi con riferimento alla lite del 25 ottobre 2011, relativa a crediti contratti da Q.Q. "sia con la famiglia F.F." sia con D.D., alla sparatoria del (Omissis), rispetto alla quale si dà conto della presenza in loco di M.M., che ha contattato altri membri della famiglia F.F., alle intercettazioni dei dialoghi di T.T., richiamate senza riferirle al fatto del ricorrente; alla mediazione da parte di S.S per scongiurare l'epilogo violento del contrasto, in cui non si coglie un riferimento, nella sentenza, a B.B.);

- quanto alla vettura impiegata dai rei, ha riproposto il medesimo ordine argomentativo già ritenuto inadeguato dalla decisione di annullamento, attribuendo rilievo alle dichiarazioni di V.V. (che ha confermato solo il colore del veicolo, riferito dal G.G., ma nulla ha saputo esporre sul modello al fine di comprendere se esso fosse in uso a B.B.);

- ha richiamato l'indicazione di uno dei rei, da parte del fratello del L.L., nello "zingaro di (Omissis)", per escludere che tale espressione potesse riferirsi a M.M. (napoletano), così negando rilevanza alla chiamata in reità di quest'ultimo da parte del P.P. (in vece di B.B., indicato dal G.G.), non avendo esposto tuttavia alcuna ragione per cui tale espressione sia riferibile a B.B.;

- ha fatto menzione degli accertamenti relativi alle celle agganciate dal telefono cellulare del G.G. per evidenziare come essi non sconfessassero il nucleo essenziale del suo narrato, il che tuttavia non equivale ad attribuire a tali dati il carattere di riscontro delle sue propalazioni in ordine alla responsabilità del ricorrente (come la stessa sentenza ha rilevato);

- ha fatto riferimento ai contatti telefonici successivi tra B.B. e L.L., sempre sulla scorta del narrato (da riscontrare) del G.G., non spiegando in cosa consisterebbero gli elementi che lo corroborerebbero in ordine allo specifico fatto del ricorrente (menzionando genericamente l'attività di indagine svolta), spiegazione che non può trarsi neppure dal riferimento da parte di B.B. al costo del biglietto aereo per l'Egitto (nel corso di un dialogo intercettato il 1 marzo 2012) e dalla sua lettura come un dato dimostrativo "di un suo pieno coinvolgimento nella vicenda");

- infine, ha valorizzato la circostanza che una vettura intestata a Z.Z. (padre di B.B.) sia stata colta il (Omissis) nei pressi del garage della vittima D.D., con a bordo tuttavia il L.L. e M.M., al quale ultimo è stata attribuita la disponibilità dell'arma da fuoco rinvenuta sul veicolo e che - come esposto - è stato indicato dal P.P. come uno dei sicari (in luogo di B.B.); e ne ha tratto la dimostrazione della collaborazione tra il L.L. (indicato sia dal G.G. sia dal P.P. come uno dei sicari) e B.B., prediligendo la narrazione del G.G. (in ordine alla responsabilità del ricorrente) rispetto a quella del P.P. (propalante de relato), senza chiarire compiutamente le ragioni per cui tale dato (atto a corroborare la versione del P.P.) confermasse invece l'accusa al ricorrente.

In tal modo non ha correttamente corroborato le dichiarazioni accusatorie mediante i prescritti riscontri esterni che, per costante giurisprudenza, devono individuarsi in elementi di prova autonomi e diversi dalla chiamata in sè che - pur non dovendo costituire una prova autosufficiente della colpevolezza (Sez. 6, n. 661 del 07/12/1995 - dep. 1996, Agresta, Rv. 203375 - 01) - siano riferibili all'imputato ed alla contestazione elevata nei suoi confronti (cfr. Sez. U., n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226090-01; cfr. pure S.U., n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, Rv. 255143; Sez. 5, n. 36225 del 16/07/2015, Murgeri, n. m.; fermo restando che "tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'art. 192 c.p.p., comma 3, alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale": Sez. 5, n. 36225/2015, cit.). In altri termini, nell'iter argomentativo sopra esposto, non sono stati individuati autonomi elementi esteriori dotati di specifica idoneità confermativa delle dichiarazioni del G.G. a carico del ricorrente che costituiscano il necessario completamento della chiamata di correo poichè hanno ad oggetto direttamente la sua persona e sono dotati di idoneità dimostrativa in relazione allo specifico fatto a questi attribuito, ossia riguardano sia il fatto reato sia la riferibilità dello stesso all'imputato (Sez. 1, n. 1263 del 20/10/2006 - dep. 2007, Alabiso, Rv. 235800-01).

Ne consegue l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di B.B. limitatamente ai reati di cui ai capi B) e C), con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Roma. Sono assorbite le ulteriori censure.

7. Non deve disporsi la condanna degli imputati ricorrenti alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili che ne hanno fatto richiesta:

- quanto a B.B. in ragione dell'accoglimento del suo ricorso;

- quanto a C.C. e A.A. perchè hanno presentato censure relative al solo trattamento sanzionatorio, ossia a profili estranei agli interessi civili (cfr. Sez. 6, n. 1671 del 20/12/2013 - dep. 2014, Spagnuolo, Rv. 258524 - 01).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore generale.

Dichiara inammissibili i ricorsi di A.A. e C.C. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di B.B. limitatamente ai reati di cui ai capi B) e C) con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Roma.

Nulla per le spese in favore delle costituite parti civili.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2023